La bolla
di Vittorio di Sambuy
Come le altre, anche la bolla della nautica – o dello yachting per chi preferisce il termine snob – è destinata a sgonfiarsi. L’euforia che si respirava al salone di Genova in ottobre è presto svanita e già alla Fiera di Barcellona (8 novembre) si vedevano solo musi lunghi e pochi visitatori.
Colpa solo della crisi mondiale?
C’è da dubitarne e basterebbe analizzare un pieghevole (perché usare il francese dépliant?) di un noto broker (la traduzione italiana “agente mediatore” non rende compiutamente l’idea) che elenca un centinaio di navi da diporto, i cosiddetti superyacht, in vendita. Di ogni età, da una mezza dozzina di “miglia zero” cioè nuove di cantiere e non ritirate dal proprietario ed altre, vecchie anche di una decina d’anni. A prezzi d’affezione (!!!), dai 125 milioni di euro per una nave di 78 metri varata nel 2003, in giù. Che consumano, specie gli scafi plananti, una quantità esorbitante di combustibile: per esempio uno scafo di 25 metri con due Diesel da 1800 cavalli per coprire la distanza da Portofino a Porto Cervo (200 miglia) in poco meno di 8 ore consuma ben 4000 (quattromila) litri di gasolio.
Che senso ha tutto ciò, quando poi queste navi si vedono ormeggiate stabilmente d’estate alle banchine dei porti più in voga (come Cannes, Monte Carlo, Porto Cervo – quest’ultimo incidentalmente è il più caro di tutti) e uscire verso mezzogiorno per raggiungere un sorgitore a mezz’ora di navigazione e darvi fondo per rientrare in porto al tramonto?
Chi sono i proprietari di queste navi? Non solo sceicchi orientali e paperoni russi ma anche gente di spettacolo nostrana che esibisce livree metallizzate con colori cangianti quasi fossero abiti femminili da gran sera.
Una navetta (diminutivo un po’ ridicolo ma agli effetti amministrativi sempre nave da diporto, lunga cioè più di 24 metri), risulterebbe acquistata recentemente da un magnate montenegrino. Absit iniuria verbis ma si può pensare male, azzeccandoci, che si tratti da un contrabbandiere che la voglia usare per i suoi affari più che per andarci a spasso. Fatto d’altronde non nuovo, perché alcuni ricorderanno che ai tempi di vacche grasse aveva un ormeggio quasi stanziale a Porto Cervo una nave notoriamente usata dal suo armatore, noto gioielliere, per esporvi e vendere i suoi prodotti.
Tutto questo conferma che lo sgonfiamento della bolla, ormai in corso, non è solo conseguenza della crisi mondiale ma ha altri motivi, fra cui in primis il suo esaurimento organico, espressione di una schizofrenia diffusa.
E anche dei capricci degli ultramiliardari. Visitando quegli interni sfarzosi, con marmi, sete, specchi, broccati, intarsi degni dei Maggiolini migliori, rubinetteria dorata (quando non d’oro massiccio), si rimane scioccati dal terribile Kitsch (termine tedesco che significa pessimo gusto) dominante.
Toltosi poi lo sfizio, il proprietario destina il suo gioiello al noleggio o lo mette in vendita, magari per ordinarne subito un altro, più lungo e sfarzoso, più inutile del precedente.
Anche la vela sportiva è andata degenerando e l’esempio della Coppa America, trasformatasi in competizione legale, è un esempio di dove può condurre la spasmodica ricerca dello spettacolo prima ancora della vittoria.
Non sono da meno i cosiddetti maxi supertecnologici da regata costiera (regatare in altura metterebbe troppo a rischio la fragile attrezzatura), assolutamente inadatte per navigarci in crociera, che appena non vincono più si deprezzano dell’80%.
Vismara V54′ Hybrid – www.vismaramarine.it
Fra le migliaia di barche presentate al salone di Genova ce n’era una sola, peraltro non esposta, che proponeva ciò che dovrebbe diventare il futuro della nautica. Essa poteva vantarsi di essere, fra i tanti mezzi lusori, uno dei più eco-compatibili. Era un veliero del cantiere Vismara di Viareggio a propulsione elettrica con motore a magneti permanenti che, quando si naviga a vela e si lascia girare l’elica, funziona da generatore e ricarica le batterie di accumulatori che servono ad alimentare il motore per le manovre in porto o per raggiungerlo quando cade il vento. Quanto al peso delle batterie, può servire bene come zavorra.
Elementare, Mr. Watson!
Non solo la nautica maggiore soffre, perché quella minore piange ancora di più, come hanno evidenziato le statistiche sulla nautica nel 2007 presentate dall’Ucina, la confederazione dei cantieri e accessoristi. Questa, ancora euforica per svariati ordini in corso per superyachts, sta tentando una difesa sul fronte della nautica minore attraverso la campagna “Navigar m’è dolce” perdendo però di vista che ai prezzi della benzina (non illudiamoci per il temporaneo calo del grezzo che ovviamente non potrà durare) l’uso della barchetta a motore porterebbe a modificare il suo slogan in “Navigarcaromicosta”.
Un rilancio della nautica minore andrebbe, ragionando razionalmente, ricercato attraverso un rilancio del veliero. Occorre però smitizzarlo perché troppi lo considerano ancora un oggetto misterioso che ohibò, riesce a navigare controvento, pericoloso e scomodo quando s’inclina.
Come?
Anzitutto evitare che sbandi e un catamarano risolverebbe anche la paura delle signore che temono il trincarino sott’acqua e apprezzerebbero lo spazio in coperta per prendere la tintarella. Poi semplificandone attrezzature e manovre: una sola vela e due manovre (scotta e drizza o avvolgiranda). Anche deriva e timone devono alzarsi automaticamente quando la barca viene alata in spiaggia e abbassarsi da sole quando la si vara. Quanto poi alla barra del timone, dimentichiamocene: perché mai va spinta a dritta se si deve accostare a sinistra?
Meglio un bel volante: di forma e misure automobilistiche, naturalmente!
VdS
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