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La barca non e’ un’auto (VII puntata)

27/07/2007/1 Commento/in Antonio Soccol, Antonio Soccol - Articoli, Articoli riviste nautica, La barca non è un auto /da Antonio Soccol

di Antonio Soccol

Il mio amico Pierre vuol vendere la sua barca. Mi ha scritto: “E’ una barca del Nord Europa, bellissima, forte e robusta, sana insomma. I miei figli la amano perchè è una “barca casa” dove si sentono protetti e sicuri. Ma è troppo “chiusa”, poco mediterranea per dirla in breve e poi è di una lentezza esasperante.”

Il mese scorso abbiamo evidenziato alcuni dati forniti dal sito web di Ucina, inerenti la nautica nel mondo e in Italia. Dalla stessa fonte ricaviamo la tabella comparativa della diffusione delle imbarcazioni fra le varie nazioni che pubblichiamo in queste pagine:

tabella

merita un esame abbastanza attento anche se, inesorabilmente, i dati risalgono al 2005.
S’è già detto che gli Usa producono il 90 per cento delle barche di tutto il mondo ma, sopresa, la nazione che vanta il miglior rapporto fra scafi e abitanti è la Norvegia (154 scafi ogni 1000 cittadini), seguita dalla Finlandia (140) e quindi dalla Nuova Zelanda (101) e dalla Svezia (84). Gli Usa sono solo quinti con 55 imbarcazioni ogni mille yankee. L’Italia, paese di “santi, poeti e navigatori” naviga nelle ultime posizioni (7/1000), dietro alla Svizzera (14 ogni mille), alla Francia (12) e alla Gran Bretagna (8) e appena davanti a Irlanda (6), Germania (5) e Portogallo (5).

Queste classifiche vanno prese un pò con le pinze. Mescolano barchette con barcone, barche a vela con barche a motore, cabinati con scafetti per motori fb, e talvolta sono anche inquinate da specifiche situazioni di “comodo” (vedi la Croazia che avrebbe 24 barche ogni mille abitanti… Ma quando mai? Sono barche di italiani e di tedeschi che sono state immatricolate in quella nazione per averne un certo numero di benefit.)

Mi sono anche divertito a cercare su Internet (relata, refero) le temperature medie di quelle nazioni. Anche questi sono numeri un pò così perchè è evidente che Parigi non ha lo stesso clima di Saint Tropez nè Roma si trova sullo stesso parallelo di Trieste o di Palermo. Però, per una indicazione di massima, la statistica è interessante: i paesi più freddi vanno di più in barca, non ci piove…

Il motivo è semplice e banale: per i popoli che abitano in Norvegia, Finlandia, Nuova Zelanda e Svezia il freddo non è un nemico nè un ostacolo (ci convivono da sempre e per sempre), mentre per noi mediterranei sà: il freddo in mare ci fa proprio schifo, diciamolo. E poi a loro, a quelli del Nord, piace davvero andar per mare. Mentre in Italia… beh, lasciamo perdere per non ripetere ogni mese le solite litanie. Ma, da questa diffusione così clamorosamente differente, si sviluppa un fenomeno un pò particolare. Poichè al Nord ci sono più barche per abitanti che non da noi, si pensa in automatico che le imbarcazioni costruite lassù siano migliori delle nostre. “Ne hanno di più, dunque ne fanno di più, dunque sono più bravi”. Non è così.

Prendiamo, ad esempio, la Norvegia e l’Italia: hanno una superficie quasi simile (323.878 km quadrati per Oslo e dintorni; 301.277 kmq per Roma e c.) ma, mentre da noi, ci sono quasi 60 milioni di abitanti, in Norvegia se ne contano appena 4milioni e rotti. In Italia ci sono, infatti, quasi 200 persone per chilometro quadrato, in Norvegia appena 13,4. Dunque lassù non ci sono più barche in senso assoluto. Non a motore, intendo, visto che la larga maggioranza è a vela oppure motorsailer. Ok? E poi chi ha detto che la quantità sia indice di miglior qualità? Certi colossi americani, giapponesi o coreani del settore automobilistico farebbero vetture migliori delle nostre Ferrari, Maserati, Alfa eccetera? Non diciamo sciocchezze.
Ma, insomma, le barche del Grande Nord, al di là di tutti questi numeri, di queste statistiche e di queste elucubrazioni, sono o non sono buone?

Certo che sono buone. E, mi dicono, che sono anche abbastanza economiche (perchè pià spartane rispetto alle nostre). Però sono, giustamente, fatte per il clima tipico di quelle regioni: pochi spazi esterni e, comunque, molto protetti.
Ora torniamo al problema di sempre: la barca non è un’automobile. Nessuno, per esempio, si sogna di chiedersi se una Volvo, intesa come automonile, sia più mediterranea di una Fiat o se una Alfa possa aver problemi a girare per le strade di Helsinski. Per le barche non è lo stesso. Spesso comprarsi una barca nordica per usarla a Fiumicino (con gita domenicale a Ponza) è come prendere una spyder vivendo a Capo Nord… Non è che non si possa fare, per carità: basta solo sapere a cosa si va incontro. Che spesso è una clamorosa delusione come quella che ha avuto il mio amico Pierre.

Ma, e adesso viene il bello, la produzione nautica nazionale italiana produce imbarcazioni mediterranee? La mia risposta è nì.

Oh, sì, lo so, sulle “nostre” barche ci sono prendisole dappertutto: all’estrema prua, a mezza barca, sul flying bridge, sul pozzetto di poppa. Questo, se parliamo di motoryacht dai 14 metri in su. Su quelli di taglia inferiore spesso lo spazio da godere per i “bagni di sole” è soprattutto a prua mentre il pozzetto di poppa risulta quasi sempre “coperto” dal flying. E il flying, si sa, si trova all’incirca all’altezza della quinta ordinata di calcolo: insomma e per dirla alla buona, appena appena un pò più a poppa di metà barca.

In una barca veloce, diciamo – per non esagerare – qualcosa che superi i 20 nodi, il posto pià tragico per chi porta una dentiera (ma in realtù per chiunque) è la prua. Il più tranquillo è l’estrema poppa. Questo si sa da tempo ma sembra interessare a pochi.

Negli anni Sessanta, Dick Bertram, che era uno che di navigazione in mare formato se intendeva davvero, venne a gareggiare in Europa con “Lucky Moppie” e stupì tutti perchè il suo posto di guida era uno sgabellino fissato a sbalzo fuori dello specchio di poppa: “E’ semplicemente il posto più comodo”, spiegò.

LUCKY MOPPIE 64 di Dick Bertram
Lucky Moppie 64 di Dick Bertram

E venne presto imitato da Bill Cooper (co- driver Darrel Jenkins) con il suo “Spooky”, un Formula 20 (una barca orrenda ma che ha però il merito d’esser stata in assoluto la prima a proporre i posti di guida in tandem per dimezzare la superficie d’attrito aereodinamico creato dal corpo dei piloti):

Spooky di Bill Cooper
Imbarcazione Spooky (Formula 20)

i due, nel 1967, si piazzarono al terzo posto assoluto (con una barca monomotore di appena sei metri ft) in una garetta come la Long Beach-San Francisco-Long Beach di 439 miglia terrestri (qualcosa come circa 700 chilometri). Per dire.

Ok, dìaccordo: queste sono (erano) barche da corsa. Il diporto è tutt’altra cosa. Ma ciò non toglie che è a prua che si prendono le botte pià dure e che è proprio a prua che le nostre stupende ragazze si mettono sempre a prendere il sole: come dire “cotte” di sopra e di sotto… se mi seguite.

Così come è sempre a prua che il bravo progettista di barche da diporto, posiziona inesorabilmente la camera da letto dell’armatore. Ma qui non gli possiamo dar torto (al progettista): si dirò, infatti, “mai vista una barca da diporto navigare mentre il suo armatore dorme”. Va bene. Ma, domanda biricchina, se invece che dormire, il nostro si dedicasse con la sua “bella” ad attività mm.., come dire?, sapete: quelle molto piacevoli e un pò scostumate, mentre il fido marinaio, dall’alto del flying, conduce il suo stupendisssimo motoryacht verso la favolosa isola del sud? Dite che i salti aiutano… Già, era proprio quanto sostenevano una volta anche gli appassionati dei vagoni letto e dell’Orient Express…

Tornando a parlar di barche e tralasciando gli amplessi tarantolati, la domanda finale è: le nostre attuali barche sono razionali nel taglio degli spazi sia interni che esterni?

Mica tanto. Proprio per i motivi appena esposti. Ci costringono a guidarle a metà scafo, ci impongono di prendere il sole e di dormire (eccetera, ci siamo giò capiti, no?) nel posto peggiore mentre riservano la posizione più tranquilla (l’estrema poppa) ai gavoni per le cime.

Ma questa è la linea classica delle barche e così sembra debba sempre essere. Perchè a poppa ci stanno i motori, a poppa ci sono i serbatoi che puzzano di carburante, a poppa lo spazio interno non c’è. E sarà così per sempre?

Proprio per sempre? Beh, per lo meno finchè qualcuno non si deciderà a studiare tutto il problema ex novo e senza stupide reminiscenze: dopo aver ammirato le immense limousine made in Usa, ci siamo pur comprati tutti (o quasi) la Smart, vero? Eppure sembrava sciocco avere un motore e portare a spasso solo due persone (di rado, visto che quasi sempre a bordo ce nè solo una).

Ma sapete chi ha avuto l’idea di quel tipo di automobile? Un uomo di mare famoso, famosissimo. Un mio amico. Si chiamava comandante Jacques Yves Cousteau e in quel momento era, dopo il Papa, l’uomo più popolare del nostro pianeta (da una seria statistica fatta negli USA): nel 1977 lo portai a Torino dai maggior “capindringhete” della Fiat dell’epoca cioè “ragazzi” come l’avvocato Gianni Agnelli, come Cesare Romiti (era l’Amministratore Delegato), come Marco Benedetto (allora Capo Ufficio Stampa) e come Luca Cordero di Montezemolo (allora capo delle “Relazioni esterne”) i quali a loro volta gli presentarono uno staff di super ingegneri della prestigiosa Fabbrica Italiana di Automobili-Torino: “Voglio un’auto composta da un motorino normale, quattro ruote e due posti a sedere che possono essere anche due sedie da cucina…”, disse il famoso oceanografo. E, per esser più chiaro, aggiunse: “Prendete una vostra utilitaria e tagliatela dietro al posto di guida e sotto metteteci le ruote posteriori”. Gli risposero che non si poteva. Infatti la Smart…

Ma, allora, l’auto è una barca? No. No. Ma la progettazione è sempre e solo progettazione. Questo sì. E pretende intuire e anticipare la soluzione dei problemi dell’utenza, quale che sia. E quindi di nuova progettazione ha bisogno la nostra nautica italiana che non è proprio molto mediterranea.

PS: Il mio amico Pierre mi ha mandato oggi una e-mail che trasuda felicità: “Alleluia, ho venduto la barca”, scrive. Adesso si aprono due fronti tragici:

1) che lui ne vorrà una di nuova, di barca, e non sarà affatto semplice fargli da suggeritore e 2.) che quel poverocristo che s’è comprato la sua, il prossimo autunno, cercherà di sicuro di sbolognarla via dopo aver passato una estate in… “baita” a bollire come un’aragosta in pentola. Speriamo almeno si ricordi di portarsi a bordo sedano e carote.

(segue)

Articolo apparso sul numero di Luglio 2007 di “Barche” e riprodotto per g.c. dell’autore. – Tutti i diritti riservati. Note Legali

Tags: Antonio Soccol, Articoli riviste nautica
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1 commento
  1. William Cassar
    William Cassar dice:
    26/07/2010 in 22:58

    Di barche con il prendisole a poppa Italiane che ne sono a valanga.

    E non sono cose nuove vedi insoma Itama, Magnum, Ilver, Pershing, tanto per citarne alcuni.

    Sulla cabina armatoriale su barche sopra I 15 metri si e pure visto un grande cambiamento, grazie un po a quello che ha fatto l’Azimut 55 17 metri FT con la sua cabina armatoriale centrale presentato a Genoa 2000.

    Adesso chi sono barche fly di 15 metri con cabina armatoriale centrale. Ma anche open di 12 metri che ce l’hanno, e qua si parla di progetti che hanno 8-10 anni…

    William Cassar

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