La velocità – di Franco Harrauer
- L’incongruenza dell’accostamento di strutture studiate per la massima efficienza ad altre tese solo all’estetica e massima volumetria
- I concetti strutturali della futura barca veloce
In precedenza su queste pagine abbiamo considerato vari tipi di scafi e carene dedicati alla velocità, ma tali considerazioni possono avere scarso valore quando si parla di imbarcazioni da diporto in quanto i costi di acquisto e di gestione di un giocattolo (come la barca da diporto) sfuggono a qualsiasi tipo di analisi. Ma queste imbarcazioni che forma avranno?
È ovvio che nel campo degli scafi il totale spinta idro e aerodinamica la forma tradizionale quale è oggi conosciuta non avrà più ragione di essere. È però mia opinione che anche nel settore degli scafi plananti e dislocanti vi saranno grandi mutamenti.
È stato proprio il design come intervento formale a mettere in risalto il concetto evidenziando il contrasto (e secondo me l’incompatibilità) tra una forma progettata in funzione di precise esigenze di resistenza strutturale e idrodinamica e una sovrastruttura che ha solo funzioni estetiche o volumetriche non coordinate e integrate architettonicamente (parlo di architettura funzionale) con la carena sottostante.
Il mio è un ragionamento tecnologico e quindi prescinde da ogni: “Ma sino a oggi si è fatto così”. È un ragionamento che vede l’oggetto barca come una di quelle macchine delle quali abbiamo parlato nelle puntate precedenti. Macchine la cui funzione è quella di solcare le acque con il migliore sfruttamento dell’energia disponibile, in funzione della massima velocità, della maggiore autonomia, del migliore comfort. Tutto ciò con strutture razionali dove ogni elemento lavori nel più corretto dei modi senza costituire un peso non pagante.
Si è pensato di sfruttare il ground effect anche per mezzi marini superveloci
La barca deve essere quindi una macchina con un coefficiente di robustezza ben preciso e noto, sempre più ristretto e preciso quanto più alta è la velocità richiesta.
La scienza delle costruzioni non fa molta differenza fra la campata di un ponte metallico o di cemento armato, la fusoliera e le ali di un aereo e la carena di una barca. Quindi,vedo la barca come un corpo delimitato da anelli continui trasversali, il più possibile simili a un poliedro (se fosse possibile ad un cerchio) collaboranti con una struttura longitudinale, una pelle lavorante, un fasciame a nervature longitudinali interne.
La geometria di questa forma deve essere dettata da considerazioni di carattere idrodinamiche nella parte inferiore e in quella superiore da considerazioni aerodinamiche. È evidente che il risultato non può essere che una forma fusiforme, ottima dal punto di vista strutturale e idro-aerodinamico. Una specie di sommergibile o di aeroplano.
Ricordo che negli anni trenta Antony Fokker, il grande costruttore olandese di aerei, fece costruire un motoryacht con queste indicazioni, una grande imbarcazione che polemicamente si chiamava “Q.E.D.” (Quod erat demonstrandum) dalla cui coperta sporgeva solo un piccolo abitacolo per la timoneria.
Il Q.E.D. che non era stato concepito strutturalmente, ma solo formalmente, fu all’epoca un esperimento giudicato scandaloso, ma molto indicativo di una mentalità aeronautica razionale inserita in un mondo in cui ancora oggi la posizione e la forma di certi particolari di bordo non sfuggono ad una concezione strettamente tradizionale.
Credo che l’imbarcazione da diporto seguirà inevitabilmente l’evoluzione che ha subito l’automobile. Il ciclo evolutivo dell’auto ha portato alla razionalizzazione della forma, inglobando in essa tutti gli accessori esterni (ruote di scorta, fari, parafanghi) in modo impensabile sino a pochi anni fa.
Sono forme che non hanno seguito una evoluzione di carattere estetico, ma una precisa ragione dettata da esigenze di produzione e di esercizio ove il peso e la resistenza aerodinamica sono fattori molto importanti, così come lo sono nelle imbarcazioni da diporto.
È però mia impressione che sia improbabile vedere nei prossimi anni un overcraft da crociera ancorato allo Yacht Club di Porto Cervo, oppure un sottomarino da diporto emergere dalle acque di Portofino, anche se invece mi augurerei di assistere a un tale spettacolo.
È però molto probabile che, seguendo una evoluzione tecnologica, le barche di un vicino domani possano essere completamente diverse da quelle di oggi.
Queste mie idee ed i disegni pubblicati su questa rivista non sono di oggi, ma risalgono a oltre 25 anni fa e dopo 25 anni non ho visto il sottomarino da diporto emergere a Portofino, ma nel 1990 comparvero su alcune barche da diporto le eliche di superficie ventilate da tempo allo stato sperimentale.
Oggi i Wave Piercer da 100 nodi prestano servizio in tutti i mari del mondo con una carena sperimentata tani anni fa
Levi sull’Arcidiavolo e da me sul GPB Delta. I piloti di Amburgo e gli operatori delle piattaforme petrolifere ora affrontano il Mare del Nord e il Sud Atlantico con SWAT come imbarcazioni di supporto. Nel 1953 avevo considerato in una ipotesi progettuale l’aerodina del professore Lippisch e l’effetto suolo è ora i grandi Ekranoplani russi, basati
sullo stesso principio, volano sul Caspio e sul Mar Nero e per le loro affascinanti prestazioni, c’è davvero da augurarsi di vederne uno da diporto entrare a Porto Cervo dopo 60 minuti dalla partenza da Portofino. D’altra parte sono allo studio grandi navi cisterna sottomarine per il trasporto di carichi liquidi e gas liquefatti ed è probabile che la loro forma sia quella dei grandi cetacei con minime resistenze di attrito e di scia e in totale assenza di resistenza d’onda.
Con un corpo totalmente immerso, pieno di liquido d peso specifico quasi uguale a quello dell’acqua che lo circonda, la loro struttura sarà estremamente leggera, semplificata e bassa sarà la potenza motrice necessaria per farle avanzare a grande velocità. I costi di costruzione e di esercizio saranno molto interessanti.
Il presente articolo scritto dall’arch. Franco Harrauer negli anni ’80 è qui pubblicato p.g.c. dell’autore
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