Stiletto: una carena “veneziana” per la US NAVY
di Antonio Soccol
Si chiama “Stiletto”. L’ha fatto la Marina militare degli Stati Uniti. In Italia, per la prima volta, ne ha scritto Antonio Peca sulla “Rivista Marittima” (una testata che si occupa specificatamente di naviglio militare) nel fascicolo di agosto/settembre 2007. Me lo ha segnalato, l’articolo, il caro amico Vittorio, appassionato, esperto e attento lettore di cose marinare.
“Stiletto” è un trimarano da 88,6 piedi per 40,5 di larghezza (in metri sono: 25 x 12, 30). Ha un dislocamento di circa 60 tonnellate e una immersione di soli pochi centimetri. Spinto da 4 motori Carterpillar C32 da 1.232 kW ciascuno e azionanti 4 eliche di superficie, ha una velocità max a pieno carico di 51 nodi (40 nodi è, invece, quella detta “operativa”). L’ha costruito, in appena 15 mesi, un piccolo cantiere di San Diego (il Knight & Carter Yacht Center) specializzato in scafi da diporto con una spesa di 6 milioni di dollari prima dell’allestimento e 10 milioni a barca finita. Per i bilanci della US Navy, un costo quasi irrisorio.
La carena dello Stiletto è stata brevettata e c’è già una “querelle” con un cantiere inglese che l’avrebbe subito copiata: che novità!. La chiamano, questa carena, a “M” e dicono che sia stata studiata alcuni anni or sono per una imbarcazione trasporto passeggeri per la laguna di Venezia all’insegna di avere un’opera viva che garatisse buone velocità e, soprattutto, poco o niente moto ondoso.
Le quattro eliche installate sullo “Stiletto” sono Rolla a 6 pale in Nibral, di superficie.
Paola Lavezzar “ROLLA SP PROPELLERS SA” – Via Roncaglia 6, 6883 Novazzano – Switzerland
Foto: M Ship Co/Bobby Grieser
Sono anni che questo problema della riduzione del moto ondoso si studia nella mia città natale: si sono fatti molti convegni (alla Fondazione Giorgio Cini, nell’isola di San Giorgio) ai quali sono stati invitati i maggiori progettisti nautici del mondo e si sono fatti anche concorsi per stimolare la progettazione di scafi idonei a risolvere questa specifica esigenza. Ricordo che a uno di questi convegni partecipò anche Renato “Sonny” Levi e che a uno di questi concorsi presentò una sua idea di catamarano Franco Harrauer, in coppia con Alberto Landini (i due, con il loro progetto, vinsero il concorso ma la barca non fu mai costruita).
Nel 1963, il più famoso mastro d’ascia di Venezia, il mitico Giovanni “Nino” Giuponi, straordinario costruttore di gondole, pupparini, s-ciopponi e di altre barche di voga alla veneziana, studiò (e brevettò) le linee di carena di un vaporetto che doveva mangiare le onde. Lo scafo venne costruito dal cantiere Papette di Venezia per quella che allora si chiamava ACNIL (Azienda Comunale Navigazione Interna Lagunare) e che oggi si è trasformata in ACTV (che non vuol dire, come scherzano i veneziani: Ah! Com’è Triste Venezia, bensì, più semplicemente, Azienda del Consorzio Trasporti Veneziano).
In un bellissimo libro (purtroppo non facilmente reperibile) di Gilberto Penzo (Libreria Editrice, 2004) che si intitola “Vaporetti”, si racconta, fra le molte cose, anche la storia di questa imbarcazione che, nella vista di prua, ricorda abbastanza il nostro “Stiletto”. Ecco cosa dice, testualmente, quel volume: “…la soluzione adottata consisteva in due appendici che scendevano verticalmente ai lati della prua in modo da trattenere le onde divergenti e incanalarle sotto lo scafo. In realtà, quindi, non si trattava di un trimarano come veniva spesso definito ma di un monocarena. Prima di costruirlo, per controllarne la reale efficienza, furono eseguite varie simulazioni nella Vasca navale di Roma. Sulla sua riuscita vi sono pareri discordanti, comunque non ebbe seguito. Poiché non si adattava alla navigazione dei canali minori fu spostato nelle linee foranee.” Era lungo 21 metri e largo 3,50 e montava un gruppo Rolls Royce Falcon da 137 cv.
Successivamente, nel 1999, proprio il cantiere Knight & Carter Yacht Center di San Diego costruì un prototipo di vaporino per Venezia sulla lunghezza di 65’ (circa 20 metri) con la prima carena a “M” che venne chiamata “mangiaonde”. A detta degli americani fu un successo per l’altissimo grado di riduzione del moto ondoso che provocava. Scrivono testualmente: “The vessel proved to be highly effective, minimising damage caused by wake wash”. Collaudato nella città lagunare nel novembre dell’anno dopo, il prototipo venne bocciato e rimase quindi inutilizzato. “Il principio di Archimede- commentarono a Venezia- vale negli Usa come in ogni parte del mondo: ogni oggetto immerso in un fluido ne sposta una quantità pari al suo volume”.
Ma torniamo a “Stiletto”. In un loro comunicato, leggibile anche su Internet, gli americani sostengono che i loro marinai non ne possono più di rompersi la schiena sulle dure carene a Vdelle loro motovedette (sic!) e propongono un confronto- a chiacchiere, s’intende- fra le opere vive tradizionali e questa “M hull”. Dicono che le prime producono molta onda (mentre il nuovo brevetto la diminuisce del 40%), che garantiscono un modesto confort in navigazione (poor ride quality) quando invece la “M” riduce del 50% gli impatti e il loro shock, che soffrono di un eccessivo rollio nelle virate (rollio totalmente eliminato dalla nuova barca) e infine che le capacità di carico nei monocarena sono limitate (mentre aumentano del 25% con la soluzione di “Stiletto”).
Il confronto prosegue con queste dichiarazioni: le carene a V hanno notevole immersione, poca stabilità trasversale, bassa velocità e modesta capacità di accelerazione. Al contrario la carena a “M” assicura pochi centimetri di pescaggio, grande stabilità trasversale sia ai bassi che agli alti regimi, maggior velocità sia alle andature di crociera che max, una accelerazione garantita in pochi secondi. La chiacchierata si conclude con la garanzia che “Stiletto” può navigare fino a mare stato 5.
Non voglio dichiarar guerra alla Marina militare degli Stati Uniti ma vorrei proprio sapere da chi si son fatti progettare le loro barche monocarena a V profonda quei marinaretti. Forse, sembra, da qualcuno relativamente capace. Magari da uno di quei santoni dell’offshore yankee che vanno per la maggiore ma che figurano anche in testa alla classifica (tristissima) dei morti provocati dalle loro imbarcazioni.
Un inglese che conosco è andato, appena tre mesi or sono, negli Usa e si è comprato un nuovissimo monocarena, una barca da corsa: è uscito in prova e, in meno di mezzora, ha fatto due spin out paurosi. Ha subito telefonato trafelato e sotto shock in Europa dicendo: “Aiuto, aiuto: cosa posso fare per non ammazzarmi?”. Essendo un amico non gli è stato risposto “Potevi venir prima… e magari la barca potevamo progettarla e costruirla noi…No?”.
L’interlocutore, con grande signorilità, se l’è cavata con le parole di una nota canzone di Harry Belafonte: “To late, my darling…but never mind!”- e ha, infatti, aggiunto: “Puoi venderla quella barca, finché sei ancora vivo. Ecco cosa puoi fare”.
Non tutto quello che brilla nel cielo Usa è, insomma, garantito. Chissà?, allora, se questa nuova carena a M è proprio così miracolosa. Gli yankee dicono di sì e pare che, dopo il prototipo, intendano costruirne parecchi altri di “Stiletto”: alcuni più piccoli e altri più grandi. Tanto costano poco.
Quanto alla mia opinione: non ne ho una in merito non avendo mai provato questa barca. Come dicevano gli antichi latini: “relata, refero”. Vi ho detto quel che mi hanno detto, per vostra informazione. Se proprio ne volete sapere di più e magari vedervi un paio di filmini di “Stiletto” in navigazione, andate a queste url:
http://www.murdoconline.net/archives/003780.html
http://www.mshipco.com/index.php?page_id=11
http://www.mshipco.com/?page_id=38&PHPSESSID=d3fcc56563447e375be4ccc2f98977f0
Buona navigazione. Sul web, intendo.
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