La nuova vita della motovedetta ex CP 233
Quando l’amico Giacomo mi ha mostrato le foto di questa bellissima unità da diporto, ho fatto veramente fatica a riconoscerla. Ho avuto il piacere di incontrare questa vecchia “Signora” del mare, parecchi anni fa, quando? … L’età delle “signore” non si cita mai… All’epoca, la “Signora” abitava nel porto di Genova ed aveva un look ed un nome diverso dall’attuale, si chiamava CP 233 ed era una motovedetta classe 200, tipo Super Speranza ed appartenente al Corpo delle Capitanerie di Porto.
All’epoca in cui io fui imbarcato sulla CP 233, questa era l’unica unità d’altura presente a Genova, quindi si può dire che eravamo quasi sempre in mare, per operazioni di soccorso, vigilanza pesca, controlli sulle barche da diporto, nonché per tutte quelle altre incombenze d’istituto.
Il Comandante della CP 233, allora, era il Capitano di Porto Giuseppe Telmon, che fece una brillante carriera diventando Ammiraglio del Corpo delle Capitanerie di Porto.
Ritornando alla nostra “Signora”, questa unità monoedrica con il fasciame in lamellare di mogano, costruita espressamente per il Corpo delle Capitanerie di Porto dai cantieri Rodriquez di Messina e progettata da Renato “Sonny” Levi, ha delle progenitrici illustri:
- ‘A Speranziella, prima barca con carena a V profonda costruita in Italia con il duplice obiettivo di farla partecipare alla prima Cowes-Torquay, nonché quale prototipo per la costruzione di cabinati da crociera;
- Spumante, simile ad ‘A Speranzella ma, con motorizzazione diesel;
- Speranzella Seconda, nuova versione di ‘A Speranzella, più lunga, con un diedro maggiore, modificata anche strutturalmente e più veloce pur montando gli stessi motori. Anche questa, inizialmente, venne costruita come scafo da corsa, poi divenne un prototipo per cabinati da crociera;
- Ultima Dea, l’unità che l’Avv. Gianni Agnelli si fece disegnare da “Sonny” Levi per poter partecipare alla Cowes-Torquay del 1962.
Queste esperienze sui campi di gara, indussero Renato “Sonny” Levi a progettare unità da diporto e da lavoro del tipo Super Speranza con una lunghezza superiore ai 13 metri, del peso di circa 12 tonnellate e predisposte per una doppia motorizzazione della potenza sino a 800 CV totali.
Le Super Speranza “da lavoro” pur essendo identiche a quelle da diporto, ovviamente avevano delle dotazioni molto spartane mantenendo, comunque, una discreta abitabilità.
Le sue doti nautiche erano assolutamente superlative ma, credo che questo aggettivo sia molto riduttivo avendo sperimentato personalmente la sua tenuta al mare.
Infatti mi trovavo a bordo quando la CP 233 al Comando del Capitano Telmon, partecipò al salvataggio dei naufraghi della London Valour nelle acque antistanti Genova.
Era il 9 aprile 1970 ed il bollettino meteo della giornata, trasmesso dall’Istituto Idrografico della Marina relativo al golfo di Genova diceva:
- ore 13,40 raffiche da SW 28 nodi (55 Kmh. – forza 7) vento forte;
- ore 14,30 raffiche da SW 45 nodi (84 Kmh. – forza 9) burrasca forte;
- ore 15,30 raffiche da 50 nodi (93 Kmh. – forza 10) tempesta.
Non so quanto tempo rimanemmo a combattere con quel mare molto grosso, in seguito, ci è stato riferito che la nostra permanenza in mare durò oltre 6 ore e salvammo 26 persone.
Il solo fatto che oggi sono qui a raccontare quell’episodio denota quanto la CP 233 si sia dimostrata una barca eccezionale operando in condizioni che definirei estreme.
Si notano i danni procurati dai materiali solidi e dalle chiazze di gasolio, il tutto fuoriuscito dal relitto.
Ovviamente un sincero ringraziamento è rivolto al geniale progettista di un simile capolavoro, Renato “Sonny” Levi, ed al cantiere costruttore Rodriquez, che ha saputo realizzare in pieno l’idea di una imbarcazione che fosse veramente in condizioni di navigare con qualunque mare.
Rivederla adesso, con una nuova livrea, rimessa a nuovo ed agghindata come si conviene ad una vecchia “Signora”, mi riempie di gioia, congratulazioni vivissime al suo armatore, per l’ottimo lavoro di restauro che ha saputo svolgere.
La ex CP 233 ai nostri giorni e completamente restaurata.
Sono sicuro che la ex CP 233 saprà veramente donargli tante, tante emozionanti navigazioni e… cosa che non guasta, in completa sicurezza.
Tito Mancini
Gentilissimo Franco,
ha perfettamente ragione entrambi i viaggi sono stati organizzati e voluti da Giovanni Ajmone Cat con il “consenso” della sua famiglia (la madre e la sorella).
L’apporto della M.M. iniziò con l’imbarco, nel primo viaggio, dei due marinai accompagnati da Dario Trentin per consentire al San Giuseppe Due di poter rientrare in Italia.
Da questa esperienza positiva, per il secondo viaggio, (la spedizione Antartica italiana), venne quindi richiesto alla M.M. di voler fornire un equipaggio formato da 4 Sottufficiali con differenti specializzazioni. A questa incombenza dopo una selezione, fummo prescelti noi 4.
Aimone Cat restava un civile, C.te del San Giuseppe Due, noi 4 formavamo l’equipaggio dell’unità mercantile mantenendo comunque, la nostra peculiarità di militari.
Infatti, il più anziano di noi (militarmente parlando)era il Capo Gruppo Militare a cui dovevamo disciplinarmente rispondere. Una situazione non molto chiara che a lungo andare, creò tra Ajmone Cat e noi, dissapori ed incomprensioni, che ad ogni buon fine, non ritardarono od inficiarono la missione.
Ajmone Cat fece un resoconto scritto di questa spedizione ma, lui non lo ha mai pubblicato, forse è defunto prima di poterlo fare.
Differenze logistiche ed organizzative rispetto alla prima spedizione ce ne sono state, in virtù dell’esperienza e dei contatti avuti da Giovanni Ajmone Cat durante il primo viaggio durato circa 3 anni.
Tale lasso di tempo, servì per appianare le divergenze diplomatiche e le difficoltà logistiche che Ajmone Cat avrebbe incontrato in Antartide.
L’apporto della M.M. noi lo notammo nei vari porti che toccammo, dove dall’Ambasciata o dal Consolato, ci programmavano delle cerimonie a cui dovevamo partecipare, sempre in divisa.
Quindi un grande ed incisivo apporto da parte della M.M. non ci fù anche perchè di fatto non c’era necessità Ajmone Cat ed i familiari in Italia avevano programmato tutto o quasi ad ogni nuovo problema Ajmone Cat appena in un porto comunicava telefonicamente alla madre il fatto e lei cercava la soluzione più idonea.
Anche se la nostra spedizione è durata solamente un anno circa, è stata abbastanza travagliata ed abbiamo dovuto risolvere moltissimi problemi, soprattutto tecnici e bene o male oggi lo possiamo raccontare.
Un abbraccio,
Tito Mancini
Gentilissimo Capitano Mancini,
non si preoccupi del suo giustificato ritardo, mi pare che godersi la pensione sia un suo diritto e di conseguenza credo sia anche giusto che, pur essendo un grande contributore di AltoMareBlu, non debba sentirsi obbligato a mettersi al computer ad ogni piè sospinto!
Tornando alla spedizione a cui lei ha partecipato, volevo chiederle se esista letteratura di qualunque genere in merito.
Mi piacerebbe leggere di quella seconda spedizione per capirne le differenze logistiche ed emotive rispetto alla prima (che immagino siano parecchie) ed anche sapere come venne accolta dalle istituzioni, visto l’esito travagliato della prima spedizione che, da quanto leggo tra le righe del libro citato, mi pare di capire che venne considerata un po’ come un’avventura privata (almeno fino al momento dell’intervento della Marina, che ne permise il rientro dall’Antartide inviando due suoi uomini sul posto).
La saluto cordialmente.
Franco Stoppa
Gentilissimo Franco,
la ringrazio per i suoi apprezzamenti, devo porgerle le mie scuse per il ritardo nella mia risposta ma, come pensionato tendo a rallentare quelle pratiche che la buona creanza vorrebbe fossero se non immediate, almeno non così ritardate… mi cospargo il capo di cenere e faccio ammenda…
Per quanto concerne il libro di Ferruccio Russo “1969 Rotta per l’Antartide” riguarda il primo viaggio del C.te Cat nonché del suo “San Giuseppe Due”, mentre io ho fatto parte dell’equipaggio imbarcato nel secondo viaggio.
L’unico apporto al libro di Russo è l’immagine apposta sull’ultima pagina di copertina che ritrae il C.te Cat e noi quattro fotografati mentre procediamo alla consegna presso una base inglese del gagliardetto della Città di Torre del Greco, ma è pur sempre una immagine del secondo viaggio.
Per quanto concerne la MV CP 233, attualmente gode ottima salute come unità da diporto essendo stata acquistata da un privato che ha provveduto al suo restauro cercando di modificarla il meno possibile avendo conosciuto la storia di quella gloriosa unità.
Altro non so che dirle se non esternarle nuovamente il mio rammarico per non essere stato sollecito nel risponderle…
Un abbraccio,
Tito Mancini
Egregio Capitano Mancini,
essendo appassionato di barche d’epoca mi sono trovato a leggere questo suo bell’articolo ed a pensare, come sovente mi capita, che il mondo è veramente piccolo, difatti:
Qualche settimana fa ho visto in TV (in una delle rarissime volte che la guardo) un breve servizio che riguardava il salvataggio dei naufraghi della “London Valour”, del quale ricordavo il nome dell’Ammiraglio Telmon e la sigla della motovedetta CP233.
Giusto ieri ho terminato di rileggere il libro “1969 rotta verso l’Antartide”, regalatomi qualche anno fa dalla gentilissima Sig.ra Rita Ajmone-Cat, che mi era capitato di conoscere per questioni di lavoro.
Avendone infatti sentito il cognome da un collega, subito l’avevo associato a quello del fratello, delle cui gesta avevo appreso tempo prima proprio leggendo AltoMareBlu, ed alla mia curiosità circa le imprese del fratello aveva fatto seguito il graditissimo omaggio dell’avvincente libro.
Oggi, infine, stavo rileggendo gli articoli relativi alla storia del “San Giuseppe Due” quando, riconosciuta la sigla CP233 nel titolo di questo suo articolo, ho finalmente collegato la sua persona agli eventi della London Valour e a quelli della spedizione antartica 1973-74!
Complimenti per la sua avventurosa e coraggiosa vita e per la sua vivida e lucida narrazione dei fatti.
Franco