Mare e picozza: Una vita al freddo di Tealdo Tealdi e Silvano Giuli
foto RGF – IGB (b&v)
Il salvataggio dell’equipaggio dell’Endurance portato a termine da Ernest Shackleton sembra solo un recupero marittimo, ma in realtà il capitano irlandese ha dovuto superare prove alpinistiche di altissima difficoltà.
Il 20 maggio 1916, Ernest Shackleton e due dei suoi uomini – Thomas Crean e Frank Worsley – giunsero barcollanti nella stazione baleniera di Stromness, sulla costa settentrionale della Georgia del Sud. Affamati, esausti, sudici, avevano appena compiuto la prima traversata dell’isola; partiti dalla baia di re Hakon, dove erano approdati a bordo di una scialuppa di salvataggio, in meno di due giorni erano riusciti a percorrere quasi 50 chilometri, affrontando ghiacciai e montagne fino a quel momento del tutto ignote.
La loro incredibile impresa permise il salvataggio dei restanti 22 uomini (gli altri 3 compagni arrivati con Shakleton erano rimasti ad attenderlo sul lato ovest dell’isola) tra i ghiacci antartici, accampati sull’isola Elephant. Quest’epica storia di sopravvivenza, iniziata sei mesi prima con l’affondamento della Endurance nel mare di Weddell, è stata immortalata da Frank Hurley in alcune foto esposte per la prima volta a Londra alla Royal Geographical Society in una mostra inaugurata il 21 novembre 2015 e terminata a fine febbraio 2016.
In occasione di una visita alla RGS abbiamo intervistato uno dei direttori: Alasdair Macleod. “Non sono molte le foto su vetro sopravvissute al viaggio perché Hurley ne dovette abbandonare 400 a causa del peso eccessivo. Noi ne abbiamo 68, il numero più alto, altre sono a Cambridge, in Australia e presso privati. Per la preparazione della mostra abbiamo iniziato a lavorare nel 2013, le foto sono state digitalizzate con una definizione altissima, usando un procedimento speciale realizzato in Olanda.
La mostra proseguirà a Manchester, Cardiff, Birmingham ed Edimburgo, inoltre siamo in contatto con altre città europee come Amburgo e con alcuni stati d’oltreoceano: Usa, Canada, Australia e Nuova Zelanda. La nostra collezione è unica perché può essere integrata con carte geografiche e mappe per offrire un quadro d’insieme, purtroppo mancano foto a colori. Durante l’esposizione abbiamo avuto 35.000 visitatori oltre ai 73.000 on line, questo risultato ci riempie di soddisfazione. È stato interessante far vedere ai ragazzi come una volta le foto non erano digitali, ma venivano fatte con pellicola e su vetro. Questa mostra ha fatto nascere la voglia di riutilizzare la stessa tecnica e gli stessi materiali, come ha fatto recentemente un famoso fotografo di moda, creando opere di altissima qualità e con un tocco diverso.
A parte l’importanza della documentazione fotografica, il ruolo di Hurley fu fondamentale perché contribuì in maniera decisiva a mantenere alto il morale della spedizione, motivando gli uomini a lottare con tutte le forze, dando la certezza che se si fossero salvati, il mondo avrebbe saputo della loro impresa”. La mostra è stata curata dall’esperta di storia antartica Meredith Hooper e include una serie di oggetti personali tra cui alcune pagine della Bibbia donata dalla regina Alessandra, moglie di Edoardo VII.
Solo tra il 1964 e l’anno successivo i dieci uomini della Combined Service Expedition, tutti membri esperti delle forze armate britanniche, riuscirono a ripercorrere le orme di Shackleton; altri obiettivi della spedizione – oltre alla raccolta di campioni minerali e botanici – erano l’esplorazione dell’area circostante la Royal Bay, la traversata della catena Allardycee le prime ascese assolute del monte Sugartop e del monte Paget, la vetta più alta dell’isola con i suoi 2915 metri di altitudine. Anche in quella occasione la rotta scelta da Shackleton e descritta nei suoi diari si dimostrò la più vantaggiosa per compiere l’impegnativo tragitto, dimostrando ancora una volta le notevoli doti sul campo dell’esploratore irlandese.
Nonostante la conquista delle due cime principali fosse stata salutata come un grande successo, le sempre mutevoli condizioni atmosferiche, che in più occasioni avevano già messo a dura prova le doti di resistenza della Combined Service Expedition, resero impossibili le ascensioni di altri picchi a dispetto di ogni sforzo. Le improvvise piogge torrenziali a bassa quota, le tormente di neve che si abbattevano con estrema violenza sui plateaux ghiacciati o contro le verticali pareti di roccia, gli ammassi di nuvole che avvolgevano per ore o addirittura intere giornate quelle desolazioni di pietra e ghiaccio, rendendo nulla la visibilità e qualsiasi forma di orientamento, avevano messo in evidenza l’ostilità di quel particolare habitat.
Le terre emerse più meridionali del pianeta, sebbene condividano colori e paesaggi con quelle più settentrionali, ne differiscono per molti fondamentali fattori, legati alle correnti marine e d’alta quota. Per farsene un’idea è sufficiente una semplice comparazione: mentre le isole Lofoten, situate a circa 68° di latitudine Nord sono, grazie alla Corrente del Golfo caratterizzate da un clima piuttosto mite, la Georgia Australe, ubicata a 54° di latitudine sud è quasi interamente coperta dai ghiacci.
Mentre a nord le precipitazioni non sono estreme, a sud le enormi masse di umidità spinte dai venti settentrionali originano condizioni di grande variabilità, con abbondanti piogge e nevicate; in definitiva, mentre a Svolvaer, sulle Lofoten, cadono circa 720 millimetri di pioggia e neve l’anno, a Grytviken, nella Georgia Australe, ne scende oltre il doppio.
Chiaramente, in simili condizioni, attività come alpinismo, trekking ed esplorazione scientifica devono confrontarsi con notevoli ostacoli e vanno pianificate con grande cura. Fino ad oggi, solo tre spedizioni sono riuscite a compiere la traversata integrale dell’isola da nord-ovest a sud-est, con un’estenuante marcia su ghiaccio di circa 170 chilometri a un’altitudine media di circa 450 metri.
L’ultimo a compiere l’impresa, nel 2007, è stato il team francese guidato da Isabelle Autissier e Lionel Daudet, che hanno portato a segno la sesta ascensione assoluta del monte Paget e la conquista di due vette ancora inviolate. Anche in quell’occasione bufere impreviste, scarsa visibilità e altri contrattempi hanno reso particolarmente ardua l’impresa, loro comunque si sono avvalsi del supporto tecnico di un’imbarcazione per il costante rifornimento di vettovaglie e altri materiali. Negli ultimi due decenni, il crescente flusso turistico verso la South Georgia ha dato origine a una forma meno estrema di approccio a un ambiente tanto ostile quanto innegabilmente suggestivo e oggi diverse guide alpine garantiscono ascensioni piuttosto sicure, ma ricche di emozioni, sui ghiacciai costieri.
DIAMO A SHACKLETON CIÒ CHE È DI SHACKLETON
Pare impossibile, ma per alcuni decenni nessuno ebbe una reale percezione della portata dell’impresa alpinistica compiuta nel 1916 da Shackleton e i suoi due compagni durante la traversata a piedi della Georgia del Sud. L’opinione pubblica mondiale era rimasta impressionata dall’incredibile navigazione nello stretto di Drake a bordo di una scialuppa, ma il fatto che i tre – sbarcati sulla costa meridionale dell’isola – avessero infine dovuto raggiungerne il lato opposto, non parve straordinario. Ciò era in parte giustificato dalla scarsa conoscenza di quella terra remotissima, intersecata da una catena montuosa di cui si sapeva ancora meno. A scoprire quanto quell’ambiente fosse ostile furono nell’aprile del 1982 alcuni commandos inglesi, sbarcati sul ghiacciaio Fortuna da tre elicotteri Westland Wessex come parte delle truppe d’assalto che avevano il compito di riconquistare alla corona britannica quel remoto lembo di terra, occupato appena una mese prima dalle forze argentine assieme alle ben più note isole Falkland.
Gli uomini del capitano John Hamilton, unità d’élite addestrata a combattere in qualsiasi condizione, si trovarono a dover affrontare un ambiente tanto proibitivo da costringerli alla resa in appena 24 ore; il 22 aprile lanciarono un disperato SOS spiegando che non avrebbero potuto resistere al freddo e al vento per un altro giorno. In loro soccorso furono subito inviati i tre potenti elicotteri, due dei quali tuttavia precipitarono sul ghiacciaio a causa delle avverse condizioni meteo, senza far vittime. Solo l’abilità e la coraggiosa determinazione dell’equipaggio del Wessex superstite permisero, molte ore dopo, il recupero di tutti gli uomini coinvolti nel disastro, diversi dei quali erano ormai semiassiderati, nonostante gli ottimi materiali a disposizione. Furono proprio i commenti dei sopravvissuti a mettere finalmente in risalto l’eccezionalità di quanto fatto da Shackleton, Crean e Worsley, ben 66 anni prima, con equipaggiamenti di gran lunga inferiori e in un ambiente del tutto ignoto.
Rivalità tra esploratori
Se durante la loro vita i tre esploratori che si sfidarono per essere i primi a raggiungere il Polo Sud (e su questo sono stati scritti biblioteche intere), vi è ora un posto dove Robert Falcon Scott, Ernest Henry Shackleton e Roald Engelbregt Gravning Amundsen sono uno accanto all’altro: sulla Luna. Infatti proprio in corrispondenza del Polo Sud del nostro satellite, vi sono tre crateri: il cratere Scott, di 103 km di diametro, lo Shackleton di 19 e l’Amundsen di 101. Il più piccolo è quello posizionato più a Sud, proprio in onore a chi non riuscì mai a raggiungerlo.
Shackleton e Dulwich
Sir Ernest Shackleton è sempre stato molto legato al Collegio di Dulwich, dato che i suoi genitori, di origine irlandese, vivevano molto vicini, a Sydenham. La James Caird è posizionata in una grande sala e vedendola di
persona non si può non essere meravigliati davanti a un vero guscio di noce che ha affrontato onde più alte del soffitto che la sovrasta, oltre 8 mt. Anche se era la più grande tra quelle disegnate da Frank Worsley, arrivava appena a 7mt e l’albero di cui è dotata, originale, è preso da un’altra barca, la Stancomb Wills. Il futuro esploratore non era un allievo molto dotato, a parte la matematica e nonostante scarsi voti in scienze, fu imbarcato come ufficiale sulla Discovery, con cui andò una prima volta al Polo Sud.
Il Collegio, dopo l’incendio che lo aveva distrutto nel 1865, è stato ricostruito a imitazione dei palazzi di Westminster,
al suo interno sono messe in bella mostra le slitte con cui Shackleton arrivò nel 1907, con la spedizione Nimrod, a circa 100 miglia dal Polo Sud, che non raggiunse mai perché non aveva abbastanza cibo. Questo primo tentativo fu ricordato da lui stesso nel 1909 durante una lesson tenuta nell’ingresso: “Bene, ragazzi” disse, “sono arrivato a circa 100 miglia dal Polo Sud e ho deciso, anche se mi sarebbe piaciuto arrivarci, di ritornare indietro, in modo da essere vivo ancora oggi, in altre parole, di avere abbastanza cibo per il ritorno”.
I vestiti degli esploratori, che anche loro fanno bella mostra in una delle sale principali, sono le copie di quelli confezionati nel 1914 dalla Burberry e furono realizzati quando Kenneth Branagh girò un film sulla James Caird. Confrontandoli con quelli moderni, tutti rimangono stupefatti di come abbiano potuto sopravvivere.
Passano 50 anni, ma le difficoltà rimangono
Solo tra il 1964 e l’anno successivo dieci uomini della Combined Service Expedition, tutti membri esperti delle forze armate britanniche, riuscirono a ripercorrere le orme di Shackleton; altri obiettivi della spedizione, oltre alla raccolta di campioni minerali e botanici, erano l’esplorazione dell’area circostante la Royal Bay, la traversata della catena Allardycee, le prime ascese assolute del monte Sugartop e del monte Paget, la vetta più alta dell’isola con i suoi 2915 metri di altitudine.
Anche in quella occasione, la rotta scelta un tempo si dimostrò la più vantaggiosa, dimostrando ancora una volta le notevoli doti sul campo dell’esploratore irlandese. Nonostante la conquista delle due cime principali fosse stata salutata come un grande successo, le mutevoli condizioni atmosferiche resero impossibili ascensioni di altri picchi, a dispetto di ogni sforzo.
Le improvvise piogge torrenziali a bassa quota, le tormente di neve che si abbattevano con estrema violenza sui plateaux ghiacciati o contro le verticali pareti di roccia, gli ammassi di nuvole che avvolgevano per ore o addirittura intere giornate quelle desolazioni di pietra e ghiaccio, rendendo nulla la visibilità e qualsiasi forma di orientamento, misero in evidenza l’ostilità di quel particolare habitat. Le terre emerse più meridionali del pianeta, infatti, sebbene condividano colori e paesaggi con quelle più settentrionali, ne differiscono per molti fondamentali fattori, per lo più legati alle correnti marine e d’alta quota.
In simili condizioni, attività come alpinismo, trekking ed esplorazione scientifica incontrano notevoli ostacoli e vanno pianificate con grande cura. Oltre al fisico, gli stessi materiali sono messi a dura prova e per rendersene conto basta pensare che mediamente la temperatura massima diurna estiva sulle coste della South Georgia è di 8°, mentre quella invernale scende a 0°.
Fino ad oggi, solo tre spedizioni sono riuscite a compiere la traversata integrale dell’isola da nord-ovest a sud-est, con un’estenuante marcia su ghiaccio di oltre 170 km a un’altitudine media di circa 450 metri. L’ultimo team a compiere l’impresa, tra il 26 novembre e il 15 dicembre 2007, è stato un gruppo francese, che ha anche portato a segno la sesta ascensione assoluta del Mount Paget e la conquista di due vette ancora inviolate. Anche in quell’occasione, bufere impreviste, scarsa visibilità e altri contrattempi hanno reso particolarmente ardua l’impresa, che comunque si è avvalsa del continuo supporto tecnico di un’imbarcazione per il costante rifornimento di vettovaglie e altri materiali.
Negli ultimi due decenni, il crescente flusso turistico ha dato origine a una forma meno estrema di approccio a un ambiente tanto difficile, quanto suggestivo; diverse società di guide alpine garantiscono ascensioni prive di pericoli, ma ricche di emozioni, sui ghiacciai.
Basta con le gelosie e la competizione
C’era molta concorrenza fra gli esploratori polari, soprattutto fra Scott, che era nella Royal Navy e Shackleton che era nella marina commerciale, ma ora sono tutti uno accanto all’altro, senza gelosie e tensioni, anche se in posto lontanissimo: la Luna.
Nelle immagini che la sonda ESA ha inviato alla Terra tra il dicembre 2005 e marzo 2006 sono ben visibili i crateri Amundsen, del diametro di 105 km, Scott di 103 km e Shackleton di 19 km, naturalmente al Polo Sud lunare.
Antefatti
Raggiungere la vetta di una montagna per la prima volta, andare alla scoperta di terre inesplorate, imbarcarsi in spedizioni rischiose, è sempre stato nel Dna dell’uomo, molte volte spinto più dal puro desiderio d’avventura, che da motivazioni economiche e pubblicitarie. La conquista del Polo Sud, da parte del norvegese Roald Amundsen il 4 dicembre 1911, battendo sul filo di lana l’altra spedizione, al comando dell’inglese Robert Falcon Scott, è un’impresa storica, anche se non sono da sottovalutare implicazioni scientifiche e politiche, in linea con i tempi, quando la competizione mondiale per la conquista di nuovi territori era una delle “corse” tipiche e universalmente accettata. Una volta raggiunto il traguardo finale, rimaneva comunque l’esplorazione di quel territorio sconosciuto e il suo attraversamento. Il primo che ci provò, tra il 1914 e il 1917, fu l’irlandese Ernest Shackleton, anche se sotto l’egida della Gran Bretagna e di questa incredibile avventura ci siamo già occupati prima, ma che la spedizione fosse rischiosa, è provato anche da un annuncio pubblicato sul The Times che, anche se non si è sicuri fosse veramente suo, ben fotografa la situazione: “Cercasi uomini per una spedizione pericolosa. Bassa paga, freddo pungente, lunghi mesi nella più completa oscurità, pericolo costante, nessuna garanzia di ritorno. Onori e riconoscimenti in caso di successo.” Anche Winston Churchill, First Lord dell’Ammiragliato, si era già cosi espresso il 23 gennaio 1914: “Abbastanza vite e denaro è stato speso per questa sterile ricerca. Il Polo è stato già scoperto, qual’è lo scopo di questa spedizione? Al che la risposta il 27 febbraio ”Egr. Signor Winston Churchill, per piacere siate favorevole… sto cercando di fare un buon e serio lavoro. La morte è una piccola cosa, e la conoscenza e il sapere molto grande… e veramente Regent Street in un giorno con traffico è più pericoloso di 5 milioni di miglia quadrate del Continente Antartico”.
Anche lo scoppio della prima guerra mondiale stava per bloccare tutto ma Churchill, di fronte alla messa a disposizione della nave e del suo equipaggio, mandò un telegramma di una sola parola: “Proseguite” (Proceed), e così ebbe inizio questa fantastica avventura.
Testi originali delle citazioni
Enough life and money has been spent on this sterile quest. The Pole has already been discovered, what is the use of another expedition? Shackleton to Churchill il 27 febbraio 1914 “Dear Mr Winston Churchill, do please look favourably… I am trying to do good and serious work. Death is a very little thing, and knowledge very great…and really Regent Street holds more dangers on a busy day then the 5 millions square miles that constitute the Antarctic Continent”
Testo originale in inglese citazione Dulwick
Locandina di un film su Shackleton:
Articolo pubblicato sul numero 93/2016 di “Arte Navale” e qui riprodotto per g.c. degli autori
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