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La Motovedetta CP 233 – il Comandante Telmon e lo squalo

0 Commenti/in Poesie e racconti di mare/da Tito Mancini

CP 233Un giorno all’epoca in cui ero imbarcato sulla CP 233 di Genova, con l’allora Tenente di Vascello Telmon al comando, ci chiamarono d’urgenza perché da una nave battente bandiera liberiana era caduto in mare il cuoco filippino intento a buttare a mare da poppa, i resti del pranzo di bordo.

Agosto 1970, ore 14,00, Golfo di Genova circa 30 mg. al largo, “calma piatta”, nemmeno una piccola increspatura… Giunti sul posto incontrammo uno yacht civile condotto da personale appartenente alla M.M. Il Comandante dell’unità ci disse che la barca era riservata anche ad uso del Presidente della Repubblica e che la Centrale Operativa, li aveva fatti uscire qualche ora prima da La Spezia per aiutare la nave liberiana nelle ricerche dello sfortunato marinaio.

CP233 aIl Comandante dell’unità ci riferì inoltre, che in mare c’era un “enorme pesce, un vero mostro” quindi, lui rientrava alla base non volendo rischiare “pelle e barca” oltretutto, avrebbe impiegato parecchio tempo per rientrare alla base. Il Comandante Telmon rimase interdetto, ma vista la paura negli occhi di quei ragazzi, non obiettò e, mentre lo yacht rientrava a La Spezia, erano già le 17,00 circa, noi continuammo le ricerche assieme alla nave liberiana.

Poco dopo scorgemmo un oggetto bianco che galleggiava: ci avvicinammo e lo raccogliemmo. Era parte di una maglietta strappata… Ad una decina di metri scorgemmo un altro oggetto galleggiante che, dopo averlo raccolto e messo in un secchio, risultava trattarsi di una mano tranciata all’altezza del polso.

Questo macabro ritrovamento ovviamente fece aumentare in tutti noi paura ed apprensione, soprattutto ricollegandolo a ciò che aveva raccontato il Comandante dello yacht con equipaggio militare. Il Comandante Telmon decise comunque di continuare le ricerche approfittando del fatto che il sole era ancora alto e le condimeteo veramente eccezionali.

cp233-squaloDopo circa mezz’ora di navigazione vedemmo sopraggiungere da poppa una enorme “vela” grigio/nera che ci affiancò. Comprendemmo subito che si trattava di uno squalo, sia dalla pinna dorsale che dalla colorazione del dorso. Raffrontandolo con le dimensioni della CP 233 lunga circa 13 metri, notammo che aveva quasi la medesima lunghezza, mentre la sua pinna dorsale risultava molto sfrangiata e superava abbondantemente in altezza, il ponte di coperta.

La prima reazione del Comandante Telmon fu quella di dare tutto gas per allontanarci da quella “oscura” presenza ma, anche lo squalo accelerò mantenendosi quasi parallelo alla CP 233.

Dopo qualche minuto di navigazione, lo squalo si immerse ed il Comandante Telmon fermò l’unità. I nostri visi, solitamente abbronzati, erano diventati bianchi e gli occhi scrutavano ossessionati il mare alla ricerca del “pesciolino”.

Avvistammo la pinna a circa 300 metri dalla nostra prora e fu a questo punto che il Comandante Telmon, dando tutto gas alla motovedetta gli puntò contro per speronarlo. Io trovandomi seduto sul sedile di sinistra della controplancia, strinsi fortemente il sedile con le mani urlando un tremendo “NOOOO” di terrore, attirando per un attimo l’attenzione di tutti ma, il Comandante Telmon non desistette e puntò diritto sullo squalo.

Una botta secca sotto l’unità all’altezza delle eliche, poi guardando di poppa, si vide la coda dello squalo uscire dall’acqua in posizione verticale. Fu l’ultima volta che lo vedemmo.

Continuammo le ricerche ma, del sia “pesce” che del cuoco non trovammo più nessuna traccia per cui all’imbrunire, rientrammo alla base. Due giorni dopo sul “Secolo XIX” apparve un articoletto sulla scomparsa del cuoco della nave liberiana con una descrizione da parte degli “esperti” sullo squalo che avevamo incontrato, definendolo un “Carcharodon carcharias” o squalo bianco, secondo le loro deduzioni.

Letto l’articolo, andammo a parlare con questi esperti genovesi facendogli presente che le dimensioni a noi non competenti, risultavano notevolmente superiori a quelle di uno squalo bianco, questi ci risposero che la paura aveva fatto aumentare le dimensioni del “pesciolino” agli occhi di tutti gli 8 imbarcati sulla CP 233 “Super Speranza”… Non servì a nulla spiegare loro che lo squalo aveva navigato affiancato alla vedetta, a circa 20/25 metri di distanza per qualche minuto e quindi era stato facile valutarne le dimensioni. Secondo i biologi marini interpellati, un animale di quelle dimensioni era “inesistente” tra i “Carcharodon carcharias” o quantomeno, non era da mettere in relazione con la scomparsa del cuoco filippino, in quanto quelli esistenti ed aventi le dimensioni da noi dichiarate, erano animali marini “assolutamente innocui”.

Per quanto riguarda la mano recuperata, il patologo ci confermò che era sicuramente di un individuo di razza asiatica.

Lo confesso, ho sempre avuto un enorme terrore degli squali e dei pescicani, eppure andavo anche a fare pesca subacquea di notte attorno all’isolotto di Bergeggi…

Marco Eletti mentre bacia uno squalo

Comunque, non credo che se ne incontrassi uno durante una nuotata, sarei capace di dissimulare il mio terrore come fece Marco Eletti “baciando” i suoi squali, ed a nulla varrebbe spiegare loro che, magro come sono, sarei un misero pasto…

Gli squali nel Mediterraneo ci sono sempre stati e spesso, navigando, mi è capitato di avvistare le loro pinne fuori dall’acqua.

Per quanto concerne il nostro comportamento nei confronti di quello che avevamo identificato come uno squalo, bisogna considerare che all’epoca di quell’incontro, l’estate del 1970, non si possedevano le attuali conoscenze etologiche sugli squali che popolano il Mediterraneo e, pur non essendo ancora uscito il film di Spielberg “Lo Squalo”, i film/documentari di Folco Quilici “Sesto Continente” del 1954 e “Ti-Koyo e il suo pescecane” del 1962, non avevano certo contribuito a sminuire l’atavica paura dell’uomo verso questi pesci.

Inoltre, era ancora vivido il ricordo relativo all’attacco fatale al fotografo Maurizio Sarra avvenuta nel 1962 presso San Felice Circeo, quindi, gli squali erano considerati come dei “mangiatori d’uomini”, pericolosi per l’uomo ed assolutamente da eliminare, soprattutto quelli di “grosse” dimensioni.

Tags: Racconti di mare
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