Carene famose: “Fairmile D 613” – di Franco Harrauer

La MGB Fairmile “D 613” costruita dal Cantiere J.Hall di Glampton ripresa durante i collaudi di accettazione da parte dell’Ammiragliato. La plancia è protetta da materassi paraschegge
Nel 1941, sotto l’impellente spinta delle necessità belliche, nacque in Gran Bretagna una delle carene più prestigiose e funzionali che la storia della motonautica possa annoverare; un tipo di imbarcazione da spendere in azioni belliche di rapida costruzione, di costo contenuto e senza impiego di materiali che per il loro reperimento nel periodo bellico erano considerati strategici.
Ebbene questo autentico bene di consumo che doveva essere impiegato ad esaurire i suoi compiti nell’arco allora augurabilmente breve della durata del conflitto, ha avuto una vita estremamente longeva dimostrando la bontà del disegno e soprattutto del sistema di costruzione e dei materiali.
Vogliamo parlare della carena Fairmile tipo «D» che sotto le sembianze di guardacoste, trasporto, motoryacht o barca contrabbandiera, ancora oggi a distanza di oltre trenta anni solca onorevolmente i mari di tutto il mondo. Con la flotta impegnata in tutti i teatri bellici del mondo, l’Ammiragliato Britannico all’inizio del conflitto varò un programma di emergenza per la costruzione di unità leggere e veloci capaci di un grande volume di fuoco e adatte per scopi difensivi (quali la caccia agli U boot e la scorta ai convogli) ed anche offensivi nel quadro di potenziamento delle forze navali del “Coastal Commando” che le avrebbe impegnate come motocannoniere e siluranti.
Il progetto fu elaborato dall’ufficio studi dell’Ammiragliato in collaborazione con Norman Hart, del cantiere Fairmile, che nel quadro di un programma precedente aveva già progettato in base agli stessi criteri l’ottima serie dei dragamine a unità di pattuglia CD conosciuti sotto il nome di Fairmile “A» e “C», rispettivamente di metri 33,50 e 32,00.
Il concetto base di una rapida costruzione portò all’elaborazione di una forma di carena allora poco usata su unità di una certa grandezza e cioè la “hard chine» con uno spigolo molto teso che partendo dallo specchio di poppa arrivava a congiungersi alla linea di cinta all’estremità superiore del dritto di prora, generando così un bordo d’entrata alla ruota non superiore ai 15°, valore estremamente favorevole alle basse velocità che l’unità doveva mantenere durante la normale navigazione di pattuglia.
Mentre le fiancate erano lo sviluppo di una superficie piana, il fondo della carena grazie all’adattabilità del sistema di costruzione a fasciame lamellare incrociato, aveva un disegno con sezione ad «S» che ne favoriva la planata alle alte velocità e conferiva allo scafo le doti di tenuta di mare necessarie ad una unità che doveva sviluppare la massima velocità in condizioni di mare spesso avverse.
La chiglia non era nella sua parte bagnata molto pronunciata e la stabilità di rotta era dovuta molto alla lunghezza ed alla finezza dello scafo (L = 33,73, l = 5,85) rinunciando ad uno « skeg » di superficie efficiente, probabilmente per non produrre delle turbolenze nocive a monte delle eliche centrali.
Come si è detto, la costruzione era in doppio fasciame di mogano su struttura di quercia divisa in otto compartimenti stagni.
L’abilità dei tecnici dell’Ammiragliato consisté soprattutto nella pianificazione della costruzione con lo studio di elementi strutturali che potevano essere prefabbricati ed assemblati da piccoli cantieri artigiani anche non particolarmente attrezzati; infatti, la maggior parte dei materiali veniva preparata dalla Fairmile in qualità di capo-commessa ed inviata in vari stadi di approntamento ai cantieri allestitori.
In questo modo, nel periodo dal 1942 alla fine del conflitto furono prodotti complessivamente 229 Fairmile del tipo «D», da ben 20 cantieri sparsi in tutto l’Impero, dall’India a Trinidad, o dall’Australia al Canada. Questo tipo di Fairmile, chiamato scherzosamente dagli equipaggi «Dog», cioè «cane», con quattro motori a benzina Packard da 1250 HP ciascuno, sovralimentati, imprimevano allo scafo una velocità massima di 31 nodi a 2400 giri con un dislocamento di 91 tonnellate nella versione armata a motocannoniera, ma che scendevano a 28 nodi. Con l’aumento dei carichi bellici nella versione “motocannoniera – silurante” arrivavano a ben 105 tonnellate.
La capacità dei serbatoi di carburante era di 40.000 litri il che rendeva l’unità una autentica bomba in caso di fuoco a bordo.
L’armamento poteva essere variato a secondo delle missioni ed andava da quello posamine a quello motocannoniera o silurante, oppure tutte e due le versioni come negli ultimi tipi; in tal caso il potenziale bellico era veramente formidabile ed oltre ai quattro lanciamissili da 533 mm, comprendeva:
- 2 cannoni da 57 mm
- 1 mitragliera a due canne da 20 mm
- 2 mitragliere binate da 12,7 mm
- 2 mitragliere da 7,69 mm
il tutto manovrato da tre ufficiali e 27 marinai.
Questi eccezionali mezzi bellici operarono in tutti i teatri di guerra, spesso in collaborazione con i leggendari «commandos» e compirono azioni audacissime, effettuando sbarchi in territorio nemico.
I Fairmile «D» furono molto attivi nel Mediterraneo operando negli anni 1943/44/45 dalle basi di Bastia in Corsica, effettuarono numerose azioni di disturbo contro il traffico costiero tedesco, specialmente nella zona dell’arcipelago toscano.
Nel dopoguerra le numerose squadriglie furono accantonate e messe in disarmo nei porti del Mediterraneo in attesa di demolizione; ma l’inattività durò ben poco e quasi tutte le unità furono riarmate per essere cedute a marine straniere, oppure furono vendute a privati che le adibirono ad usi più disparati.
Negli anni ’60 i Fairmile furono protagonisti, proprio per le loro eccelse doti di velocità e tenuta in mare, di battaglie ed inseguimenti non meno cruenti di quelli per i quali erano nati; ma questa volta i carichi erano costituiti da sigarette e merci di contrabbando.
Specialmente la nostra Guardia di Finanza, anche essa equipaggiata con le ex unità inglesi, si trovò ad affrontare, diciamo ad armi pari, le veloci imbarcazioni contrabbandiere armate di poderosi «radar», in scontri che spesso non si risolvevano dopo lunghi inseguimenti in una resa ed un sequestro dell’imbarcazione, ma in autentici combattimenti e tentativi di speronamento come quelli avvenuti nelle acque della Sardegna.
Un discreto numero di Fairmile fu trasformato in motoryachts con il cambio dei motori da benzina a nafta. La costruzione di sovrastrutture ed alloggi portò ad una conseguente diminuzione della velocità che però, per la finezza delle linee di carena, rimaneva sempre notevole, anche con potenze nettamente inferiori.
Franco Harrauer
Crediti: Articolo scritto dall’architetto Franco Harrauer e pubblicato sulla rivista nautica “Mondo Sommerso” – Dicembre 1973 e riprodotto qui su AltoMareBlu ricordando il formidabile personaggio ed il progettista speciale e che manca a chi lo ha conosciuto personalmente ed a chi lo ha seguito attraverso i suoi articoli e le sue creazioni.
Ciao Franco!!
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