Un investimento sicuro? Acquistare oggi una “barca storica”
di Antonio Soccol
I soldi? Non in banca ma in barca. Può sembrare un assurdo gioco di parole e invece stigmatizza in modo assolutamente vero una nuova realtà nel settore degli investimenti economici.
Sta succedendo, infatti, qualcosa di inedito nel settore della nautica da diporto che, come tutti, ha dovuto affrontare la crisi con risultati, per la produzione, spesso catastrofici ma i prezzi sul mercato non sono scesi. Non ci sono i margini sufficienti per ridurli. Da qui una stasi del mercato del “nuovo” mai riscontrata prima. Però: “il male aguzza l’ingegno” ..
Da circa trenta anni le imbarcazioni si costruiscono in vetroresina. Prima si producevano in legno: o massello oppure in compensato marino. O, infine, in lamellare marino: una sorta di “compensato” realizzato su uno stampo e sul quale venivano applicate e incollate fra di loro sottilissime fettuccine di legno. In Italia i cantieri che hanno utilizzato il lamellare marino erano quasi tutti concentrati al centro-sud. Il primo (1961), è stato la “Navaltecnica” di Anzio che aveva a listino modelli famosissimi come “Speranzella“, “Settimo Velo“, “Super Speranza” eccetera. Da Anzio, questa tecnica fortemente sostenuta dal noto progettista Renato “Sonny” Levi, si è rapidamente diffusa a Napoli (Partenocraft), a Gaeta (Italcraft) mentre a Fiumicino il cantiere Delta l’ha trasformata in autentica arte: per questo vantava fra i suoi clienti l’avvocato Gianni Agnelli, l’Aga Khan, il conte Mario Agusta, il principe Alberto di Liegi e Roberto Olivetti.
Ora si dà il caso che queste barche in lamellare siano praticamente indistruttibili e sopportino con totale disinvoltura sia la vita in mare che eventuali lunghi rimessaggi a terra. E che perciò siano ancor oggi molto valide, spesso molto di più di quelle costruite in vetroresina che talvolta hanno una sorta di malattia genetica dovuta all’osmosi che ne distrugge la struttura.
Il tutto senza voler sottolineare la straordinaria maggior eleganza del legno nei confronti della plastica.
Molte di quelle barche oggi stanno riemergendo per la straordinaria spinta data da un napoletano: Giacomo Vitale che ha dato vita, prima ad un sito web altamente specializzato (www.altomareblu.com) e poi ha ideato il “Registro Storico delle Carene Levi“, quelle cioè progettate da quel Renato Levi che circa 50 anni or sono, aveva diffuso il sistema di costruzione in lamellare marino.
Morale? Con circa 35/40mila euro si può acquistare uno scafo da 10 metri, con due motori diesel, una carena stupenda (di quelle che tengono davvero il mare anche quando è arrabbiato) e ricco di tutto quel fascino che solo uno scafo in legno può avere. Per acquistare qualcosa di dimensioni analoghe nel mercato del nuovo bisogna sborsare minimo tre o quattro volte tanto: per possedere poi una barca con carena opinabile ed esteticamente, molto somigliante ad un frigorifero.
E non è tutto: una barca storica è ben di più di un “assegno circolare”. Il mercato specifico è, infatti, in rapidissima rivalutazione e quindi, nell’ipotesi che un eventuale utente voglia rivendere la sua barca, trova a disposizione un mercato molto interessato e sensibile, insomma il suo acquisto iniziale è un “investimento sicuro”.
E, oggi, non è davvero poco.
Articolo apparso sul periodico di informazione tecnica “Il Filo Conduttore” Anno II – n.1 aprile 2010 – della “Di Pietro Prodotti e Servizi per L’Energia di Marcianise (CE)”, per gentile concessione della rivista e dell’autore Antonio Soccol – Tutti i diritti riservati. Note Legali
Gentile Stefano,
invia pure le foto a info@altomareblu.com e se riusciamo ad individuare cantiere e modello della barca in questione, saremo ben felici di aiutarti.
Inoltre dovresti inviarci anche una scansione del documento di navigazione che dovresti avere per dimostrare il tipo di navigazione che può fare il tuo natante… inteso come distanza dalla costa.
Grazie per averci contattato e restiamo in attesa di tue nuove.
Cordiali saluti,
Giacomo Vitale
Buonasera,
sono in possesso di un’imbarcazione di legno lunga 3.90 m con motore fuoribordo, costruita presumibilmente a Viareggio nel 1963.
Vorrei sapere se qualcuno ha informazioni più precise su chi potrebbe averla costruita. Ho disponibili anche alcune foto da mandare a chi mi potesse aiutare.
Grazie,
Stefano.
338 1948282
bui.steva@gmail.com
Ciao Gigi,
solo ora mi sono accorto di questa tua.
Verissimo quel che scrivi, effettivamente a Napoli furono precursori nell’uso di quel favoloso strumento che è l’articolo 23 della convenzione di Ginevra, di navi sequestrate ne ricordo parecchie, anche perchè quando non vedevo rientrare papà dopo le “prime”24 ore gatta ci covava, erano i tempi in cui al telefono di casa rispondevano solo mamma e papa, a noi figli tassativamente vietato, tempi in cui papà metteva la macchina di poco valore in garage a pagamento, per non farla vedere sotto casa e via di questo passo.
Una cosa curiosa, quando in bagno a casa,sentivo quel penetrante odore di gasolio misto a gas di scarico, significava che papà era tornato, e l’odorino veniva dalla tuta nel portabiancheria .
Papà era sul G.20 Cotugno.
Grazie per la segnalazione del libro e nel frattempo inserisco un interessante link a riguardo.
Contrabbando Coste Tirreno
Saluti da Vito
Gentile Luca,
ho capito che hai un punto fermo nel tuo progetto ed hai avuto anche la possibilità di sentire altre opinioni in merito. Ascolta anche altre opinioni in merito, in modo che tu possa decidere con certezza come realizzare il tuo progetto e non mi resta che augurarti un sincero: inculo alla balena…
Un caro saluto,
Giacomo Vitale
Gentilissimi Alex e Giacomo Vitale,
ho letto con grande interesse le vostre risposte.
Ammetto che fino ad ora mi sono concentrato sull’idea di un peschereccio, perché avevo analizzato con superficialità le altre due ipotesi: Guardia di Finanza e rimorchiatore. Parlando del recupero di un mezzo storico con me si sfonda una porta aperta: amo tutto ciò che è antico, storico, o anche solo vecchio! I pregi dei due generi di imbarcazione li conosciamo, quindi ho cercato di concentrarmi su quelli che potrebbero essere i difetti.
Le imbarcazioni della Guardia di Finanza sono fatte per correre più dei contrabbandieri o almeno quanto loro e per giungere rapidamente sul luogo del bisogno e hanno carene plananti.
Per il progetto-sogno che ho in mente la “mia barca” deve avere uno scafo dislocante: stabile e abitabile.
Chiedo subito scusa agli autori ed ai lettori: fra ingegneri navali, piloti di offshore e amanti della velocità devo risultare una mosca bianca, ma sono sicuro che vorrete perdonare e compatire questo mio apprezzamento per la “lentezza”.
Ho visto qualche pilotina della Guardia di Finanza che sicuramente potrebbe avvicinarsi allo scopo, ma le ridotte dimensioni, si fa per dire, le escludono dalla corsa per essere “la Barca” della vita. Poiché sognare, per ora non costa nulla, eviterei di scendere sotto i venti metri.
Ammetto che un’imbarcazione della G.d.F. che si aggira intorno a queste dimensioni l’ho adocchiata, ma pur ammettendo di voler accettare la carena planante, per essere resa davvero abitabile e adatta al diporto, necessiterebbe di tante trasformazioni sopra e sotto coperta che commeterei un sacrilego a metterci le mani. Per scaramanzia non dirò mai il nome: non si sa mai…
Il secondo capitolo riguarda i rimorchiatori.
Qui l’analisi è molto semplice e di una grettezza imbarazzante. Sarebbero l’ideale: scafi dislocanti, imbarcazioni pienamente marine, abitabili, con talmente tanto spazio a bordo da poterci fare qualunque cosa, ma… tremendamente costose.
Sarà che sono vere barche da lavoro, sarà che sono pressoché indistruttibili, sarà la moda (…), ma le uniche avvicinabili pare si trovino nel nord Europa: è pensabile andare a recuperarne una lassù?
Ho letto e visto parecchio riguardo a recuperi e restauri di rimorchiatori e sarei davvero curioso di leggere quel lavoro di cui si è accennato.
Dopo tutte queste considerazioni mi trovo davanti a tre vicoli ciechi.
E non mi rimane che aspettare qualche altra illuminante considerazione di voi gentili autori e dei lettori che fossero interessati all’argomento.
Ringraziando ancora, porgo i miei più cordiali saluti
Luca Abbate
Gentile Luca,
dal tuo entusiasmo per il progetto di conversione di un peschereccio a barca da diporto capisco la tua giovane età che ti spinge a vedere realizzati progetti con facilità, senza magari considerare altri aspetti tecnici che, giustamente non essendo esperto della materia, ti sono sfuggiti. Prima di andare oltre voglio dirti che la mia non è assolutamente una critica al tuo pensiero che ammiro molto. Voglio solo aiutarti ad ottimizzare la tua idea per ottenere eventualmente un risultato ottimale.
La conversione di un peschereccio a barca da diporto non è un lavoro che può realizzare chiunque, poiché occorrono esperienza di mastro d’ascia per tutti gli interventi che riguardano la carena e che sicuramente in una barca che ha migliaia e migliaia di ore di navigazione nella carena deve essere assolutamente rivista.
Non parliamo dei motori che avranno anche loro migliaia di ore nelle loro bielle ecc… Inoltre, dimenticavo che oltre agli interventi di un mastro d’ascia specializzto in questo tipo di riparazioni, occorrerebbe anche un intervento del calafata, per tutta la carena. Il calafata, ricordo che è il tecnico che provvede a sigillare mediante cotonina imbevuta di catrame, i comenti delle tavole, in modo che non facciano acqua. E’ un lavoro importantissimo per le carene costruite in modo classico, con struttura portante composta in costole, ordinate, chiglia, paramezzale correnti ecc..
E’ un mestiere artigiano che ormai sta sparendo, ma richiede esperienza e va eseguito con maestria, perchè dalla esecuzione a regola d’arte dipendono le sorti della barca.. Non mi voglio addentrare in questa parte tecnica, magari lo faremo prossimamente intervistando un calafata di Torre del Greco (Napoli) dove ci sono ancora alcuni cantieri che appunto costruiscono, fanno manutenzione ecc su pescherecci con struttura portante classica e fasciame massello longitudinale. Uno di questi cantieri molto noti è il Cantiere Palomba che costruì una gloriosa barca per il C.te Giovanni Ajmone Cat, con la quale insieme ad un equipaggio fornito dalla Marina Militare Italiana, realizzarono un viaggio memorabile in Antartide di cui puoi leggere qui su AMB ai seguenti link:
Cantieri Palomba Torre del Greco – San Giuseppe Due
Spedizioni italiane in Antartide – Giovanni Ajmone Cat
San Giuseppe Due nuovamente in mare
1969 Rotta per l’Antartide, la prima spedizione di Giovanni Ajmone Cat di Ferruccio Russo
Indubbiamente il San Giuseppe Due è una barca che fu costruita con caratteristiche speciali per affrontare una spedizione che partì da Torre del Greco, per arrivare in Antartide e fare ritorno ad Anzio dopo circa un anno e se leggerai i pezzi dei link sopra indicati capirai… ma questa è un’altra storia che ti invito a leggere affinché t possa farti un’idea di questo tipo di imbarcazioni alle quali vedo sei orientato in seno alla tua idea – progetto.
Tuttavia, ritornando alla tua idea – progetto, partendo da un peschereccio in legno da ristrutturare e convertire in barca da diporto, i costi sono molto alti e credo che con centomila € tu non possa farcela assolutamente, dovendo intervenire su tutta l’impiantistica di bordo, motorizzazione, assi, tenute idrauliche assi, prese a mare in sentina ecc… lavori che devono essere eseguiti da ditte specializzate e verificati dal Rina o altri enti certificatori… Insomma, una lunga storia.
L’idea di partire da una carena di peschereccio in metallo è anche questa onerosa per i vari motivi che si possono intuire. Fossi in te partirei da un progetto di una ex motovedetta con i fiocchi che tiene il mare egregiamente e di cui si è molto parlato qui su AMB la “Super Speranza” progetto Levi, serie 230 di cui puoi vederne un esemplare ricondizionato ed in vendita al seguente link:
Barca per diporto e attività turistiche diving Siracusa
Si tratta di motovedetta di una serie molto importante tra cui la famosa CP 233 che partecipò al salvataggio dei naufraghi della nave inglese da carico “London Valour” naufragata il 9 aprile 1970 di fronte alla diga foranea del porto di Genova a causa di una fortissima libecciata che colse di sorpresa la nave a motori spenti, provocando un disastro che costò la vita a molti marinai. di cui puoi leggere al seguente link:
Genova 9-4-1970 London Valour, il naufragio
A parte la tragedia che scosse molto Genova e tutta l’ Italia per l’impotenza e le scarse performance dei mezzi di soccorso di allora, l’unica possibilità di capacità umane notevoli e di un mezzo eccezionale furono l’equipaggio della CP 233 della Guardia Costiera ed il suo equipaggio comandata dal Capitano di Porto Giuseppe Telmon decorato con la “Medaglia d’oro al Valor di Marina” e dall’equipaggio decorato con la “Medaglia d’argento al Valor di Marina, che con il loro coraggio, supportato dalle prestazioni eccezionale sella Super Speranza CP 233, con mare 8, riuscirono a salvare venticinque marinai e le sequenze delle foto che puoi vedere nell’articolo di cui al link sopra indicato rendono l’idea… Le Super Speranza furono soprannominate “imbarcazioni roccia”, per le loro caratteristiche di alta tenuta in mare molto agitato e l’episodio riportato ne è una prova….
Concludendo, scusa se mi sono dilungato molto, ma è mia intenzione motivare adeguatamente la conclusione della replica al tuo commento:
Rifletti bene prima di effettuare scelte che potrebbero rivelarsi azzardate e che ti farebbero spendere molti soldi. Inoltre, a mio giudizio, opterei più per un rimorchiatore trasformato in barca da diporto che per un peschereccio… Comunque, 100.000 € non sono una cifra sufficiente per un restauro e trasformazione di una unità di circa 20 metri di lunghezza.. Su questo non ci piove. Ho un esempio di rimorchiatore trasformato in barca da diporto per esercitare l’attività di noleggio e se evetualmente vuoi visualizzare tale iniziativa che a me è piaciuta molto possiamo pubblicare un articolo in merito…
Sperando di averti dato una mano a chiarire un po’ le tue idee in merito al tuo progetto…
Un caro saluto,
Giacomo Vitale
Ciao Luca,
non sono giovanissimo ma ti rispondo per quella che può essere la mia esperienza in merito di nautica e barche. La tua visione del moderno, può essere condivisibile anche se qualche bella carena è stata fatta, altri si sono ispirati proprio a barche da pesca come le Lobster boat (aragostiere) e le doti di navigazione sono indiscutibilmente più preformanti di altre che hanno solo la pretesa di essere dei gusci galleggianti di design attraccati in porti più che di vere e proprie imbarcazioni.
Riguardo la tua intensione di “convertire” una barca da pesca… non ne sono certo ma credo che amministrativamente parlando, anche fiscalmente per la loro lunghezza, diventa un progetto che rischia di essere “non sostenibile” rispetto al recupero di una motovedetta come, in qualche caso, pubblicato anche qui in AMB (AltoMareBlu). Chiederò agli esperti se ci sono vincoli per le barche “registrate” come “da pesca”, se è possibile “convertirle” ad uso diporto ma credo di non sbagliarmi dicendo che è difficile immaginarlo.
Il mio parere spassionato… possibile che “restaurare” o recuperare una motovedetta non sia “appetibile” anche da un punto di vista d’investimento immaginando una carena Levi? Insomma, giusto il progetto a lungo termine ma se si valuta nel tempo non è meglio? Una barca “recuperata” alla storia e investimento anche per il domani? Il titolo e l’articolo bene descrivono questo aspetto, non si può dire di tutte le carene la stessa cosa ma lo avrai notato anche tu che è più facile “avvistare” una carena Riva che una Levi nei porti della nostra bella Italia; su questo io ci rifletterei ;)
Ultimo… oggetto di “trasformazioni” sono stati i rimorchiatori, barche da lavoro trasformate in lussuose barche da diporto; in quel caso però, il valore storico (non sempre) non è compreso.
Alex
Egregi Soccol e Vitale,
a agli altri autori che gentilmente volessero intervenire,
sono un giovane appassionato di mare e, nonostante non possa ancora permettermi un acquisto molto prossimo, sto già facendo qualche progetto per il mio futuro nautico.
A prescindere dallo scarso fascino che esercitano su di me, trovo che la maggior parte delle imbarcazioni di nuova costruzione, non sia fatta per navigare. Tante barche fanno bella mostra di sé nei saloni nautici, qualcuna sembra ancora piacevole in banchina, ma in mare aperto sembrano tanti gusci di noce in balia delle onde.
La vela esercita su di me un grande fascino, ma il motore ha un grande vantaggio per un progetto che tende a durare nel tempo (diciamo pure tutta la vita…): è governabile da meno persone e necessita di meno energie. E’ strano in giovane età pensare alle energie della vecchiaia, ma per un progetto a lungo termine bisogna tener conto anche di questo.
Un’idea che si radica sempre più nella mia mente è la seguente: le pochissime barche che vedo realmente adatte al mare sono i motopescherecci. Idea forse un po’ estremistica, ma credo ci sia del vero.
Da qui nasce il mio progetto per il futuro: il restauro di un motopeschereccio da adattare alla navigazione da diporto. Il costo di un peschereccio di venti o trenta anni fa, tra i 20 e i 24 metri, in decenti condizioni, mi risulta si aggiri intorno ai centomila Euro. Un restauro con riorganizzazione degli interni credo possa costare altrettanto (mi sbaglio di molto?) e il risultato sarebbe una navetta perfettamente adatta al mare e personalizzata in ogni dettaglio al costo di una piccola barca a vela.
Lo scafo sarebbe naturalmente in legno o in acciaio, con i pregi e i difetti che conosciamo di entrambi i materiali; e sempre meglio dell’imperante plastica dei nostri giorni.
Posso chiederVi un Vostro parere spassionato su un’idea del genere? So che qualcuno si è cimentato in un recupero simile delle motovedette della Guardia di Finanza e Guardia Costiera, ma riguardo ai pescherecci non trovo alcuna informazione utile.
Aspetto una Vostra illuminante e cortese risposta.
Distinti saluti
Luca Abbate
Gentile Giuseppe,
diamoci del tu, visto che siamo anche conterranei e Napoletani!!
Ti ringrazio per tutto quello che mi hai descritto nel tuo graditissimo commento e mi fa piacere sentire di tuo padre che era molto amico del grande Salvatore Gagliotta…
Circa quello che dici sul contrabbando lo condivido, poiché da giovanotto sbarbatello ho assistito spesso a Napoli e dintorni ai famosi “duelli” tra barche di contrabbandieri e GdiF… erano altri tempi in cui la correttezza ed il rispetto reciproco era la lingua comune che parlavano i due opposti schieramenti. C’era lealtà… parola che sembra ormai scomparsa nel vocabolario attuale di tutte le economie lecite ed illecite..
Una precisazione è d’obbligo, sono per la legalità assolutamente e credo che gli attenti lettori di questo blog abbiano capito la mia attenzione e passione per gli uomini ed i mezzi della GdiF, dove sono nate sincere amicizie con diversi loro appartenenti al Corpo in larga parte uomini di una umanità e semplicità eccezionale, proprio come descritto in un pezzo da leggere, da Maurizio Mainardi: Guardia di Finanza: persone speciali non solo scontrini e ricevute
Circa il tuo progetto che mi attira ed incuriosisce non poco, devo dire che sei un po’ “matto” e visto che lo sono anche io, aspetto un tuo invito per venire a vedere cosa “state combinando” insieme ad altri tecnici appassionati che saranno certamente “matti” almeno quanto te..
Insomma, tra “matti” sicuramente ci capiremo!!
Coraggio ed avanti e spero di incontrarti presto. Non dimenticarti di effettuare un servizio fotografico progressivo sull’allestimento della tua super barca… potrebbe tornare utile per memoria storica e non solo…
Restiamo in attesa di tue notizie e buone vacanze anche a te..
Un caro saluto,
Giacomo Vitale
AMB
Gentile Signor Vitale,
è da tempo che volevo mettermi in contatto con Altomareblu e finalmente è arrivato il momento.
Ho letto che lei è Napoletano, ho letto di Salvatore Gagliotta, grande amico di mio padre, ma la scintilla è scoccata leggendo l’articolo precedente postato da Gigi.
Parla del contrabbando,non potevo mancare.
No…no, non sono un ex contrabbandiere, ma quel mondo mi ha sempre affascinato.
Quattro anni fà ho acquistato un’opera d’arte. L’ultimo motoscafo costruito probabilmente, meglio il condizionale, per il contrabbando da Mario Molino, titolare del Cantiere Molimar.
15 metri x 3,36 in compensato marino, costruito circa dieci anni prima.In effetti ho acquistato quella che in gergo chiamavano “a’ casc'”, carena e coperta, con gli alloggi pronti per ospitare 4 motori Mercruiser 425hp.
Pesa il 35% meno della stessa carena costruta da Cigarette, ed ho iniziato la progettazione per ultimare il capolavoro originario. Penso che alloggerò tre motori anzicchè quattro. Vorrei dividere i serbatoi da 4000 litri in 2 da 2000 litri di benzina e 2000 litri di GPL. I motori dovrebbero essere 2×425 HP alimentabili sia a benzina che a GPL ed uno centrale a turbina da 600hp a benzina.
Sicuramente non si può snaturare il concetto originario….ma dobbiamo tutelare l’ambiente e innovare, sempre.
Lo sò….è un progetto ambizioso e folle.
Ma irresistibilmente affascinante… almeno per me.
Vi faccio i migliori complimenti e vi terrò informati sugli sviluppi.
Buone vacanze a tutti.
Ciao Vito,
sono un collega che ha vissuto gli anni settanta presso la Stazione Navale di Mergellina, alle diopendenze del Cap. Mamone.
Grande ufficiale. Vorrei ricordare un altro collega, un suo consigliere, Mar. Pasquale Cavero ” l’ammiraglio” per noi dipendenti Don Pasquale per i contrabbandieri. Un personaggio che ha solcato i mari, catturando tante navi e mm/ss.Con Mamone hanno sviluppato e messo in atto la cattura dell’Olympios Hermes con 220 ton. di sigarette, applicando per la prima volta la Convenzione di Ginevra.
Si potrebbe scrivere molti libri sulle lore vicissitudini. Grandi marinai.Sono stato sottordine con Cvaero sul G. 31 Di Sessa . Vi saluto e vi consiglio di leggere un libro “lotta al contrabbando” dove si raccontano tante storie di Napoli.
Gentile Maurice,
in riferimento alla sua ex GL Classe 300 della GdiF, fermo restando che il suo aspetto generale che non deve essere assolutamente stravolto nel rispetto dei fini storici, visto che seguo da alcuni anni l’utilizzo civile di alcune ex unità della GdiF o della Guardia Costiera, posso dire che, come Lei stesso ha scritto, che le strade sono essenzialmente due:
– Lasciare la barca fedelmente intatta, con la livrea originale da motovedetta
– Apportare modifiche per un uso civile più confortevole.
La scelta di queste due opzioni e al fine dell’uso civile dipende molto dal’unità e dalle su caratteristiche di navigazione…
Per esempio: un Drago Commander è una motovedetta veloce, che sfiora i 50 nodi di velocità massima… con un assetto molto aggressivo, spartano negli interni… A mio giudizio, il Drago Commander deve essere ristrutturato integralmente, ma senza modificare nulla nella sostanza, limitandosi ad un semplice rinnovo, lasciando intatta la livrea del suo colore originale… Nello specifico la motovedetta a cui mi riferisco è il Drago ex V4000 GdiF.
Nel secondo caso, si possono apportare modifiche all’abitabilità delle cabine per migliorarne la fruibilità per le persone ospitate a bordo, ma assolutamente raccomando che il tutto deve essere eseguito con attenzione, senza radicali stravolgimenti che rovinerebbero l’aspetto originale della barca. In questo caso si può certamente cambiare il colore della barca, passando dal grigio al bianco dell’opera morta e della tuga. Sconsiglio l’uso di altre tinte come il blu ed il rosso per l’opera morta, poiché le tinte scure, esposte ai raggi solari, innalzerebbero notevolmente le temperature del legno e della pittura, provocando una serie di inconvenienti che possono solo arrecare danno alla barca stessa…
Se mi invia delle foto, potrei fare il punto della situazione e consigliarle nel dettaglio come intervenire per ristrutturare una ex unità della Gdif diventata barca da diporto.
Resto in attesa delle foto richieste.
Cordiali saluti,
Giacomo Vitale
Gentile Sig. Vitale,
Sono in possesso d’una ex motovedetta GdiF “Guardacoste Litoraneo GL Classe 300”. Una delle tre unità che erano state cedute dal governo Italiano a quello Maltese.
L’ho appena tirata fuori dall’acqua dopo un periodo molto lungho in mare. Adesso devo decidere quale sarebbe l’uso futuro migliore per questa imbarcazione. Ossia lasciarla nell’assetto originale o fare una conversione per un uso più confortevole come imbarcazione da diporto, tipo Baglietto Ischia.
La prima opzione restringerebbe un po’ il suo utilizzo e la seconda ci potrebbe essere il rischio di rovinare il suo carattere.
Gradirei sapere qual’è la sua opinione e dei suoi lettori in tale merito.
Cordiali saluti
Maurice Vassallo
Concordo con Antonio e quanto sostiene è ancora più vero per le barche a vela che tra l’altro possono vivere una seconda giovinezza regatando nei circuiti a loro destinati.
Invecchiando, spesso il loro valore può addirittura aumentare (come il vino….!).
VdS
Buongiorno,
innanzitutto grazie per il vostro lavoro che è riuscito ad avvicinare un giovane a questo affascinante mondo.
Pur avendo ben chiaro che non parliamo di automobili ;) ciò che ancora mi blocca all’acquisto di uno di questi gioielli sono le scarse informazioni che trovo sulla manutenzione sia straordinaria che ordinaria di cui necessitano per essere mantenute nel loro splendore.
Grazie
Alessandro
Gentile William Cassar,
mi spiace non poter rispondere alla sua domanda circa le costruzioni Cold Molding attualmente molto di moda nelle East Coast USA ed usato molto per produrre barche fisherman, poiché non ho avuto mai modo di provarne una.
La ringraziamo per averci scritto.
Cordiali saluti,
Giacomo Vitale
Veramente un bell’articolo.
A Malta abbiamo ammirato un Canav Settimo Velo ormegiato a Portomaso, un mio amico sta finendo un refit ad un Garda 35 Roar.
Una domanda al Signor Vitale: Ma cosa ne pensa delle costruzioni Cold Molding entrata molto di moda nella East Coast USA usato molto per produrre barche fisherman. Parlo di costruttori tipo Jarrett Bay, Spencer, American Custom Yachts, Bayliss, Rybovish e Merritt (questi ultimi 2 sembrano abbondanare un po il concetto) etc etc
William Cassar