Suez 1941-1942: II puntata
di Franco Harrauer
“Lago di Lesina: fine novembre 1941“
Il lago o meglio la laguna di Lesina è un grande specchio d’acqua collegato al mare da un piccolo canale posto ai piedi del versante Nord del Massiccio del Gargano. Ha una forma allungata e parallela al mare, che si sviluppa per circa venticinque chilometri. Sulle sue sponde occidentali vi è un piccolo borgo di pescatori da cui il lago prende nome di Lesina. La strada litoranea adriatica, diramando dalla provinciale “Pescara – Lecce”, percorre la parte sud del lago e lo sovrasta distanziandosi da esso per condurre a Rodi Garganico o Vieste. Il lato orientale del lago è disabitato e contornato da canneti e grandi pinete che si estendono tra le dune del “tombolo“ che lo separa dal mare.
Una piccola strada polverosa si dirama dalla poco battuta provinciale e scende con un paio di tornanti ombreggiati dai pini sino alle sponde del lago. In quell’assolato giorno di ottobre due carabinieri che montavano la guardia della diramazione, avevano ricevuto l’ordine dalla tenenza di Lesina di piantonare il bivio e di lasciar pasare solo una macchina ed un camion della Regia Marina, che puntualmente arrivarono di prima mattina scendendo al lago.
Quattro uomini in tuta grigia scesero dalla 1100 blu targata RM, si stiracchiarono e dopo un paio di sbadigli percorsero i pochi metri che li separavano dalla spiaggia.
La sabbia mi pare sufficentemente compatta sino all’acqua. Gigi, guarda se il camion può arrivare a marcia indietro fino a qui.
Si Francesco, eccolo che arriva.
Un grosso camion a tre assi stava lentamente scendendo a marcia ingranata la ripida stradina tra i pini. Il TV Bertone fece cenno ai due autisti del camion di far manovra per andare a marcia indietro veso il “STV Attanasio” e Sauro, che erano sulla spiaggia con i piedi quasi in acqua.
Il camion si fermò con le ruote a meno di mezzo metro dalla battigia affondando appena i grossi pneumatici nella sabbia. I due marinai scesero e scoprirono il grosso telone che nascondeva il carico; un motoscafo grigio mimetizzato con strisce verticali nere, con uno strano piede ad eliche, ripiegato contro lo specchio di poppa. Il ponte era privo di sovrastrutture. Solo due pozzetti con un basso schermo paraonde e due lunghi alloggiamenti laterali inclinati verso poppa.
I marinai tirarono giù dal pianale due lunghi travi in ferro con sezione ad U muniti di rulli in gomma e aiutati da Francesco, Gigi, Bertone e Corti, li disposero come scivoli dal pianale all’ acqua. Poi azionando il verricello del camion lentamente, l’imbarcazione scese verso il lago.
Quando fu quasi tutta nel suo elemento, Sauro con un salto salì a bordo, mentre Francesco la tratteneva per una cima fissata a prua e quando l ‘MTL gallegiò libero, uno dei marinai sganciò il cavo dalla prua e lo unì alle due travi facendo cenno al suo collega di salpare con il verricello per ricaricarle sul pianale.
Rimanete qui fino alla fine delle prove, poi rientrete a La Spezia. Uno di voi guiderà la 1100,
disse Bertone ai due marinai” e si avvicinò con il TV Corti al mezzo per salire a bordo.
Signor Attanasio salga a bordo con noi e liberi la barbetta a prora. Signor Sauro metta in moto l’elettrico addietro lentamente.
Era una strana imbarcazione della piccola flotta della X MAS e seconda di una serie costruita per il trasporto degli SLC. Inizialmente propulsa da un solo motore elettrico di 8 KW con l’autonmia limitata a 10 miglia a solo 4 nodi.
Uno dei due primi esemplari andò perso a Malta dopo aver messo a mare gli SLC di Tesei e di Costa.
Per migliorarne le caratterisriche fu impostato a Varazze da Baglietto, su progetto di Cattaneo della CABI, una seconda serie con un elettromotore simile a quello della prima serie, ma con l’aggiunta di un motore bicilindrico a benzina tipo Carraro da 22 HP. Questa soluzione portava l’autonomia sino a 60 miglia, con una velocità fino a 6 nodi. I vani per il trasporto e varo dei due SLC erano stati sguarniti delle morse di fissaggio e dei rulli di scorrimento. Inoltre, nel vano di destra era stato sistemato un rullo con una sagola di cinquanta metri munita di piccoli galleggianti che sarebbe servita per il recupero notturno dei nuotatori “gamma“.
Durante la mattinata l’MTL fece numerose corse di prova nel lago, sia in propulsione elettrica che a benzina e Francesco, indossata la sua muta da sommozzatore, scese e risalì più volte dal portello poppiero degli scivoli che erano stati tolti. Verso mezzogiorno Bertone fece riaccostare il mezzo alla riva dove i due marinai avevano già aperto un cestone con pagnotte, prosciutto, formaggio ed un fiasco di vino. Tutti mangiarono sull’erba all’ombra dei pini. “E’ quasi ora!“ disse Corti consultando il suo cronometro e spolverandosi dalla tuta le ultime briciole di pane . “Bene, portiamoci in mezzo al lago e appena arrivano gli aerei accendiamo il segnale fumogeno e sarà bene che indossiamo anche noi le mute“.
Il rombo di numerosi motori in avvicinamento precedette l’apparizione di uno strano convoglio aereo. Un idro trimotore “Cant Z 506” precedeva un trimotore tedesco “Junkers JU 52” che rimorchiava un goffo e strano
aliante con una grossa fusoliera quadrata e due travi di coda. Francesco accese il candelotto fumogeno che sprigionò un denso fumo rosso cupo che si levò pigro nell’ aria tranquilla.
L’aliante giunto sulla verticale del lago a circa mille metri di quota si sganciò dal suo rimorchiatore e con una virata cominciò a planare, mentre lo Junkers, con il cavo di rimorchio sventolante dietro la sua coda virando in direzione opposta, si accingeva a rientrare alla sua base vicino a Foggia.
L’idro volava in cerchio tra il mare a la laguna perdendo progressivamente quota. L’elegante trimotore era decollato, poco prima dell’arrivo dello Junkers, dal suo idroscalo base di San Nicola situato sul lago di Varano a pochi chilometri dal lago di Lesina.
Mamma mia! Ma noi dovremo volare su quel .. coso? Sembra un armadio volante!
disse il TV Sauro guardando l’aliante.
“Ma porca miseria” mormorò Francesco.. e non terminò la sua ormai classica affermazione sulla convinzione che toccava sempre a lui, quando Bertone lo interruppe e ridendo aggiunse:
hai voluto entrare alla Xa? Adesso mettiti le pinne e… pedala!
Il Gotha 242 W con ampie ed eleganti virate scendeva sibilando seguito a distanza dall’idro italiano e quando fu in dirittura di ammaraggio aprì i diruttori alari e rallentando sensibilmente la sua velocità si posò in acqua dopo un brevissimo flottaggio di circa una trentina di metri.
Francesco rimise in moto l’ MTL e si accostò allo strano aliante, da cui aperto il finestrino della cabina apparve il pilota che gesticolando faceva cenno di prendere la cima di rimorchio che teneva in mano.
“Oberleutnant Otto Krause, pilot…Guten tag!” Disse allegramente presentandosi. Dopo aver agganciato il velivolo lo rimorchiarono lentamente sino quasi alla spiaggia dove, con l’aiuto dei marinai, lo disposero con il muso rivolto verso il lago.
Il “Cant Z” intanto era apparso rombando molto basso sopra i pini che circondavano il lago e ridotti i motori aveva toccato la superfice dell’acqua con una perfetta manovra.
Il pilota dell’aliante, un biondo giovanottone che parlava un italiano molto approssimativo, si ripresentò nuovamente sbattendo teutonicamente i tacchi dei suoi magnifici stivali di volo. Poi aiutato da Francesco e Corti apri il portellone di coda, mentre Gigi agganciava al golfare di prua del MTL il cavo che proveniva dal verricello posto all’inteno della fusoliera. L’imbarcazione salì dolcemente sui rulli disposti sul piano di carico sin che fu possibile. Sollevato il piede/elica e richiuso il portellone, Krause tirò fuori un altro lungo cavo di rimorchio, mentre Curti e Gigi dentro la fusoliera rizzavano l’imbarcazione con robuste cinghie e tiranti.
L’idrovolante italiano era giunto flottando lentamente a fianco dell’aliante sulla spiaggia e spenti i motori, i marinai afferrati i gallegianri lo avevano rivolto con la coda verso terra. I piloti italiani, un colonnello ed un sottotenente, scesi a terra si presentarono e Bertone riunì tutti per le istruzioni che dovevano scambiarsi i piloti per il programma delle esrcitazioni. Krause disse che a pieno carico il Gotha poteva decollare a 120 Km/h e la velocià di crociera non doveva superare i 290 / 300 Km/h.
“Magari potesimo arrivarci con questo armadio appeso al culo!“, disse preoccupato il giovane tenente pilota fulminato dallo sguardo del suo colonnello.
“Non ti preoccupare che va in redan prima di noi, quindi il nostro decollo sarà facile anche se un po’ lungo. Dietro il Caproni o l’ S 81, questo tipo di aliante a pieno carico si mangia in decollo non meno di un chilometro e qui ne abbiamo a disposizione almeno venti.”
Fu stabilito di fare almeno due o tre prove fino a che vi era luce. Agganciato il cavo di traino alla coda il Cant si portò in mezzo al lago. Sul Gotha oltre al pilota vi era Bertone, Corti, Gigi e Francesco, tutti in muta da sommozzatore. Quando l’idrovolante diede tutto motore l’aliante si mise a flottare ed il cavo di traino andò in tensione strizzando acqua come nelle esperte mani di una lavandaia.
La visibilità verso prua era minima ed i trasparenti dell’aliante erano coperti dagli spruzzi delle tre eliche del Cant che giravano a tutto motore. Tutti erano nella parte anteriore della cabina ampiamente vetrata. Bertone seduto al posto del secondo pilota, Curti in piedi dietro a lui, Gigi e Francesco aggrappati ai tubi metallici della struttura interna della capace fusoliera. Francesco con le nocche delle dita bianche per lo sforzo ed i denti serrati cercava di vedere qualcosa innanzi a se in quella tempesta di spruzzi e nel contempo cercò di far capire a Gigi che, invece di andare in Accademia a Livorno, sarebbe stato meglio arruolarsi volontari in sanità. Dopo circa seicento metri il velivolo uscì dalla nuvola di acqua polverizzata che il trimotore sollevava nella sua corsa.
Krause teneva l’aliante in volo livellato e parallelo alla superfice del lago, mentre l’idro proseguiva la sua corsa in redan.
Finalmente anche il trimotore si sollevò dalla superficie ed iniziò una lenta salita in volo rettilineo. I due giovani sottotenenti di Vascello allentarono la presa delle mani e si scambiarono un significativo sguardo. Il Gotha volava con un fruscio appena turbato dal rombo del Cant che volava settanta metri più avanti e leggermente più in basso.
Il convoglio aereo era arrivato sull’abitato di Lesina, quando iniziò una lenta virata che lo portò a cinquecento metri di quota sul mare Adriatico. Le Isole Tremiti apparvero a prua e furono sorvolate dopo una decina di minuti… sembravano piccole gemme verdi incastonate in un mare azzurro. Adesso la quota indicata nell’altimetro indicava ottocento metri e alla successiva virata, in vista di Rodi Garganico, i velivoli erano a mille metri. Quando il lago di Lesina fu ad una decina di chilometri innanzi ai due velivoli e sotto di loro apparve l’idroscalo di S. Nicola con una decina di idrovolanti alla fonda e sui piazzali innanzi agli hangar, Krause, per avvertire che si sarebbe sganciato, diede due energiche ”spedalate” che fecero imbardare a destra e sinistra l’aliante.
Questo brusco movimento fu avvertito dal pilota italiano che sentì scodinzolare il suo rosso velivolo “tirato per la coda“ e Kraus disse: “Adesso noi lasciare vostro aereoplano, noi stare a dieci chilometri dal lago e dovere arrivare bene!“
Curti disse un po’ allarmato:
Come dovere? E se non arrivare?
Se non arrivare noi mettere culo su alberi…
“ma stai buono, il vecchio Gotha scende un metro di quota ogni quindici metri di volo“ e tirando senza preavviso una leva al suo fianco, sganciò l’aliante che ebbe un lieve sobbalzo e puntò il muso in basso. Il cavo di rimorchio schizzò in avanti come se fosse di gomma ed il rumore dei motori del Cant si attenuò progressivamente, sostituito dal sibilo del vento sulle ali e attorno alla fusoliera. Al momento dello sgancio Gigi e Francesco, che avevano allentato le prese sui tubi, per poco non finirono addosso a Krause e Bertone.
Dopo un attimo, forse due, di illogica paura dovuta al distacco dal sicuro legame con l’aereo a motore, subentrò una sensazione meravigliosa: la vera sensazione di “volare“.
Il Gotha scendeva lievemente e quando fu sulla verticale della spiaggia Kraue, che tenendo d’occhio l’altimetro ed il variometro, si permise una virata stretta di 360 gradi inclinando il velivolo, tanto da togliere il fiato ai passeggeri e sfiorando le chiome dei pini. Poi aprì i grandi diruttori sulle ali e si posò in acqua con la dignità di un cigno, arrestandosi a cento metri dalla spiaggia, in una nuvola di spruzzi.
Via 1,
disse Bertone alzandosi dal suo seggiolino..
Fuori con l’ MTL, sganciare le ritenute – Attanasio a dritta – Sauro a sinistra – Kruse al portellone – Curti a bordo – io tengo la barbetta se no perdiamo la barca… Forza, spingere!!
Gigi e Francesco, emozionati per il volo, si erano quasi dimenticati dello scopo dell’esercitazione, ma tutto si svolse rapidamente e regolarmente.
Mentre Krause era rimasto sull’aliante con un futuro compito di attivare le cariche di autodistruzione, l’imbarcazione scivolò rapidamente e senza intoppi in acqua. L’idrovolante nel frattempo stava ammarando.
Prima che il sole tramontasse dietro il Gargano furono eseguiti altri tre decolli ed ammaraggi con varo ed alaggio dell’MTL, poi congedati i marinai che sarebbero rientrati a La Spezia con il camion e la vettura, vi fu un ultimo decollo dal lago di Lesina ed il Cant Z 506 con il Gotha attaccato alla coda si diresse verso Taranto. Mentre a bassa quota viravano verso Sud, Francesco dall’alto vide i due carabinieri che sulla strada polverosa rientravano a piedi alla loro tenenza di Lesina; Si fermarono un attimo e con il naso rivolto all’insù portarono la mano destra alla visiera nella maniera prescritta dai regolamenti per il saluto.
Dopo quarantacinque minuti di tranquillo volo apparve a prua lo specchio d’acqua del Mar Piccolo dove il sole già basso rifletteva i suoi raggi e dopo aver avvertito il suo trainatore che rientrava all’idroscalo di S.Nicola, Krause si sganciò iniziando una lunga planata verso l’idroscalo di Taranto.
Nel tratto finale i quattro marinai, ormai esperti aliantisti, poterono godere il panorama della città e delle navi ancorate alla banchina dell’Arsenale. La nave appoggio aerei “Miraglia”, sempre al solito posto… il “Buttafoco“, nave caserma.. classe 1874, che ospitava intere generazioni di topi austroungarici a beneficio dei sommergibilisti italiani accanto ai loro ormai pochi battelli in disarmo o riparazione.
Poi due incrociatori, pochi siluranti e in bacino di carenaggio la corazzata “Cesare“ in riparazione e in procinto di raggiungere Trieste da dove non si sarebbe più mossa. Mentre viravano per disporsi in dirittura di ammaraggio, Francesco vide lontana, oltre il ponte girevole, la corazzata “Cavour“ ancorata dietro le reti parasiluri del Mar Grande. Le grandi navi da battaglia erano già state arretrate al Nord e anch’esse non sarebbero più ritornate a Taranto. Appena in acqua il Gotha fu rimorchiato sotto la gru dell’idroscalo, sollevato e poi smontato per essere caricato su un grosso rimorchio pianale della Lufwaffe per rientrare alla sua base vicino Foggia con Krause e l’MTL.
Dopo un rapido passaggio al Comando Marina ed una frugale e rapida cena alla Mensa del Comando, Bertone, Curti, Attanasio e Sauro si fecero accompagnare alla stazione di Brindisi per poter prendere il direttissimo per Roma – La Spezia. Mentre viaggiava nella nottecullato dal tran tran del direttissimo, Bertone pensò che Krause oltre ad essere un ottimo pilota di aliante poteva essere un ottimo pilota per l’ MTL. Durante il volo da Lesina a Taranto Krause aveva raccontato nel suo buffo italiano della sua cariera. Già aviatore sportivo aliantista si era arruolato nella Lufwaffe e aveva partecipato con un aliante all’atterraggio entro il forte belga di Eben Aemel, della linea Maginot Forte che era stato espugnato nel giro di poche ore. Poi era sopravissuto al sanguinoso avisbarco a Creta e adesso era a Foggia in attesa del via all’opeazione “Hercules“: la conquista di Malta. Come tutti i piloti aliantisti della Luftwaffe, oltre per il pilotaggio del velivolo era stato addestrato per il combattinento ed il sabotaggio.
Krause a Creta si era meritato la seconda Croce di Ferro! Si, sarebbe stato un ottimo operatore per l’azione di Suez… Bertone pensò di chiedere anche l‘opinione dei compagni di viaggio, ma nella semioscurità bluastra del compartimento ferroviario si accorse che erano tutti beatamente addormentati.
Ne avrebbe parlato a Forza quando arrivati a Bocca di Serchio.
Cielo del Mediterraneo Orientale: dicembre 1941
Il Savoia Marchetti SM 83 con i suoi tre motori Alfa Romeo tirati allo spasimo e le manette sul “+ cento “, staccò le ruote dalla lunghissima pista asfaltata dell’aeroporto di Rodi Gadurra alla fine dei millenovecento metri disponibili, praticamente sulla spiaggia. Il decollo era stato effettuato in sovraccarico di carburante perché il volo sarebbe stato molto lungo. Duemilacinquecento chilometri fino ad Asmara, in Africa Orientale, anche se dopo novecento chilometri, all’ altezza del Sinai , il grosso trimotore si sarebbe liberato dell’aliante che rimorchiava ed avrebbe proseguito lungo la sponda del Mar Rosso fino all’Eritrea e all’Etiopia, dove avrebbe scaricato posta, munizioni e medicinali per la colonia assediata. Da più di sei mesi i trimotori in partenza dall’Egeo o dal Cirenaico erano l’unico legame con la patria.
Dopo il decollo e per circa un’ora, l’aereo aveva volato tranquillamente a pochi metri di quota sul mare nella luce dorata del tramonto, guadagnando con estrema lentezza il pigro movimento delle lancette del variometro e dell’altimetro. La rotta era per Sud Est 17°, in modo da tagliare la costa egiziana di notte, nei pressi di El Alamein, ad una quota di quattromila metri.
La penetrazione in Egitto sarebbe stata favorita da un fronte temporalesco che si estendeva dalla Cirenaica sino ad Alessandria. Poi il volo avrebbe proseguito sul deserto verso la depressione di El Quattara, per evitare la zona abitata del delta del Nilo e del Cairo fino ad Ovest dell’oasi di Fayoum, dove con una virata Est su rotta 90° avrebbe raggiunto la zona di sgancio dell’aliante sulla verticale del Mar Rosso.
Settanta metri dietro la coda del Savoia Marchetti, ad una quota leggermente più alta per evitare la turbolenza della scia del trimotore, volava il Gotha 242 con il suo carico.
Il pilota Krause era seduto al suo posto di guida ed al suo fianco il TV Bertone, più dietro il TV Corti e i STV Attanasio e Sauro, mentre Francesco si era coricato nei vani di carico dell’ MTL. Indossavano tutti le tute grige da lavoro con gradi e stellette, ad eccezione di Krause che era in blu. Tutto si era svolto meno di un mese prima con grande rapidità, quasi contro ogni logica burocratica dell’amministrazione militare italiana.
La regia torpediniera “Cassiopea“ sulla quale Sauro e Gigi erano imbarcati, era entrata alle prime luci dell’alba nel porto di Trapani superando lentamente le ostruzioni. Aveva incrociato a lento moto, a ridosso dell’isola di Favignana facendo la guardia a due mercantili che aveva scortato da Tripoli e in attesa dell’apertura degli sbarramenti retali, svaporava rumorosamente per pulire i tubi della caldaia…
Una missione senza storia salvo un allarme notturno presso le famigerate boe delle secche di Kerkenna e la noia di zigzagare come un cane pastore, a guardia di due vecchie, ma preziose carrette che non riuscivano a fare più di sette nodi. Il Comandante in seconda aveva convocato i due giovani ufficiali in segreteria non appena gettate le bozze di poppa in banchina. Nella “bolgetta“ portata a bordo dal marinaio postino con la motobarca dei piloti, tra i soliti dispacci “urgentissimi“ ed il solito mezzo quintale di papiri, vi era un ordine di trasferimento riguardante il STV Attanasio e Sauro, che dovevano presentarsi al Comando Marina per ritirare una bassa di passaggio “urgente“ con destinazione La Spezia. Era il primo giorno di novembre: lo stesso giorno i due giovani si ritrovarono su un aereo da trasporto che partito dall’aeroporto di Trapani Milo, ora volava alla volta di Pisa, dopo aver fatto scalo a Roma.
IL volo verso Nord aveva fatto sperare ai due una breve licenza a casa, rispettivamente a Genova e Pola, ma la speranza di rivedere le famiglie svanì quando all’aereoporto di Pisa, scendendo dalla scaletta dell’aereo sotto una leggera pioggerella videro il Tenente Corti che li attendeva sul piazzale accanto ad una 1100 blù. “Brutto segno“ disse subito Gigi Sauro “quando ti mettono sotto il c… un’aereo e un’automobile di servizio, vuol dire che qualcuno vuol mandarti “urgentemente in prima linea..“
“Ma… Porca miseria! Più o meno già eravano in prima linea“, borbottò Francesco.
“Bravi… ragazzi! Benvenuti da “Mamma Decima”, disse ridendo Corti mentre tendeva loro la mano. Non si vedevano dalla fine di aprile del 1941, quando erano stati liberati dalla breve prigionia nel campo greco di Istmia. A Francesco tornarono immediatamente in mente le figure di Corti e Bertone, in plancia al vecchio “Araxos“, in rotta verso il “Canale di Corinto”.
“Comandante agli ordini!”
Durante il breve percorso dall’aereoporto di Pisa, alla base della X Mas a Bocca del Serchio, percorrendo l’Aurelia sino al bivio di Migliarino, Corti che guidava la vettura alla luce dei fari malamente oscurati chiese delle ultime avventure nel Canale di Sicilia ai due taciturni passeggeri e poi all’ improvviso chiese a Francesco se intendevano essere aggregati permanentemente alla Decima e se sentivano di partecipare con lui e Bertone ad una azione simile a quella dell’Araxos.
Francesco, preso di contropiede pensò che i pericoli di una singola azione, anche del tipo di quelle della X Mas potevano comunque essere inferiori a quelle di routine nella scorta dei convogli dove, specialmnte negli ultimi tempi, l’unità sulla quale era imbarcato era sempre più esposta all’insidia dei siluri inglesi e delle mine. E poi era nella sua maniera di ragionare l’indipendenza delle azioni che dovevano essere individuali, quando ogni tua decisione riguarda la tua vita e non quella dei compagni. Il suo ideale era il combattente individualmente, cosa che si poteva realizzare solo in Aereonautica per i piloti da caccia… anche Gigi la pensava così. Questa comunione di ideali era una delle componenti della loro amicizia…
Cielo del Mediterraneo Orientale – dicembre 1941
Ora, mentre volava al chiar di luna in quel velivolo senza motore, trainato da un rumoroso trimotore che si apprestava a penetrare tra grandi ammassi nuvolosi che si profilavano minacciosi a Sud lungo la sua rotta, Francesco rivide quella cena alla base della Decima a Bocca del Serchio…
La grande tavola quella sera non era molto affollata. Oltre al Capitano di Fregata Forza, il medico Spaccarelli e due giovani operatori in fase di allenamento, erano ospiti Bertone, Corti, Francesco e Gigi Sauro.. “quelli del tappo“, come erano stati subito soprannominati i quattro dopo l’azione di Corinto ed in previsione di quella di Suez…
Una strana atmosfera di attesa aleggiava al Serchio… Il sommergibile “Scirè“ di Borghese con gli SLC erano già a Lero in Egeo e De la Penne, Marceglia e Martellotta con i rispettivi “secondi“ erano in volo per raggiungere Lero… poi sarebbero rimasti in attesa dei risultati dell’ultima ricognizione aerea su Alessandria, per constatare la presenza in porto delle corazzate e della portaerei da attaccare. Per l’azione contro Suez Forza disse che la Lufwaffe, dopo l’intervento del Duca d’Aosta, aveva messo a disposizione per le prove e l’azione un aliante anfibio del tipo Gotha, con un esperto pilota. Il messo avvicinatore, un MTL nuovo, era già alla base di La Spezia, pronto per raggiungere un aereporto del sud per le prove. Non mancava che l’allenamento degli operatori alle tecniche “gamma“ di attacco alle navi.
Il giorno successivo i quattro del “tappo“ raggiunsero Livorno dove, presso la scuola sommozzatori dell’Accademia Navale, con sorpresa incontrarono Krause e iniziarono gli allenamenti. Furono quindici giorni di intenso e faticoso lavoro sotto la guida del TV Eugenio Wolk e del Comandante Belloni, inframezzati da uscite notturne nella rada di La Spezia con l’ MTL che dopo la prima settimana partì per Foggia.
Le attrezzature e le tattiche di impiego dei “gamma“ erano agli esordi e Francesco e Gigi si trovarono molto in vantaggio, avendo frequentato un corso di tecnica subacquea quando erano ancora allievi presso l’Accademia.
Ambedue ricordavano le prime immersioni con i respiratori a circuito chiuso ad ossigeno, nella piscina coperta e poi quelle con il pesante scafandro da palombaro nel porticciolo di San Leopoldo. L’addestramento finì il giorno 20 dicembre quando tutti e cinque con Krause si auguravano che le prossime immersioni si svolgessero in acque più calde. Erano appena rientrati dalle esercitazioni con l’ aliante al Lago di Lesina, quando furono convocati al Comando della X MAS – Bartolomeo di La Spezia. Con Forza ed il suo stato maggiore fu tenuta una lunga riunione per definire le modalità operative dell’azione.
“La ricognizione aerea segnala un importante convoglio inglese in arrivo a Suez dalla rotta del Capo di Buona Speranza. Le navi transiteranno per il Canale in gruppi di cinque unità per volta e sosteranno per incrociare le navi scariche dirette in Mar Rosso nell’ ancoraggio del Piccolo Lago Amaro, a circa venti miglia da Suez. Purtroppo, il periodo è di luna piena, ma per voi potrebbe essere un vantaggio. Dovrete arrivare con il vostro MTL fino all’ ancoraggio del Piccolo Lago, presso il villaggio di Kabrit“.
Forza indicò la località sulla grande carta nautica del Canale. Bertone dopo ever osservato a lungo la carta disse:
Siamo ben dentro la <Bocca del Leone> Comandante! Qui a Suez vedo segnati sbarramenti retali, batterie pesanti e leggere e posti di guardia… d’accordo che stiamo tentando di mettergli un “tappo“ dal lato dove meno se lo aspettano, ma chi ci farà entrare con l’MTL? A Suez uno di voi dovrà contattare un nostro agente egiziano, lasciando un messaggio con le modalità che poi vi dirò. Lui vi aiuterà nel passaggio del primo tratto del Canale , passaggio che potrà avvenire di notte seguendo una draga che settimanalmente lavora nelle ore notturne all’allargamento del canale“.
Forza terminò estraendo da una cartella numerose fotografie: “Nelle foto della ricognizione aerea tedesca potete vedere come sono abitualmente ancorate le navi in sosta, affiancate a “pacchetto“, il che vi faciliterà il lavoro. Tutte le navi mercantili sono dotate di alette di rollio, quindi per voi il compito sarà abbastanza facile. Scegliete le navi a pieno carico e possibilmente le petroliere.
Poi proseguì: “Le cariche esplosive “bauletto“ sono del tipo che avete imparato a maneggiare a Livorno, cioé con dodici chilogrammi di esplosivo. Lo scatto del percussore avviene, come sapete, dopo un certo numero di giri dell’elichetta che si metterà a girare non appena la nave raggiunge i cinque nodi. Quindi, essendo la velocità di transito permessa nel canale di cinque nodi, il dispositivo “regolato per tre nodi di velocità e per un numero di giri pari a venti miglia, in modo che la carica esploda quando la nave è nel punto più stretto del canale, cioé tra il grande Lago Amaro ed il Lago Timsah dove le operazioni di sgombro e rimozione saranno particolarmente ardue, data la ristrettezza del bacino“. “Se la fortuna ci assiste o meglio, vi assiste, concluse Forza, è probabile che con otto bauletti o meno, possiate bloccare il canale per un lunghissimo periodo.
Il mezzo avvicinatore è dotato di cariche di autodistruzione e il nostro agente a Suez farà in modo di farvi arrivare al Cairo, da dove, se cercherete di evitare i piaceri della capitale egiziana, potremo recuperarvi”. Gigi Sauro per un attimo fissò negli occhi Francesco e vide figure di giovni odalische danzanti. “Comunque sin dall’inizio voi avete scelto un tipo di vita di azione ad alto rischio e mi pare di ricordare che voi quattro avete fatto, sia pure breve, una esperienza di campo di prigionia. Mi auguro che il vostro soggiorno come prigionieri degli inglesi sia breve come quello in Grecia.. faremo tutto il possibile per riportarvi al Serchio.
Posso darvi ora una buona notizia che in parte può consolarvi. De La Penne, Marceglia e Martellotta, con i loro secondi sono stati catturati ad Alessandria, ma abbiamo la certezza che almeno due navi da battaglia siano state colpite e gravemente danneggiate. Il Comandante Borghese sta rientrando con lo Sciré“. Se partite domattina per l’Egeo potete imbarcarvi con il mezzo sull’aliante che è già pronto all’aereoporto di Gadurrà e potete essere a Suez prima della fine della settimana.
Mi dispiace che non possiate passare il Natale con le vostre famiglie, ma mi auguro che per l’Epifania possiate già essere sulla via del ritorno. Già sulla via del ritorno! “
Con queste consolatorie parole in mente, dopo la riunione finale al Comando della Xa nella Caserma di San Bartolomeo, Francesco con Gigi Sauro si fecero accompagnare dal mezzo di servizio a Portovenere, dove in accordo con gli altri della “squadra del tappo“, aveva deciso di concludere il periodo di addestramento con una ”cena fuori ordinanza“ a base di pesce e frutti di mare, in un ristorante sull’altro lato del golfo. Gli altri operatori accompagnati da Forza e da Spaccarelli li avrebbero raggiunti più tardi con un altro mezzo. Francesco prese posto su una delle panche a vecchia motobarca che li attendeva alla banchina della base. Il sole stava tramontando dietro le montagne che chiudono a Sud Ovest il golfo della Spezia e degradano verso 1’sola della Palmaria del Tino e del Tinetto . L’anziano Sotto Capo mise in moto lo sfiatato motore che con il suo “ritmo lento“ faceva vibrare l’altrettanto anziano scafo in legno.
“Scosta, libero a prora“, fu l’ordine al marinaio che a prua stava salpando il doppino del gavitello d’ormeggio. Lo scafo si diresse lentamente verso la diga foranea che comincò a costeggiare dal lato interno passando vicino alle culture di mitili. Gigi Sauro taciturno sedeva a poppa, un paio di banchi lo separavano da Francesco ed ambedue osservavano in silenzio il disco del sole che spariva dietro le montagne sopra La Spezia.
Era il momento magico del silenzio!
Al termine della diga al varco di ponente incrociarono un sommergobile che usciva dalla rada. Stava superando gli sbarramenti retali che per ‘1occasione erano stati aperti, mentre scivolava silenzioso salutato dal picchetto di marinai sulla bettolina di guardia alle ostruzioni. Dalla sua torretta un ufficiale, probabilmente il Comandante, rispose al saluto portando la mano alla visiera del suo berretto, mentre un marò ammainava la bandiera per il saluto di risposta. Appena fuori dalle rotte di sicurezza si sarebbe immerso per la sua missione di guerra.
In quel magico momento altri uomini stavano salpando sulle loro navi verso le missioni di guerra, dai porti della Sicilia, della Libia o dall’Egeo. Altri uomini attendevano nella calda luce delle piste siciliane l’ordine di decollo verso Malta con i loro neri bombardieri.
Nel deserto Egiziano i carristi preparavano i loro mezzi corazzati per l’assalto dell’indomani e nella steppa russa gli alpini, oltre contro i russi dovavano combattere contro il freddo e cercavano riparo nella termpesta di neve. Tutti uomini che cercavano e trovavano conforto nei loro pensieri. Sapevano che tra poche ore si sarebbero trovati in azione e che molti di loro non sarebbero più tornati. Molti di loro in quei momenti stavano scrivendo a casa mordicchiando un mozzicone di matita e non sapendo cosa descrivere. Molti pensavano alla mogli ed ai figli scrivendo con gli occhi umidi di pianto, mentre le mani abituate alle ami ed ai comandi cercavano di tracciare parole inadeguate ad esprimere ciò che pensavano. Gli innamorati si sforzavano di dire ciò che avrebbero dovuto dire in passato. I padri esortavano i figli ad avere cura delle madri se fosse accaduto il peggio…
Anche Francesco aveva scritto a casa, aveva cercato di spiegare i suoi pensieri, ma non era stato facile, suo fratello più piccolo era entrato anche lui in Marina e le ultime notizie dicevano che aveva superato l’esame di ammissione all’Accademia di Livorno. Francesco si sentiva un po’ responsabile della decisione del piccolo Filippo… già, per lui Filippo era sempre il “piccolo“ e pensando a suo fratello piccolo capì che se fosse morto sotto la carena di una nave nemica, non si sarebbe sposato e non avrebbe avuto figli. In vita sua non aveva avuto grandi occasioni di considerare questa possibilità, visto un piccolo flirt negli anni del liceo ed un paio di ragazze durante il periodo dell’Accademia, quando ai balli si vivevano momenti irreali abbracciando splendide e giovani creature. Ora desiderava, con una intensità mai conosciuta prima, avere una donna dalla quale tornare alla fine della giornata ed un figlio al quale raccontare favole, non ricordi di guerra.
La voce del Sottocapo, che con la mano destra teneva saldamente la vibrante barra del timone, risvegliò Francesco dai pensieri dicendo: “Signor Attanasio, Signor Sauro siamo srrivati!“ La motobarca aveva superato il Seno della Castagna e l’abitato di Portovenere si profilava oscurato contro il cielo rosso del tramonto.“ Già sulla via del ritorno mormorò: Francesco guardando oltre le sfinestrature in plexiglass dell’aliante, dove settanta metri piu avanti si vedeva il grosso timotore che ballava su e giù strattonando il cavo di rimorchio.
“Porca miseria.. guarda che razza di temporale ci sta aspettando “sulla via dell’andata”. Cominciamo bene“. Colossali nembocumoli torreggiavano fino a diecimila metri illuminati dalla luna e percorsi al loro interno da continue scariche elettriche (9). Sembrava di volare dentro una mostruosa cavena snza fine e l’aereo trainatore procedeva con ampie virate per evitare di entrare nelle nuvole dove la fortissima turbolenza poteva provocare qualche serio cedimento strutturale, che sicuramente avrebbe provocato la perdita di controllo e la distruzione dell’aliante. Il variometro indicava quattro metri al secondo a salire. Evidentemente i piloti del trimotore cercavano un passaggio oltre al fronte temporalesco a quote piu alte.
“Prendete le maschere per l’ossigeno, “disse Krause e Corti distribuì delle piccole bombole con erogatore e boccaglio incorporato. Ma il ballo non accenava a diminuire, anzi era più violento.
Franceso che era sdraiato entro l’MTL, per non essere sbalzato fuori raggiunse i compagni aggrapati alle strutture tubolari interne della fusoliera.
Krause pilotava con perizia e tranquillità, seguendo il trimotore e cercando di prevenire e contrastare le continue cadute e scossoni. Inevitabilmente, per non dovere invertire la rotta, entrarono in un violento piovasco con frequenti scariche di grandine che a malapena lasciavano vedere il velivolo trainatore.
I piloti dell’83° provvidenzialmente accesero le luci di posizione e Krause poté proseguire il volo con questi punti di riferimento, senza il tormento degli improvvisi strattoni del cavo di traino. Improvvisamente sbucarono nel sereno e nell’aria calma avevano superato il fronte temporalesco. Sopra di loro il cielo sereno stellato ed a cinquemila metri più in basso il deserto illuminato dalla luna sembrava un mare grigio, mentre lontane alla loro sinistra le luci deli centri abitati del Delta che si infittivano al sud, come la grande nebulosa e lontana il Cairo. A quella quota la temperatura esterna era molto bassa e benché coperti dalle sottili lane sotto le mute gommate e dalle tute regolamentari, tutti battevano i denti. Corti ,tiro’ fuori da un compartimento del MTLun paio di recipienti termici con cioccolato caldo molto zuccherato che fu graditissimo a tutti.
“Sono le 21.00“, disse Corti “e dovremo essere sul punto di virata dell’oasi di Fajum ; poi dopo venti minuti saremo sul punto di sgancio“. Le luci del Cairo erano ora ad Ovest. Pochi secondi dopo Krause avvertì il segnale, due leggere imbardate a sinistra ed il trimotore che aveva spento già da tempo le luci di guida iniziò una progressiva virata inclinandosi.
Sulla nuova rotta per 90° apparve sotto i due velivoli la grande oasi che da quell’altezza, nel chiarore diffuso del deserto, sembrava una grande isola di colore più scuro con radi punti di luce. Poi attraversarono il nastro luminoso del Nilo bordato di terre coltivate. Alle 22,00, come previsto dal piano di volo, avvenne lo sgancio. Dopo, l’SM 83 facendo oscillare le ali in segno di saluto virò decisamente verso Sud.
Il rombo del diretto in Etiopia si fece sempre piu lieve, sostituito dal sibilo del vento sulle ali che sostenevano quasi nove tonnellate di alluminio, acciaio, legno, tela ed esseri umani.
Il Gotha mise il naso in giù e sulla vertcale del faro di Ras Abu Darab, da
quattromila metri sulla costa occidentale del Mar Rosso, iniziò la planata di quaranta chilometri che lo avrebbe portato sulla sponda del Sinai, nella rada di Ras Matharmah, punto di atterraggi previsto.
L’aliante scendeva silenziosamente verso le sponde del Sinai le cui montagne giganteggiavano in una continua grigia catena che terminava a Sud, nel monte ove Mosé aveva ricevuto le tavole dei Comandamenti.
Krause corresse la rotta di circa 20° a Nord, ma poco dopo alla luce della luna era già ben visibile la barriera corallina che formava la rada e la laguna di Matharmah. Dopo una ventina di minuti arrivarono ad una quota di un migliaio di metri sulla verticale del grande specchio d’acqua, che in realtà era un golfo difeso a Nord da una lunga penisola sabbiosa. Krause, dai riflessi di luce sull’acqua, tentò di dterminare la direzione del vento, ma Bertone lo rassicurò: di notte i venti dominanti sul Mar Rosso cadono a regimi di brezza da Nord. Gli strumenti fiocamente illuminati erano tenuti d’occhio per avere una discesa costante. Qualche tenua luce brillava all’interno della costa. Forse un veicolo sulla strada litoranea verso Sharm el Sheik.
Il mare sembrava calmo ed il Gotha perdeva progressivamente quota… cento metri, cinquanta, venti, dieci… Krause azionò i diruttori e l’aliante con uno scossone toccò l’acqua.
Dopo un breve flottaggio erano fermi e la riva sabbiosa era distante un centinaio di metri. Il silenzio piombò sui cinque uomini come un tuono e dopo tante ore di continuo rumore, si sentiva solo lo sciaquio delle piccole onde contro lo scafo ed i galleggianti alari. Krause e Bertone, tolte le cinture di sicurezza si levarono dai sedili. “Bene, siamo felicemente arrivati! Prepariamoci ad andar per mare”, disse Bertone. “Attasasio e Sauro pronti a liberare il battello e vararlo mentre io e Corti apriamo il portellone. Veloci mi raccomando, perché Krause sta già sfondando lo scafo“.
In un primo tempo era stato previsto di incendiare l’aliante, ma il fuoco avrebbe potuto mettere in allarme qualcuno. Così si era deciso di affondarlo e prima della partenza da Rodi erano stati aperti gli aleggi dei galleggianti laterali ed erano stati aperti dei fori di sfiato sulle ali.
Tutti questi accorgimenti, unitamente allo sfondamento dello scafo, avrebbero provocato l’affamento del Gotha che aveva una struttra parzialmente metallica. Non appena l’MTL fu varato, Krause sollevato il pagliolo cominciò a colpire il fondo dello scafo con una accetta. L’aliante sarebbe affondato, sia pure lentamente, in non meno di dieci metri d’acqua.
A tale scopo era stato gettato un ancorotto per far si che con il vento il Gotha non arrivasse a riva prima di scomparire sotto la superfice dell’acqua.
La fusoliera era già quasi tutta sott’acqua ed il pilota tedesco, salito sull’ala cercava di sfondarne il riestimento in tela compensato.
Erano le 23.15 quando l’ MTL si mise silenziosamente in moto verso Nord tenendosi a ridosso della riva.
Il Mar Rosso in quel punto sembra un lungo corridoio chiuso tra le alte montagne che si vedevano nitide nella notte. Bertone era al posto di guida posteriore, con Krause armato del suo potente binocolo notturno Zeiss, mentre Corti con Sauro era seduto nell’abitacolo anteriore. Fancesco era sdraiato nel vano di carico sinistro ed aveva ripreso le sue fantasticherie o più realisticamente aveva ripreso il sonno interrotto durante l’ammaraggio.
Lontano un paio di piroscafi scarichi navigavano a luci spente verso Sud. Tutti i fari erano accesi, evidentemente i pericoli della navigazione in quelle acque ristrette erano maggiori dei vantaggi che si potevano dare ad un improbabile avversario.
Albeggiava quando arrivarono a poche miglia dal faro di Ras Adalija, il promontorio che chiude ad occidente la grande rada di Suez. La navigazione era stata abbastanza tranquilla, salvo nelle ultime miglia quando incrociarono un paio di rumorose vedette inglesi che pattugliavano gli ingressi alla rada. L’ MTL fu fermato, affinché , non si sentisse il tenue rumore del motore, ma la forte fosforescenza della sua scia non ne tradisse la presenza.
Bertone decise di rasentare la costa passando a pochi metri dalle piccole spiagge che si alternavano a ripide scogliere. Poi costeggiarono la lunga spiaggia che terminava con il basso promontorio del faro. L’MTL nella sua mimetizzazione era quasi invisibile e anche il rumore del motore era attutito da un efficace silenziatore. Per doppiare il promontorio, ove probabilmente vi era un posto di guardia, Bertone decise di procedere con il motore elettrico. Dietro le montagne del Sinai il cielo era già rosato e la visibilità si faceva sempre migliore. Sorpassato il faro, poco a nord del promontorio, apparve una confusa massa che si profilava contro il cielo ormai chiaro; era un vero cimitero di navi. Vecchi scafi arrugginiti, semiaffondati o arenati, pescherecci in legno abbandonati, vecchie carrette dagli alti fumaioli, motovelieri, decrepite feluche sbandate, chiatte e pontoni arrugginiti.
Uno spettacolo comune a molti porti ove le navi vanno a morire in attesa di essere demolite quando non trovano un’onorata tomba in alto mare. Bertone individuò la vecchia draga a secchi ancorata tra due piroscafi semiaffondati e vi si accostò scostando un paio di lance di salvataggio che erano a fianco. Era la vecchia draga che Forza gli aveva fatto vedere nelle foto della ricognizione aerea tedesca.
Tirate fuori la rete mimetica e stendetela tra le lance e l’MTL, con sopra un paio di quelle vecchie cassette da pesce. Credo che potremo dormire un po’. Corti si arrampichi sulla draga che offre un buon punto di ossevazione e faccia il primo turno di guardia. Poi a mezzogiorno la rileverò io. Faccia attenzione perché il nostro agente dovrebbe farsi riconoscere con le prime note della marcia trionfale del’Aida.
Poi Bertone soggiunse tra se e se:
Certo che i nostri servizi segreti hanno una bella fantasia!
Il sole era già alto nel cielo e radi banchi di nuvole sovrastavano le montagne che a Est ed Ovest dominavano il golfo di Suez, dove il Mar Rosso muore in un semicerchio di basse rive sabbiose, preludio del deserto dove è stato appoggiato di schiena alla grande ruota dentata, ormai ferma da anni. Di lassù il panorama era grandioso e con il sorgere del sole ed il diradarsi dell foschia era ripresa l’ attività del porto.
Da un lontano minareto giungeva il lamento modulato della preghiera del mattino del muezzin che svegliava la città. Una piccola barca con due pescatori segnava con il ritmo dei remi e la tenue scia, la superficie speculare del mare. Verso l’orizzonte un grande convoglio di dieci navi , provenienti da Sud stava arrivando lentamente e quattro cacciatorpediniere che le vigilavano, ne incrociavano la rotta. Corti, osservandole notò che erano cariche, basse sull’acqua. Poi inquadrò con le potenti lenti del binocolo la zona dell’imboccatura del canale. Un duplice sbarramento di reti sostenute da galleggianti cilindrici chiudeva un’ ampia zona antistante la via d’acqua ed una piccola petroliera in attesa di entrare, era affiancata da una motovedetta della Royal Navy che aveva evidentemente fatto salire a bordo un picchetto di ispezione.
Poco dopo, mentre un rimorchiatore apriva gli sbarramenti, la petroliera fu raggiunta dalla barca dei piloti. Corti osservò che la petroliera batteva bandiera turca, quindi neutrale e la motobarca dei piloti issava la bandiera egiziana, oltre a quella della Compagnia Internazionale del Canale di Suez.
Quindi, il canale in territorio egiziano, formalmente neutrale, era aperto al traffico internazionale, ma il tutto era più o meno controllato severamente dagli inglesi. Altre quattro navi entrarono dopo la petroliera turca, tre britanniche ed una spagnola seguite da un rimorchiatore inglese ed a tutte fu riservato lo stesso trattamento. Corti pensò che l’entrata del loro MTL sarebbe stata una cosa molto difficile, se non impossibile, a meno che non potesse svolgersi in piena notte forzando gli sbarramenti ed eludendo la fortissima sorveglianza, ma il ricordo dell’azione di Malta ed il suo sanguinoso e sterile risultato gli fece scartare subito l’idea.
Il golfo era pieno di navi alla fonda, grandi e piccole, di tutti i tipi, in procinto di entrare nel canale, oppure in attesa delle scorte per formare dei convogli verso il Sud. L’ingresso della rada era dominato da una bassa isola posta al centro tra la riva africana e quella asiatica. La “green island“, come era indicata nella carta nautica con i suoi bastioni e postazioni di cannoni, sembrava una grossa nave da guerra. Osservandola da circa sei chilometri di distanza, Corti vide all’ estremità Nord una strana struttura metallica che girava lentamente e dopo averla osservata attentamente pensò che poteva essere uno dei nuovi apparati di radiotelemetria dei quali aveva sentito parlare in Italia e che si diceva fossero stati determinanti per gli inglesi nel sanguinoso scontro navale di Capo Matapan.
Un lento monoplano da ricognizione sorvolò Suez prima di ritornare a Nord. Il convoglio che aveva visto arrivare era già all’ altezza dell’isola e le navi stavano rallentando per prendere le loro posizioni di ormeggio. Chiaro giunse sull’ acqua il rumore sferragliante e cupo delle catene che scendevano dagli occhi di cubia, mentre le navi d’abbrivio o per effetto della corrente giravano su se stesse mostrando le basse fiancate. Improvvisamente, sentì anche un rumore proveniente dal basso, guardò giù e notò che l’MTL non si vedeva quasi, serrato tra le due lance di salvataggio e coperto dalla rete mimetica e dalle cassette. Poi vide Bertone che guarda in alto e che già sul ponte della draga, si accingeva a salire la ripida scaletta per raggiungerlo. “Buon giorno“ disse sedendosi con la schiena contro la grande ruota. “Mio Dio, come berrei volentieri una tazzona di caffé”, disse Corti. Buongiorno Comandante, dormito bene? “Ci sono novità? Chiese sbadigliando e prendendo a sua volta il binocolo.
No tutto calmo ed ho un estremo bisogno di dormire. Il convoglio che ci aveva segnalato Forza, sta dando fondo, eccolo la. Un’ora fa è entrato nel canale un convoglio di cinque navi e adesso, come può vedere, sta uscendo una draga a rimorchio; draga che deve aver lavorato tutta la notte quando il canale è chiuso al traffico.
Bertone osservò la piccola draga con un alto fumaiolo mentre lentamente si avvicinava e disse:
Probabilmente, se questa notte ritorna a lavorare nel canale, entreremo con lei.
Come è possible? Aspettiamo il nostro agente, è lui che può darci questa possibilità; pare che sia un dirigente della Compagnia Internazionale del Canale, ingegnere addetto alla manutenzione.
Poi volgendo lo sguardo in basso disse:
Accidenti, abbiamo visite, guardi quell’ arabo che viene verso di noi con la sua barca a remi.
Un individuo con un turbante bianco in testa ed una sudicia “galabeja“ stava remando in piedi ed osservava l’alta struttura della draga dove erano appollaiati Bertone e Corti.
L’arabo smise di remare e procedendo d’abbrivio, ormai a pochi metri dallo scafo arrugginito, cominciò a fischiare il verdiano e popolare motivo. “Pure stonati sono i nostri agenti segreti!“ bisbigliò ridendo Corti.
Hussein Martin, ingegnere della Compagnia Internazionale del Canale di Suez, si era laureato in Italia, frequentando i corsi per ufficiali stranieri all’ Accademia Navale di Livorno. Cittadino Egiziano, successivamente aveva prestato servizio come “Secondo Ufficiale” su un vecchio cacciatorpediniere, ex britannico, della piccola Marina militare Egiziana. Congedatosi, era entrato come dirigente tecnico nelle Compagnia. Nato al Cairo da genitori italo/egiziani, i suoi sentimenti, per la verità, erano più anti inglesi che filo italiani e rispecchiavano l’insofferenza sempre più palese delle sfere politiche e militari egiziane verso le ingerenze britanniche.
Nel 1940 l’Egitto aveva mantenuto un atteggiamento neutrale e anche l’Italia non aveva dichiarato guerra alla nazione con la quale sussistevano grandi legami culturali ed interessi economici.
Le truppe britanniche e la flotta inglese, sempre presenti nella zona del Canale e nel porto di Alessandria, si assunsero la difesa dell’Egitto non richiesta, che in realtà era la difesa degli interessi commerciali e strategici della Compagnia del Canale. Le azioni e quindi la proprietà ed il controllo del Canale, sin dai tempi della Regina Vittoria, ad opera di un lungimirante Ministro de gli Esteri “Disraely”, furono rastrellate in tutta l’Europa ed in particolare in Egitto, finendo nelle mani di Sua Maestà Britannica.
Sin da gli anni trenta, negli ambienti militari egiziani serpeggiava un’aria di fronda prossima reazione all’ aperta cospirazione e alla rivolta anti inglese.
Nel 1940, un certo Colonnello detto “Sadat”, che negli anni settanta diverrà presidente della Repubblica Egiziana, aveva aperto un canale di contatti con lo Stato Maggiore Tedesco per una eventuale collaborazione anti inglese.
Il movimento, purtroppo, era di matrice repubblicana e forse fu quest’ultimo particolare a far fallire i tentativi concreti, alcuni dei quali terminarono in aspetti farseschi, come quello del Generale Azisel Masry, nel ’41, che non poté raggiungere le linee italo/tedesche, perché il suo aereo rimase senza carburante e fece un atterraggio di fortuna dentro le linee inglesi.
Hussein Martini, poi inglesizzato opportunamente in Martin, era stato coinvolto marginalmente in queste macchinazioni, perché la piccola Marina Egiziana era rimasta fedele alla monarchia ed era moderatamente anti britannica. Quando entrò nella Compagnia, fu discretamente avvicinato da un suo ex compagno di Accademia facente parte del Servizio Informazioni della Marina Italiana. Iniziò così una saltuaria collaborazione che al principio era limitata alla sola raccolta di informazioni. Più tardi, con lo scoppio della guerra, divenne importante anche nel campo operativo.
Hussein, quella mattina era uscito presto di casa e recatosi in bicicletta nella zona portuale, dove sostavano le imbarcazioni della Compagnia, si era fermato prima in ufficio, poi con la scusa di doversi recare a bordo di un rimorchiatore in disarmo, aveva preso l’imbarcazione a remi e si era messo alla voga dirigendosi verso quello che lui chiamava “il cimitero delle navi“, ove era ancorata una sua vecchia draga in attesa di essere demolita.
Una quindicina di giorni prima aveva ricevuto un lungo messaggio cifrato nel quale gli chiedevano di appoggiare una’azione della Marina Italiana a Suez e di predisporre per un piccolo mezzo navale, una base nella zona delle navi in demolizione o disarmo, ad Ovest di Suez. In precedenza Hussein aveva già trasmesso in Italia tutte le informazioni che gli erano stare richieste e relative ai movimenti ed alle difese attive e passive del canale. Adesso sapeva che il mezzo era arrivato.. La sera precedente, durante il consueto appuntamento radio, ne aveva avuto la confema.
Era un po’ fuori dalla sua abituale zona di lavoro e per non destare sospetti si era infilato la vecchia galabeja che teneva nella barca a remi. Ormai a poche decine di metri dalla vecchia draga, cominciò a fischiare le prime note della marcia trionfale e vide sull’alta struttura un piccolo movimento. Un braccio si era levato in segno di intesa. Dunque, gli italiani erano veramente arrivati! D’abbrivio si infilò tra lo scafo di un vecchio piroscafo e quello della draga… il passaggio era stretto ed ostruito da due lance di salvataggio e da qualche cosa di non ben identificato che nella penombra ad Hussein sembrava un mucchio di cassette da pesce e spazzatura galleggiante. Quando fu ben dentro e la sua prua urtò il fianco di una delle due lance, vide con stupore una delle cassette sollevarsi ed un volto sorridergli a poca distanza. “Buongiorno“, sentì dire in italiano. “Buongiorno“ rispose “..e benvenuti a Suez, ma accidenti, dov’ è il vostro mezzo?” “Quì sotto la rete e sotto ste cazzo di cassette che puzzano da morire”, sentì dire da un’altra voce proveniente dalla semioscurità. “Martini, venga su“, era Bertone che dal ponte lo chiamava sottovoce.
Quel pomeriggio erano tutti riuniti nel piccolo quadrato della draga, un locale sotto la timoneria. Un paio di sedie e sgabelli ed uno sgangherato tavolo era quanto rimasto dopo il disarmo, ma era un’arredamento più che sufficiente per una riunione prima dell’azione. La luce e fortunatamente un po’ d’aria entravano da un paio di oblò, ormai senza vetri, per mitigare l’aria calda del deserto. Sul tavolo i resti di un frugale pranzo, avevano fatto posto ad una carta nautica del canale del porto di Suez Hussein, dopo il primo incontro ed un breve colloquio, era ritornato nel tardo pomeriggio con una cesta di viveri ed un paio di caraffe termiche di caffé.
“Domani mattina quattro navi del convoglio per prime entreranno nel canale e sosteranno per tutta la notte nell’ ancoraggio del piccolo lago Amara presso Kabrit“, disse Hussein, indicando sulla carta la località. L’unico sistema per poter penetrare con il vostro mezzo nel canale è quello di entrare con la mia draga che è rientrata a Suez questa mattina e che riparte stasera alle 21.00 per tornare a lavorare nel primo tratto del canale, appena due miglia dopo l’entrata. Quindi, mezz’ora prima sarò qui davanti”.
I cinque uomini ascoltavano attenti le parole di Hussein che in piedi illustrava le possibilità di eseguire il piano. Berton e Corti erano seduti con la carta nautica innanzi. Franceco e Krause erano di fronte con Gigi, mentre Francesco di guardia, era rimasto sulla porta ed ogni tanto dava un’occhiata fuori. Il pomeriggio era già avanzato ed i raggi del sole entravano obliqui nel piccolo locale.
“Ho pensato: se faccio alzare il braccio che porta la catenaria dei secchi, voi potete fare infilare il mezzo nel vano dal quale il braccio opera, mentre stiamo scavando… Il vano e largo circa tre metri e mezzo ed il mezzo dovrebbe starci comodo. Poi ti farò calare il braccio in posizione tale da far chiudere il vano e coprire quel tanto necessario affinché nessuno possa vedervi. A bordo ho solo tre uomini e posso tenerli occupati per il tempo necessario all’operazione sia in entrata che in uscita.
Attenzione però, prima dell’apertura degli sbarramenti, salirà a bordo, come al solito, un picchetto di soldati inglesi per una beve ispezione. Conosco il loro sergente e credo che al buio non si accorgeranno di nulla. Comunque la zona del canale, da oggi pomeriggio è in allarme; credo che ciò sia dovuto anche all’attacco che la Marina Italiana, pochi giorni fa, ha effettuato nel porto di Alessandria. Pare che due corazzate siano state colpite, ma gli operatori sono stati fatti prigionieri“. I quattro italiani si diedero un’occhiata di intesa.
“La sorveglianza è stata rinforzata e avrete notato anche voi che le motovedette sono sempre in movimento e che aerei sorvolano a bassa quota il canale. Probabilmente anche all’ancoraggio di Kabrit la sorveglianza sarà molto attiva.. Se vi nascondete in questi canneti, nella zona paludosa a Sud del lago“ e indicò un punto preciso sulla carta, “penso di potervi incontare per farvi avere le ultime notizie e comunque questo è anche il punto nel quale vi recupererò“.
Fine seconda puntata
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Perfetto, grazie a voi per questi racconti dell’architetto!
Gentile lettore,
nel ringraziarla per la segnalazione riscontrata per quattro disegni, provvederemo al più presto a risolverla.
Cordiali saluti,
Giacomo Vitale
Alcune delle foto (in particolare, la cartina dell’operazione) non si ingrandiscono…
Un altro regalo… di Natale!