Te lo dò io il restauro! – di Sergio Vettori
La Giuria del concorso per l’edizione 2009 del Premio Marincovich, ha proclamato vincitore:
Sezione articoli navigazione a vela
1° classificato: Giuseppe Meroni (alias Sergio Vettori) “Te lo do io il restauro” pubblicato nella rivista “Arte Navale”.
Premio: Luna Rossa – parte di winch in carbonio dello scafo vincitore della Louis Vuitton Cup 2000, offerto da Patrizio Bertelli – Team Luna Rossa.
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Come recuperare lo stile e la bellezza di uno scafo d’epoca, garantendo il massimo del comfort e della vivibilità a bordo?
Una volta un amico inglese mi disse che la barca in legno è adatta a chi ama la barca, mentre quella in vetroresina è per chi ama navigare. Non so se sia vero. Certo è che quando ho deciso di scegliere una barca che accompagnasse me e la mia famiglia per un lungo periodo di tempo, dopo avere visto e considerato di tutto, dalla vetroresina al carbonio, dallo scafo per regatare al motor yacht, alla fine ho scelto Patience, classe 1931, e tutta «rigorosamente in legno». Antonio Falchetti, milanese, 46 anni, sposato con Antonia e padre di due ragazzini, Umberto ed Elena, ha voluto percorrere, per realizzare il suo progetto, una strada del tutto personale. Il suo legame con il mare è di vecchia data.
Il papà, Umberto, è genovese e le vacanze in famiglia venivano normalmente trascorse a Tellaro, nel Golfo di La Spezia. «Per la mia prima comunione», ricorda Antonio, «ricevetti in dono un’Alpa Tris. Mi resi subito conto che la vela era immediatamente entrata a fare parte della mia vita». Prima Kodoku, un gozzo di otto metri con il quale iniziò a fare le prime crociere costiere, poi Barabba, il ketch di 13 metri in legno formalmente di papà Umberto ma in pratica usato dal figlio, hanno segnato molti anni di avventure in mare, di emozioni e di ricordi.
Anche nel corso di quest’anno Patience sarà presente ad alcune
tra le più importanti regate riservate alle imbarcazioni d’epoca.
Patience è arrivata nel 2003: uno scafo di legno logorato dal tempo e dall’incuria, adocchiato per caso in un cantiere nel golfo di La Spezia, affascinante per la eleganza delle linee ma neppure considerato ai fini di un acquisto, tanto era malridotto. «Poi», ricorda Falchetti, «quando già me ne ero scordato, alcuni amici di passaggio a Viareggio e al corrente del fatto che stavo cercando una barca mi dissero di averne vista una splendida, che rispondeva esattamente ai miei desideri. Mi condussero a vederla e mi trovai di fronte proprio a quello scafo.
Come non arrendersi ad una simile casualità?».
Il restauro ha richiesto tempi lunghi ed «è stato un po’ travagliato» (difficile, peraltro, venire a conoscenza di restauri che non lo siano). Soprattutto ha posto fin dall’inizio all’armatore i classici dubbi e dilemmi di chi, trovandosi tra le mani una gran bella pagina di storia della nautica, deve aggiungere di propria mano le parole necessarie alle sue necessità (e ai suoi desideri) di navigante.
«Le barche sono fatte per navigare», dice Falchetti, «ma una crociera – lunga o breve che sia – significa anche vivere a bordo con la propria famiglia, ospitare qualche amico, godere dei servizi di un porto ma anche delle atmosfere delle notti in rada.
L’interno di una barca è un mondo a sé, che si muove indipendentemente dal tempo che scorre all’esterno. Per questo una barca non deve solo essere bella, ma anche comoda e accogliente.
A volte i restauri rigorosamente filologici possono ridurre il grado finale di comfort».
Del resto, il restauro è sempre un compromesso. In caso contrario la gran parte delle barche d’epoca non dovrebbe avere a bordo l’elettricità, né strumenti elettronici come la stazione del vento o il GPS, né generatori o serbatoi d’acciaio inox per l’acqua, tanto meno l’acqua calda per una doccia.
Di più, le vele dovrebbero essere in canapa e gli acciai zincati (e non di acciaio inossidabile dipinto, come quasi sempre avviene). Gli stessi motori, anche quando sono vecchi, sovente furono aggiunti allo scafo originale solo qualche decennio dopo, esattamente come gli argani per salpare l’ancora.
E allora cosa fare di questo gioiello che, portato in Italia dall’Inghilterra nel 1935, fu per anni la gioia e il piacere della famiglia nata dall’unione del Principe Alvaro Borbon De Orleans e Carla Parodi Delfino?
Immagini di ieri e di oggi si incontrano replicando il piacere e la gioia della navigazione sul Patience.
In alto a sinistra, e in senso orario, Antonio Falchetti con la moglie Antonia e i figli Umberto ed Elena;
la famiglia Parodi Delfino in vacanza negli anni ’30; il capitano Bonivento, nativo di Ischia, al timone;
due immagini scattate a 70 anni di distanza rappresentano momenti di relax a bordo.
«Allora», è la risposta, «occorre certo salvaguardare lo stile, l’atmosfera, il fascino e anche le evidenze estetiche della barca d’epoca – non si comprenderebbe altrimenti per quale motivo la si è acquistata – ma non si deve neppure rinunciare a farne un luogo di intimità, di comodità e anche di coccole perfettamente in linea con i nostri desideri. Che senso ha navigare su una splendida barca d’epoca e, alla sera, dovere trovare un ristorante per mangiare qualcosa di accettabile o un albergo per trascorrere una notte decente?
Ancora un parallelo tra passato e presente. In alto a sinistra, S.A.R. Principe Alvaro Borbon de Orleans al timone così come,
nell’immagine a destra, l’attuale armatore Antonio Falchetti; sotto, la piccola Elena imita il papà; al centro, Carla Parodi Delfino
durante il trasferimento di Patience dall’Inghilterra al Mediterraneo nel 1935; e sotto, con la figlia primogenita Gerarda;
è visibile sulla sinistra, il tender di Patience.
Foto storiche gentilmente concesse dalla Principessa Beatriz de Orleans-Borbon, figlia di Carla e Alvaro.
Mi rendo conto che a volte questo mio punto di vista può provocare qualche differenza di vedute con gli specialisti in questo genere di lavori. Ma io credo che non si debba mai dimenticare che, tornata in acqua, saremo noi a stare a bordo, giorno e notte, estate e inverno. E saremo noi, in quello spazio, a trascorrere il tempo, a mangiare, a cercare rifugio e riposo».
Dettagli di Patience dopo il restauro.
Risultato: Antonia, che è una cuoca eccellente, non solo dispone su Patience di una cucina perfettamente attrezzata, ma anche della lavapiatti; la pompa di calore e l’aria condizionata garantiscono ambienti accoglienti anche nelle stagioni più avverse o nei momenti climatici più torridi; generatore e dissalatore consentono l’autonomia di chi preferisce la rada appartata all’affollamento delle banchine; la lavatrice risolve i problemi di una vita a bordo con bimbi. E in coperta?
«Qualcuno», dice sorridendo Falchetti, «ha osservato che non avrei dovuto mettere quattro winch in più. Gli ho solo spiegato che, in cambio, avrebbe dovuto darmi quattro marinai, mentre io amo portare la barca con l’aiuto di un solo marinaio.
Perché solo così, curando in ogni dettaglio tutti i momenti del restauro, conoscendone ogni segreto costruttivo e impiantistico, e godendo di ogni ora al timone e alle manovre, una barca diventa veramente tua, proprio come ormai è Patience».
SCHEDA TECNICA
- Progetto/Design: 1930 – Charles Nicholsons
- Anno del varo/Year of launching: 1931
- Cantiere/Shipyard: Camper & Nicholsons (Gosport – Inghilterra)
- Bandiera/Flag: Italiana
- Lung. fuori tutto/Length over all: 20,20 m (68 feet)
- Lung. al galleggiamento/Water line length: 15,15 m (50 feet)
- Larghezza/Beam: 4,60 m (13 feet 10 inches)
- Pescaggio/Draught: 3,00 m (9 feet 4 inches)
- Dislocamento/Displacement: 45 ton
- Armo velico/Rigging: Cutter Bermudiano
- Superficie velica/Sail aerea: 220 mq (2.120 sq. ft)
- Serbatoi gasolio/Diesel fuel tanks: 800 l (211 US gallons)
- Serbatoi acqua/Water tanks: 400 l (105 US gallons)
- Cabine/Cabins: 3 + 1 marinaio
- Motore/Engine: 240HP
- Dissalatore/Desalinator: 100 l/h (26 US gallons/hour)
- Generatore/Generator: 7 KW
Articolo pubblicato nella rivista “Arte Navale”, numero 54, Giugno-Luglio 2009, pag. 29 e qui pubblicato su concessione dell’autore. Le foto sono di Francesco Rastrelli.
Ciao ho il piacere di conoscere a une delle persone che ha lavorato al restauro, Emanuele Gervasoni, oggi in Uruguay!
Bellissima! Quando Emanuele mi parlava di la Patience non la immaginavo così bella!
Presto tornerò in Italia, mi piacerebbe vederla di persona.