Novantanove barche (terza puntata)
Per il cantiere Codecasa di Viareggio, in collaborazione con Paolo Caliari, progettai nel 1969 un Trawler in acciaio di 35 mt, il Gram, che ebbe una sfortunata e singolare notorietà, tale da essere illustrata sulla Domenica del Corriere…
Durante il suo viaggio di trasferimento da Viareggio, con l’armatore e gli ospiti in banchina a Portofino, in attesa di imbarco per la crociera, il Gram con il gran pavese, fece manovra per accostare di poppa al molo, ma dopo alcune esitazioni, a tutto motore si infilò con la prua nella finestra del primo piano della Capitaneria, proprio quella dell’esterrefatto Comandante che poco dopo, spolverandosi dai calcinacci, cortesemente ma alquanto incazzato, consigliò ospiti e armatore di prendere il primo treno per la Costa Azzurra, in attesa di una rapida ed esauriente inchiesta. La causa dell’incidente fu chiarita da un esame dei comandi e risultò che i cavi elettrici dell’invertitore istallato sul flying bridge erano stati invertiti e che tutte le manovre prima dell’arrivo a Portofino erano state eseguite dalla timoneria principale in plancia.
Nell’anno successivo Codecasa varò il GR First, una nave da ricerche oceanografiche che progettai inizialmente come Trawler Yacht. L’armatore, mentre si delineavano le linee dello scafo sul mio tavolo da disegno, mi espresse il suo desiderio di dare un vero senso all’andar per mare… Convenni con lui che forse, anzi quasi sicuramente, la ricerca scientifica in mare poteva essere un obiettivo molto più interessante.
In quel periodo collaboravo con il Comandante Roberto Frassetto al Saclant di La Spezia, per la costruzione di una boa oceanografica per lo studio della propagazione delle onde sonore in acqua. Roberto (medaglia d’oro) era uno dei superstiti del forzamento di Malta nel 1941 da parte della X MAS, e alla guida del suo motoscafo esplosivo si era lanciato contro le ostruzioni del porto de La Valletta e, dopo la guerra, aveva lavorato come oceanografo in USA al Woods Hole Institute.
Presentai l’armatore a Roberto e da quell’incontro nacque il GR First, una nave di 45 mt con un grande ponte libero a poppa per poter imbarcare laboratori in dimensione container da mettere a disposizione dei vari ricercatori. Quest’idea ci venne suggerita da Thor Heyerdahl, il celebre oceanografo del Kon Tiki che abitava in un paesino sopra Alassio. Thor ci dette anche tutte le indicazioni per i verricelli da grandi profondità.
Il GR First aveva due motori Deutz SA6 da 500 CV e un gruppo Shottel azimutale a prora per facilitare il posizionamento dinamico durante le fasi di ricerca. Purtroppo, il programma di ricerche non poté aver seguito… Come spesso capita in Italia, la burocrazia e la mancanza di programmazione impedì l’uso di questo interessante mezzo che dopo essere stato preso in considerazione dall’avvocato Agnelli per realizzare il suo concetto di “ship to shore”, fu venduto al “Cavaliere” che lo fece migrare come charter in Costarica.
Nei colloqui che ebbi con l’avvocato compresi e condivisi il concetto “S to S”(ship to shore), cioé quello della barca non fine a se stessa, ma come mezzo vettore di altri mezzi quali barche a vela minori, automobili, motoscafi e persino un elicottero, oltre che come base di soggiorno, vale a dire quello che lui chiamava “holiday carrier”. Un’idea che potrebbe trasferirsi anche su barche minori dove imbarcare, non un elicottero, ma una moto trial, un Laser o semplicemente un paio di biciclette, non diventi un problema..
Come ho detto, la vela è sempre stata il mio “primo amore” e dopo il Saudade realizzai due golette armate a schooner, quasi uguali, ma di dimensioni diverse: il Week End di 24 mt e il Palmaria di 16 m, ambedue costruite presso il Cantiere Canale di Lavagna, poi diventato Motomar.
Alberto Landini, che conoscevo dai tempi della STIAN, ne era il direttore tecnico e aveva diretto per il cantiere la costruzione di una serie di pilotine di grande successo che attirarono l’interesse degli enti militari e paramilitari italiani. Per le esigenze del cantiere progettai io la maggiore parte di queste imbarcazioni, un 44 piedi che equipaggiò i Carabinieri, la Finanza, le Capitanerie e alcuni altri Corpi dello Stato. Credo che svolgano ancora il loro onorato servizio.
Lo scafo di tipo planante era caratterizzato da un forte cavallino e una poppa singolarmente alta, che nella versione da diporto ospitava una cabina. Con due Diesel IF da 400 CV raggiungeva i 24 Kn.
Per il vicino Cantiere di Chiavari, progettai lo sportfisherman Lalin, un mio progetto di sportfisherman pubblicato sulla rivista Mondo Sommerso mi mise in contatto con Nino Petrone e con il suo piccolo cantiere Sapri di Salerno. Nino non realizzò il mio progetto, ma dal nostro incontro nacque una collaborazione e una solida amicizia che si ampliò con i progetti di barche offshore disegnate da Levi.
Renato progettò lo Strale, il Sagitta, il Barolo Delta che partecipò a numerose gare con equipaggio Petrone/Soccol/Buriassi e uno scafo che, motorizzato da un CRM da 1800 CV, avrebbe tentato di battere il primato di velocità diesel. La carena in lamellare della lunghezza di 9 mt non fu allestita per l’indisponibilità della CRM.
Per Nino disegnai un open sportfisherman Blue Shark di 7 mt e una piccola barca a vela cabinata, il Mia, di 5 metri, costruita in cinque esemplari che aveva la particolarità di avere una deriva mobile asimmetrica a fianco del piccolo motore Volvo da 20 CV.
La forma del Blue Shak fu successivamente venduta alla Laver.
Durante gli ultimi giorni del Salone Nautico del 1973, Renato Levi e io fummo contattati dalla Conaplastic di Salerno per realizzare una serie di progetti di imbarcazioni da produrre in un nuovo grande complesso industriale che avrebbe dovuto sorgere nella zona industriale di Pontecagnano. Ricordo che quel Salone era stato particolarmente interessante dal punto di vista progettuale per i contatti che avevamo avuto; infatti, Colin Chapman, il mago della Formula Uno, era interessato a produrre imbarcazioni italiane in Gran Bretagna e Dick Bertram pensava che uno sportfisherman di linea italiana potesse interessare gli anglers statunitensi.
Non combinammo niente, salvo una bella foto ricordo con le due celebrità, ma l’idea delle mozzarelle di Pontecagnano ci affascinava… Nell’ondata, anomala, della Cassa del Mezzogiorno che stava travolgendo l’Italia meridionale, gli interessi elettorali del Salernitano fecero nascere dalle ceneri della Conaplastic la Laver con un mega stabilimento nella zona industriale.
Le fertili ceneri erano sempre le stesse: un farmacista che sembrava la copia di Brutus, il nemico di Braccio di Ferro, un ginecologo (sic) con velleità nautiche, un simpatico e dinamico geometra romano e il “boss”, un palazzinaro di Castelvetrano il cui motto preferito era: “meju cummannari che futtiri”… Questo travolgente quadrumvirato ci diede carta bianca, della quale noi approfittammo vergognosamente scatenando i nostri repressi e nascosti sogni di progettisti. Tutti di color beige: una decisione che avevamo preso dalle automobili di Henry Ford.
In quattro anni di collaborazione progettammo i Laver 20, 28, 30 (28), 35, 40, oltre all’Angler, alla Salpa, al Mikado, allo Scimara e al Mustang con le prime applicazioni di eliche semisommerse. Due imbarcazioni “anomale” furono il piccolo cruiser a vela U 20 con motore diesel e deriva mobile asimmetrica, e il piccolo open/trawler Murena che trovò ampio impiego oltre che nella pesca e il diporto, anche a Venezia, dove ne trovai una per il trasporto della spazzatura. Sic transit gloria mundi!
Una ventina di unità fecero parte di un contratto di fornitura per il governo libico che poi per anni rimasero abbandonate a riempirsi di sabbia nel porto di Bengasi. Ne ritrovai un paio, sempre abbandonate, alla periferia del Cairo e indirettamente uno dei Mustang, forse, ispirò qualcosa che alcuni anni dopo (fortunatamente) non andò a buon fine, ma che mi coinvolse marginalmente.
A completamento dell’accordo con il governo libico giunse separatamente l’ordine per dieci scafi Mustang non allestiti, cioè vuoti, ma con motori Mercruiser, scafi da spedire presso un cantiere del nord Italia da definirsi. La Laver, oberata di lavoro, non fu in grado di accettare l’ordine e la cosa finì li.
Circa un anno e mezzo più tardi ricevetti a Roma una telefonata dall’avvocato Lauri, presidente della Meteor, che conoscevo come industria aeronautica. Lauri, che conosceva il mio lavoro, mi invitò a visitare la Meteor che aveva gli stabilimenti nell’aeroporto di Ronchi dei Legionari presso Trieste, e oltre a piccoli aerei da turismo costruiva per la Marina italiana e americana, su licenza della Northrop, aerei bersaglio radiocomandati.
Ovviamente, la lavorazione all’interno della Meteor era rigidamente classificata, ma Lauri sapeva della mia qualifica NOS, risalente alla mia attività alla SAI e alla COSMOS, e così, saltando a piè pari alcuni settori nei quali mi sarebbe piaciuto mettere il naso, mi condusse chiacchierando in un hangar pieno di vecchi aerei in disarmo.
Nella semioscurità, sul fondo dietro gli aerei, vidi delle sagome di scafi grigi a me familiari… Erano una decina di Cigarette ammucchiate in due strati. Prima che, stupito e incuriosito, potessi parlare, l’avvocato tirò fuori il suo accendisigari e mi chiese, in triestino: “E adeso, ghe dago fogo??”.
Conoscendo i Cigarette stavo per dirgli di sì, ma l’avvocato mi chiese se si poteva trovare la maniera di venderli anche a buon prezzo. Quando salii a bordo del primo scafo per dargli un’occhiata, rimasi allibito: era completamente vuoto o, meglio, era pieno di schiuma poliuretanica. Associai immediatamente la coincidenza del mancato contratto Laver per dieci Mustang vuoti per la Libia, la mia tessera NOS e la tecnica dei radiocomandi della Meteor… Tra tanta schiuma poliuretanica, ci sarebbe stato spazio per una mezza tonnellata di esplosivo.
Non dissi nulla, ma durante il volo di rientro a Roma l’avvocato, seduto accanto a me, disse che il problema era che il Governo americano non avrebbe gradito un certo tipo di allestimento dei dieci Cigarette. A quel tempo fumavo il sigaro toscano… ne tirai fuori uno e stavo per accenderlo, ma quando Lauri tirò fuori il suo prezioso accendisigaro, ci venne in mente che a bordo era proibito fumare e contemporaneamente pensammo che era meglio riservarlo per le “Sigarette”…
Alcuni anni dopo rividi Lauri al Cairo. Ero stato il giorno prima a El Alamein per vedere se Lauri poteva atterrare con tre dei suoi piccoli Arrow davanti al Sacrario dei caduti italiani, in occasione del raid che voleva fare da Roma nell’anniversario della battaglia. La strada era più larga della pista dell’aeroporto della Malpensa e il traffico inesistente, ma le autorità egiziane sollevarono un mare di difficoltà.
Già… nel deserto il traffico dei cammelli era intenso e imprevedibile… Comunque, una quindicina di giorni dopo, la piccola pattuglia, alla guida dell’avvocato, dopo aver fatto un passaggio sul Sacrario lasciando nel cielo una scia tricolore, atterrò su una vecchia striscia di deserto usata durante la guerra, a un chilometro di distanza.
Il Giada mi fece conoscere il Cantiere di Vincenzo Catarsi di Cecina.
Vincenzo aveva disegnato il Calafuria, un fortunato gozzo semi planante ispirato da un celebre scafo di A. Kalchis pr la Guardia Costiera Americana e questa “ispirazione” faceva sempre incazzare Vincenzo quando glielo ricordavo. Comunque, era un’ottima carena e decidemmo di pantografarla sino a circa 18 mt per realizzare un trawler per l’amica Giuliana (Roberta) Di Camerino che seguiva la costruzione e l’allestimento con l’intelligenza e il buon gusto che caratterizzava il suo lavoro. Indimenticabili le cene a base di ribollita e finocchiona che Giuliana tentò inutilmente di imitare e replicare quando fummo suoi ospiti nella villa di Rio de Janeiro. Sono miracoli che avvengono solo in Toscana…
In quel periodo Renato era rientrato in Inghilterra ma la nostra collaborazione, oltre ai frequenti viaggi a Salerno per seguire il lavoro alla Laver, continuava anche con altri cantieri.
Sulla sponda destra del canale di Fiumicino nei capannoni dell’attuale Alfamarine, Marcello Scorza aveva installato il suo “anagrammatico” cantiere Zarcos che per Levi costruì l’offshore Dimpy Sea, un classe 1 di 9,45, in lamellare con due BPM Vulcano da 800 CV, dalla cui carena fu sviluppato poi lo Zarcos GT. Per Scorza progettammo poi un 40 in un paio di allestimenti diversi.
Girammo per quasi tutti i cantieri italiani per proporre nuove idee o per ascoltare idee che concettualmente avevamo già superato e che necessitavano di verifica. Ricordo un’esperienza molto interessante fatta in mare ad Anzio in una fredda giornata di mare cattivo. Eravamo stati invitati a provare una nuova barca che un cantiere aveva ampiamente clonato da un noto modello americano. Faceva un freddo insopportabile e il proprietario del cantiere, al comando della sua (si fa per dire) creatura, magnificava le doti di tenuta e velocità destreggiandosi con il mare sempre più incazzato.
Renato manifestava discretamente dei dubbi sulla validità della carena e quando il proprietario gli cedette i comandi mi sussurrò “Tieniti forte perché adesso gli faccio passare la voglia di copiare le carene sbagliate”… Cominciammo ad affrontare a varie velocità le onde di prora che erano abbastanza alte con frangenti in cresta. La barca aveva tendenza a ingavonare ora a destra ora a sinistra e quando la nostra velocità fu quasi uguale a quella delle onde, improvvisamente, abbassò la prua e sbandando fuori controllo fece un magnifico testa/coda mandandoci tutti a pagliolo assieme a una valanga d’acqua…
Di fronte a un fumante piatto di zuppa di pesce, più tardi, Renato fece un disegno sulla tovaglia di carta spiegando al contrito costruttore di barche qual era l’origine dello spin out e come dovevano essere l’andamento del dritto di prora e le posizioni del centro di gravità rispetto al centro di resistenza laterale. Levi era di poche parole nell’affermare e spiegare certe sue convinzioni, idee o teorie.
Ad Anzio provando Ultima Volta, un offshore per l’Avvocato (per antonomasia) che, con un mostruoso Diesel FIAT Carraro CP 12 non riusciva a decollare a causa del basso numero di giri che il motore erogava prima che le turbine dei compressori meccanici entrassero in zona, Renato era andato a comprare in una drogheria una bomboletta di insetticida che fece applicare con un tubetto in modo da poterla scaricare davanti all’elica… Quando Pierino Gargana (l’allora motorista della Navaltecnica), a un comando di Renato, azionò la valvola del “terrore delle zanzare”, l’imbarcazione, con un ruggito, si mise in planata e raggiunse velocità. L’elica, trovandosi in una “bolla” di acqua emulsionata non aveva più trovato resistenza e aumentando di giri aveva permesso l’innesco dei turbo compressori. “Elementare, Watson!!”
Forse Renato non lo disse a Pierino, ma era una sua maniera di pensare molto ed esclusivamente “inglese”… Ho avuto e conservo ancora oggi un rapporto molto particolare con l’Inghilterra, con la cultura, l’educazione, l’imperturbabilità e soprattutto con il sense of humor inglese. Quando lavoravo alla STIAN, il Salone nautico di Londra all’Early Court era il nostro obiettivo annuale. Tutto lo studio partiva in treno per la Gran Bretagna. Per molti anni avremmo preso un rumoroso Constellation, con un metro e venti per allungare le gambe, e più tardi un veloce Comet (un po’ più scomodo). Ma il treno era molto più elegante e dava la sensazione di un mondo lontano. Quando si sbarcava a Dover prendevamo il Silver Arrow, un treno dalle poltrone di velluto rosso e tavolinetti con abat-jour. Doveva essere il treno della Regina Vittoria. Insomma, viaggiavamo come signori.
Al Salone ho conosciuto un mondo che poi sarebbe diventato il mio mondo di maestri, , colleghi e poi , amici… Ho conosciuto Renato Levi seduto nella poltrona del Constellation accanto alla mia che si lamentava perché, a suo dire, con gli aerei della Ghana Airway si viaggiava meglio; cruccio che l’ha accompagnato in tutti i suoi viaggi, sino a quando andava negli States con il Concorde. Negli eleganti stand del Salone incontravo Colin Mudie, che ospitò nel suo libro numerose foto delle mie barche; Robert Clark che mi chiedeva dei lavori sul Benbow; Uffa Fox che era la vittima delle interviste che Soccol e io tentavamo di estorcergli nel nostro approssimativo inglese; John Illinghwort, che con Angus Primrose mi illustrava il suo nuovo Outlaw.
Mi sono recato un paio di volte a Burnham on Crouch con Bernard Hyman (l’editore di Yachting World) per vedere il suo Barbican in costruzione, e a Gosport alla Vosper per parlare di carene veloci con Peter Du Cane che mi chiedeva di Renato e poi inevitabilmente finiva per parlare di aeroplani. Poi, prima di rientrare in Italia, facevo sempre una scappata a sud nel magico e intrigante paesaggio del Solent, il regno della nautica.
Un ricordo riporta alla mia mente quella straordinaria atmosfera. All’imboccaturta del porto di Portsmouth, con la marea uscente, un piccolo cabinato a vela bordeggiava per rientrare sotto una pioggia battente e ogni bordo gli faceva guadagnare pochi metri contro la corrente della bocca. Fu così per una buona mezz’ora.
Finalmente, superata la strettoia della bocca riuscì a entrare nella baia e guadagnò l’ormeggio. Più tardi lo vidi in banchina a vele ammainate e, osservandolo, vidi che aveva un motore! Al suo fianco era ormeggiato un altro piccolo yacht con a poppa il nome Unsinkable Second. Due segni dell’amore per la vela e per il mare insieme a un impareggiabile senso di humor britannico.
L’idea della carena a triciclo dritto o rovescio del mio GPB e delle idee e progetti di motoryacht da 100 nodi in ram o ground effect successivamente considerati o realizzati come prototipi in Brasile, sono uno sviluppo dell’idea di catamarano che si perde nella notte dei tempi, che fu da me inizialmente proposta alla Società Aeronautica Italiana SAI Ambrosini, per natanti di carattere militare. Era un grande catamarano da 30 metri con propulsione a idrogetti per impieghi di pattugliamento costiero e interventi a terra dei veicoli imbarcati.
Proprio in quel periodo mi giunse una proposta molto interessante da parte di un cliente torinese appassionato di pesca d’altura, che desiderava uno sportfisherman molto funzionale ed era stato suggestionato dal mio Tiger Shark.
Pensai di proporre l’idea del catamarano che alla STIAN era stata considerata da Bloemhart e da me come imbarcazione da lavoro, ma non realizzata. Il cliente, che conosceva bene il Cantiere Sciallino di Ceriale, dove trascorreva le ferie, propose di far costruire il suo sportfisherman proprio da Sciallino che aveva solo esperienza di costruzione di piccole imbarcazioni in legno. L’idea mi lasciava un po’ perplesso, ma fu sorprendentemente accettata dal Cantiere.
Mi ricordai allora del mio meraviglioso Rondone di legno come uno Stradivarius e degli alianti Canguro, anch’essi prodotti dalla SAI.
Progettai un catamarano di 12 mt come un aeroplano con compensati al massimo spessore di 5 o 10 mm. Tutti i componenti strutturali erano scatolati e incollati con araldite e la piattaforma di collegamento, cioè il ponte tra i due scafi sul quale normalmente si progettano e si costruiscono le sovrastrutture, era una trave tipo Warren con puntelli di collegamento diagonali. Ciò costituiva una travatura dell’altezza di 2 mt nella quale era situato il saloncino.
Lo Stefano III fu varato nel 1968 e nello stesso anno fu esposto al Salone Nautico di Genova. Sciallino costruì altri quattro catamarani che ancor oggi navigano felicemente: tre in Francia e uno a Napoli!
(Continua)
Gentile Franco,
oltre alle poche notizie riportate nell’articolo con la relativa foto della goletta Week End di 24 m che l’architetto Franco Harrauer descrive brevemente nella terza puntata delle sue 99 barche progettate, non abbiamo altro nei nostri archivi.
Purtroppo l’architetto Franco Harrauer, tra il nostro disappunto ed immenso dispiacere, visto che era nostro amico personale, ci ha lasciati il 9 luglio 2016 e non posso fare altro per aiutarla.
La ringraziamo per averci contattato.
Cordiali saluti,
Giacomo Vitale
Gentilissimo sign Vitale vorrei sapere qualcosa in più sulla goletta di nome Week end ? Grazie
Gentile Graziano,
nel ringraziarla per averci contattato La informo che il “Laver Murena” è un natante concepito per la navigazione da diporto sotto costa ed in particolare anche come barca per gli appassionati della pesca entro le tre miglia dalla costa.
La carena di questa barca è del tipo dislocante, diciamo simile a quella di un gozzo e come tale sia con il motore che ha in dotazione, che con altri di potenza maggiore dei 40 cavalli, non riesce a superare la velocità di circa 10 nodi.
Pertanto è importante distribuire eventuali pesi di materiale trasportato e persone con attenzione, evitando di sovraccaricarla troppo, poiché ne risentirebbe la velocità.
Circa le foto di cui chiede purtroppo nei nostri archivi non ne abbiamo. Le posso solo inviare via mail un paio di foto che ci ha trasmesso l’architetto Franco Harrauer che è il progettista di questa simpaticissima barca, sperando di farle cosa gradita.
Buon lavoro e se ha bisogno non esiti a contattarmi.
Cordiali saluti,
Giacomo Vitale
Salve,
Possiedo una “Laver Murena” da meno di un mese e credo che ne passeranno molti altri prima di riuscire a riportarla all’antico splendore.
Mi piacerebbe avere qualche informazione in più, come ad esempio la velocità che può raggiungere, considerando che ha un entrobordo FNM 40 cavalli. Inoltre, sulla base delle vostre esperienze vorrei sapere come si comporta in mare e qualsiasi altra informazione che possa essermi utile per risistemare il mio nuovo acquisto.
P.s. (so di chiedere troppo ma se esistono delle foto della coperta mi piacerebbe vederle dato che la barca in questione è stata modificata con pessimo gusto)
Ringrazio anticipatamente.
I miei saluti,
Graziano
Di nulla!
La stazza rappresenta la somma dei volumi interni di una nave o di un galleggiante la cui unità di misura, fino all’entrata in vigore della normativa internazionale, “International Maritime Organization”, era la tonnellata di stazza, un’unità di volume che corrisponde a 100 piedi cubi (2,832 metri cubi).
Nel suo caso la barca pesa circa 900 Kg, quasi una tonnellata, ma quello che le hanno indicato non sono i Chilogrammi, bensì i metri cubi.
Tutto qui e nel Suo caso Lei può far riferimento al dislocamento, che per una nave è la massa dell’acqua da essa sposta e che, per il principio di Archimende, ha un peso eguale alla massa d’acqua spostata in navigazione.
Insomma, per farla breve il dislocamento è il peso reale in tonnellate di una nave… nel suo caso riportato in chilogrammi, (1000 Kg = 1 tonnellata).
Cordiali saluti,
Giacomo Vitale
Egregio Vitale grazie per l’informazione, pensavo a un peso maggiore perché sul foglio di registrazione alla capitaneria c’è scritta solo la stazza che è di 3000 kg.
Salve e grazie per averci contattato!
Il Laver Marine 21 pesa completo di motore fuoribordo ed in ordine di marcia, circa 900 – 1000 Kg.
Saluti,
G.V.
Salve,
sono un possessore da tre anni di una Conaplastica/Laver Marlin 21 e per problemi di alaggio ho bisogno di sapere quanto pesa la barca.
Spero che su questo sito di esperti e conoscenti della Laver mi diano cortesemente una risposta.
Grazie
Conaplastic-Laver = la mia infanzia nautica. Io c’ero con il farmacista Brutus = dr. Nunziante Donnarumma de Luca, il ginecologo, dr. Antonino Palmisano, il geometra Franco e il palazzinaro Antonino Fundarò. Sul Lara Torriggia di Brutus ho preso la patente nautica nel 1971. Dal duo meraviglia Levi-Harrauer già con Nino Petrone alla Sapri ho imparato tanto. 3 giorni dopo la laurea in ingegneria navale (il 3 nov 1977), però tradii tutti ed andai con la rivale SAVIR. Da allora non ho più lasciato il settore ed ho sempre rimpianto questi mitici e grandi personaggi.
Sempre bello leggere queste storie di barche e di ingegno. Bravo Franco!
Attendo con ansia la prossima puntata. Mi ha fatto sorridere l’episodio di Portsmouth, del barchino a vela che non accende motore. Conosco il posto e la situazione. Mi chiedo se ora, ai giorni nostri, “la fretta” sia arrivata anche lassù nel Solent.
Una legittima curiosità sullo Stefano III: ma con i documenti, visti gli spessori estremi dei componenti strutturali, come l’hai “incartata” o incartato essendo un CAT = genere maschile?