Rock around the States (6): Don Aronow
Altezza: 6’ 2” (1,90 m). Peso: 215 libbre (novantasette chili abbondanti), tutti di muscoli. Quando lo incontrai al Boat Show di Detroit aveva quarantaquattro anni essendo nato, nella baia Sheepshead (una frazione di Brooklyn, New York), il 1 marzo 1927.
Donald Joel Aronow: Don Aronow
Figlio di immigrati russi, da giovane aveva fatto il bagnino: aveva salvato un po’ di persone (sette, per la precisione) che stavano annegando e, dato il fisico che si ritrovava, gli avevano offerto di fare un provino a Hollywood per sostituire il leggendario Johnny Weissmiller nei film di Tarzan.
Aveva preferito sposare Shirley Goldin, definita “la più bella ragazza della spiaggia” ma, soprattutto, figlia di quella famiglia del New Jersey che, nell’immediato dopoguerra, aveva fatto un bel po’ di soldi costruendo case e villaggi in quella provincia. Lui, Donald Joel Aronow, detto “Don”, appena sposato, aprì una agenzia immobiliare per vendere queste case: molte addirittura vennero costruite seguendo i suoi suggerimenti e consigli.
Si dimostrò uno straordinario mediatore, riuscendo a “piazzare”, in sette anni, più di mille appartamenti (una media di uno ogni due giorni!) e guadagnò abbastanza soldi per comprarsi una barca, uno sportfisherman da 40’ in clinker, con flying bridge, che si chiamava “Tainted Lady” (ragazza corrotta) e per andarsene a vivere in Florida dove il clima era meno “antipatico”.
A quel punto, era il 1961, Don Aronow, che aveva solo 34 anni, si considerava un “retired” (pensionato) avendo sufficiente economie per non dover più lavorare pur mantenendo una moglie e un paio di figli. Per non annoiarsi, frequentava i circoli nautici locali e aveva incominciato a sentir parlare di queste straordinarie gare offshore che si svolgevano in oceano aperto.
Avendo fatto la guerra in marina, la cosa lo interessò e così chiese a Howard Abbey di disegnargli uno scafo da 28’ per “vincere” la prossima edizione della già famosissima gara Miami-Nassau. Ne uscì uno scafo in legno, con una carena “quasi” a V profonda, senza pattini, spinto da tre Chevrolet da 327 cubic inch (5.360 cc) di cilindrata che, in onore della figlia, venne chiamato “Claudia” e che, nelle prime prove, sfiorò la velocità di 60 mph (circa 50 nodi).
Pochi giorni prima della gara, Dave Stirrat, il meccanico di “Claudia”, chiese però a Sam Sarra di provare la barca. Sam era il capo degli ingegneri della Daytona: una sorta di mago in materia di motori molto spinti… Dopo la prova, l’ingegnere-mago propose, abilmente, a Aronow di sbarcare i tre Chevy e di sostituirli con una coppia di suoi nuovissimi Daytona da 6,7 litri.
Don accettò ma la barca perse qualche nodo di velocità. Era troppo tardi, a quel punto, per rimontare la motorizzazione originale. Così, per il mancato “Tarzan”, fu giocoforza prendere il via, il 2 maggio del 1962, alla sua prima gara, la Miami-Nassau, con quella coppia di Daytona. Le cronache riferiscono che a dieci miglia dal traguardo, su mare calmissimo, Aronow era in testa e sembrava poter vincere con facilità.
Ma poi uno di quei Daytona si mise a fare i capricci e la vittoria andò a Johnny Bakos che, per la prima volta, aveva portato in gara una barca spinta da una coppia di entrofuoribordo Mercruiser e Don finì al quarto posto: c’è una sua storica foto, molto emblematica, in cui è seduto all’estrema prua dello scafo per cercare di mantenere l’assetto di planata e concludere così la prova. Con questa esperienza era iniziata la sua travolgente carriera di pilota e di costruttore di scafi offshore. In quello stesso anno, il 1962, aveva comprato, infatti, a Miami, un piccolo pezzo di terra sulla desolata e disabitata NE188th Street di Miami, quella che costeggia il lato finale destro del canale, appena fuori da Biscayne Blvd. E qui aveva costruito un capannone capace di ospitare una decina di scafi oltre a una mini darsena con due pontili e una gru semovente. Era nato il cantiere “Formula”.
Quando, nel 1971, ero a Miami, dopo i miei incontri con Dick Bertram, Jim Wynne e Gale Jacoby sui quali vi ho già annoiato nei mesi scorsi, era andato in taxi a questo indirizzo: “Oh!, the Thunderboat row!”, aveva esclamato il tassista.
Perché ormai per tutto il mondo, e soprattutto per Miami, quello era il nome di quel posto…il vicolo della barche tuonanti. Avevo annuito, soddisfatto di non finire in qualche deserto impraticabile. Ma quando ero arrivato ero rimasto deluso. Si trattava davvero di un “vicolo” modesto, con una serie di cantieri piccolini, uno in fila all’altro, e per di più qualcuno mi disse subito che Don Aronow non c’era. Molto probabilmente, si trovava – aggiunsero – a Detroit per il “boat show”, per il salone nautico. Ora che ero a Detroit e avevo concluso il mio luculliano pasto con Merrick Lewis, volevo incontrarlo, sperando nella fortuna di trovarlo al suo stand.)
Nonostante la buona prestazione registrata nella sua prima gara, Aronow aveva capito che, con la carena di “Claudia”, era impossibile battere gli “invincibili Moppie” che Dick Bertram produceva su disegni di Ray Hunt e decise di costruire un nuovo scafo, sempre in legno, che fece progettare da Peter Guerke, un architetto di buona fama per le sue barche veloci e per i suoi aliscafi. Il disegno si sviluppò su una lunghezza di 27’, aveva una carena a V decisamente profondo, quattro pattini longitudinali mentre la spinta era garantita da una coppia di Ford Interceptor da 427 cubic inch (7 litri). Chiamata “Claudia II°”, la barca nelle prove filò 53 nodi di velocità max ma soprattutto si dimostrò in grado di reggere piuttosto bene il mare formato.
Nel frattempo Aronow aveva raccolto attorno a sé un piccolo ma efficientissimo team di esperti: Jim Wynne, il suo socio Waltman “Walt” Walters, che era un vero progettista nautico oltre che pilota offshore, il meccanico Dave Stirrat e infine due esperti delle costruzioni in vetroresina: Buddy Smith e Jake Trotter. “Con questa gente sono in grado di ottenere la vera “formula” per rinnovare le barche offshore”, aveva detto Aronow e da questa sua espressione aveva preso il nome il cantiere “Formula Marine” che aveva come filosofia il principio basilare del suo ideatore: “ I’m interested in superior performance rather than mass production” (Mi interessa la qualità e non la quantità della produzione).
Subito il team aveva messo in cantiere un nuovo modello, questa volta progettato da Walters sulla lunghezza di 23’ (e larghezza, che allora sembrava minima, di appena 8’, cioè neppure due metri e mezzo; rapporto L/l = 2,8): una barca ideale per le modeste potenze dei gruppi entrofuoribordo Volvo Penta di cui Wynne era ufficialmente “padre”. La barca più grande, il 27’, nella Miami- Nassau del 1963, venne affidato alla guida di Don Aronow mentre Jim Wynne, in coppia con Walt Walters, pilotò il modello minore.
Don arrivò terzo alle spalle di due scafi gemelli nella motorizzazione (due Mercruiser da 310 cv) ma ben diversi nel progetto: il vincitore Odell Lewis disponeva infatti di un Bertram 25’ mentre il secondo arrivato (con soli 92 secondi di ritardo), Johnny Bakos, portava un 32’ della Memco. La media del primo fu di 55,2 mph (47,7 nodi) perché anche in quella occasione il mare era stato “gentile”. Jim Wynne, attardato da alcune noie meccaniche dei suoi Volvo Penta, terminò diciottesimo. Ma complessivamente i due scafi del cantiere “Formula Marine” avevano dato buona prova e in casa Aronow si iniziò a brindare: arrivarono infatti in molti a chiedere di comprare quelle barche.
Così la produzione passò dal legno alla plastica e dal concetto di “one off” a quello di serie. Bravissimo nelle pubbliche relazioni, Aronow organizzò persino un pomeriggio straordinario, con una feroce galoppata in oceano aperto, a quattro ragazzini inglesi che dovevano partecipare in tv al Ed Sullivan Show. Si chiamavano: George Harrison, John Lennon, Paul McCartney e Ringo Starr… Per tutti, i Beatles!
Il successo, enfatizzato dalle vittorie e dagli ottimi piazzamenti nelle gare successive del 1963 e del 1964, fu tale che ben presto in cantiere si presentò qualcuno per comprare non semplicemente un esemplare di barca ma lo stampo stesso o addirittura l’azienda con il suo logo. Fu così che il modello da 27’ venne ceduto alla Marlin Boatworks del North Carolina che lo usò come scocca dei suoi fisherman da pesca in altura, mentre il modello da 23’ e il logo del brand “Formula” vennero acquistati dal cantiere Thunderbird di Merrick Lewis che, tutto sommato, non fece un cattivo affare: nel 1968, la produzione del piccolo day cruiser raggiunse, infatti, la punta di 100 unità/anno.
Don Aronow aveva ceduto tutto (ordini acquisiti, nome, stampi eccetera) ma non il piccolo capannone originale sulla sponda del canale di Miami. E da qui, assieme alla sua solita mini-truppa di fedelissimi, partì per una nuova avventura: il cantiere Donzi.
Ci sono molte ipotesi sull’origine di questo nome: la più probabile, perché sostenuta anche da Michael Aronow, figlio di Don, è che sia nato da un gioco di parole, detto in falsetto, fra “Donsy” e Donzi… Di sicuro c’è che, poi, una frase divenne celebre: “Those damned Donzi!”. La disse Jack Manson, dopo aver tagliato il traguardo della Miami-Key West del 1964. Jack aveva vinto alla guida del 36’ “Kamikaze” spinto da una coppia di GM da 550 cv ma, per tutte le 180 miglia della gara, aveva avuto una muta di scafi Donzi che gli stavano addosso e non lo lasciavano andar via e di questi uno, il 28’ guidato da Jim Wynne, era giunto secondo a brevissima distanza … così all’arrivo si era sfogato con la stampa. “Quei dannati Donzi!”, aveva esclamato e l’espressione era piaciuta molto a Don Aronow che, da quel giorno, la usò sempre nella sua pubblicità.
La produzione si sviluppava su tre modelli: un 16’, un 19’ e il 28’. I più piccoli si vendevano come il “pan caliente”: “Sono come il Geritol (un farmaco vitaminico a base di alcol e ferro molto diffuso dal 1950 al 1970 negli USA. Nda)”, diceva di loro Bob Cox che li commercializzava a Fort Lauderdale. E una considerevole commessa del modello da 16’ era arrivata anche dal governo di Israele che li aveva usati, nel Canale di Suez, durante la “guerra dei sei giorni” del 1967. Un interessante aneddoto storico riguarda sempre il 16’. Lo avevano in dotazione i Servizi di Sicurezza personale del Presidente degli Stati Uniti che allora era Lyndon Johnson, per controllare il lago sul quale si affacciava il ranch del capo della Casa Bianca.
Ma a Johnson piaceva quel barchino velocissimo e divertente e glielo sequestrò per farne uso personale. Così i ragazzi della Security andarono da Aronow e gli dissero: “Devi darcene subito altri due esemplari, ma devono essere più veloci di quello che il Presidente ci ha “fregato”, altrimenti come facciamo a proteggerlo? E- aggiunsero- guai a te se lo dici a Johnson: non sopporta di non avere sempre la barca più veloce”. La fama di questo barchino diventò tale che “Abercrombie and Fitch”, una delle aziende top nel mondo del lusso, lo mise nella vetrina del suo famoso e prestigiosissimo negozio sulla 5th Avenue a Manhattan (New York) dove mai si era vista esposta una barca.
Il modello 28’, il più grande della gamma Donzi, invece, vinceva le gare. Il più famoso era “007”, ovviamente guidato da Don Aronow ma anche “Broad Jumper” di Bill Wishnick, “Patty Lou” di Bobby Rautboard, “Blue Devil” di Mark Raymond e “Lucy Too” di Billy Shand Kydd si davano da fare a portar a casa vittorie, piazzamenti importanti, coppe e record. (Solo a Viareggio, nella sua prima gara europea, Aronow non colse il successo: il suo “007” sbiellò poco dopo la partenza della classica prova italiana.) Per questo, in appena due anni, Donzi divenne una azienda-cantiere appetibile, soprattutto dopo la strepitosa vittoria di Aronow nella Miami-Nassau del 1965.
E poche settimane dopo, infatti, qualcuno si presentò al solito indirizzo alla periferia di Miami con un consistente assegno. Questa volta l’acquirente erano i fratelli Tim e John Chisholm, proprietari, con il padre Cameron, della notissima azienda Teleflex, produttrice di accessori nautici e automobilistici. L’accordo prevedeva che Don rimanesse all’interno della struttura aziendale sia come responsabile della produzione sia come capo dell’ufficio vendite e che potesse correre in offshore con qualsiasi barca purché con il nome Donzi.
Appena firmato il contratto di vendita con Teleflex, Don si affrettò a prendere un piccolo hangar segreto, sempre nella stessa zona di Miami e ci mise dentro alcuni “fedelissimi” per costruire una nuova imbarcazione più grande: un 35’ disegnato da Walt Walters, spinto da una coppia di Holman & Moody da 530 cv ciascuno, che chiamò “Maltese Magnum” e che, inizialmente, risultò realizzato da un inedito quanto inesistente produttore “Magnum-Donzi” Per Aronow stava chiaramente per iniziare una nuova avventura che rapidamente avrebbe portato il nome “Magnum” a diventar famoso nel mondo delle gare d’altura e della nautica mondiale.
Nel giugno del 1966 Aronow comprò, infatti, un altro pezzo di terreno, sempre sullo stesso canale, confinante a est con il capannone dove avevano avuto vita Formula e Donzi e iniziò la produzione dei suoi Magnum: un modello da 27’8’’ per le gare e un modello da 35’ per il diporto. Questa volta e per questo nuovo scafo, il più grande fra quelli sino allora da lui realizzati, decise che gli interni della barca, al solito un po’ sobri, sarebbero stati elegantissimi: stile Penthouse… per capirci.
La filosofia aziendale, infatti, era leggermente cambiata: “I don’t care who you are but I will give you the boat if you have enough cash to pay” (Non mi interessa sapere chi sei ma ti darò la barca se hai abbastanza soldi per pagarla) sosteneva Aronow. E, da questo momento, “allegedly Aronow, did business on both sides of the law” (probabilmente ha fatto affari sia dentro che fuori della legge), come si legge in una delle tante sue “biografie non autorizzate” che si trovano sul web… Giusto per capirci, un Magnum 35’, con un paio di motori a benzina, nel 1967, costava 40mila dollari (qualcosa tipo 425 milioni di vecchie lire o 219mila euro di oggi): una cifra pazzesca per quegli anni. Ma Don andava tranquillo: “Le donne amano gli uomini con queste barche”, sosteneva e, proprio lui ne era la prova vivente: in cantiere, aveva voluto/dovuto dotare il retro del suo ufficio come un comodo e accogliente “pied a terre/garçonnière” per degustare, comodo e tranquillo, i frutti delle sue innumerevoli conquiste in campo femminile.
Nel febbraio del 1967, alla Sam Griffith Memorial Race, debuttarono i primi Magnum 27’ con i gruppo entrofuoribordo Mercruiser da 325 cv: era nato il binomio Aronow- Kiekhaefer. Il boss della Mercury aveva infatti acquistato un paio di questi scafi e li aveva motorizzati con una coppia di quei suoi potenti efb, mentre Aronow stesso aveva optato per una versione monomotore. Bill Sirois vinse la gara con il modello bimotore, Don arrivò quarto assoluto con il modello meno potente. E nella gara successiva, la Catalina Challenge, il nostro Tarzan si piazzò secondo, appena alle spalle di Maury Fortney che disponeva di uno scafo con ben mille cavalli… La fama correva veloce, il nome del nuovo cantiere era su tutta la stampa specializzata e non: i clienti avevano liste d’attesa impressionanti perché Magnum Marine non riusciva a produrre più di due barche al mese… Ma il meglio doveva ancora arrivare perché quella stagione di gare avrebbe consacrato Aronow come il “miglior” pilota del mondo.
Incominciò con l’arrivare secondo assoluto, su 63 partiti, alla pazzesca “Bahama 500” (una gara lunga oltre 800 chilometri) alla guida di un Maltese Magnum da 27’ spinto da tre motori fuoribordo Mercury da 110 cv (e, per la gloria dei Magnum, uno scafo gemello giunse terzo alla guida di Jim Harkin). Poi rischiò la vita, assieme al fedele meccanico Norris “Knocky” House, durante la Gateway Marathon a bordo di Old Yellar II°, un 27’ Magnum: un serbatoio di benzina si ruppe, il carburante prese fuoco e l’esplosione eiettò i due piloti in cielo e poi in mare. Per questo si salvarono da quel rogo totale.
Quindi iniziarono anche le gare in Europa. Aronow arrivò con due barche carrellabili e gemelle: una era spinta da un monomotore Mercruiser da 450 cv e, a suo avviso, era da usarsi in condizioni di mare calmo, mentre l’altra, con tre fuoribordo Mercury da 110 cv ciascuno, era da preferire in caso di mare agitato. La “truppa” che operava in Europa era composta da suo figlio, Michael Aronow e dal fido “Knochy” House. Poiché il calendario, sia di qua che di là dell’Atlantico, era molto fitto (complessivamente 25 gare in programma) Aronow andava avanti e indietro in aereo, la “truppa europea” spostava le barche da un punto all’altro del vecchio continente, mentre il pilota-costruttore, quando era negli Usa, correva con un Magnum 35’ o con una nuova barca sperimentale chiamata “Banana Boat”(una carena che si rivelò dannatamente pericolosa a detta dello stesso Don).
Proprio quell’anno, il 1967, lo avevo conosciuto: aveva da poco conquistato un prezioso secondo posto al Wills Trophy in Gran Bretagna e poi era venuto in Italia. La incontrai la prima volta, alla nuovissima gara di Napoli: qui era stato accolto in modo decisamente esagerato. Francesco Cosentino, pilota offshore ma soprattutto Segretario Generale della Camera dei Deputati, lo aveva fatto prelevare all’uscita dell’aereo e trasportare, senza passare il controllo passaporti, la dogana eccetera, fuori dall’aeroporto dove una grande limousine aspettava il campione americano per portarlo in un albergo sul Golfo dove a suo nome trovò prenotata e offerta una grandiosa suite.
Poi, in gara, Don era arrivato appena 32 secondi dietro al vincitore, il Delta 28’ dei fratelli Gardner (ma gli inglesi avevano volutamente “controllato” la situazione senza mai aprire al massimo il gas). Quindi lo avevo rivisto poche settimane dopo, a Viareggio per la V.-B.-V. dove l’americano, che aveva scelto lo scafo trimotore puntando su mare formato, era stato tradito dalla calmissima “laguna” che c’era quel 16 luglio, fra la costa toscana e la Corsica (in quella occasione il Delta 28’ dei Gardner aveva preceduto al traguardo Bob Rodman di soli 8 secondi e aveva stabilito la nuova media record di qualsiasi gara offshore: 48,577 nodi, una velocità impressionate per quegli anni).
Don aveva chiuso la doppia traversata al settimo posto. Lo avevo incontrato successivamente a Les Embiez, in Francia, per il Trofeo “Dauphine d’Or” dove, su un mare da far paura, aveva, invece, vinto alla grande. Anche in questo caso aveva “sbagliato barca” avendo scelto il modello con un solo efb (quindi quello che, secondo lui, si doveva usare con mare calmo) ma in quella occasione a vincere fu il pilota e la sua straordinaria forza fisica più che lo scafo: era, fra l’altro, la prima volta che una gara offshore importante veniva vinta da una barca monomotore. La stagione europea era proseguita con la vittoria nella gara scandinava di Oregrund e il terzo posto alla Cowes-Torquay, in una prova piena di incendi (tre barche avevano preso fuoco e una stava per affondare).
Ma l’avventura più incredibile aspettava Don e l’ormai inseparabile “Knocky” in ottobre di quell’anno, alla Long Beach – San Francisco Classic. I due erano in testa, il mare era molto arrabbiato e la barca faceva dei voli pazzeschi. Ad un certo momento ci fu un onda che la proiettò a quasi 5 metri d’altezza, proprio mentre passava a bassissima quota un elicottero di fotografi. E uno scarpone del veivolo sfiorò di un niente la testa di Don per poi battere duro sul ponte di coperta.
Per fortuna non ci furono feriti ma, dopo alcuni secondi di assoluto silenzio, Don disse a “Knocky”: “What are ya gonna do when we get to Morro Bay?Qual è la prima cosa che farai appena arrivati al traguardo?” e “Knocky” rispose: “ The first thing I’m gonna do is get in the shower. I just s— in my pants. Farò una doccia: me la son fatta addosso!”. Al che Aronow contestò: “I get the shower first, I own the boat. La doccia, prima io: sono il padrone.” Capito il tipo? In breve: alla fine dell’anno Aronow vinse il titolo mondiale. Oltre a quello nazionale americano.
E’ interessante ricordare come, alcuni anni dopo, Don Aronow abbia scritto a proposito di questo periodo:
Wynne aveva visto delle carene a V molto interessanti in Europa, più lunghe e più strette di quella realizzata nei Bertram da Ray Hunt. Lo colpì particolarmente il disegno del “Trident” fatto in Inghilterra dal mio amico “Sonny” Levi. Si chiamava “Trident” perché era equipaggiato con 3 motori Volvo.
L’interesse di Wynne per questa barca non era solo casuale, poiché egli aveva inventato la versione moderna del piede poppiero per la Volvo in Svezia. Ma fu solo dopo la vendita del Donzi a Teleflex e l’apertura del Magnum Marine che approfondimmo il problema della carena. Scoprimmo che il numero, la larghezza e la collocazione dei pattini erano molto importanti in relazione all’andatura della barca, all’acqua che prendeva, al rientro eccetera. Scoprimmo come integrare la carena con i pattini ricurvi sulla carena stessa, per ottenere la velocità massima, e come ottenere il migliore rientro possibile, considerato che questo può dare la vittoria o provocare il fallimento nelle gare oceaniche quando il mare è agitato.
Erano, quelli, anni fervidi di invenzioni, prove, sperimentazioni. Però è anche sintomatico registrare come evidentemente i “veri” progettisti fossero davvero pochi e molto si facesse per tentativi. Come che fosse, adesso nell’offshore tutti volevano uno scafo Magnum. Il primo italiano a entrarne in possesso fu Vincenzo Balestrieri, alla luce del fatto che solo chi disponeva del binomio: barca Aronow (Magnum)- motori Kiekhaefer (Mercruiser) poteva ormai sperare di vincere il titolo mondiale offshore. Per non saper né leggere né scrivere, l’ex proprietario della Navaltecnica si comperò lo scafo usato di Aronow, quello monomotore, per correre in Europa e un 28’ bimotore nuovo per correre negli Usa. Vincendo la Sam Griffith Memorial Race (con il meccanico Don Pruett ai comandi dello scafo), arrivando secondo dietro a “Surfury” nel Wills Trophy, vincendo a Roseto degli Abruzzi, a Napoli, a Viareggio, a Les Embiez e in Svezia il pilota romano riuscì a conquistare sufficienti punti per raggiungere il titolo mondiale nonostante l’affondamento della sua barca durante la rabbiosa “Cowes- Torquay” del 1968. E Don?
Quell’anno aveva avuto, alla vigilia della “Bahama 500”, un grave incidente durante il collaudo di un nuovo Magnum 27’ spinto da un Mercruiser di grande potenza. La barca aveva fatto spin-out e scaraventato fuori bordo sia lui che “Knocky”. Don era finito in mare, il meccanico era invece riuscito ad aggrapparsi al ponte e a “recuperarsi” all’interno dello scafo riuscendo poi a spegnere i motori. Aronow, malconcio, dichiarò che avrebbe comunque preso il via alla lunghissima gara, ma quella notte stessa venne ricoverato in sala rianimazione dell’ospedale Mt. Sinai di Miami. E ci rimase per un bel po’di giorni con lo sterno fracassato, i muscoli strappati e le ossa molto ammaccate. Per questo, nel 1968, Don Aronow corse solo negli Usa vincendo però abbastanza gare per confermarsi campione nazionale: un “place” commerciale tutt’altro che banale in un paese che raramente guarda oltre i propri confini. Ma, soprattutto, quell’anno il gigante indistruttibile si divertì con un nuovo giocattolo: un 21’ in legno spinto da un diesel V-6 Daytona con il quale strappò alla amica svedese Pia Boghammar, il record mondiale di velocità per scafi con motori a combustione interna.
Inizialmente quel record era stato di Dick Bertram e del suo “Brave Moppie”, quindi era passato a Max Aitken e al suo “Merry-Go- Round”. In quel momento persino l’avvocato Agnelli era intenzionato a tentarne la conquista con il suo “Ultima volta” ma poi al record era arrivata questa ragazza svedese e il presidente della Fiat aveva abbandonato il progetto: “Non lotto contro le donne”, disse da vero gentleman ma anche pensando che sarebbe stata “vittoria” ironizzabile.
Don, come sempre, non era andato, invece, troppo per il sottile e si era preso quell’alloro facendo fermare i cronometri su una media di 64,5 mph (quasi 56 nodi, 103 km/h). Va però segnalato che, mentre gli scafi di Bertram e di Aitken erano vere e proprie barche offshore lunghe oltre 10 metri e mezzo, quella di Aronow era una “sogliolina-schizzetto da acque immobili” che arrivava a stento ai sei metri e dentro la quale ci stavano giusto il motore e il pilota… Un’idea, questa della barca “minima”, ripresa successivamente da Fabio Buzzi per far fare quel particolare record a Carlo Campanini Bonomi (Venezia, 1979 – 103 nodi, 191 km/h) e, successivamente, a sé stesso (1992: 135,9 nodi, 252 km/h).
Nel frattempo il cantiere Magnum aveva venduto cinque esemplari del suo 27’ alla U.S. Coast Guard che ne aveva poi dedicato tre alla sicurezza personale del nuovo presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon e della sua casa in Key Biscayne, a Miami. Altre barche erano andate allo Scià di Persia, a principi arabi e a magnati americani.
Sul finire della stagione Aronow e “Knocky” House furono interpreti di un altro tremendo incidente: a tre sole miglia dal traguardo della Miami-Nassau, quando il loro Magnum 27’, spinto da due Mercruiser da 425 cv, era largamente in testa. Un serbatoio di benzina esplose: Don volò in mare, “Knocky” benché ferito, riuscì ad agguantare la zattera autogonfiabile e a gettarsi in acqua prima della definitiva trasformazione dello scafo in un falò. Il meccanico sanguinava e Don s’incazzò: “Knocky, vuoi smetterla di seminar sangue che attiri gli squali!”, gli disse. Prima che gli squali arrivassero, la Coast Guard li recuperò.
Per consolarsi della perdita di quello scafo (e di quello affondato da Balestrieri nella Cowes-Torquay) e tanto per non perder il ritmo, Aronow vendette il cantiere Magnum alla Apeco (American Photo Copy Co. ) comprò un altro pezzo di terra, meno di mezzo miglio a est dei capannoni di Donzi e Magnum, sempre sulla solita 188 Street. Ogni due anni la storia si ripeteva, con una “ritualità” impressionante.
E Aronow diventava sempre più ricco e famoso. S’era fatto una bella villa a Coral Gables e da qui raggiungeva il posto di lavoro con “Missile” un catamarano (originalmente disegnato da Angelo Molinari e poi modificato dallo stesso Aronow) da 16’ spinto da un fb Mercury da 125 cv: una barca da 60 nodi. Inoltre, tanto per non farsi mancar nulla, faceva da “testimonial” per la pubblicità degli orologi Rolex e delle candele (da motore) Champion e del cognac francese Hennessy…
Qualche anno dopo, a proposito di questo periodo, Don avrebbe scritto:
Dopo che ebbi venduto il cantiere Magnum, Bertram venne fuori con i suoi nuovi 32′. Questi scafi, validissimi e veloci, erano troppo per i miei Magnum 28′ quando il mare era cattivo. Volevo una barca più grande e andai da Magnum, la mia vecchia ditta, perché me la costruissero. Si rifiutarono. Allora mi rivolsi a un amico, Elton Cary, e ci accordammo per la costruzione di un 32′ su mio progetto con il marchio Cary. Era il prototipo dei Cigarette e lo chiamammo “The Cigarette”. Si trattava in realtà di un 28′ ingrandito con una lunghezza di 32′ e una larghezza di 9′ 4″ e nel quale si otteneva quel maggiore rapporto lunghezza/larghezza (L/l= 3,4) che avevo ricercato per anni.”
In realtà il nuovo cantiere di Aronow, che era vicinissimo ai due precedenti, aveva già iniziato a produrre scafi ma ufficialmente non poteva commercializzarli bloccato com’era da una clausola del contratto di vendita di Magnum che gli proibiva di fare barche sino al 1970. Da questo, l’escamotage di fingere che quelle imbarcazioni fossero della Cary Marine: cosa piuttosto improbabile visto che Elton Cary era solo un importante assicuratore di Miami (naturalmente amico di Don) e non un fabbricante di natanti da diporto. Ma, come già detto, Aronow tanto era bravo sul mare tanto era figliodibravadonna a terra.
Il nome “The Cigarette” nasceva da un famoso scafo di contrabbandieri dell’epoca del proibizionismo (gli anni Venti) che, poiché imprendibile, era diventato “leggenda” proprio nella zona dove il pilota era nato, e anche dal fatto che uno dei primi Formula si era già chiamato così (quello che aveva portato Don al secondo posto nella Miami-Key West del 1963). La motorizzazione del nuovissimo prodotto era data da una coppia di altrettanto nuovissimi Mercruiser da 475 cv dotati a loro volta dell’ancor più nuovo “piede” Speedmaster.
Per l’esordio pubblico e ufficiale (sia pure sotto falso nome) della nuova barca, Don scelse una gara che, il 22 marzo del 1969, portava i concorrenti da Long Beach (subito a sud di Los Angeles, California,Usa) a Ensenada (Bassa California, Messico). Non solo vinse, alla media di oltre 58 nodi, con sette minuti di vantaggio su Bill Wishnick che pilotava uno scafo Bertram da 31’ spinto dagli stessi nuovi motori Mercruiser del suo Cigarette ma si tolse anche la soddisfazione di arrivare prima di Edwin Wade, il sindaco di Long Beach, che aveva fatto lo stesso percorso in auto (ovviamente via terra) partendo addirittura un’ora prima.
Quella fu una gara dove gli squali, sì, proprio i pescicane, la fecero da protagonisti: oltre sei barche ebbero le eliche fracassate dall’impatto con quei re degli oceani. Ma registrò anche un altro elemento molto più importante: nessuna delle prime dieci barche arrivate al traguardo finale aveva trasmissioni immerse. Erano, infatti, tutte con gruppi efb oppure semplicemente fb. Una parte della motonautica classica era morta per sempre. Peter Du Cane, il grande progettista inglese responsabile dell’ufficio tecnico del cantiere Vosper, nel suo fondamentale libro “High Speed Small Craft”, nel 1974, avrebbe scritto una celebre frase a questo proposito:
“Con l’arrivo del power trim, cioè della possibilità di variare l’inclinazione del piede poppiero, quindi l’angolo di spinta dell’elica e, in pratica, l’assetto dello scafo, anche un tronco d’albero può oggi vincere una gara d’altura”.
Più chiaro di così…
I successi del Cigarette si moltiplicarono rapidamente: primo alla Gateway Marathon su un mare furibondo (solo dieci scafi all’arrivo dei trentuno partiti), primo alla pazzesca “Bahama 500” alla media di quasi 56 nodi su un percorso di 800 e più chilometri… e sapete di quanto Don ha superato il secondo, Mel Riggs che disponeva di un Bertram 31’ con gli stessi motori? Cinque decimi di secondo! Dopo 8 ore e 24 minuti di gara. A dimostrazione che ormai gli scafi (le carene) contavano relativamente, specie se il mare era calmo.
Dal canto suo Aronow raccontò che aveva fretta di arrivare perché era sotto attacco di una fastidiosa crisi di diverticolite… Le malelingue dissero, invece, che Riggs, pilota ufficialmente stipendiato da Carl Kiekhaefer, aveva “lasciato” vincere Aronow perché “grande e importante” cliente dello stesso Kiekhaefer… Insomma che “più che l’onor potè il denaro” e, se non era vera, era ben inventata.
Intanto in Europa, Balestrieri e Cosentino avevano creato il loro Tornado Racing Team e correvano con scafi Bertram e motori Mercruiser. Vincenzo Balestrieri aveva già vinto la prima gara continentale, il Wills Trophy in Gran Bretagna, alla media di 60,34 nodi (nuovo record mondiale per le gare offshore) precedendo di pochi secondi il compagno di team Cosentino. Ma, per la gara successiva, il Trofeo Napoli arriva dagli Usa il guastafeste Aronow con il suo nuovo e prepotente Cigarette. Poco dopo il via, quel 29 giugno, Balestrieri ha problemi con un flap, Aronow prende la testa e, a metà delle 180 miglia di gara, ha circa 10 minuti di vantaggio su Cosentino.
Ma quando arriva al traguardo, l’americano trova all’approdo del vincitore lo scafo Bertram proprio di Cosentino, arrivato già da oltre 11 minuti. “That’s impossible!”, urla Don e aggiunge: “Nessuno mi ha mai superato!”. La stampa italiana parlerà di maggior abilità del Segretario Generale della Camera dei Deputati nel tenere la rotta lungo le coste campane… mentre qualcuno, sottovoce, ipotizza invece che il Tornado abbia tranquillamente saltato alcuni ceck point: mica facile recuperare complessivamente ben più di venti minuti in appena 90 miglia di gara quando si fila a oltre 40 nodi…
Aronow incomincia a capire che lo straordinario apparato d’accoglienza che proprio Cosentino gli aveva offerto a Napoli due anni prima, e che lo aveva tanto incantato (niente controllo passaporti, niente dogana, limousine all’uscita, suite in albergo eccetera) andava pagato e, dopo un po’, abbozza accettando per buona una confusa spiegazione sulla rotta “migliore” fatta dal nostro portacolori. Abbozza sì ma medita vendetta. E che vendetta! Vince a Viareggio, passando alla boa di Bastia con già due minuti e mezzo su Balestrieri e oltre quattro su Cosentino.
La media finale per l’americano sarà di 64, 428 nodi, nuovo record mondiale (in questa occasione io ho fatto il mio esordio come pilota offshore con “Barolodelta”, uno scafo del cantiere Sapri spinto da una coppia di diesel Perkins da 140 cv cadauno: 36,10 nodi la mia media, sniff! Anche se, oltre 900 cv benzina e su piedi poppieri non si possono confrontare con 280 cv diesel e con trasmissioni classiche con assi e eliche immerse..). Il furibondo Aronow vince nuovamente in Francia al Trofeo “Dauphin d’Or”.
Poi vince ancora negli Usa alla Hennessy Cup in California. Domina alla Cowes-Torquay a oltre 106 km/h di media e lascia Cosentino a 12 minuti. Tiè! La stampa inglese lo battezza “Aronow Express”. E, infine, straccia tutti nella Miami- Nassau che praticamente chiude la stagione. Otto vittorie nell’anno e tutte stabilendo il nuovo record della specifica gara… Non so se mi spiego. E, ovviamente, secondo titolo mondiale in bacheca. Oltre al terzo consecutivo nazionale americano.
Oramai nessuno si ricorda più del piccolo nome Cary scritto sulle fiancate della barca. Tutti parlano solo dell’Aronow Express e del suo Cigarette. E si rifà la fila dei clienti che, per importanza sociale o per economia, contano anche se non corrono le prove dell’offshore: il re Juan Carlos di Spagna, il principe del Kuwait, il re di Svezia, Carolina di Monaco, Nixon (ormai ex presidente Usa dopo lo scandalo Watergate), Baby “Doc” Duvalier (l’ignobile dittatore di Haiti), Jim Kimberly (il titolare della fabbrica dei Kleenex), Robert Vesco (un tycoon poi accusato di frode, cospirazione contro lo Stato e contrabbando di droga e condannato a 13 anni di reclusione che non scontò rifugiandosi a Cuba), il petroliere Red Adair (che di Cigarette se ne compra addirittura due), il vincitore della 500 miglia di Indianapolis Marc Donohue; Augguie Busch (il padrone della birra Budweiser) eccetera…
Un trattamento particolare viene riservato al re Hussein di Giordania che gli acquista ben 14 (quattordici) barche (oltre che presentargli Lillian Crawford, una sua ex girlfriend, che Aronow avrebbe poco dopo sposato in seconde nozze). E poi, nel 1984, arriveranno anche le fiction televisive di “Miami vice” con Don Johnson (James “Sonny” Crockett) e Philip Thomas (Ricardo “Rico” Tubbs): un giochino che costa 1,3 milioni di dollari a puntata… ma che ha centinaia di milioni di telespettatori in tutto il mondo. Insomma: una macchina da soldi, questo Don Aronow.
Dal giorno in cui aveva lasciato il mondo della mediazioni immobiliari nel New Jersey e in soli nove anni, Don era diventato l’uomo i cui scafi avevano vinto più gare di tutti e in qualsiasi mare o oceano. Alla fine di quel 1969 lo riempirono di onorificenze e titoli accademici, partecipò a non so quante trasmissioni televisive ma soprattutto raggiunse un accordo con i proprietari del suo precedente cantiere Magnum che gli consentirono di lavorare ufficialmente con il nome di “Cigarette Racing Team”. A quel punto Aronow annunciò ufficialmente il suo ritiro dall’agonismo, notizia che rese piuttosto felici tutti gli altri piloti delle gare d’altura. Complessivamente aveva vinto, alla guida delle sue varie barche, sedici corse, due titoli mondiali e tre campionati nazionali americani in soli sette anni.
Libero di produrre, Don si inventò una nuova barca: il Cigarette da 36’, strinse un nuovo patto con Carl Kiekhaefer e nel novembre del 1970 presentò la sua creatura alla Miami- Key West. Si chiamava “Aeromarine” ed era affidata alla guida di Bob Magoon e di Gene Lanham. Sotto la spinta dei potenti efb “Aeromarine” (ex Mercruiser) da 475 cv, lo scafo vinse senza fatica nonostante una avaria meccanica a poche miglia dal traguardo avesse messo in difficoltà la barca. Come sempre Aronow era partito per la sua nuova avventura motonautica con il piede giusto.
In realtà il precedente 32’ Cary-Cigarette era uno scafo piuttosto pericoloso specie con mare di poppa e tirava a fare spin-out con una certa frequenza. Allungando la dimensione della barca di 4 piedi, Aronow aveva anche aumentato un po’ la portanza delle sezioni di prua e diminuito questo fattore negativo. Ma pochi capirono il valore di questa variazione, molti continuarono a correre con il piccolo 32’ (che io avevo crudelmente definito “una bara volante”) finché non ci scappò il morto. Che in realtà furono due: i fratelli australiani Paul e Var Carr. Questo però io non lo potevo sapere quando, a Detroit, mi stavo per presentare allo stand di Don Aronow, durante il locale Boat Show. Il drammatico incidente (il primo nella storia di questo sport) sarebbe, infatti, accaduto solo l’anno successivo: nel marzo del 1972.
Come ben sapete, durante un Salone nautico l’atmosfera generale è sempre piuttosto ricca di enfasi e adrenalina. Allo stand dei Cigarette c’era il caos. Una infinità di gente di ogni tipo: belle ragazze, vecchi pseudo marinai, ricchi magnati e un congruo numero di facce di contrabbandieri. Ciononostante Don mi vide e mi riconobbe forse perché avevo un aspetto un po’ diverso da tutto quello che lo circondava, forse perché gli ricordavo la solidarietà che gli avevo offerto in Italia sia nel 1967 quando aveva vinto con i due piccoli Magnum sia due anni dopo, soprattutto in occasione dello spiacevole “incidente” di Napoli con Cosentino. Mi strizzò l’occhio e mi strinse la mano: mi fa ancora male. Mi piantò in mano un bicchiere di chissà cosa e mi portò a guardare la nuova barca. Gli dissi che l’opera morta non mi interessava e mi misi a studiare la carena. Rise. Era il primo Cigarette 36’ che vedevo da vicino: in Italia erano arrivate alcune foto con la barca che volava sopra alle onde ma … non mi bastava.
Don fu molto gentile, si accovacciò in fianco a me e mi spiegò le variazioni fatte rispetto al 32’…poi lo chiamarono: c’era una troupe televisiva che voleva intervistarlo. Mi chiese scusa e se ne andò. Ricordo che appoggiai il bicchiere ancora pieno su un lato dell’invasatura che reggeva quella barca che avrebbe dominato gli anni successivi in tutte le gare e me ne andai, sperando di arrivare all’aeroporto in tempo utile per il mio volo verso Boston.
Riincontrai Don nel luglio del 1973. A Viareggio. Era impalato, immobile sotto alla gru che stava varando “Arcidiavolo I°”, il trimarano a triciclo rovesciato che “Sonny” Levi aveva progettato (e Acquaviva costruito) per Giorgio Tognelli. Gli occhi del costruttore americano erano due fessure. Taglienti. Lo sguardo andava da prua a poppa e si soffermava su quella trasmissione con elica di superficie che per la prima volta si vedeva su un importante campo di gara. “Hi, Don”, dissi. “You!” rispose fra lo stupito e il divertito, notando che avevo in mano il capo di una cima che scendeva dalla prua di quella barca appesa alla semovente. “E’ tua la barca?”, domandò. Scossi il capo: “Sono solo il secondo…” “Il secondo conta molto: non avessi avuto “Knochy” House come secondo non avrei vinto tutto quello che ho vinto”, garantì. Poi riprese a studiare la barca: “Interessante. E’ di “Sonny” Levi il progetto, vero?” “Sì.” “E che velocità fa?” “Prima o poi dovrà fare più di 60 nodi”, dissi incrociando le dita. “Non ci credo”, disse implacabile.
Avevo una Nikon al collo e gli scattai un paio di foto con Arcidiavolo che gli ciondolava proprio sopra alla testa.
Quando, tre anni dopo, Arcidiavolo II° che, sostanzialmente aveva la stessa geometria di carena, stabilì il record mondiale di velocità per la classe 2 (max 8 litri di cilindrata) filando 67,69 nodi cioè appena 8,6 nodi meno del record appena stabilito dal nuovissimo Cigarette 35’ di Tom Gentry, un classe 1 (16 litri di cilindrata) spinto da due stratosferici Aeromarine da 600 cv ciascuno espressamente preparati, gli mandai un telegramma con la notizia che i 60 nodi erano stati largamente superati. Non rispose.
Non che non fosse sportivo. Forse gli era rimasta l’idea che in Italia si facessero cose un po’ truccate… E, inoltre, non aveva alcuna fiducia nelle trasmissioni con eliche di superficie. Anche i più bravi sbagliano.
Negli anni successivi i Cigarette vinsero tutto quello che c’era da vincere. La gamma si estese a modelli da 20’ e da 28’ (entrambi solo per il diporto), da 35’ e da 40’(sia diporto che corsa). A proposito del 35’ Don avrebbe scritto:
Abbiamo provato qualcosa di nuovo con il 35’, cioè con una carena i cui due lati sono superfici piatte (senza curve) dallo specchio di poppa fino a circa 3 metri verso prua e poi si “piegano” verso l’alto fino alla prua. Questa struttura permette alla barca di correre alle velocità massime quando le condizioni del mare sono buone. Quando la barca, in acque agitate, tende ad ingavonarsi, i pattini spingono nuovamente verso l’alto la prua per rimettere lo scafo in buon assetto. Con la sua larghezza di 8’ e la lunghezza di 35’ si ottiene un rapporto di 4,375 a 1… proprio ciò che avevo cercato in tutti questi anni, e funziona!”
Poi, nel 1977, ci fu un casino: UIM e APBA (American Powerboat Association) decisero che il titolo mondiale si sarebbe assegnato sulla base di una unica prova. Chi vinceva quella gara era campione del mondo: una immensa stupidaggine. Aronow, per protesta, smise di costruire barche da corsa (tanto quelle sue che c’erano in giro continuavano a vincere comunque). E l’anno dopo, indovinate cosa fece? Sì, giusto, indovinato (però era domandina facile facile, eh…): vendette anche questo cantiere, il leggendario “Cigarette Racing Team”. Alla Halter Marine Services Corporation, una azienda di New Orleans che aveva il monopolio degli scafi di servizio per il collegamento con le piattaforme petrolifere in mare aperto.
Per riposarsi un po’, il gigantesco Tarzan si diede all’ippica. Non sto scherzando. Intendo dire che comprava cavalli da corsa e li faceva montare da qualcuno meno pesante di lui. Ma anche in questo settore pretendeva di vincere. E vinse parecchio. Il cavallo che gli diede più successi si chiamava “Don Aronow”, ma va? Già: un nome, una garanzia.
Però, e benché nessuno lo avesse mai visto con una matita in mano, “designing powerboats was his true love” disegnare barche a motore era il suo vero amore e così aprì un nuovo cantiere cui diede nome “Squadron XII”. Il dodici voleva dire che non si sarebbero prodotte più di una dozzina di barche all’anno. Questo per rispettare uno dei vincoli imposti dall’accordo di cessione di Cigarette a Harold Halter. La notizia ovviamente non rimase segreta e così, all’iniziò del 1981, Halter gli telefonò e gli propose di tornare ad occuparsi di Cigarette offrendogli una paccata impressionante di dollari: quel che si dice una proposta che non si poteva rifiutare! Aronow accettò, fuse Squadron XII con Cigarette e tornò in pista.
Nacquero nuovi modelli: un 27’, un 39’ e un 41’ che si andarono a sommare ai vecchi modelli di Cigarette. Non ci furono più moltissime vittorie nell’offshore dove molte regole erano state cambiate ma in compenso gli affari andavano a gonfie vele: c’erano quattro stabilimenti impegnati nella costruzione dei vari tipi di barche e la fila dei clienti sembrava inesauribile. Nel ’82 Don rilevò tutte le quote del suo vecchio cantiere Cigarette da Halter e …sì, certo, dopo appena 5 mesi lo rivendette: questa volta a Jerry Jacoby che, l’anno prima aveva vinto il titolo mondiale con un Cigarette speciale da 37’6” e che aveva creato una cordata di investitori per entrare in possesso di quel logo-miniera d’oro che era diventato il binomio Squadron-Cigarette. Ma l’esperienza del passato aveva fatto furbi in nuovi acquirenti: pagarono molto ma imposero una clausola che proibiva a Aronow di costruire e produrre qualsiasi tipo di scafo a motore con carena a V profonda entro la lunghezza di 60’ (poco più di 18 metri). Almeno sino al maggio del 1987, cioè per cinque anni.
Figurarsi se un tipo come Don si preoccupava di un accordo del genere. La prima cosa che fece fu, infatti, acquistare un capannone a poco meno di 100 metri, sempre a est dei suoi vecchi cantieri e sempre sulla stessa strada e sullo stesso canale. Non credo fosse superstizioso: forse quel luogo lo attirava. Troppo, dirà la storia.
Se l’accordo proibiva la costruzione di scafi con carena a V profonda, bastava fare un catamarano per non infrangere il patto: elementare, no? Per distrarre inizialmente l’attenzione, Aronow si mise a trafficare con Don Shead e a farsi costruire in Gran Bretagna un SES su licenza della Hovercraft: un barcone da 45’, largo 18’ e spinto da due eb Mercury da 400 cv più un fb sempre Mercury da 170 cv. In prova, dicono, questa barca ha superato i 50 nodi ma l’esperimento non ebbe né seguito né conseguenze. A Miami, intanto, era entrato in costruzione un catamarano puro da 9 metri: si chiamava “Aronow Unlimited” e montava una coppia di Chrysler, modificati Keith Black, da 1.170 (millecentosettanta) cv ciascuno.
Nelle prove sfiorò i 150 nodi (oltre 280 km/h). E alla prima gara cui partecipò (la Tri-City-Washington Unlimited) giunse secondo assoluto. Bingo! Il nuovo cantiere, il sesto della serie, si chiamò “Usa Racing Team” e iniziò a produrre questo catamarano da 30’ che, sotto la spinta di quattro motori fuoribordo Johnson da 425 cv cad. (forniti personalmente da “Charlie” Strang, presidente della Outboard Marine Corp.), filava circa 130 nodi. Li fece registrare alla prima gara cui venne iscritto a Houston nell’ottobre del 1983. Ma il richiamo per il mare aperto, per le gare oceaniche era troppo forte e Don Aronow decise che un catamarano per l’offshore andava studiato e fatto. Fece in fretta: prese i disegni del suo glorioso 36’ Cigarette, lo allungò di 3 piedi (un metro), lo tagliò in due e collegò le due parti con un tunnel largo 1,30 m per una larghezza totale dello scafo di 3,50 m. Il prototipo venne motorizzato con una coppia di British Ford Sabre turbo-diesel da 500 cv cad. e affidato alla guida di Willie Meyers e Sheran Whitmore. Partecipò alla Around Britain Offshore Powerboat Race (il Giro d’Inghilterra) ma ebbe noie meccaniche. Cambiato il nome in “Agfa” e sbarcato Whitmore, la barca prese il via alla Cowes-Torquay del ‘84 e giunse seconda assoluta alle spalle di “Cinzano Bianco” del nostro Renato Della Valle. Nuovo bingo!
La vollero in molti quella barca: chi ci montava una coppia di Mercruiser (da 440 o da 575 cv), chi una coppia di motori Hawks da 530 cv ma quello che volle provarne una personalmente, nel gennaio del 1984, fu un tale di nome George Bush (padre) in quel momento vice-presidente degli Stati Uniti e che era già stato cliente di Aronow per “Fidelity”, un piccolo Cigarette, ai tempi in cui era ambasciatore Usa presso l’Onu. Con lui c’era anche Malcomb Fergusson, il capo della Custom (la Guardia di Finanza americana). Per quel test Don si portò dietro il buon “manico” Willie Meyers e l’oceano attorno a Miami era abbastanza inquieto per garantire un ottimo banco di prova. In breve: Bush e la Custom ordinarono immediatamente uno di quei cat che fu chiamato
“Blue Thunder” e, subito dopo, altri dodici. Un bel botto. Erano chiaramente barche destinate ad esser impiegate per il pattugliamento veloce contro i contrabbandieri di droga colombiani che portavano la loro mercanzia in aereo da Calì a Cuba, qui la paracadutavano in mare e poi, con scafi velocissimi, la introducevano a Miami. (Nel 1989 a La Habana venne fucilato il generale cubano, un eroe della revolucion, Arnaldo T. Ochoa Sánchez, accusato di esser coinvolto in questi traffici).
Come sempre accade in questi casi, quel velocissimo (e capiente) catamarano non interessava solo la Custom ma anche i contrabbandieri stessi. E c’era un modo molto semplice per averne: bastava andare da Don Aronow. Ricordate il suo motto: “Non mi interessa sapere chi sei ma ti darò la barca se hai abbastanza soldi per pagarla”? Gente che correva nell’offshore e aveva come primaria attività quella di contrabbandare marijuana e cocaina ce n’era parecchia: già il 4 settembre 1981, il New York Times aveva titolato: “Venti tonnellate di marijuana e 33 catturati a Long Island”.
Nell’elenco dei contrabbandieri presi, figuravano molti narcotrafficanti colombiani ma anche uno dei maggiori clienti del duo Aronow – Kiekhaefer, Giuseppe Ippolito jr. che correva in offshore con lo scafo “Michelob Light”, un Cigarette naturalmente. Fra gli arrestati c’era persino Richie Powers che, per anni, era stato il meccanico di Carlo Bonomi, poi di Tom Gentry e dello stesso Ippolito jr. Al processo, Ippolito si era beccato otto anni di galera, Powers solo uno avendo in qualche modo dimostrato di non sapere esattamente cosa stava trasportando…
A questo punto della storia bisogna fare un piccolo passo indietro. Nel 1984 Don, oltre che da Bush padre, era stato avvicinato anche da Ben Kramer perché questo giovane voleva assolutamente vincere il campionato nazionale e magari anche quello mondiale offshore. Così Ben e suo padre Jack, avevano comprato un ennesimo pezzo di terra sempre vicino ai vari cantieri ed ex cantieri di Aronow e gli avevano chiesto di aiutarli a realizzare questo desiderio di gloria motonautica. In quel periodo Don era sotto clausola che gli impediva di realizzare scafi monocarena a V profonda ma disse comunque di sì e “aiutò” Ben Kramer a costruirsi un 41’ firmato “Apache Marine” (e con il quale il pilota avrebbe poi vinto il mondiale nel 1984). Ma… sorpresa! I Kramer (padre e figlio), agli inizi del 1985, chiesero a Don anche di vender loro il suo nuovo cantiere “Usa Racing Team”.
Offrirono in cambio: un elicottero, un terreno edificabile e un bel mucchio di quattrini (si dice un milione di dollari). Questi ultimi, in nero. Don accettò. Ma poco dopo ricevette una sgradevole comunicazione da parte dei responsabili della Custom: “Come? Noi ti ordiamo dodici catamarani per combattere i contrabbandieri e tu vendi il tuo cantiere proprio a loro? E allora noi ti annulliamo l’ordine”. Mmm… Questo Aronow non se lo aspettava ma decise comunque di giocare duro e andò da Kramer: “La Custom ti toglie il lavoro, ma se vuoi io mi riprendo il cantiere”. Kramer disse che era d’accordo. Il cantiere tornò nelle mani del suo fondatore e la Custom confermò l’ordine, anzi – dato che c’era – aggiunse addirittura altri venti esemplari di catamarani da consegnare entro il 1987.
Sulla base di questa garanzia di lavoro, Aronow mise in cantiere anche lo stampo per realizzare una nuova barca, un monocarena da 45’ che intendeva introdurre nel mercato non appena, nel maggio del ’87, la clausola di “non competitività” con Cigarette sui monocarena si fosse esaurita come da contratto. Chiamò questa barca “Ultimate V”. Nel frattempo, altrove, stava terminando un catamarano da diporto da 39’ per il Sultano dell’Oman e una barca per Manuel Antonio Noriega (il leader militare di Panama che, nel 1992, finì sotto processo negli Usa e si prese 40 anni di prigione per traffico di droga) e aveva anche stretto accordi con Dick Genth (già amministratore delegato del cantiere Thunderbird) per tornare assieme nel mondo delle gare. E i rapporti con Jack e Ben Kramer? Aronow restituì l’elicottero e il terreno. “E i soldi?” dissero i Kramer. “Quali soldi?”, sembra sia stata la risposta di Tarzan. (Essendo stati versati in nero, di quei dollari non esisteva, ovviamente, né traccia né ricevuta).
Nel pomeriggio del 3 febbraio 1987, sulla strada statale Nord-Est, 188th Street di Nord Miami Beach, nota in tutto il mondo sportivo come “The Thunderboat row”, qualcuno, da dentro una Lincoln nera, abbassò il finestrino e richiamò l’attenzione di Don Aronow che stava salendo sulla sua Mercedes coupé bianca. Gli disse poche parole. Poi gli scaricò addosso sei colpi di una calibro 45. Don non morì subito. In compenso, Tony Palmisano, un operaio del cantiere di Kramer ufficialmente accorso per prestar soccorso al ferito, mentre il gigante ancora rantolava, gli rubò dal polso l’orologio d’oro Rolex Presidential, poi lo fuse e ne vendette il metallo per 600 dollari… No, tanto per dire che gente lavorava con i Kramer. Il mese successivo Don Aronow avrebbe compiuto 60 anni. Lasciava due mogli, quattro figli, una mezza dozzina abbondante di cantieri e una fama immensa (oltre a un milione di dollari, “nascosti sotto la sabbia” come dicono negli Usa).
Immediatamente ci fu una campagna mediatica ben organizzata (troppo bene per non destar sospetti) che portava l’opinione mondiale a credere in un omicidio dovuto a gelosia da parte di un qualche marito tradito. Non che non ce ne fosse materia (“Costruisco barche sensuali”, amava garantire Aronow: capite a mia?, si usa dire in Sicilia, terra di gelosi) ma… l’ipotesi non convinceva. Poi, lentamente, una specie di verità sembrò venir a galla: un noto contrabbandiere di nome Robert “Bobby” Young venne ufficialmente imputato per l’assassinio di Aronow. E, quasi contemporaneamente anche Ben Kramer, dopo un lungo quanto confuso processo, beccò un po’ di anni di galera.
Nello stesso 1987, un altro pilota offshore, il colombiano George Morales, venne arrestato con 23 capi di imputazione (21 per traffico di droga e 2 per evasione fiscale) e prese 16 anni di prigione. Secondo il “Sun Sentinel” di Fort Louderdale, ben 13 piloti offshore di quegli anni erano veri e propri narcotrafficanti.
E nei grandi catamarani costruiti da Aronow, di droga ce ne stava circa 70 tonnellate: un po’ difficile dire che fosse tutta per “uso personale”…
Stranamente, a oltre venti anni da quell’omicidio, la vera verità non è mai stata appurata e, per la polizia di Miami, tutta l’inchiesta è ancora assolutamente “top-secret”. Come si suol dire, Segreto di Stato: “E’ stato un vero pioniere e, a mio avviso, la maggior autorità nel settore delle barche veloci. Inoltre Don Aronow era mio amico e mi manca.” si legge in una lettera, inviata il 30 agosto 1993, a Michael Aronow da George Herbert Walker Bush, 41° (1989–1993) Presidente degli Stati Uniti d’America.
Sulla vita di Don Aronow sono stati scritti migliaia di articoli e due libri. Tony Scott e la Fox 2000 ne hanno fatto un film, scritto da Michael A.M. Lerner insieme a Jeff Shapiro e Alan Hecht. Dalla vita del pilota è stato inoltre tratto un documentario indipendente realizzato da Max Alvarez. Max, nato in Italia nel 1964, lo ha realizzato in collaborazione con Donald Ranvaud e la Silvio Sardi Communication. Con il titolo “Thunder Man: The Don Aronow Story”, è stato presentato nella versione di 87 minuti a Cannes nel 2007 e poi, nell’aprile 2008, di 52 minuti al Beverly Hills Film Festival dove ha vinto il primo premio quale “miglior documentario”. Al momento Max Alvarez è in fase di pre-produzione di un film intitolato Speed Kills, sempre basato sulla vita di Don Aronow.
Su youtube c’è il trailer di 30’ per il documentario “Thunder Man: The Don Aronow Story” e dove, fra l’altro, c’è anche una triste immagine di Don morto.
Digitando su Google il nome e cognome di questo grande pilota si trovano ben 18.300 citazioni. Una delle più interessanti è quella che si legge alla url: 529852-who-shot-don-aronow dove, il 20 settembre 2008, il giornalista Graig Barnett ha prospettato differenti ipotesi sui motivi di quel omicidio tirando spesso in causa George Bush e dove, fra le altre cose, scrive testualmente:
Suspected as a drug-smuggler and money launderer himself, with supposed links to the Genovese Purple Gang of New York and Meyer Lansky’s crime syndicate, Aronow’s role in marijuana smuggling was reportedly confirmed by Bill Norris, head of the Major Narcotics Unit at the Miami U.S. Attorney’s office.
Sospettato di essere un contrabbandiere di droga e un riciclatore di denaro sporco con ipotesi di connessioni con la banda di Genovese a New York e con il sindacato del crimine di Meyer Lansky, il ruolo di Aronow nel contrabbando di marijuana è stato ufficialmente confermato alla Procura di Miami da Bill Norris, capo della Unità Narcotici.
Qualcuno ha contato le vittorie conseguite dalle imbarcazioni costruite da Don Aronow, nei suoi differenti cantieri, dal 1961 a tutt’oggi: pare siano ben 350 (trecentocinquanta). Mi sembrano molte, forse troppe (una media di 7,5 vittorie all’anno in 47 stagioni complessive?).
Quante che siano e quali siano esattamente i motivi per cui questo uomo è stato assassinato, rimane indiscutibile che nel mondo della nautica e nella dura jungla delle gare offshore è stato un grande.
Un vero Tarzan.
Altomareblu – Tutti i diritti riservati. Note Legali
Gentilissimo Lorenzo Roncoroni,
nel ringraziarti per i tuoi graditi apprezzamenti circa Altomareblu, fa piacere leggere di persone che come te e tuo padre, abbiate avuto modo di apprezzare valide barche come quelle che costruiva il Cantiere Laver di Salerno.
Circa le informazioni che chiedi per il Magnum 38′ e delle altre barche che citi, mi dispiace veramente tanto non essere in grado di risponderti come vorresti, per un semplice motivo: perché non ho mai avuto modo di essere ai comandi di queste unità.
Per esprimere le caratteristiche di navigazione di una barca e confrontarle con altre, si deve obbligatoriamente conoscerle a fondo, soprattutto navigando per ore ed ore ai loro comandi e con varie condizioni di mare. Solo così si possono fare dei paragoni e comunque dare delle indicazioni serie ed attendibili.
Cordiali saluti,
Giacomo Vitale
Buonasera a tutti,
scopro ora e resto affascinato dal sito, complimenti. La combinazione vuole che mio padre, proprio negli anni in cui ero abbastanza grande da inizare ad apprezzare ed amare le barche, si imbattesse nel cantiere Laver ed acquistò uno dei primissimi 40FB.
Ricordo le visite in cantiere a Salerno, il viaggio da Milano ed i primi discorsi tra un padre e figlio uniti dalla stessa passione, radicata in un caso nascente nell’altro.
Ora sempre più appassionato di “belle” barche, sfuggendo ad orrori attuali fatti per apparire e non per navigare, mi ritrovo a cercare di documentarmi ed eventualmente trovare un Magnum 38′. Nel farlo era inevitabile incappare negli altri due 38 Tornado ed Itama, sul meno apprezzato 40′ e porsi inesauribili domande.
Come posso conoscere le differenze i pregi ed i difetti di queste barche?
Grazie per ogni prezioso consiglio.
Lorenzo
Che storia, una vera leggenda! Di sicuro se avrebbe dato molto di piu alla nautica.
Oggi in USA che un certo Reggie Fountain che ricroda un po Don che la sua ricerca di competitiva e battere dei record. Peccato che Reggie non e bravo quanto lui nell buisness….
Grazie Davide,
sì, “Exocetus volans” per esser un motorsailer era ed è capace di filare 37 nodi abbondanti che non è cosa da poco. Merito della stupenda carena disegnata da Renato “Sonny” Levi e dalla forte spinta garantita dalle eliche di superficie. Anche da questo scafo ci sarebbe molto da imparare ma sembra che le cose che funzionano e che hanno dimostrato qualità, non interessino né i progettisti di oggi né i cantieri che si ostinano a sprecare energia e spinta con “opere vive” grottesche.
Come faccio a salutarti Levi se non mi dici come ti chiami di cognome?
Ciao, comunque e chiunque tu sia.
Antonio Soccol
Carissimo Antonio ho avuto il piacere di conoscerti alcuni anni fa in occasione di una tua presenza nella Venezia Montecarlo a bordo di una imbarcazione a vela planante e capace di ottime medie velocistiche. Grazie di narrarci la vera storia della nautica, spero che ci siano ancora aneddoti da raccontare,sei rimasto l’unico a parlare con competenza di barche senza avere obblighi con i vari cantieri. Salutami il grande progettista Sonny Levi.
Grazie a te per aver(mi) letto.
Le storie si scrivono proprio per questo…
L’importante è che sia fedeli alla realtà e chiariscano i dettagli più confusi, senza togliere i meriti a chi li ha.
Antonio
Grazie per avermi chiarito la vera storia di \\tarzan\\. Un vero appassionato di questo sport
Giampi