Rivista Marittima – novembre 2014
EDITORIALE
L’ESSENZA DI UNA DISTINZIONE FONDAMENTALE
Se in un viaggio di piacere a Parigi dovessimo notare all’interno della cancellata dell’Ambasciata americana situata in Place de la Concorde un carro armato «Abrams» e un plotone di Marines in tenuta da combattimento rimarremmo stupiti e ci chiederemmo come mai gli Stati Uniti d’America siano costretti a proteggere una loro ambasciata con un così esagerato dispiegamento di forze da combattimento.
Temono un attacco improvviso e non si sentono sicuri della normale cornice di sicurezza fornita dallo Stato ospite?
Se, invece, proseguendo per il porto di Le Havre dovessimo vedere ormeggiato in porto un cacciatorpediniere della classe «Arleigh Burke», armato di missili da crociera «Tomawak», molto più potente di qualsiasi carro armato, non proveremmo nessuno stupore e tuttalpiù ci informeremmo sulla possibilità di visitare la nave. Infatti, è consuetudine, salvo restrizioni legate alla sicurezza, che le navi da guerra di qualsiasi nazionalità, quando ormeggiate in porto, diano la facoltà alla popolazione civile di salire a bordo per visite guidate.
Perché un gruppo di marinai stranieri seduti in un caffè del centro non costituisce psicologicamente una forma di interferenza né tanto meno una minaccia all’indipendenza del Paese ospitante? O per lo meno, perché la divisa di Paperino con il solino costituisce una presenza più soft della mimetica?
Il motivo di questa differente percezione psicologica si perde nella notte dei tempi è fa parte dell’immaginario collettivo mondiale consolidato in secoli di scambi commerciali attraverso le linee di comunicazione tra un capo e l’altro del mondo. In ogni porto di mare si è abituati al va e vieni di navi mercantili e militari e dei loro equipaggi che scendono a terra più per spendere il loro denaro in un periodo di sosta temporanea, piuttosto che per occupare in modo permanente un territorio.
Questa particolare percezione che l’opinione pubblica mondiale ha assimilato nel tempo nei confronti delle Marine e dei marinai è alla base della Diplomazia Navale che si basa in gran parte sulla psicologia di gruppo delle popolazioni che vivono sulle coste e costituisce alla fine l’essenza di una distinzione fondamentale tra le Marine e le altre Forze Armate.
La Diplomazia Navale è l’insieme delle attività che vanno dalla semplice presenza e dalle visite di cortesia, fino alla minaccia o all’uso minimo della forza, finalizzata a imporre la volontà della propria politica estera. Si tratta di una peculiarità che il decisore politico deve conoscere. Infatti, grazie alla specificità che hanno solo le navi militari si possono ottenere risultati politici concreti senza rischiare di degenerare in aperti conflitti.
Basti pensare che la nave è l’unico mezzo da guerra che gode del «passaggio inoffensivo» nelle acque territoriali di un altro Paese, mentre la penetrazione, senza autorizzazione, di truppe e aerei nei confini di un altro Stato è considerata un atto ostile. Una nave militare gode dell’ extra-territorialità anche quando è ormeggiata in un porto estero.
Lo Stato ospite può richiedere al comandante di uscire subito dalle proprie acque territoriali, ma non ha l’autorità di inviare forze di polizia a bordo o di arrestare un componente dell’equipaggio, anche per un reato commesso a terra. In altre parole 10 Stato rivierasco non ha giurisdizione a bordo di una nave militare estera che, in certe circostanze potrebbe anche fornire asilo politico. Il comandante, oltre a essere il capo di un mezzo militare è anche un diplomatico che grazie all’uso della sua nave può trasmettere diversi tipi di segnali al Paese ospitante: segnali di amicizia e sostegno o pressioni per ottenere specifici risultati.
Sfruttando queste caratteristiche delle navi militari che, unite alla mobilità, alla flessibilità e all’autonomia permettono di permanere nelle aree di crisi, al limite delle acque territoriali altrui, senza chiedere il permesso a nessuno, si possono ottenere risultati diplomatici importanti senza sparare un colpo.
Per questa ragione nel secolo passato i contatti tra il Ministero della Marina e degli Affari Esteri erano così stretti che non soltanto alcuni Ammiragli ricoprirono l’incarico di Ministro degli Esteri, ma i comandanti di nave destinati a compiere lunghe crociere all’estero ricevevano la delega a rappresentare il Govemo italiano nella firma di accordi internazionali, quali «ministri plenipotenziari».
L’articolo dell’Ambasciatore Casardi ci fa riflettere su questa capacità di proiezione degli interessi nazionali italiani, ben oltre il ristretto orizzonte del nostro Mediterraneo che si ottiene recuperando l’antica collaborazione tra la Diplomazia e la Marina Militare anche attraverso le pagine della Rivista Marittima.
Patrizio Rapalino
SOMMARIO
PRIMO PIANO
- Di chi sarà il Polo Nord?
Luca Fevilli
PANORAMA TECNICO PROFESSIONALE
- Il ritorno di Colbert nella politica marittima della Francia?
Maurizio Bottini - Vertice NATO di Newport
Massimo De Leonardis - La rete diplomatica e consolare italiana
Paolo Casardi - La dimensione marittima dell’Indonesia
Francesco Lombardi – Stefano Felician Beccari - Impianti dì estrazione Off-Shore
Aurelio Caligiore – Vmcenzo Ventra - Progetto di ricerca SUBMOTION
Gianpaolo Damiano Bono
SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE
- La corazzata Potemkin
Domenico Vecchioni
STORIA E CULTURA MILITARE
- I Diavoli del Mare davanti a Pietroburgo
Guido Benvenuto - Il Patto di Londra
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SUPPLEMENTO
INDICE
- Premessa
- Situazione politico-militare nel Mediterraneo Allargato
- Valenza economica del Mediterraneo
- Concetto strategico della Difesa
- Compiti della Marina
- Caratteristiche dello strumento marittimo nazionale
- Situazione attuale della Flotta
- Programma navale d’emergenza
- Flotta Verde
- Riflessi del Programma navale sull’industria nazionale
- Reperimento delle risorse
- Iniziative per la rivitalizzazione degli Arsenali della Marina Militare
- Considerazioni conclusive
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