La lunghezza dei pattini nelle carene a V profonda
di Antonio Soccol
Qualche tempo fa Ivan, un nostro storico & affezionato lettore, ci aveva scritto ponendoci queste domande:
- Quanti pattini servono realmente su una carena seria e performante, visto che ogni costruttore ne mette più o meno quanti ne vuole?
- Quanto incide il buon posizionamento dei pattini su di una carena?
- La forma di un pattino come deve essere?
- Inoltre perché ultimamente la tendenza di fare terminare i pattini a poco più di mezza barca, mentre nelle carene Levi arrivano tutti a poppa…
- Qual è il vantaggio – svantaggio di fare finire i pattini prima dello specchio di poppa?”
Data l’importanza dell’argomento sul quale da anni si rincorrono sciocche credenze, avevo chiesto al comitato di redazione di AltoMareBlu di lasciare a me la risposta. Ma, (c’è sempre un ma nelle storie, vero?) sono poi successe quasi contemporaneamente due cose:
- proprio in quei giorni una rivista specializzata ha pubblicato un articolo in merito a questo tema, articolo dove un noto progettista nautico che stimo e apprezzo sosteneva tesi quanto meno confutabili;
- la mia salute ha subito un paio di KO davvero molto faticosi da incassare e questo spiega in parte il mio forzato silenzio del quale chiedo scusa all’interessato Ivan.
Cosa aveva scritto nel suo articolo il progettista che stimo? Queste testuali parole:
Importante è che i pattini non si estendano troppo oltre la linea di ristagno (cioè la linea costituita dal congiungimento di tutti i punti di ristagno per ogni sezione longitudinale della carena)”. In brutale sintesi sembrava quasi un invito a tagliare i pattini a metà carena.
Va subito detto che se Ivan avesse voluto risposta immediata avrebbe potuto trovarla proprio su AltoMareBlu a (La progettazione degli scafi plananti di Renato “Sonny” Levi), dove Renato “Sonny” Levi scrive testualmente (e se lo dice lui che è uno degli inventori delle carene a V, è voce autorizzata):
Questi pattini aumentano la stabilità dinamica sia direzionale che trasversale.
- Il primo caso è dovuto ad un aumento di pressione sulle parti verticali esposte alla spinta dell’acqua.
- Il secondo caso è dovuto ad un incremento di incidenza e di superficie della parte più immersa.
Un concetto diffuso e sbagliato sostiene che i pattini sono utili solo nella parte prodiera e che creano solo attrito a poppa. Questo non è esatto. Questa conclusione è probabilmente basata sull’esistenza di carene che navigano troppo piatte con pattini lungo tutto il fondo. In questi casi, togliendo una parte dei pattini a poppa, si riduceva il sostentamento e si aumentava la velocità.
Si poteva ottenere molto probabilmente lo stesso risultato, se non maggiore, lasciando lavorare i pattini lungo tutta la carena, ma spostando il baricentro della barca più a poppa. Un progetto riuscito per uno scafo da mare aperto è quello che consente di navigare in modo efficiente entro tutta la gamma di velocità richieste. Dovrebbe essere in grado di mantenere alte velocità in acque mosse con il massimo comfort. Per una determinata misura di scafo il grado di comfort dipende dalla velocità: più questa è elevata, più è elevato il movimento.
Aumentando il diedro nella zona di impatto, si migliora questa situazione con la penalità di un incremento di attrito alle basse velocità. Il punto focale nella zona di alto impatto si muove progressivamente verso poppa, mano a mano che la velocità aumenta fino al raggiungimento delle velocità molto elevate, V /Rad L > 8 sarà proprio all’estrema poppa. Questo indica che il diedro in un progetto deve essere variato secondo la velocità.
Alla luce della complessità della faccenda ho deciso di chiedere l’opinione ad una serie di altri progettisti nautici. E alcune inconfutabili realtà sono venute a galla. Un grande esperto mi ha per esempio spiegato che:
I pattini che si estendono verso poppa oltre la linea di ristagno aumentano la resistenza?
In questo caso l’autore dell’articolo riporta ciò che c’è scritto sul libro di Costaguta (Fondamenti di Idronautica), un bellissimo libro, ma un po’ vecchiotto (1980). Nel libro, Costaguta riportava le teorie di Eugenie Clement che erano ancor più vecchie (1960-64). Tali teorie si basavano sui pochi dati allora a disposizione, tutti elaborati dalle prime serie sistematiche di scafi plananti che avevano caratteristiche geometriche ben definite (angolo di rialzamento del fondo molto contenuto intorno ai 10°).
Premesso questo perché ho detto che ciò è vero ma solo in parte?
Per dare una risposta bisogna prima capire gli effetti positivi e negativi che possono avere i pattini ed alla fine fare il solito bilancio.
Vantaggi:
per prima cosa i pattini riducono la superficie bagnata, e ciò avviene proprio nella zona della linea di ristagno (c’è una bella figura nel libro di Sonny Levi che chiarisce perfettamente il concetto). Quindi se ci limitiamo a valutare quest’effetto è chiaro che non ha senso far proseguire i pattini verso poppa. Ma i pattini possono anche far aumentare la portanza a poppa (la barca esce un po’ di più dall’acqua e la resistenza diminuisce) raddrizzando il flusso che tende a sfuggire lateralmente, fenomeno questo che aumenta all’aumentare dell’angolo del fondo. Infine aumentano la stabilità direzionale e trasversale.
Svantaggi:
quando invece ci sono trappi pattini o pattini troppo grandi, si hanno dei problemi fondamentalmente dinamici: la barca diventa dura e governa male perché tende a rimanere piantata sulle pareti laterali dei pattini. Si verifica anche un aumento di resistenza perché all’aumentare delle dimensioni/numero il disturbo idrodinamico prodotto è maggiore del beneficio prodotto dalla maggiore portanza.
Conclusioni:
Ai soli fini della resistenza, proseguire i pattini a poppa ha senso quando la velocità è sufficientemente alta da avere la generazione di una significativa portanza, portanza che la presenza dei pattini aumenta, altrimenti il disturbo idrodinamico prodotto è maggiore del beneficio. Quindi i pattini a poppa su un motoscafone semidislocante non hanno senso.
Inoltre i pattini a poppa lavorano di più all’aumentare dell’angolo di fondo. Con angoli elevati l’effetto come raddrizzatori di flusso è maggiore, e di conseguenza sarà maggiore la portanza sviluppata. Per piccoli angoli di fondo invece l’effetto raddrizzante è minimo perché il flusso è già abbastanza dritto per conto suo e, di conseguenza, il disturbo idrodinamico prodotto sarà maggiore del beneficio. Tra l’altro questa era la situazione che aveva a disposizione all’epoca Clement dalla quale aveva dedotto le sue teorie.
Infine, dato che i pattini generano un aumento di portanza, che a sua volta genera il cambiamento delle condizioni di equilibrio della carena (trim), è necessario, prolungando i pattini a poppa, arretrare il baricentro della barca (centro di gravità) per avere sempre l’assetto ottimale (viceversa se elimino i pattini a poppa) . In pratica bisogna ribilanciare, ottimizzandola, la barca con e senza pattini. E questo è un altro elemento che Clement trascurò a suo tempo, perché fece le prove con e senza pattini nelle stesse condizioni.
Insomma, quasi sessanta anni di confusione e di stupide polemiche, nascono da una sperimentazione bufalo/tarocca fatta da questo Eugenie Clement.
Naturalmente stiamo parlando di barche con trasmissioni classiche: gruppi efb, eliche immerse, eliche di superficie. Perché se entriamo nel settore delle trasmissioni a idrogetto alcuni valori possono cambiare. “In questi casi – mi dice l’amico progettista Sergio Abrami – io preferisco troncare i pattini all’incirca alla 6° ordinata di calcolo per non disturbare l’entrata dell’acqua nel jet”.
Conclusioni finali:
I pattini possono arrivare tranquillamente sino a poppa, basta saper dar loro l’incidenza corretta e conoscere esattamente dove sia il centro di gravità dello scafo. Impresa facile per chi sa progettare. In caso contrario esiste sempre la risposta che diede Renato “Sonny” Levi ad un folto gruppo di tecnici che gli chiedevano se sapesse dove si trovava appunto il Centro di Gravità di un suo importante progetto: “Beh, – disse il grande Levi con aria irridente – possiamo sempre mandar dentro alla barca un cane da tartufo e vedere se lo trova!”
Questo aneddoto storico serve per chiudere in allegria sessanta anni di stupidaggini create anche con malizia da parte dei molti “denigratori di professione” di cui siamo maledettamente ricchi. Gente che parla male degli altri per mettersi in evidenza e che poi spara solo balle a gogò. Certo, toccare i pattini significa saper progettare una carena e quindi una barca, cosa ormai piuttosto rara.
Caro Ivan, spero di esser stato esaustivo e aver così risposto alla tua domanda e grazie per avermi concesso di far finalmente luce su un misterioso dettaglio così importante.
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Ciao Mirko,
se non sei convinto mi dispiace.. Che dirti, prova e vedrai.. Se la barca risponde in peno a quanto mi hai descritto, non occorrono foto e la situazione è quella che ti ho indicato.
Tuttavia, ognuno è libero di fare come crede, ma se pensi che basta il nome del cantiere che l’ha costruita oppure il fatto che sia una barca blasonata, tutto questo non fa testo. Contano invece le caratteristiche tecniche valide oltre ad una efficiente costruzione.
Pensa bene! Saluti,
Giacomo
Grazie Giacomo del consiglio,
ci resto un po’ male, ma non sono convinto. Non credi che la deriva di cui parlavo potrebbe supplire allo scarso diedro della poppa? É bella pronunciata! Se potesi inviarti qualche foto sicuramente sarei più esaustivo di mille parole!
La barca mi sembra solida, il cantiere è blasonato, il motore praticamente nuovo, il prezzo a qui la spunterei irripetibile. Qualche lavoretto da fare si, ma non mi spaventano, ho buone mani! Data l’età della barca non sono riuscito a trovare recensioni, neanche sul sito della Jeanneau.
Non saprei, attendo riflettendo e rileggendo i vostri articoli e commenti.
Saluti!
Gentilissimo Mirko,
ti ringraziamo per quanto dici, cerchiamo soprattutto di rendere chiari determinati concetti tecnici che la gran parte dei lettori conosce in parte o non conosce affatto. Per essere più diretti, invece di parlare in senso generale, parliamo della Jeanneau Esteou 730 che hai intenzione di comprare e senza mezzi termini ti dico alt!!
Se devi usare quella barca per mare, le sue caratteristiche riferite all’angolo di diedro molto pronunciato a prua e quasi piatto a poppa dicono che non è la barca giusta per affrontare i nostri mari, che da un po’ di anni a questa parte sono diventati duri e pericolosi e ti spiego il perché. E’ risaputo che le carene a V profondo con angolo di diedro da 20° a salire hanno una rilevante stabilità laterale sia in navigazione che quando sono ormeggiate!
Nello specifico, una carena con angolo di diedro a prua molto pronunciato ed un angolo di diedro a poppa quasi piatto, in caso di mare formato da poppa si comporterebbe in modo anomalo e pericoloso, poiché se il mare arrivasse al giardinetto di poppa, per effetto della poppa piatte, il forte angolo di diedro a prua trasforma quest’ultima in un perno che fa ruotare pericolosamente la barca, provocando il così detto testa coda delle barche o spin-out che sovente, nelle gare offshore si è trasformato in un tragedia, uccidendo purtroppo giovani e bravi piloti.
Insomma, in termini semplicissimi, una carena con un diedro a prua contenuto e poi costante dalla quarta ordinata di calcolo fino a poppa con angolo di diedro nei 20°, è certamente una barca bene progettata, con validissimo centro di gravità ed ottimo equilibrio idrodinamico…
Lascio a te le conclusioni del caso…
Il messaggio è: cambia barca… da buon intenditore poche parole, visto che nei vari commenti che hanno preceduto il tuo, abbiamo lungamente spiegato tali problematiche.
Restiamo comunque a disposizione per eventuali altre domande.
Grazie per averci contattato!
Cordiali saluti,
Giacomo Vitale
Gentilissimi tutti,
intanto sono rimasto ammirato dall’altissimo profilo tecnico che tutti gli scriventi hanno dimostrato in questa interessantissima discussione. Purtroppo pur sforzandomi di capire, mi mancano quelle conoscenze di base necessarie a rendermi cristalline le dinamiche da voi così ben descritte.
Intendiamoci, le idee sono chiare ma ancora non sono in grado, guardando una carena, di capire se essa sarà una affidabile compagna di navigazione o potrebbe rivelarsi meno “materna” in condizioni di mare formato. Nello specifico non ho ben capito se le caratteristiche dello scafo a chiglia tonda, piatta, con pattini a tutta carena o a metà, diedro a V a prua e piatto a poppa, e quant’altro siano sempre e comunque valide, o se come immagino, molto dipenda anche dalla velocità di navigazione.
Sono in trattativa per l’acquisto di una vecchia Jeanneau Esteou 730, la quale presenta un diedro molto pronunciato a prora, quasi piatto a poppa, è priva di pattini e presenta una sorta di deriva che si sviluppa dalla chiglia dal primo terzo di barca ed aumenta di profondità verso poppa.
La barca sarà lenta, ma le discussioni sulla navigazione con mare di poppa mi hanno catturato l’attenzione. Grazie per le vostre impressioni,
Cordialmente Mirko.
Gentile Pietro Calcagno,
ho il massimo rispetto per quello che dice in riferimento alle barche senza pattini e con la poppa piatta mi creda però, nella realtà, con la quale ci dobbiamo sempre confrontare, le cose stanno in modo completamente diverso da quanto Lei afferma. Non si tratta di preconcetti nel modo più assoluto e basta che Lei scorra AMB per rendersi conto di quanto hanno ampiamente descritto nei loro articoli tecnici, progettisti di fama internazionale per le loro altissime capacità tecniche, come Renato “Sonny” Levi, Franco Harrauer, GB Frare e quanto descritto da Antonio Soccol, un giornalista che ha vissuto l’evoluzione delle carene della motonautica mondiale a partire dagli anni ’60 ad oggi e quanto descritto dei famosi Richard Bertram, Don Aronow, Salvatore Gagliotta, Jim Winne, Nino Petrone ecc.. (le consiglio di leggersi le varie puntate “La barca non è un auto” di A. Soccol) ed ancora: la lunghezza dei pattini nelle carene a V profonda e poi mi dirà se continuerà a pensarla sempre allo stesso modo.
Infine, circa quanto Lei afferma di carene a poppa piatta, tipo tavole da surf per intenderci e ruote di prua pronunciate, del tipo a bandiera, sono assolutamente pericolosissime quando navigano con mare al traverso, tanto da poter innescare il pericolosissimo “spen out”, il testa coda delle barche, che può rivelarsi anche “fatale” nei casi in cui la velocità è decisamente alta.. se poi questa carene navigano con il mare in poppa e formato, sono altrettanto pericolose, perché imbarcano tantissima acqua…
Cordiali saluti,
Giacomo Vitale
@ Giuseppe
“…..Le barche senza pattini sono da lago come i Riva, adatti per acque calme e prevedibili….”
Gentile Giuseppe, la penso diversamente.
Lascia perdere i Riva (ed i “naturali” preconcetti verso le barche costruite sui laghi) e pensa, per esempio, alla carena delle aragostiere tradizionali della costa nordorientale degli USA.
Sono barche con carena tonda o a spigolo e sezione di poppa praticamente piatta. La caratteristica che forse più le differenzia da una carena Riva è la presenza di chiglione e relativa elica protetta.
E ti garantisco che è un tipo di carena evolutasi negli anni con diversi obiettivi, tra i quali il poter affrontare situazioni di mare formato di poppa ma soprattutto di prora.
Cordialmente
Pietro
Forse non mi sono spiegato, mi riferivo alla carena in quanto tale!
Non ho parlato di appendici applicate che hanno profili ben studiati in cui i campi di pressione e depressione sono presenti, per cui il termine “portanza” è appropriato; ne ho mai parlato di ipersostentatori che modificano il profilo, aumentando la resistenza e la risultante aerodinamica…
Mi riferisco alla “carena” in quanto tale, che lavora con una parte immersa nell’acqua (fluido liquido) e un’altra parte fuori dall’acqua (fluido gassoso). Così sotto la carena avremo solo la “sovrapressione”… In realtà c’è anche una piccola componente di depressione (trascurabile, ma non troppo) nella parte finale della carena (vedi Bernouilli) ma chi la fa da padrona è la sovrapressione.
Quindi, secondo me, il termine portanza è improprio. Ecco il motivo della domanda che avevo posto. Poi i fenomeni fisici che avvengono in campo aeronautico hanno parecchia affinità in campo nautico, come una vela.
Credo che nella vela si possa veramente parlare di “portanza”, in quanto è un profilo che è immerso totalmente in un fluido (gassoso) e che, gioco forza, creerà pressioni e depressioni, formando la cosidetta “portanza”.
Quest’ultima insieme al vettore “resistenza” e la forza “G” (gravità) darà origine alla “Risultante Aerodinamica”. Ma sotto la carena? Perchè chiamarla portanza?
Scusate la mia replica, ma il quesito è ancora in essere: Portanza non è a mio avviso sinonimo di sostentamento idrodinamico, sono 2 forze diverse che nascono in maniera diversa, o meglio, nel sostentamento manca totalmente il campo depressionario.
Volevo solo chiarire il concetto senza polemiche sterili, naturalmente ma solo costruttive.
Cordialità,
IMHO
P.S. Seguo da tempo il vs sito con interesse.
Grazie per le risposte.
Grazie Francesco,
ottima ed esaustiva la tua risposta al quesito posto dal lettore Giuseppe.
Grazie infinite!
AMB
Mi sembra che con un contorto giro di parole ma stiate dicendo le stesse cose. E’ solo una questione di sinonimi che gli inglesi semplificano con l’utilizzo del termine LIFT per indicare qualsiasi forza verticale che agisce su un corpo immerso in un fluido acqua o aria che sia. E’ proprio in questo la differenza: aria ed acqua e le loro densità. Come è ben immaginabile l’acqua è più “densa” dell’aria quindi fenomeni di portanza e resistenza sono molto amplificati in acqua piuttosto che in aria proprio in virtu di questa differenza.
Per quanto riguarda i fenomeni che avvengono sotto carena il “LIFT” o portanza o sostentamento idrodinamico che dir si voglia, ripeto è solo una questione di sinonimi, avvengono grazie alla velocità dell’acqua sotto carena che, nell’impatto con la superficie bagnata della stessa, genera una forza che si scinde in due componenti di cui: una è la portanza e l’altra è la resistenza, esattamente come avviene per un profilo alare.
Immaginiamo di viaggiare in macchina ad una certa velocità e di mettere la mano fuori dal finestrino, pur non essendo un profilo alare, giocando un po’ con l’angolo di incidenza, un po’si riesce a mantenere la mano sollevata senza fare il minimo sforzo. Questo è in soldoni quello che avviene sotto lo scafo che lo si chiami sostentamento o portanza. Quindi, il campo di pressione o di forza generato sullo scafo o di un profilo alare, sono generati dalle stesse leggi fisiche e dalle stesse forze ovvero velocità, angolo di incidenza e superficie esposta.
Anche nella nautica ci sono profili alari, basti pensare agli hydrofoil di cui si servono gli aliscafi ovvero dei profili alari che lavorano sommersi (immersi in un fluido) e che al variare dell’incidenza generano più o meno portanza, consentendo allo scafo di venire fuori dall’acqua.
Nel caso dei profili alari immersi in aria, la necessità di avere asimmetria tra dorso e faccia e quindi di ottenere maggiore differenza di potenziale tra esse, è volta ad ottenere alti valori di portanza (o sostentamento) con superfici relativamente piccole, a causa della basse densità dell’aria, mentre nel caso dell’acqua e delle carene che navigano a contatto con essa e che non necessitano di essere staccate completamente, la portanza è ottenibile semplicemente con la forza su un solo profilo. Ciò giustifica perfettamente il perché si utilizzano gli Hydrofoil per ottenere valori elevati di portanza con velocità e superfici relativamente basse, tali da sollevare tonnellate di peso, esattamente come negli aerei.
Anche negli aerei ci sono dei profili che vengono utilizziati nelle fasi di decollo ed atterraggio (ovvero quando serva maggior sostentamento o portanza) che si chiamano ipersostentatori e che in sostanza aumentano la corda del profilo alare modificandone la geometria, permettendo l’aumento di portanza o sostentamento.
Un po’ quello che avviene con i flap delle barche.
Sperando di aver fatto un po’ di chiarezza, consiglio al “quasi ing.” (a meno che non l’abbia già fatto) di leggere (e rileggere) il libro di Levi “Milestones in my designs” che tutt’oggi non esito a consultare in caso di qualsiasi dubbio aerodinamico o idrodinamico che sia e nel quale nonostante la mia discreta esperienza, trovo sempre una risposta.
Un saluto affettuoso.
Francesco Fiorentino, YD.
Grazie Alex per la tua risposta ma credo di non essere d’accordo.
Non sono nemmeno io un ingegnere (anche se per poco) ma mi reputo un buon conoscente della materia. La “portanza” è una forza che nasce da campi di sovrapressione e di depressione che si formano attorno ad un profilo.
Nel caso di un profilo alare denominato “N.A.C.A.” dove c’e’ un dorso (si crea depressione) e un ventre (sovrapressione), la risultante si chiama “Portanza” che insieme alla resistenza (è un’altra forza) da origine ad una risultante chiamata risultante aerodinamica. Ora, nel caso delle carena, se paragonata ad un profilo alare, la sezione del dorso manca completamente, quindi non c’è depressione… ecco perché ho posto il quesito, ho pensato che il termine portanza veniva usato come termine sbrigativo, piuttosto che sostentamento idrodinamico…
Era da molto che volevo porvi il quesito, a meno che non mi sfugga qualcosa… Grazie ancora per avermi dedicato il tuo tempo.
Cordiali saluti.
Giuseppe
Ciao Giuseppe,
non sono io un ingegnere ma credo ci sia solo una “L” di “portanza” e per avvalorare quelle che sono le mie conoscenze, copio e in collo da Wikipedia:
Sperando di esserti stato utile ed aver chiarito il tuo dubbio,
cordialmente,
Alex
Buongiorno.
Ho letto con molto interesse l’argomento “pattini di sostentamento” la spiegazione è stata semplice ed esaustiva, complimenti!
Spesso pero’, leggo il termine “Portanza” per definire il “Sostentamento idrodinamico” di una carena. Le 2 forze menzionate: portanza e sostentamento idrodinamico, Credo che siano fondamentalmente diverse.
La domanda che mi pongo: perche’ viene adoperato il termine “Portanza” ?
Complimenti ancora per il sito.
Gentile Giuseppe,
Antonio Soccol attualmente è fuori sede e non raggiungibile via web e telefono cellulare. Dovrà avere la pazienza di attendere il suo rientro in sede per avere la possibilità di risponderle e la ringraziamo per averci scritto.
Giacomo Vitale
Carrissimo Antonio Soccol,
IL libro di Costaguta (Principi di idronautica)può essere definito un buon manuale per chi volesse conoscere i principi sul sostentamento idrodinamico, ma riporta un ottima e utile bibliografia anche se vecchiotta nel caso in cui si volessero approfondire.
Tantissimi auguri di Buon Anno allo staff e a tutti i lettori di AltoMareBLU.
Giuseppe
Buongiorno a tutti,
ho letto con passione quest’articolo poichè l’argomento trattato mi ha sempre incuriosito e sono stato sempre convinto della bontà dei pattini lungo tutta la carena della barca ed è confermato, andondo per mare, che quei pattini hanno uno scopo fondamentale oltre a dare portanza, conferiscono stabilità in navigazione trasversale sulle onde di poppa, normalmente fanno sbandare lateralmente la barca spostandola. Invece con i pattini è anche più incisiva e morbida nelle virate ad alta velocità, praticamente come se navigasse sui binari. Le barche senza pattini sono da lago come i Riva, adatti per acque calme e prevedibili.
Sono in sintonia con il Sig. Antonio Socool e naturalmente con il progettista Renato “Sonny” Levi.
Giuseppe Mauro
Ciao Antonio, ti ringrazio infinitamente per avermi “dedicato” questo articolo…
Ti ridponderò meglio poi in privato! Questi giorni è nata mia figlia e, non me ne volere ma ho accantonato un attimo le barche ed il lavoro… mi capisci vero?
Ti ringrazio davvero tanto e ci sentiamo presto!
Un abbraccione,
Ivan