Le carene del futuro – L’evoluzione delle carene nel prossimo futuro
di Sergio Abrami.
Parlare di carene del futuro senza accennare al futurismo?
No. Sarebbe sprecare una occasione di riflessione “trasversale” multidisciplinare. Progresso sostenibile, cultura, architettura navale, nautica, e molto di più: il tutto frullato, omogeneizzato, reso digeribile.
Il mito della velocità
Il ventesimo secolo era iniziato all’insegna del mito della velocità. La velocità come ideale è citata al 4°punto del manifesto futurista di Martinetti. Manifesto pubblicato in Francia su “Le Figarò“ del 20 febbraio 1907.
Manifesto del futurismo:
- Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.
- Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
- La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità penosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
- Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità
- Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
- Bisogna che il poeta si prodichi con ardore, sfarzo e magnificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.
- Non vi è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro.
- Noi siamo sul patrimonio estremo dei secoli! poichè abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.
Velocità non solo in cielo e su terra, ma anche sull’acqua.
Per inciso velocità che all’epoca della pubblicazione del “Manifesto” era piuttosto modesta – volo dei fratelli Wright 17 dicembre 1903 18 kmh, ma che che già nel 1909 diventeranno ben 203 kmh! – vedi grafico sempre più veloci –
L’immagine di apertura è la riproduzione di un dipinto di Benedetta Cappa – velocità di motoscafo – del 1923 Galleria d’arte Moderna di Roma. Per chi non lo sapesse, Benedetta Cappa 1897-1977 era la moglie di Marinetti.
Sempre legato alla velocità sull’acqua una puntasecca-acquatinta di Spadavecchia 1934 che ritrae un motoscafo da competizione. Collezione privata.
Il mito della velocità sarà celebrato per un lungo esaltante periodo tra le due guerre mondiali. Il raziocinio, la percezione di ottimizzare la velocità alle esigenze reali, a contestualizzarla, arriva più tardi con il secondo dopoguerra. Sono di quel periodo gli studi del nostro Ing. Gabrielli, quello del G 91 del G222 tanto per citare i suoi ultimi e forse più conosciuti aerei e di Von Karman relativi al diagramma che porta il suo nome . Vedi illustrazione GK1 GK2.
Ma veniamo al nostro mondo della nautica. Rileggiamo il diagramma con i progressi della velocità.
Se osserviamo il grafico “sempre più veloci” vediamo che gli incrementi rilevati subiscono un rallentamento solo nell’ambito delle automobili di serie nel periodo della 2° guerra mondiale.
Cercando di analizzare i quattro grafici dove sono rappresentate le velocità raggiunte da aerei, automobili commerciali, imbarcazioni da record e velocità commerciali sull’acqua colpisce come a fronte di incrementi vertiginosi nel campo aeronautico e terrestre gli incrementi nel campo nautico/navale sono stati modesti, un andamento quasi lineare.
Se poi prendiamo in considerazione l’efficienza, la quantità di energia o potenza installata per ottenere quelle prestazioni, scopriamo che nel nostro campo in realtà si sono fatti o meglio, si erano fatti, dei vistosi passi indietro.
La disponibilità sul mercato di motori leggeri, potenti, relativamente economici ed un relativo basso costo dell’energia (leggi gasolio) avevano privilegiato ben altri parametri progettuali. E’ comunque colpa del mercato, non dei progettisti…
Si era persa di vista la strada dell’affinamento delle carene che vantava secoli di storia a favore di soluzioni, che io mi ostino a chiamare di elegante edilizia nautica, non certamente performanti (in relazione alle potenze installate). Il ventunesimo secolo, complice il repentino aumento dei costi dell’energia, non disgiunto ad una maggiore maturità ecologica di una parte del mercato, ha fatto riscoprire il piacere della lentezza.
Dal mito della velocità all’elogio della lentezza.
Festina lente: affrettati lentamente .
Gli antichi romani la sapevano lunga , non solo celebravano la bontà della imbarcazione evitando l’abbaglio delle finiture lussuose.
…. navis bona dicitur non quae pretiosis coloribus picta
est nec cui argenteum aut aureum rostrum est nec cuius
tutela ebore caelata est nec quae fiscis atque opibus regiis
pressa est, sed stabilis et firma et iuncturis aquam excludentibus
spissa, ad ferendum incursum maris solida,
gubernaculo parens, velox et non sentiens ventum.
Ma filosofeggiavano su un qualcosa che abbiamo riscoperto forse troppo tardi, la ricchezza del tempo disponibile sfruttato per meditare, assaporare la vita. Si parla di slow food, ma c’è anche la slow architecture che è secondo i suoi sostenitori è un’architettura progressiva, che vive nel tempo; è sostenibile, trae quindi dal contesto in cui si inserisce le risorse per la sua definizione. E’ la risposta “lenta” al dilagare omologante della fast life.
Dalla terraferma al mare: è un invito a rallentare il tempo, a gustarlo, assaporarlo. Sediamoci in pozzetto, sul fly ad osservare il tramonto , a guardare le bizzarre forme delle nuvole mutare di colore e svanire con l’arrivo dell’oscurità. Apprezziamo il lento variare della luce, la magia dell’alba in navigazione.
Avremo ricordi da conservare come un bene prezioso. Citare Milan Kundera è d’obbligo:
“C’è un legame stretto fra lentezza e memoria, fra velocità e oblio”.
L’elogio della lentezza fa bene al cuore, anche se qualcuno parlando di cuore indica il portafoglio.
L’aspetto economico.
ECO – come ecologia? Ed anche i portafogli più gonfi sono sensibili al greggio a 112 $ al barile ai quasi 1.4 € al litro di gasolio. Le grandi imbarcazioni di lusso, i megayachts sono una ricchezza per tutto il paese, portano lavoro – sia ai Cantieri che all’indotto – e valuta, tanta valuta. Le loro alte velocità però significano alti consumi, rubano inutilmente energia ai nostri figli, ai nostri nipoti. Il progresso sostenibile richiede che tutti facciano la loro parte.
E’ arrivato il momento di impegnarsi , di proporre come valore aggiunto dell’opera d’arte – perché tali sono a mio avviso certi megayachts – il risparmio energetico, l’efficienza. Nel campo automobilistico questo è già successo . Per andare a 130 kmh in autostrada si può anche pensare di utilizzare macchine da 20 km/lt , da 129 gr CO2/km. Ed i claims dei produttori puntano su questi parametri .
Per il momento nel campo nautico questo è forse più difficile da ottenere, ma il primo passo può essere una conoscenza, magari superficiale, dei principi che regolano la velocità e di conseguenza l’assorbimento di energia sull’acqua. Tanto per rendersi conto che l’impossibile (per motivi biecamente fisici) non si può ottenere, ma si può puntare su un buon compromesso.
Ambiente ed economia.
Faremo bene all’ambiente, faremo bene al portafoglio. Il punto sostenuto da molti è che spesso il sentimento “ecologico” non viene dal cuore ma dal portafoglio, è quella la vera leva che forse ci salverà. Vorrei citare virgolettata una considerazione, che condivido integralmente, pubblicata con ottimistica profezia pochi anni fa da un collega sul Bollettino dell’As.Pro.Na.Di. :
Probabili tendenze prossime:
IL MOTORYACHT SEMIPLANANTE
Prof. Massimo Musio-Sale
Con il petrolio a oltre 60 dollari al barile non si può più scherzare. Le risorse energetiche vanno amministrate con parsimonia. Questo è un atteggiamento ormai irrinunciabile, a prescindere dalla disponibilità del portafoglio.
Trovo sia veramente cafone e poco elegante il comportamento del consumo inutile. L’andare per mare costituisce una nobile attività, vicina alla natura, lontana dai condizionamenti metropolitani, legata intimamente a quel senso di libertà e di ampiezza degli spazi, connessi con l’immensità del mare.
Ma veniamo a noi, alle carene del futuro cercando di conoscerLe attraverso l’evoluzione dello stato dell’arte attuale.
Le diverse configurazioni di carena
Iniziamo con una doverosa catalogazione che ci aiuterà sul percorso : le tipologie di imbarcazioni sono infatti tante. Dovendole inquadrare, per molto tempo si è parlato del triangolo di sostentamento. In questo triangolo sono posizionate le diverse soluzioni di carena. Criss McKesson della MacMullen Associates già dieci anni fa nel 1998 reputò la visualizzazione del triangolo superata da una concezione tridimensionale.
Il cubo analizza meglio lo spettro delle varie configurazioni in relazione del sistema attivo passivo di generare portanza nel campo aereo o acqueo.
Avremo quindi :
- Imbarcazioni a idrostatica passiva: imbarcazioni tradizionali e chiatte.
- Imbarcazioni a idrodinamica passiva: carene plananti ed aliscafi
- Aerostatica passiva: dirigibili
- Aerodinamica passiva: Aeroplani e WIGs (effetto suolo: wing in round)
- Idrostatica attiva: imbarcazioni con appendici mobili atte a generare portanza
- Idrodinamica attiva: siamo nel campo del futuribile come un aliscafo con rotori Fletner
- Aerostatica attiva: gli elicotteri
- Aerodinamica attiva: gli autogiro
Le imbarcazioni “tradizionali” in linea di massima si dividono tra imbarcazioni dislocanti e imbarcazioni plananti. Le prime legano la loro velocità massima potenziale alla lunghezza al galleggiamento V = 1.34 ?Lwl in piedi. La tipica curva di resistenza ha questo aspetto :
Superare la velocità critica è virtualmente impossibile , aumentare la potenza installata serve solo ad avere più peso a bordo, maggiori costi di gestione e manutenzione. L’incidenza del dislocamento è poco rilevante. Poi ci sono le carene plananti con tutte le loro declinazioni. In questi casi la leggerezza è fondamentale per ridurre drasticamente i consumi. La curva di resistenza ha una tipica gobba, circa verso i 13 nodi, poi la curva si spiana. Più potenza = + velocità.
In realtà non è tutto così semplice. Per ogni velocità ci sono posizioni di baricentro ottimali. Quello che spesso è difficile da comprendere è che anche in questo caso la carena può, deve essere ottimizzata per una determinata velocità di progetto. Spesso le carene iper veloci “soffrono” a navigare a basse velocità e viceversa, ovviamente.
Accorgimenti:
Gli accorgimenti per limitare la resistenza , ridurre il fabbisogno di energia nel campo delle carene dislocanti sono ben noti. Il più diffuso è la prua bulbo.
La prima prua a bulbo la troviamo applicata ad una nave militare americana la USS Delaware nel lontano 1910. Progetto di David Watson Taylor – si proprio lui , quello a cui è dedicata la più famosa vasca navale del mondo –
Negli anni ’20 il bulbo lo troviamo su costruzioni civili tedesche. Il transatlantico Bremen conquisterà il Nastro Azzurro nel 1929 con la velocità di 27.9 nodi di media! I francesi superano nel 1935 i 30 nodi con il Normandie dotato di un rivoluzionario bulbo, ma gli inglesi con il Queen Mary 1° non sono da meno, ma con prua tradizionale…. Ma maggiori consumi certamente. Circa il 30% in più di potenza installata.
Il bulbo più impressionante e quello della corazzata giapponese Yamato impostata nel 1937. Si trattava di un bulbo di oltre 3 metri di sporgenza frutto di oltre 50 varianti effettuate sul modello in prova in vasca navale. La Yamato – 263 metri di lunghezza 72800 ton a PC raggiunse i 28 nodi!
La pubblicazione degli studi sul bulbo di prua.
Può sembrare curioso, visto che le prime applicazioni risalgono agli anni ‘20, ma i primi studi sulle prue a bulbo sono pubblicati solo al principio degli anni ’50. Il bulbo non contribuisce alla stabilità longitudinale dell’imbarcazione, non modifica quindi il comportamento con moto ondoso, per contro incrementa il volume di carena, incrementa la lunghezza teorica al galleggiamento e di conseguenza la sua velocità potenziale.
Un cargo da 15 nodi incrementa di circa 0.37 nodi. Praticamente un 2.5% “gratis”. Come funziona ?
Se spostiamo una sfera sott’acqua vedremo apparire una piccola onda a prua ed un rilevante cavo a poppavia della sfera. Se noi la piazziamo a pruavia di una prua, il cavo che produce per sovrapposizione tende ad annullare l’onda di prua della nave. Ovvero il bulbo crea una sua onda che si sovrappone alla onda della carena spianandola.
Onda ciano: onda carena – Onda verde: onda bulbo – Onda rossa: risultante
Troviamo prue a bulbo anche sulle navette da diporto dell’ultima generazione. Ci sono state anche imbarcazioni a vela, ricordo un motorsailer di 38’ penso di Elvström, dotate di una lungo bulbo di prua, quasi un rostro.
Esperimento abortito e senza seguito: risultati disastrosi, quasi come le alette sul bulbo di piccole barche.
Il beccheggio maggiormente pronunciato sulle piccole imbarcazioni, la non velocità costante, l’assetto trasversale variabile sono fortemente incompatibili con le prue a bulbo.
Refitting prue navi militari:
Negli anni ‘90 la marina americana ha provveduto a “rifare il naso” ai cacciatorpediniere della classe DDG-51 . Burke -Cole etc.
Il costo dell’operazione 3,4 milioni di $ . Risparmio in combustibile per la residua vita utile della classe : 200 milioni di $.
Per firmare il protocollo di Kyoto c’è tempo, ma già così il mondo risparmia un po’ di emissioni ed ha qualche anno di più di petrolio …
Sembra che altre classi di navi della flotta USA subiranno il “retrofit” visto il risparmio in costi di gestione. CVD…
Un altro accorgimento per ridurre la resistenza, e quindi i consumi ha origini ancora più lontane . E’ un brevetto USA del 1880!
E’ lo SWATH (small waterplane area twin hull).
In realtà il brevetto del 1880 faceva riferimento ad un monocarena.
Il primo progetto – che non ha avuto seguito – è del 1938 . E’ la proposta di un progettista Canadese F.G. Creed per una portaerei SWATH.
Ne l’Ammiragliato Britannico, ne la U.S. Navy credono nel progetto. Nel 1946 Creed ottiene un brevetto inglese.
Bisogna arrivare al 1968 per vedere in mare il primo SWATH . Un battello appoggio di 40 metri realizzato in Olanda su progetto J.J. Stenger – che è anche il costruttore -.
L’acronimo SWATH in realtà nasce negli uffici della US Navy . E’ il sinomimo di imbarcazione semisommergibile.
La prima applicazione civile è dal cantiere Mitsui Engineering. E’ un ferry da 26.5 nodi con la capacità di 446 passeggeri.
Nel 1991 vengono varati per las USNavy ben 4 SWATH di 71 metri di LOA
Nel 1992 il cantiere finlandese Finnyard vara una nave da crociera di 131 m LOA.
Non sono mai stato a bordo di uno SWATH, ma in Inghilterra ad una mostra specializzata in scafi da lavoro ho visto un filmato più che convincente .
E’ inquadrato un bicchiere, un gotto di vino rosso appoggiato su un tavolino vicino ad una finestratura laterale. All’esterno si vede un motoscafo di circa 9 metri che naviga parallelamente allo Swath beccheggiando e rollando notevolmente. Il vino nel bicchiere è pressocchè immobile !
- Vantaggi: stabilità di piattaforma anche in condizioni di mare impegnativo.
- Contro indicazioni: importante pescaggio, limitata capacità di sopportare variazioni di carico (incluso consumi propulsione) – spesso compensate con casse zavorra -.
- Utilizzi: barche pilota, laboratori ricerca, barche ambulatorio. Dal punto di vista riduzione dei consumi non è uno scafo altamente efficiente. Esistono diverse declinazioni del concetto di SWATH, ma il concetto è più o meno simile.
Semi SWATH:
Si discosta da questo concetto un catamarano con bulbo centrale immerso.
Sono studi di un lavoro provato in vasca alla università di Trieste e poi testato
praticamente. Si tratta di un refitting di un catamarano da lavoro in PRFV di circa 15 metri di LOA che dovendo installare attrezzature che ne modificavano dislocamento ed assetto venne “curato” in modo davvero interessante.Oltre al miglioramento dell’assetto, si ottenne una notevole riduzione dei fenomeni di beccheggio e sussulto.
I benefici collaterali furono la riduzione dei consumi a parità di prestazioni velocistiche – leggi diminuizione della resistenza d’onda – si passò infatti dai 12 a 12.5 nodi a parità di potenza impiegata.
Di questo interessante esperimento – che meriterebbe un approfondimento – ne parlò al SEAMED 2004 il Prof. Zotti del Dipartimento di Ingegneria Navale, del Mare e per l’Ambiente (DINMA) dell’università di Trieste.
SES:
Acronimo di Surface Effect Ship.
E’ praticamente un incrocio tra un Hoovercraft ed un catamarano. Nel tunnel, sigillato da bandelle di materiale flessibile – tipo le porte di taluni stabilimenti – , viene insuflata aria.
Si crea un cuscino d’aria che riduce la resistenza. Rispetto all’ Hoovercraft ha una migliore manovrabilità , può navigare sul mosso praticamente come un cat tradizionale. E’ decisamente meno rumoroso dell’Hoovercraft.
SES sono nati per uso militare.
Ma in campo civile trovano impiego anche come ferry.
Non riesco ad immaginare un uso diportistico anche se la riduzione di resistenza ( i costruttori parlano di – 40% di consumi ) potrebbe farlo prendere in considerazione. Non fosse per altro che per la forma regolare della carena.
Per contro, vi voglio vedere io all’ormeggio in Sardegna o alle Eolie in Agosto con un wavepiercing!
Quasi 20 anni fa sono stato ospite in cabina di comando su un SES alla partenza della Cowes –Torquay – Cowes : ero UIM Commissioner ad una classica del campionato del mondo offshore. Il Comandante non voleva essere da meno dei Classe 1 in partenza ed ha tirato. In poco tempo, con una bestia di circa 39 metri siamo arrivati a oltre 46 nodi.
Ho visto lo sguardo stupito dei piloti di classe 1 che non si aspettavano tali prestazioni. Alla successiva partenza lanciata delle classi 3 gli ho fatto segno di “rallentare”.
Gli Hoovercraft:
Veicoli a cuscino d’aria. Una gonna perimetrale trattiene l’aria che è rumorosamente insuflata da soffianti azionate da motori termici.
La spinta e la direzione sono ottenute con elica aerea e generosi timoni aerei di direzione. Molto apprezzati per le loro qualità anfibie , sono nati essenzialmente per usi militari. Notevoli certi enormi mezzi da sbarco e trasporto russi in grado di passare su zone paludose o ghiacciate senza problemi.
Hanno avuto un periodo di gloria negli anni ‘70 nel Regno Unito. Rumorosissimi, sensibili al vento laterale, non sono in grado di avere un controllo al 100% della direzione. Pratici nelle zone con forti escursioni di marea perché permettono lo sbarco a terra. Ho avuto occasione di usarli nei primi anni ‘70 sulla tratta Southampton Isola di Wight. Con la bassa marea tagliavano il percorso rispetto ai ferry tradizionali, ma che rumore!
Non proponibile per il diporto… anche se esistono piccoli mezzi che sfruttano il principio del cuscino d’aria.
Gli aliscafi:
I films di James Bond spesso anticipavano il futuro. Si dice che negli anni della guerra fredda ci fosse a Mosca un settore del KGB che studiava con attenzione le “diavolerie” di Mr. Q ed in generale i film della spia più famosa del mondo per carpire eventuali porzioni del reale stato dell’arte nel campo specifico.
Mr. Largo il “cattivo” di “Operazione tuono” , siamo nel lontano 1965, scappa con un grosso motor yacht che molto fantasiosamente si divide in due e si rivela un veloce aliscafo.
Per la Cronaca il Disco Volante, questo ere il nome del super yacht era una costruzione dei Cantieri Rodriguez di Messina. Cantiere che è a ragione considerato lader nel campo degli aliscafi : suo nel 1956 il primo aliscafo trasporto passeggeri – La freccia del Sole -.
A mia memoria non ho ricordo di aliscafi da diporto. Sono esistiti diversi esperimenti anche di imbarcazioni minime, Motoscafi fuoribordo con alette di sostentamento.
Ci sono stati aliscafi militari, i più conosciuti quelli della Boeing della serie Tucumcari, i meglio riusciti quelli della classe Sparviero P420 della nostra MMI derivati da quelli della Boeng. Erano velocissimi lanciamissili stabili anche in condizioni di mosso.
Impostati nei prima anni 70 e radiati circa venti anni dopo : alti costi di esercizio e mutato scenario hanno decretato la loro fine anche come concetto di imbarcazione.
Una volta il comparo militare era quasi esente dalla classica frase, bello, bello, sì, ma quanto costa ?! Il rapporto costi / benefici, la attenta valutazione anche dell’aspetto costi di gestione, sono entrati nei parametri valutativi anche di quel comparto. Le ristrettezze di bilancio come ben si sa aguzzano l’ingegno.
Ma anche il diverso scenario è complice della trasformazione delle navi militari.
La minaccia “asimmetrica” porta ad avere unità agili, flessibili, caratterizzate da capacità “joint” ed “ expeditionary”, minori velocità, forme scafo più piene.
Le navi militari sono diventati più vivibili, l’automazione ha portato a riduzioni di equipaggio e quest’ultimo gode di maggior spazio. E’ raddoppiata infatti la superficie per persona di equipaggio nelle aree destinate al personale : si è passati dai 4.1 mq della fregate Lupo agli 8.3 mq delle FREMM.
Come vedete anche qui ritorniamo al lusso del tempo e dello spazio. Anche i colori degli interni cambiano a bordo delle navi militari…
Quali forme?
Quali saranno le tipologie di imbarcazioni da diporto del prossimo futuro? Certamente deriveranno da forme già sotto esame nel comparto militare:
Trimarani o pentamarani: scafo centrale molto stretto al galleggiamento che si allarga a livello di coperta con uno o più stabilizzatori per lato.
Wave piercer:
Wave piercer: letteralmente perforatori d’onda. A questa categoria appartengono i grandi cat dell’autraliana INCAT. Utilizzati anche come trasporto truppe dalla USArmy. Nasce il TSV Theatre Support Vessel
Deriva direttamente dalla versione civile dell’INCAT che detiene il Blue Ribbon con oltre 40 nodi di media : non male per un vero traghetto! Di questo genere di imbarcazioni esistono già versioni diporto prodotte in Nuovazelanda dalla New Zealand Yachts e dalla Friendship Yachts.
La soluzione adottata dal progettista Craig Loomes per il giro del mondo a motore per l’Earthrace eè quella di un stretto monocarena, sostenuto da galleggianti laterali in grado di navigare sia a 6 nodi che a 40.
In grado di attraversare l’onda senza subire danneggiamenti, senza rallentare. Se il progetto è Neozelandese, lo studio di visualizzazione fluidodinamica è italiano: è della XC Engineering di Cantù – Como.
Molto bello, affascinante questo viaggiare tra i due elementi, ma sinceramente, pur avendo una efficienza notevole, lo vedo poco indirizzato al diporto.
Per quanto esistano soluzioni ferry abbastanza vicine ad imbarcazioni più convenzionali. Comunque sia ben chiaro che non tutti i mezzi sono idonei a sfondare l’onda.
Il mare non è spesso come rappresentato sui depliant delle crociere.
Forse tra tante opzioni per ridurre i consumi, aumentare il comfort in navigazione, oltre al banale ridurre la velocità per avere modo di apprezzare “il navigare” c’è la soluzione di “imitare” le forme degli scafi a vela.
E’ successo con i primi cat a motore di produzione francese, è successo con i monocarena EPB 83.
Scafi dislocanti che richiedono basse potenze applicate. Ma a questo punto mi domando: non è il caso di “lasciare” un simulacro di alberi per utilizzare in condizioni favorevoli le vele.E così abbiamo re-inventato il motor sailer (Più motor che sailer..)
Un aspetto da non sottovalutare è quello della praticità all’ormeggio.
Alla fine il catamarano offre spazi in coperta, stabilità all’ormeggio ed in navigazione, ma soprattutto bassi consumi se orientato al raggiungimento di velocità modeste.
E l’anello si chiude.
Conclusioni:
Spero di non avervi fatto confusione.
Ma credo di aver reso evidente che non esiste “la carena ideale”. Il proliferare, soprattutto in questi ultimi anni di sigle di carene, di soluzioni ibride fa comprendere il generale interesse a cercare vie nuove. I nuovi strumenti di progettazione – codici di fluidodinamica – facilitano questa ricerca e con questo la polverizzazione delle soluzioni. Per ogni range di velocità, per ogni tipo di impiego esistono diverse soluzioni che possono privilegiare il comfort, i consumi, la tenuta di mare in condizioni difficili, il costo di produzione, ma non tutte assieme.
L’unica soluzione per ridurre i consumi è… ridurre le velocità (utilizzando però carene ottimizzate per quella velocità) e farsene una ragione. In questo panorama internazionale orientato verso soluzioni spesso non eco-friendly è da segnalare un progetto italiano in fase di realizzazione che si distingue per innovazione , riduzione d’onda e di consumi.
E’ l’ALISWATH dei Cantieri Rodriquez.
La velocità non è elevatissima, ma quasi un 30% superiore a quello delle navi commerciali. I consumi dovrebbero essere del 40% inferiori a quelli di fast ferry a pari velocità. 64 m di LOA , 6080 kW installati per una velocità di 28 nodi trasportando 60 automobili e 450 passeggeri.
Nasce da una collaborazione tra Il Gruppo Rodriquez (scafo costruito a Pietraligure , ali e siluro a Messina), il R.I.Na., il DINAV di Genova e la vasca navale Krilov di San Pietroburgo.
L’immersione passa da 5.5 metri in dislocamento ai 3.95 metri in sostentamento dinamico. I motori di spinta, che agiscono su una elica singola, sono alloggiati nel siluro. Due gruppi azimutali brandeggiabili agiscono da motori di manovra o ausiliari in emergenza.
Vi immaginate un megayacht, un modellino 1:2 dell’ALISWATH ?
Penso che in questo caso la soluzione mutuata dal trasporto passeggeri possa avere futuro anche nel diporto di alta gamma. Le prospettive per un Made in Italy fatto non solo di magnifici interni, di sovrastrutture come opere d’arte, ma anche di concreta innovazione tecnologica ci sono.
Un ritorno alle origini.
Se tutti sanno che i primi aliscafi commerciali nascono nel 1956 in Italia, a Messina su progetto tedesco, pochi sanno invece che il primo brevetto di aliscafo è di Forlanini. Una imbarcazione, un idrottero, che spinto da un motore Fiat da 100 hp volò a 65 cm dal pelo d’acqua nel 1910 sulle acque del lago Maggiore alla velocità di 42.5 nodi.
Bell, quello del telefono, chiese ed ottenne la licenza per produrli negli USA.
Quest’anno dovrebbero iniziare le prove in mare dell’ALISWATH Rodriquez cercheremo di esserci per raccontarvi le prime impressioni al vero.
Articolo apparso sul fascicolo di Giugno 2008 della rivista “Vela e Motore” e qui riprodotto per g. c. dell’autore.
Gentile signor Luigi,
la ringraziamo per la sua segnalazione. Tuttavia, nella sfera di interesse del nostro blog non contempliamo natanti come il suo.
Cordiali saluti,
Giacomo Vitale
AMB
Per quanto riguarda gli aliscafi da diporto ne ho uno costruito in Russia di ml 8,50. Ho messo il filmato su youtube…
Per eventuali contatti: luigi39 – tel.: ***********
mail: *********
Veramente interessante!
Gentile Romano Ludovico Caputi,
abbiamo provveduto ad inoltrare la Sua richiesta di contatto con il signor Lanini e siamo in attesa del suo consenso. Appena acconsentirà glielo comunicheremo favorendo il Vostro contatto diretto.
Grazie per averci scritto.
Cordiali saluti.
Giacomo Vitale
Molto interessante l’articolo.
Sarei molto interessato ad approfondire l’argomento del commento del sig. Alessandro Lanini, relativo all’ invenzione di una nuova carena nata dallo studio della pallina da golf .
Chi può darmi ulteriori notizie?
Eventualmente, l’amministratore del sito può inviarmi l’indirizzo mail del sig. Lanini?
Cordiali saluti.
Romano Caputi
Earthrace, l’eco-battello dei record
Su segnalazione, ho inserito un link da Repubblica.it che scrive del progetto Earthrace, scorrendo nell’interfaccia web, è possibile ammirare in bellissime foto, questa realizzazione nautica.
Alex
Sempre per rimanere in tema,
segnalo alcuni articoli comparsi nel corso dl tempo da questa realtà web e che io trovo sempre molto “illuminanti” ed interessanti da leggere, completano il bellissimo e attualissimo articolo di Sergio Abrami, gli articoli che invito a leggere sono:
L’evoluzione della specie
La difesa delle eliche di superficie di Renato Sonny Levi
Superyacht del futuro: 100 metri, 100 nodi – Levi Ram Wing
La progettazione degli scafi plananti di Renato “Sonny” Levi
Buon lettura!!!
Alessandro,
il sito/CMS è bello proprio perché gli utenti possono aiutare all’approfondimento delle tematiche, se tu hai una documentazione, immagini, testi ecc… anche tu puoi fornire il tuo contributo, noi saremo a tua disposizione.
Si tutto molto interessante,
ma non si è parlato della carena inventata da Lanini, nata dallo studio di una pollina da golf, con lo stesso principio diminuiamo i consumi per minor attrito attutiamo l’impatto con l’onda e aumentiamo la velocita.
Alessandro Lanini