Il vero valore delle Speranzella Levi
di Antonio Soccol
Raymond Queneau (Le Havre, 21 febbraio 1903 – Parigi, 25 ottobre 1976) in “Bâtons, chiffres et lettres” ha scritto:
La grande storia vera è quella delle invenzioni; sono le invenzioni quelle che provocano la storia, sulla base di dati statistici, biologici e geografici…
Dubitiamo che Piero Maria Gibellini, storico della nostra nautica da diporto, abbia mai letto questo pensiero dello scrittore, poeta, matematico e drammaturgo francese. Ne dubitiamo perché Gibellini, nelle sue valutazioni sembra non dare alcun valore alle invenzioni e all’importanza che hanno, appunto nella storia. In quella della nautica da diporto italiana.
Questo esperto collabora, infatti, ad un prestigioso bimestrale edito da “De Agostini Periodici” e ne cura il “Listino delle barche d’Epoca” che si presenta con queste affermazioni:
Questo spazio è dedicato alle quotazioni di barche d’epoca a motore con lunghezza entro i 24 metri e di piccole vele prodotte in serie più o meno numerose e diffuse in Europa. Il prezzo, che è solo indicativo, è stato ricavato da stime di mediatori e collezionisti. È riferito a natanti e imbarcazioni naviganti in buone condizioni e ben conservate o di recente restauro e originali. Modifiche del passato, se sono importanti per la storia della barca e ne rispettano l’estetica e lo stile, non ne sminuiscono il valore, soprattutto se esistono altri esemplari che ne documentano l’aspetto originale.
Il testo in grassetto (neretto) è sull’originale.
Su questo sito, Altomareblu, abbiamo già avuto occasione, in passato, di segnalare come le quotazioni suggerite dal citato listino fossero quanto meno opinabili ma ciò che è stato pubblicato nel fascicolo aprile-maggio 2009 è veramente impressionante.
La catastrofe in realtà non inizia con il listino di cui parleremo più avanti ma con la rubrica “Messaggi in bottiglia” che è poi quella dedicata alla posta con i lettori. Qui appare una lettera di Paolo Greppi che riportiamo integralmente:
Sono un affezionato lettore della vostra rivista, grande appassionato di barche’ d’epoca a motore degli Anni 60 e armatore di Speranzella III , ora Fujiyama, l’esemplare che ha vinto nel 1964 la Viareggio-Bastia-Viareggio con Balestrieri.
Motorizzata con due Ford Interceptor 8V a benzina da 400 cv ciascuno, la barca è iscritta al n. 1 del Registro Storico Carene di Renato “Sonny” Levi, consultabile sul sito www.altomareblu.com. Si tratta del primo modello di Speranzella 32′ Cabin Cruiser di serie costruita da Navaltecnica di Anzio in quattro esemplari, tra il 1964 e il 1968, firmati da “Sonny” Levi, queste imbarcazioni erano tutte con motori a benzina di elevate prestazioni.
Ho notato che nel listino delle barche d’epoca che pubblicate viene citato solo il modello del 1970 Speranzella II serie, costruita in qualche esemplare da Rodriquez, che nel frattempo aveva rilevato la Navaltecnica, e non più firmate da “Sonny” Levi (con caratteristiche costruttive e motorizzazioni differenti dall’originale).
Sarebbe di grande arricchimento per l’informazione storica se nel listino venisse citato anche questo modello che di fatto è stato il capostipite delle Speranzella di serie, succedute al modello da corsa ‘A Speranziella, vincitore della Cowes – Torquay nel 1963 con al timone Sonny stesso.
In questo modo si renderebbe merito anche a colui che è stato un grande innovatore con l’introduzione della carena a V profondo su barche ad alle prestazioni, pietra miliare nella storia dell’offshore e della motonautica.”
La lettera di Greppi contiene una inesattezza: nel 1961 ‘A Speranziella partecipò sì alla prima edizione della Cowes- Torquay ma non vinse.
Ma leggiamo come viene risposto a questo civile invito.
Risponde Piero Maria Gibellini, ricercatore di Storia nautica.
Caro Greppi, è con immenso piacere che accolgo l’invito della redazione a rispondere alla sua lettera in quanto estimatore e, per ben tre volte e per circostanze diverse, mancato armatore delle barche di Levi, in particolare di quelle del cantiere Delta. Purtroppo si trattava di periodi in cui non esisteva un mercato consolidato sull’usato delle barche di Delta e della Navaltecnica.Oggi constato con piacere che appassionati come lei si occupano della conservazione e del restauro, non sempre agevole, di questi splendidi scafi, costruiti integralmente in lamellare. Già due amici miei, uno di Napoli e uno di Salerno, hanno intrapreso questa strada, restaurando due esemplari di Settimo Velo, di cui uno ammirato al raduno di Riva Historical Society a Procida del 2005.
Come potrà constatare, già da questo numero sono state aggiornate le pagine del Listino delle barche d’epoca riguardanti i Canav della Navaltecnica, le imbarcazioni da diporto più vittoriose nelle competizioni della motonautica d’altura degli Anni 60, finalmente riscoperte e valorizzate.
Tornando alla sua lettera, mi risulta che gli scafi Canav di Levi già nel 1964 fossero costruiti, oltre che nei due stabilimenti di Anzio, anche a Messina dal cantiere Rodriquez e, su licenza, in Inghilterra (con il nome Trident, dal cantiere Clark di Cowes) e in Sud Africa: fin dalle prime serie, quindi, sempre e ovunque costruite con l’assistenza tecnica dell’ingegner Levi.
Non penso, perciò, che una volta divenuto libero professionista Sonny Levi abbia trascurato di seguire le sue creature.
I.a prima vittoria di un Canav risale 1962 in occasione della prima edizione della Viareggio-Bastia- Viarcggio, con al timone il comandante Attilio Petroni, fondatore del cantiere. Sonny l.evi ha partecipato con ‘A Speranziella alla Cowcs- Torquay del 1961 senza vincere, mentre si è aggiudicato il Daily Express nella Cowes-Torquay nel 1963, infliggendo un distacco al secondo classificato di 12 minuti, conquistati nell’ultimo tratto grazie al mare agitato.
Nella stessa occasione il Trident ha vinto nella sua categoria. Speranzella, che nel catalogo Navaltecnica del 1965 risulta motorizzato con due Ford Interceptor da 390 cv a benzina, nel catalogo Bolaffi dello Yachting del 1967 è proposto, sempre dalla Navaltecnica e con le misure di 9,70 x 3,20 metri, a 26.500.000 lire, con due motori diesel Crusader Marine da 250 hp.
Spero di essere stato abbastanza esaustivo.
La precisazione sul non successo di ‘A Speranziella alla Cowes-Torquay del 1961 è corretta. Tutto il resto è frutto di invenzione o di nessuna attenzione nella ricerca storica.
Incominciamo con il dire che “Canav” significa solo “Cantieri Navaltecnica” e che quindi è fortemente improprio utilizzare questa abbreviazione per identificare gli scafi prodotti da quel cantiere. Ma questo è solo un dettaglio trascurabile perché in gergo giornalistico è, per esempio, concessa l’abitudine di dire “i Riva” per alludere agli scafi prodotti dal cantiere Riva di Sarnico.
Come è improprio il dire Daily Express (nome di un diffuso quotidiano inglese di proprietà di Max Aitken, inventore e sponsor della gara) alludendo al trofeo che la gara metteva in palio. Sciocchezze che però in bocca a un “ricercatore” fanno un certo effetto.
Non sono invece sciocchezze quelle affermazioni in cui si garantisce che Speranzella (30 piedi, cioè 9, 14 metri ft il primo esemplare quello appunto chiamato “ ‘A Speranziella”; 9,75 m. la successiva versione di serie) sarebbe stato costruito su licenza anche in Gran Bretagna da Clark di Cowes con il nome di Trident. Quest’ultima era infatti una barca da 23 piedi cioè 7,01 metri. Altrettanto confutabile l’affermazione che sarebbero state costruite delle Speranzelle in Sud Africa.
Tutta da ridere la garanzia che Levi avrebbe seguito la produzione di Speranzelle realizzate da Rodriguez. Non solo perché i rapporti fra i due non furono affatto semplici e cordiali ma soprattutto perché mai e poi mai Levi avrebbe autorizzato quello scempio di carena pasticciata messa in atto dalla nuova proprietà del cantiere sia a Anzio che a Messina e per la quale lo stesso Rodriguez ritenne ad un certo momento opportuno cambiar il nome del modello da Speranzella a Rudy. Bisogna proprio non conoscere la storia della progettazione per poter arrivare a queste grottesche conclusioni: Levi, da libero professionista, seguiva sì le sue “creature”. Ma, appunto, le sue non quelle altrui con le quali non voleva aver proprio nulla da spartire.
Questa diffusa approssimazione crea un certo imbarazzo che però diventa scandalo quando si consulta il famoso aggiornamento apportato al listino.
Da anni e sino al numero precedente della rivista, il listino delle “barche d’epoca” riportava questa testuale riga: ‘A Speranzella – lunghezza 10 metri- 2 x 100 Perkins / 2 x 216 CM- Anno 1970- Euro 60.000. (da notare come il nome della serie sia inesistente: o è ‘A Speranziella -di cui esiste un unico esemplare, il primo in assoluto- oppure è semplicemente Speranzella).
Nella nuova versione del listino ci sono ben tre voci:
- Speranzella – lunghezza 9,60 / 9,70- 2 x 390 HP Ford Interceptor – anno 1962-1965 – 65.000 euro;
- Speranzella II – lunghezza 9,75 – 2 x 240 HP Diesel Crusader – anno 1965 – 70.000 euro;
- Speranzella – lunghezza 10,00 – 2 x 100 HPO Perkins/ 2x 216 CM – anno 1970 – 70.000 euro.
Al di là del balletto dei nomi, alla confusione nelle date (se Levi partecipò alla prima Cowes-Torquay nel 1961, ci sarà pure un modello di quello scafo in quell’anno), quello che lascia stupefatti è il valore dato alle imbarcazioni.
In una analisi che cerca di enfatizzare il valore storico di un oggetto (di una barca) viene premiato con l’indicazione di un maggior prezzo (70mila euro) quello costruito in tempi più recenti, quello non firmato e non riconosciuto dal suo progettista e inventore rispetto ai modelli che avevano le stigmate dell’invenzione e che hanno persino vinto importanti competizioni agonistiche come la Cowes-Torquay o la Viareggio-Bastia-Viareggio (65mila euro). La Storia, per questo “listino delle Barche d’Epoca”, non conta. Come dire che il Colosseo vale molto meno di una casa qualsiasi costruita nel dopoguerra. Forse perché non ha i vetri alle finestre.
Negli ambienti nautici si sostiene che Piero Maria Gibellini sia espertissimo degli scafi prodotti dal cantiere di Carlo Riva dalla sua ri-fondazione (rispetto ai prodotti realizzati dal padre Serafino) sino alla sua cessione del cantiere di Sarnico. Per questo “mondo” il nostro “ricercatore di Storia nautica” ha anche costituito una attiva società di servizi.
Ci permettiamo di dargli un suggerimento: si concentri su questa materia e eviti di creare confusione in quei settori della nostra nautica da diporto che evidentemente conosce poco e male creando sgradevoli confusioni al mercato e ignorando ogni forma di rispetto della storia.
Altomareblu – Tutti i diritti riservati. Note Legali
Gentile ToreVenessia,
ho letto il tuo commento dal quale apprendo che sei un appassionato di barche d’epoca, ma non sono assolutamente d’accordo sulla tua affermazione circa il fatto che una Speranzella Levi non vale 60.000 €.
Non so quali esperienze hai vissuto nel settore delle carene Levi o barche d’epoca per affermare quanto dici. Posso solo dirti che storicamente e praticamente è la tua opinione che rispetto, è solo una tua personale opinione ben diversa dalle indicazioni che diamo circa il valore delle carene Levi, che si basano su studi e ricerche storiche.
Ti ringraziamo per averci contattato.
Cordiali saluti,
Giacomo Vitale
Nel caso della ‘A Speranziella partecipante alla “Cowes -Torquay”, do un valore storico e affettivo, ma anche di effettivo valore pratico.
In quegli anni i cantieri aprivano e chiudevano, i modelli venivano modificati strada facendo.
Una Speranzella qualunque non vale 60.000 Euro
ToreVenessia
Usato o d’Epoca?
Caro Soccol,
ho letto su una rivista specializzata e anche su questo blog molto attento, una sorta di “querelle” sul valore degli scafi d’epoca: valori contraddittori, osservazioni fuori luogo, date e nomi sbagliati…
Fuori dai denti, che ne pensa?
Giacomo Feltrini
Caro Giacomo,
il nostro guaio è che siamo sempre molto approssimativi e che di questa nostra “non virtù” pensiamo di poterci far vanto autodefinendoci “furbi”. Non lo dico io. Lo garantisce chi ha il 60% dei consensi: “Così vuole il popolo (che mi ha eletto) e così sia”.
Evito, per amor di Patria, la politica e vengo alla sua domanda.
Penso, fuori dei denti, che si confondano, talvolta artatamente, le valutazioni dell’usato con quelle dello storico, cioè delle barche d’epoca.
Un conto è dire: “Questo scafo che è stato prodotto in decine, centinaia di esemplari per come è stato tenuto e per come si presenta oggi, a dieci/quindici anni dall’anno di fabbricazione, vale tot euro” e altro è saper dare la valutazione corretta a scafi unici o rari che appartengono ormai alla Storia della nautica (italiana e non). Su questa sottile ma precisa linea di confine si manovrano interessi economici non proprio indifferenti e su questo, il nostro popolo composto da “furbi”, pensa di poter “marciare” non comprendendo di esser, invece, manovrato ad hoc.
Nel “Listino delle Barche d’Epoca” della rivista che lei non cita (ma che non è difficile identificare) c’è una…come dire? , “promiscuità” fra scafi usati e scafi d’epoca che comporta una interpretazione di lettura impossibile per chi non sia super addetto ai lavori. Gli stessi elementi messi a disposizione dei lettori sono quanto meno discutibili: si specificano, per esempio i motori che erano installati al momento del varo e non si segnala il materiale di costruzione. E non sono proprio banalità. Quale motore degli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta è oggi “valido”? Nessuno (e, infatti, la larga maggioranza degli scafi, ancora in circolazione oggi ma costruiti in quelle epoche, li ha cambiati). E che differenza passa fra uno scafo costruito in massello, in compensato, in lamellare marino o in vetroresina? Enorme. Ma nessuno è messo in grado di saperlo: la voce, semplicemente, non c’è.
C’è, purtroppo, un ulteriore elemento davvero imbarazzante.
Chi redige quel listino è titolare di una società, la RHS (Riva Historical Society). Ora lei vada a guardare cosa recita il citato “Listino” a proposito delle barche prodotte nel cantiere di Sarnico dall’ing. Carlo Riva (dal 1950 al 1980). Di tutte le barche in legno prodotte, nemmeno una parola. La prima voce è il “Bahia mar” degli anni 1970-74 costruito in vtr. E gli Scoiattolo, Sebino, Corsaro, Florida, Super Florida, Ariston, Super Ariston, Tritone, Super Tritone, Aquarama, Aquarama Super e Aquarama Special? Non una riga: inesistenti. E stiamo parlando di circa 3.500 (diconsi tremilacinquecento) barche. Come mai? Mah…
Eppure se lei va al sito web della RHS trova una infinità di dettagli in merito: quanti esemplari sono stati costruiti, quali modifiche avessero rispetto ai modelli precedenti, le dimensioni esatte al millimetro, i motori installati eccetera. Sì: ci sono anche alcune facezie tipo questa “Nel 1964 lo scafo del Tritone, sempre identico a quello dell’Aquarama, si allunga di 1 cm. e si accentua la ”V” della carena in corrispondenza della sezione maestra, ora più profonda.(…) Dal # 239 si approfondisce ulteriormente la ”V” della carena.”
Parlare di carena V per una di quelle barche, infatti, fa solo ridere. Oppure è chiaro indice che chi lo scrive non sa di cosa parla. Eventualità tutt’altro che trascurabile.
Ma torniamo all’elemento imbarazzante. Come mai chi possiede tutta questa straordinaria documentazione (coperta da copyright) non la mette a disposizione dei lettori della rivista? Perché ci ha scritto sopra un libro e lo vuol vendere? Perché detiene una sorta di monopolio in merito e guai a chi glielo tocca? Perché vuol farsi gli affari suoi?
Non spetta a me rispondere, né mi interessa. Stupisce che un editore importante e un direttore di alta professionalità (oltre che di nobile stirpe) consentano la conduzione, così evidente “cicero pro domo sua”, di una importante sezione della loro testata.
Cordiali saluti,
Antonio Soccol
Grazie Emilio,
sì, mettere assieme oltre duemilacinquecento “pagine-web” dedicate “all’amico Mare” senza altro compenso (Altomareblu, com’è evidente, non ospita pubblicità commerciale) che il piacere di parlare fra appassionati è un atto di amore autentico. Una realtà messa assieme strappando faticosamente ore al sonno e al riposo, ma che garantisce la gioia di ricevere commenti come il suo.
Personalmente sono d’accordo con l’idea che le divergenze di idee e di convinzione siano utili ad un confronto che stimola gli approfondimenti. Putroppo, talvolta, alcune prese di posizione nascono da interessi commerciali che poco hanno a che fare con la vera passione per l’amico Mare… E, in questi casi, è inevitabile mettere i puntini sulle “i”. Solo per onestà nei confronti di chi legge.
Grazie per il suo commento e per la fedeltà di lettura.
Con altrettanta simpatia e stima,
Antonio Soccol
Tra le cose più belle ed interessanti di questa “NUOVA” Rivista del Mare,ritengo che ve ne siano almeno due:
– la prima è l’amore autentico per l’Amico Mare;
– la seconda, il rispetto vero per tutte, dicasi tutte, le idee degli amici lettori di Altomareblu.
Ben vengano le divergenze di idee e di convinzione, trattandosi di un settore specialistico e storico, perchè aiutano a saperne di più, anche quando una nota marina o navale, appare stonata alla prima audizione o lettura.
Avanti tutta con amicizia, rispetto reciproco e con Altomare sempre più blù.
Con simpatia e stima,
Emilio Errigo
Siamo semplicemente persone cui qualcuno ha insegnato oltre che a scrivere anche a leggere.
Le riportiamo, come camomilla per la sua inquietudine, quanto scrive la “rivista prestigiosa” quale cappello- introduzione al suo più volte citato “Listino delle barche d’epoca”:
“Il valore viene incrementatato (questo refuso è autentico e originale perché abbiamo fatto, per amore di fedeltà, un “copia e incolla” dal testo passato allo scanner OCR, ndr) anche dalla presenza di arredi interni conservati con quella patina d’uso che conferisce loro un fascino ben diverso rispetto a quello di arredi ricostruiti in stile, come anche dalla presenza di accessori d’epoca propri della barca.
Viene incrementato inoltre se la barca è il primo o l’ultimo esemplare di serie, ha un palmarès importante di eventi storici o sportivi, è appartenuta ad armatori famosi o è stata restaurata da un progettista o da un cantiere famoso.”
Parafrasando una frase cara a Cicerone si potrebbe dire “Ipse scripsit”.
Vede, caro Giorgio “arrabbiato”, nel nostro CMS Altomareblu, oltre al registro delle carene Levi lei può trovare (Speranzella 32 II Serie Cabin Cruiser 1963 Fujiyama) la storia di Fujiyama, l’imbarcazione Speranzella Terza, proveniente dal n°54/63 dei Registri Navi in Costruzione di Anzio, che in data 1° luglio 1964 è stata iscritta nel “Registro delle Matricole di Roma” al n° 524.
Questo scafo ha vinto la Viareggio – Bastia – Viareggio del 1964 e ha avuto come primo armatore Liborio Guidotti, leggendario pilota dei racers negli anni Cinquanta e Sessanta, vincitore di titoli mondiali (1968, classe KD 900 kg.), europei (1958 e 1959, classe KD 800 kg; 1967, classe KD 900 kg.) e di alcuni titoli nazionali.
Oltre a Liborio usavano questa Speranzella anche i figli Flavio e Giorgio che complessivamente vantano, sempre nelle gare dei racers, due titoli iridati e cinque europei. Manici autentici, insomma. Gente che ha scritto pagine superbe nella storia della motonautica italiana e mondiale.
Beh, tutto questo non vale? O quanto meno, per il listino della “rivista prestigiosa” vale 5mila euro meno di una modesta barca, derivata da quella e senza alcuna storia. Né come scafo né come armatore. Chi è presuntuoso? Decida lei. Però un po’ di coerenza da parte di chi è “prestigioso” non guasterebbe.
Antonio Soccol
Anche le pulci hanno la tosse e qualche volta… hanno anche ragione!
Arrabbiato? E per cosa? Perché c’è chi dice la verità con tanto di prove documentate da un registro Levi approvato direttamente dal suo progettista?
Se la rivista e il suo “esperto” possono provare il contrario di quanto scritto in Altomareblu… ben venga, noi vogliamo fare informazione e non la critica a riviste. Siamo rivolti all’utenza e se possiamo essere smentiti, ne saremo contenti per i lettori e per la veridicità delle informazioni, della storia e delle persone che hanno fatto, nel corso degli anni, queste bellissime imbarcazioni che oggi sono, barche d’epoca.
Allo stesso tempo, se mai si dovesse comprendere le imprecisioni che lo “storico” esperto di barche d’epoca ha scritto sulla rivista… ci aspettiamo una errata corrige; è più che ovvio, fornire tutto il supporto necessario per correggere le imprecisioni rilevate.
Caro Giorgio… non ti dovresti arrabbiare con noi, in fondo, lo si fa solo per i lettori.
Alex
Secondo me i presuntuosi siete voi…
e poi, come vi permettete di fare le pulci ad una rivista prestigiosa? Siete veramente così esperti di valutazioni di barche d’epoca?
Chi vi credete di essere?
Giorgio “arrabbiato”
Caro Giovanni,
lei sbaglia perché confonde l’usato con lo storico. Un conto sono i coefficienti che determinano il valore di un oggetto che si acquista “di seconda mano”, ben altri sono quelli che stabiliscono il valore di un’opera di importanza “storica”.
Una “barca d’epoca” (titolo del “listino” da noi citato) non comporta (o meglio: “non dovrebbe comportare”) la valutazione dei valori dell’usato che, grossomodo, sono quelli da lei citati e che valgono per elementi prodotti in grande serie (automobili, frigoriferi, motociclette eccetera). Gli scafi d’epoca sono spesso pezzi unici o comunque rari. E lei certamente conosce quella inesorabile legge dell’economia che premia la rarità: l’oro non vale perché luccica ma perché sulla Terra ce n’è poco… Lo stesso vale per qualsivoglia elemento di difficile reperibilità: diamanti, titanio, uranio, opere d’arte eccetera.
Si spiega perché la 500 Fiat di oggi, bella e carina, abbia un valore di mercato inferiore a una di quelle prodotte negli anni Cinquanta e Sessanta? Eppure è infinitamente più moderna e costa molto meno usarla…
Oppure, si è mai chiesto perché valga di più, sicuramente, una Ferrari GTO (di cui ne sono stati costruiti solo 32 esemplari ed è modello con un ricchissimo palmares di vittorie), di una replica dello stesso modello prodotta da un anonimo costruttore, apparentemente del tutto identica, ma non firmata dall’Ingegnere (Enzo Ferrari).
Ecco, lo stesso vale per le Speranzelle: quelle (poche) firmate da Levi valgono molto di più di quelle devastate, sia pure in tempi più recenti, dall’ufficio tecnico dei cantieri Rodriguez.
Non è dunque una questione di simpatia o di economia di gestione, ma di conoscenze che Gibellini ha dimostrato solo la presunzione di avere.
Antonio Soccol
Caro Altomareblu,
vi seguo da tempo ma talvolta non vi capisco. Prendiamo come esempio questo articolo sulle Speranzelle.
Scrivete che è assurdo che una barca del 1970 valga più di una del 1962. Ma vi pare logico? Diciotto anni per una barca sono tantissimi. E uno scafo più è vecchio e più ha bisogno di manutenzione.
Per questo che quelli più recenti valgono di più… Ditemi dove sbaglio.
Giovanni Fumagalli
Vincent van Gogh (1853- 1890) è morto senza che suo fratello Théo (che era il suo agente) riuscisse a vendere un solo suo dipinto.
Oggi i quadri di quel pittore olandese, trait d’union fra impressionismo ed espressionismo, valgono parecchi milioni di euro: quasi certamente hanno il record per il prezzo battuto ad un asta ufficiale.
Secondo la sua teoria i quadri di van Gogh non dovrebbero valer nulla… visto che non avevano alcun prezzo negli anni in cui vennero dipinti.
Beh, se lei ne ha, me ne regali qualcuno: garantisco che gradirò. Molto.
Antonio Soccol
Caro Antonio Soccol,
non mi pare che lei abbia ragione. Una barca, che nel 1967 aveva un valore di 26,5 milioni di lire (circa 14 mila euro), viene oggi valutata 70mila euro.
Le pare poco? Per lei i soldi non hanno valore?
Mario Caporale
Caro Livio,
grazie per averci letto e per il suo commento.
La frase da lei citata a fine commento si rifà al vecchio “de gustibus non est disputandum”… Questa frase non appartiene ad alcun autore classico (si tratta di un invento, una “facezia scolastica del medioevo”, dovuta a qualche studente buontempone e espressa in quello che si usa definire “latinus grossus”), altrettanto poco attendibile è, nella analisi della Storia, il concetto di “piacere”.
Non crediamo che l’architetto Renzo Piano, se venisse chiamato a progettare uno stadio, disegnerebbe un Colosseo. Ma non pensiamo che questo possa sminuire il valore storico di quella costruzione. Un oggetto d’epoca, un elemento che ha avuto parte saliente nella Storia, ha un valore che prescinde dal gusto personale che ciascuno di noi ha pieno diritto di esercitare. Uno è libero di dire che la Sfinge o la piramide Cheope, oppure il primo cannocchiale di Galileo non gli piacciono, ma questo non gli può consentire di considerarne modesto il valore.
Una barca come ‘A Speranziella che ha tutte le stigmate dell’invenzione (prima carena a V profondo disegnata da Levi per uno scafo da competizione), che ha vinto gare prestigiose e che ancora resiste all’usura del tempo (e, talvolta, del maltrattamento di alcuni armatori) non può valere meno di una con nome simile ma elementi di progettazione profondamente differenti e di epoca successiva.
La nostra opinione è che chi fa il “ricercatore storico” non possa né debba commettere errori di questo genere.
Antonio Soccol
Salve,
seguo da tempo Altomareblu e ho letto con interesse il vostro articolo sul valore delle Speranzelle – Navaltecnica.
Mi pare strano che una persona che per ben tre volte voleva diventare armatore di uno scafo di Levi (anche se costruito da Delta e non da Navaltecnica) si è sbagliato.
Non so se avete notato che, a suo modo di vedere le cose, la prima versione, quella che lui indica come costruita dal 1962 al 1965 e che valuta 5mila euro meno delle successive sembra non gli piaccia?
Certo, ad ognuno piace quello che piace, ma non mi sembra sia così…
Livio Destrini