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Foto 7 - The king of powerboats: Don Aronow

The king of powerboats: Don Aronow

4 Commenti/in Francesco Fiorentino/da Francesco Fiorentino

di Francesco Fiorentino

Don Aronow

Don Aronow

Nella nautica a volte non serve essere progettisti per riuscire a comprendere le leggi della fisica e mettere a frutto concetti innovativi e vincenti. Spesso è sufficiente una buona dose di spirito di osservazione, un grande coraggio ed un dirompente spirito di competizione.

Il mito

Questa filosofia è stata la chiave di volta che ha fatto di un giovane ragazzo di Brooklyn, figlio di emigranti russi, un vero e proprio mito della storia motonautica la cui vita è stata tanto bella ed avventurosa da meritare la trasposizione in un film purtroppo non a lieto fine.

Il nome di questo gigante (nel vero senso della parola, vista la sua statura fisica) risuona tutt’oggi come il rombo dei motori delle sue creature le quali continuano a trasmettere nel tempo la passione per la velocità estrema che scorreva nelle sue vene e ad esserne il simbolo per antonomasia.

Donald Joel Aronow, per tutti Don: questo è il nome che ha dato vita al mito dell’offshore made in USA, padre di tutti i nomi legati alla velocità sull’acqua costruiti a Miami dal 1960 ad oggi. Dalla sua mente e dal suo coraggio non solo imprenditoriale hanno avuto origine i marchi: Formula, Donzi, Magnum marine, Cigarette, Squadron, e USA Racing Team.

Basterebbero questi nomi per comprendere l’importanza del personaggio Don Aronow, ma più delle sue “referenze” conta la sua storia e soprattutto come sia riuscito negli anni a costruire attorno a lui un mito inattaccabile dal tempo.

La storia

Per gli italiani un personaggio come Don Aronow è paragonabile ad Enzo Ferrari o, vista la sua spasmodica ricerca del lusso e dell’eccesso, a Ferruccio Lamborghini.

Come Lamborghini, Aronow proveniva da un mercato lavorativo ben diverso da quello che lo ha consegnato alla storia e proprio analogamente al fondatore della casa automobilistica del toro è stata la passione, in questo caso per le corse offshore, a fargli intraprendere un’avventura imprenditoriale divenuta in breve tempo la fonte del suo successo.

Era il 1961 quando, trasferitosi da New York a Miami con la famiglia ed avendo ottenuto un discreto benessere economico con il suo lavoro di mediatore immobiliare, iniziò a frequentare i circoli nautici e ad appassionarsi alle competizioni offshore chiedendo ad Howard Abbey di disegnargli uno scafo per partecipare alla famosissima Miami-Nassau: ne venne fuori uno scafo in legno con carena a semi-V dapprima motorizzato con tre Chevrolet ed in seguito con due Daytona.

Il cambio di motorizzazione non si rivelò favorevole sia per il calo di prestazione assoluta sia per l’avaria in gara a poche miglia dall’arrivo, che costrinse Aronow al quarto posto dopo aver dominato l’intera gara. Questo non demoralizzò Don, anzi ne acuì l’istinto competitivo dando così l’inizio alla sua carriera di pilota e costruttore di scafi offshore.

Formula

Nel 1962 a Miami, in quella che di lí a breve sarebbe diventata la Thunderboat Row (il vicolo delle barche tonanti), Aronow costruì un capannone attrezzato per produrre barche con tanto di scalo e molo di ormeggio: era nato il cantiere Formula!

Il nome diceva tutto: Aronow si circondò di alcune tra le personalità di maggior rilievo del panorama motonautico di allora in particolare Peter Guerke, Walt Walters e Jim Wyne il padre dei piedi poppieri Volvo.

Aronow capì subito che per riuscire a battere i Moppie di Hunt e Bertram ci sarebbe voluta una vera carena a V profonda studiata per essere performante sia con mare piatto che in condizioni di mare avverso ma anche una propulsione più efficiente.

Si affidò quindi alla matita di Walters ed ai piedi poppieri di Wyne intuendone i benefici in termini di riduzione della resistenza e correzione dell’assetto.

Formula 23' originale perfettamente restaurato

Formula 23′ originale perfettamente restaurato

Già nel 1963 partecipò alla Miami-Nassau con i primi due nati in casa Formula: un 23′  ed un 27′ entrambe molto stretti (con rapporti lunghezza/larghezza intorno a 2,8) costruiti ancora in legno e personalmente collaudati e messi a punto da Aronow (come ogni sua barca).

Aronow giunse terzo al traguardo con la barca più grande dietro un imprendibile (ancora per poco) Bertram 32′.

Il risultato parlava chiaro e da subito fioccarono le richieste degli appassionati per poter avere quelle barche.

In breve Formula divenne un riferimento per chi volesse partecipare alle competizioni offshore o semplicemente andar per mare divertendosi, ma dalle richieste di manufatti l’interesse si spostò presto alla realtà industriale che Don aveva trasformato in una miniera d’oro con una campagna marketing che vide anche i Beatles come involontari testimonial.

Aronow non ci pensò due volte e cedette marchio, stampi e progetti Formula tenendo per sé il capannone e dando vita nel 1964 ad un altro dei nomi immortali della motonautica mondiale: Donzi.

Donzi

Don Aronow e Beatles su uno scafo Formula a Miami

Don Aronow e Beatles su uno scafo Formula a Miami

La nuova avventura di Aronow aveva le sue fondamenta sugli stessi presupposti e sulla stessa squadra vincente di Formula; la produzione si sviluppava su tre modelli da 16′ a 28′ che si imposero da subito nelle competizioni offshore iniziando a minare lo strapotere dei Bertram e ponendosi come icona della barca veloce.

Le richieste infatti giungevano non solo dai privati ma anche da organi di protezione governativi sia statunitensi che esteri.

Donzi era sinonimo di qualità, di velocità un po’ come Ferrari lo era in Italia nel campo delle automobili. L’attenzione di Aronow e del suo team per la creazione delle carene era maniacale e si basava maggiormente sulle esperienze personali sui campi di gara e nelle centinaia di ore di test in mare cercando l’assetto migliore o la posizione ottimale dei pattini.

La rincorsa spasmodica alla prestazione portò negli anni Aronow a sperimentare numerose varianti di geometrie di carena, materiali e metodologie di costruzione, motorizzazioni e propulsioni senza sosta ma sopratutto lo condusse alla creazione di nuove ed innovative soluzioni a volte troppo estreme anche per Aronow stesso, che dell’estremo era portatore sano.

Non si contano gli aneddoti legati a questa sua indole combattiva ed in continua evoluzione che costarono a lui ed ai suoi copiloti e navigatori molte ossa rotte e tanti incidenti quasi sempre senza conseguenze tragiche.

Magnum Marine

Nel 1966 Aronow, come aveva fatto con Formula, cedette Donzi (capannone compreso) e si spostò poco più il la, sempre sulla Thunderboat row costruendo un nuovo capannone ed iniziando una nuova avventura chiamata Magnum marine, un nome che a tutt’oggi chiunque associa ad una tipologia di barche dal design inconfondibile e che come allora sottende ad una filosofia commerciale molto semplice riassunta da Aronow in queste parole:

“I don’t care who you are but I will give you the boat if you have enough cash to pay”
(Non mi interessa sapere chi sei ma ti daro? la barca se hai abbastanza soldi per pagarla).

Lusso ed opulenza unita alla potenza dei motori ed alle prestazioni della carena senza guardare in faccia nessuno. Fu questa la chiave che permise a Magnum di diventare in breve tempo e grazie alla fama del suo fondatore un marchio ricercatissimo dal jet set dell’epoca.

Magnum seguì la scia di successi di Formula e Donzi aumentando il palmares di vittorie di Aronow grazie al fortunato connubio con i MerCruiser di Carl Kiekhaefer, motori dall’indiscussa potenza ed affidabilità.

Maltese magnum Don Aronow e suo navigatore Norris Knoky House

Maltese magnum Don Aronow e suo navigatore Norris Knoky House

Non c’era gara sia negli USA che in Europa che non vedesse tra i vincitori uno scafo Magnum motorizzato MerCruiser e l’unico capace di contrastare il dominio Magnum-MerCruiser era Renato “Sonny” Levi con le sue carene Delta equipaggiate con step drive. (il ricordo di Don Aronow, un articolo di Renato Sonny Levi)

In Italia portabandiera della filosofia Magnum furono Vincenzo Balestrieri (ex proprietario della Navaltecnica di Anzio) e Francesco Cosentino, i quali si confrontarono spesso con lo stesso Aronow in gare europee quali la Viareggio-Bastia-Viareggio o la Cowes Torquay.

Nel confronto con le barche di Levi la coppia Wynne – Aronow notò che non solo la forma della carena aveva importanza ma anche il numero e la disposizione dei pattini su di essa poteva essere un elemento di rilevanza fondamentale per le caratteristiche marine dello scafo.

Nel 1968 con una ritualità quasi impressionante Aronow cedette anche Magnum marine, ma non potendo fare a meno di costruire e correre acquistò un altro pezzo di terreno sempre nella Thunderboat row, poco distante da Donzi e Magnum e lì iniziò a costruire un nuovo mito.

Cigarette e Squadron XII

In seguito all’avvento dei nuovi Bertram 32′ troppo forti per i Magnum in condizioni di mare agitato, Aronow decise di chiedere alla sua ex-ditta (Donzi) di costruire per lui un nuovo 32′, possibilità che gli venne negata e che lo costrinse a costruire sotto falso nome “The Cigarette” un Magnum 28′ allungato che gli consentì di raggiungere un rapporto lunghezza/larghezza ottimale per le sue necessità.

The Cigarette il Magnum 28' prototipo di tutti i Cigarette a venire

The Cigarette il Magnum 28′ prototipo di tutti i Cigarette a venire

Magnum The Cigarette in gara

Magnum The Cigarette in gara

Fu il prototipo di una fortunatissima stirpe di barche offshore che infiammarono di passione i cuori di personaggi come George Bush (padre), Richard Nixon, Carolina di Monaco, il Re Hussein di Giordania, Juan Carlos di Spagna e che ebbero il loro momento di massimo splendore mediatico nel 1984 con la serie tv Miami Vice.

Don Aronow con Giorge Bush (padre) affezionato cliente Cigarette

Don Aronow con Giorge Bush (padre) affezionato cliente Cigarette

Dal punto di vista sportivo Cigarette vinse tutto quello che c’era da vincere oltreoceano in qualsiasi condizione di mare ma sempre con il suo creatore in prima linea! Nel 1969 Aronow era un vero e proprio mito osannato da chiunque fosse a contatto con l’ambiente della motonautica e ricercato da sponsor del calibro di Rolex.

In quell’anno Don si ritirò dalle corse ma non smise di curare le sue creature e di inventarne di altre sempre più estreme. Nel 1977 anche per Cigarette arrivò il momento del distacco dal suo fondatore che, per placare la sua sete di innovazione sempre a pochi passi dalle sue creature precedenti, costruì un altro capannone e fondò Squadron XII dove 12 era il numero massimo delle barche che annualmente sarebbero state prodotte nella volontà di ottenere la massima qualità possibile.

Il distacco durò poco e Aronow riacquisì Cigarette fondendolo con Squadron e dedicandosi maggiormente alla produzione per il diporto per poi rivenderlo nuovamente cinque mesi dopo.

USA Racing Team

L’accordo di vendita di Cigarette imponeva ad Aronow di non poter costruire alcuna imbarcazione a V profondo per un dato periodo di tempo ma Don non si fece di certo fermare da questo e pensò bene di costruire un catamarano basandosi sulla carena del Cigarette 36′ ed allungandola di 3′; nemmeno a dirlo anche questo fu un successo ed Aronow iniziò a produrre con il marchio USA Racing Team.

I catamarani erano veloci e manovrieri ed iniziarono ad interessare oltre che i diportisti anche le forze armate ed in particolare la Custom, la Guardia di Finanza americana che sotto la “spinta” di George Bush padre (cliente affezionato di Aronow) ne ordinò una discreta quantità per effettuare il controllo e la lotta ai traffici di stupefacenti tra gli USA ed il centro America.

Vista questa particolare attitudine al USA Racing Team giunsero anche richieste da alcuni personaggi i quali, sotto una copertura di pilota offshore, acquistavano queste barche per svolgere i loro traffici illeciti. Nel 1982 Aronow vendette anche USA Racing team avendo ricevuto un’offerta economica (la quale comprendeva beni di vario genere ed un pagamento in denaro totalmente in nero) che non avrebbe potuto rifiutare, proveniente da personaggi legati al mondo del traffico di droga ed attirandosi così le antipatie della Custom per un evidente conflitto di interessi.

Fu così che Aronow rischiò di perdere la commessa governativa ma con uno dei suoi soliti escamotage si rimpossessò del cantiere restituendo i beni materiali ricevuti ma non il denaro (di cui non c’era alcuna traccia). Continuò così a produrre i suoi catamarani e mise in progetto la costruzione di un nuovo monocarena che avrebbe ultimato nella primavera del 1987, quando sarebbe scaduta la clausola di non competitività inclusa nell’accordo di vendita di Cigarette.

Don Aronow con l'insegna Cigarette sullo sfondo davanti al suo cantiere nella Thunderboat Row NE188th Street a Miami, un’immagine compendio del mito dell'offshore Made in USA

Don Aronow con l’insegna Cigarette sullo sfondo davanti al suo cantiere nella Thunderboat Row NE188th Street a Miami, un’immagine compendio del mito dell’offshore Made in USA

La caduta del mito

Purtroppo questo progetto non fu mai portato a compimento poiché il 3 febbraio di quello stesso anno Aronow venne assassinato proprio nella Thunderboat Row davanti al suo capannone.

Le tesi sui mandanti furono tante e fantasiose ma di certo le frequentazioni di Don con gli ambienti dei narcos erano la pista più accreditata. Altri ipotizzarono la vendetta di qualche marito geloso, visto che Aronow spesso e volentieri aveva dato prova delle sue doti di casanova.

Oggi tutti i cantieri fondati da Don Aronow continuano a produrre le sue barche con immutata filosofia mantenendo inalterato il fascino e l’alone di mitologia pura impresso loro da questo immenso personaggio simbolo dell’eccesso ma anche di uno spirito di intramontabile competitività di cui queste parole sono l’espressione maggiore:

“non importa quanto sia agitato il mare, tra le due creste c’è sempre uno spazio in cui il mare è calmo ed è li che bisogna spingere sulle manette e prepararsi per un onda più alta. Non sai quando arriverà il momento del salto ma preparati e nel frattempo spingi più che puoi”.

Questa filosofia è il riassunto della vita del re dell’offshore le cui creazioni hanno ottenuto circa 350 vittorie in tutto il mondo e che, pur non essendo un progettista titolato, ha sempre ricercato la soluzione tecnica migliore osservando, comprendendo ed innovando ma soprattutto vivendo sul campo e letteralmente sulla propria pelle ogni soluzione adottata.

Articolo pubblicato sul periodico Nautech  novembre 2013 e qui riprodotto per g.c. dell’autore

Tags: Barca offshore, Carena a V profondo, Don Aronow
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4 commenti
  1. Giacomo Vitale
    Giacomo Vitale dice:
    17/08/2014 in 16:19

    Gentile Fulvio Maria Ballabio,

    comprendiamo e condividiamo il suo entusiasmo nel parlare della barche ed auto di quegli anni magici che non torneranno mai più… ma da quanto leggiamo un piede nel passato c’è ancora… ed il 55 piedi appena varato da 60 miglia orarie come velocità di punta lascia intravedere nell’immaginario l’ombra del “grande maestro”.

    Congratulazioni Fulvio… ben venuto a bordo di AMB e non sa dove è capitato e se un giorno ci potremo incontrare e parlare di quei magici anni ’60 e ’70… ne avremo cose da dirci e aneddoti da raccontarci… perché, visto che non mi conosce, in AltoMareBlu sono il “matto della situazione”… marinaio avvisato… ed è sempre un piacere leggerla…

    Un caro saluto,
    Giacomo Vitale

  2. Fulvio Maria Ballabio
    Fulvio Maria Ballabio dice:
    16/08/2014 in 23:58

    Splendido rivivere quei momenti e quegli anni correndo nel 1987 in offshore Babycresci a “Key West” e in Indy-cart a “Tamaiami Park” col team Dick Simon, poi mio driver quando corremmo negli USA quell’anno.
    Oggi, ancora costruiamo le MCA auto e le imbarcazioni MCM MontecarloMarine con linee d’acqua ancora leggendarie e sicure di Don Aronow, da stampi comprati e provenienti dalla mitica Thunderboat Row!

    Storie che conosco ma sempre bello risentirle…
    Oggi abbiamo appena varato un 55 a quattro motori Hb da 60 miglia…
    L’ombra del maestro e sempre nell’aria!!

  3. Francesco Fiorentino
    Francesco Fiorentino dice:
    05/02/2014 in 13:23

    Ciao Tealdo,

    ti ringrazio per le bellissime parole che spendi in mio favore. Sono contento che dai miei articoli si colga benissimo l’intento di pura riscoperta dei veri valori della progettazione nautica che i grandi del passato ci hanno lasciato in eredità ma che sopratutto negli ultimi anni, parallelamente alla crisi economica, sono stati oggetto di una crisi di contenuti a cui si è cercato di dare rimedio con soluzioni spesso al limite dell’irrazionale.

    Già da settembre in collaborazione con Nautech ed AltoMareBlu, ho pensato di proporre una serie di articoli sulle grandi menti ispirate del passato nel campo dell’ingegneria, dell’architettura, dell’imprenditoria e della storia della motonautica in genere, partendo dal padre della concezione motonautica moderna “Sonny” Levi e via via analizzando tutti i protagonisti dell’epoca d’oro della motonautica.

    L’intento è quello di recuperare i valori della tecnica che, oggi in tempi di crisi, più che mai rappresentano un tesoro inestimabile per i progettisti del futuro ma che purtroppo sovente sono a loro ignoti per una diseducazione diffusa ed imperante, anche negli ambienti in cui si “studia” ed “impara”.

    Dal passato bisogna imparare, analizzare criticamente e prendere spunto per migliorare il presente e costruire il futuro come disse Newton: “appoggiandosi sulle spalle dei grandi per guardare più lontano”.

    https://www.altomareblu.com/efficienza-nautica-evoluzione/

    Alle prossime.

  4. Tealdo Tealdi
    Tealdo Tealdi dice:
    05/02/2014 in 12:51

    Caro Francesco, bel pezzo! Mi ricordo di quando, fino a pochi anni or sono si parlava di Cigarette, si capiva subito che oggetto fosse.

    Non so se ti ricordi del film con Alberto Sordi sui temerari sulle macchine volanti, si potrebbe dire la stessa cosa anche per quelli che si sfidavano su queste barche.

    A Port Grimaud verso le 12 si sentiva il rombo dei motori accesi a Saint Tropez, ad una distanza di almeno 3 mn. e poi nel golfo iniziava la processione verso la spiaggia di Pampelonne. Nessuno li batteva e la Capitaneria aveva dovuto utilizzare degli elicotteri per raggiungerli, stante il limite di 12 nodi vigente nel Golfo.

    Sarà che allora eravamo più giovani, ma ho nostalgia di quel tempo, forse perché erano spumeggianti, come le scie che lasciavano.

    Bravo tu e quelli che come te che tengono viva la passione delle sfide, che è dura a morire. Per fortuna.

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