«Ultra» la fine di un mito di Enrico Cernuschi
Enrico Cernuschi noto studioso di storia navale, nel suo ultimo libro che presentiamo in questo breve articolo, dimostra sulla base di numerosi documenti britannici rintracciati al TNA (ex PRO) e citati in nota, che la storia dei successi contro la Marina italiana vantati dall’organizzazione di decrittazione interforze britannica nota come ULTRA, “è tutta sbagliata e tutta da rifare”, come diceva Bartali.
Il Professor “Harry” Hinsley, curatore capo della monumentale opera British Intelligence in the Second World War edita dal 1979 al 1993 dall’HMSO, ha fatto, in verità, un’incredibile confusione quando ha trattato la materia italiana, scambiando allegramente i vari tipi di cifrari, le navi coinvolte, le date, i personaggi, le cause degli affondamenti eccetera.
Tutti, all’estero e in Italia, hanno copiato la B.I. con l’aggiunta di qualche ulteriore sproposito e il risultato finale è stato quello di produrre una serie di pasticci del tutto inutilizzabili sotto il profilo storico, scientifico e criptologico in quanto redatti, con la mano sinistra, da un pattuglione di dilettanti allo sbaraglio incapaci di affrontare, non dico un criptogramma, ma finanche un cruciverba, oltre che ispirati da un miles gloriosus e accuratamente digiuni in materia di radiocomunicazioni.
La dura realtà, descritta in una lunga relazione britannica del 1944 dedicata alla storia della disgraziatissima Italian Section di Bletchley Park, è quella di un susseguirsi di insuccessi, errori, navi mancate, traduzioni balorde, cacce a vuoto (goose-chase) e situazioni alla Wodehouse come, per esempio, la cacciata con infamia, nel corso di una fredda notte del dicembre 1941, da parte del Direttore di quel centro (un child-molester di fama internazionale), delle dattilografe (dette teleprincesses), essendo state sorprese a flirtare con i traduttori della sezione, cosa questa vietatissima dai regolamenti. Il risultato di questo novello “matrimonio non s’ha da fare” fu quello di paralizzare la Sezione per settimane proprio nel pieno della Prima battaglia dei convogli.
Dopo la guerra tutti i fiaschi di cui sopra (alcuni dei quali piuttosto imbarazzanti e costati gravi perdite alla Royal Navy) furono cancellati con la massima disinvoltura redigendo a puntino, al loro posto, una compiaciuta relazione postbellica nella quale figuravano soltanto i successi (talvolta inventati di sana pianta, visto che si attribuivano a ULTRA affondamenti di navi perse, per esempio, su mine italiane in occasione di errori di navigazione, oppure distrutte prima che i relativi messaggi dove venivano menzionate fossero stati decrittati dagli inglesi o, ancora, semplicemente inesistenti). La comoda relazione in questione, bella e pronta ancorché destinata soltanto a salvare, dopo la fine della guerra, almeno una parte dei lauti fondi stanziati dal governo inglese per la crittografia diretta contro gli italiani, è stata ripresa pari pari da Hinsley e dai suoi epigoni commettendo, in quell’occasione, almeno tre errori fondamentali:
a) nessuno pensò, allora e in seguito, di verificare i 37.000 messaggi britannici alla base di quella ricostruzione, per quanto fossero stati, nel frattempo, liberalizzati e resi disponibili;
b) non furono studiate le sigle, gli orari e le date che caratterizzavano i messaggi stessi (altrimenti almeno qualcuno avrebbe capito che erano stati messi in chiaro, per oltre due terzi, nel 1944 e 1945);
c) nessuno (e questo è il fatto più clamoroso) ha mai pensato di mettere a confronto quelle carte con gli oltre 38.000 messaggi cifrati della Marina e dell’Aeronautica inglesi, decrittati tra il giugno 1940 e il settembre 1943, dal Reparto Informazioni dello Stato Maggiore della Regia Marina.
Come se non bastasse si fece di peggio. Quando un professionista, l’ammiraglio Luigi Donini, asso dei crittografi italiani e capo per quarant’anni della sezione “inglese”, espresse le proprie legittime perplessità da tecnico nei confronti di quegli zibaldoni, si cercò (senza successo) di zittirlo ricorrendo a sistemi non troppo diversi da quelli che ho visto utilizzare dai sessantottini contro i titolari di cattedra al doppio scopo di assicurarsi il posto dei veri docenti sfogamondo, nel contempo, un certo malanimo esistenziale sconfinate nel puro e semplice teppismo.
Eppure, una volta che l’intera questione delle decrittazioni relative ai messaggi italiani e inglesi nel Mediterraneo (e in Atlantico) prima e durante la Seconda guerra mondiale fosse stata studiata sine ira et studio, sarebbe stato possibile ricostruire un quadro del tutto diverso rispetto a quello narrato abitualmente dalla vulgata in merito alla guerra condotta dalla Regia Marina tra il 1940 e il 1943 chiarendo, tra l’altro, diversi misteri che non sono tali e rivelando altresì una notevole quantità di successi italiani, sia in occasione delle maggiori azioni di superficie, sia nel corso della battaglia dei convogli sia in occasione del contrasto antisom.
Grazie alle tempestive decrittazioni del Reparto Informazioni (del tutto indipendente, separato e, giustamente, assai diffidente nei confronti degli infiltratissimi colleghi tedeschi), diversi cacciatorpediniere e sommergibili della Royal Navy furono, infatti, affondati o messi fuori combattimento in diverse occasioni; centinaia di mercantili dell’Asse, inoltre, furono salvati, assieme ai loro equipaggi e alle truppe trasportate, dirottandoli opportunamente, oppure organizzando un’adeguata accoglienza a beneficio della navi e dei battelli britannici con perdite, per i velivoli, secondo i registri della stessa RAF, nell’ordine del 25 – 50% a missione nel 1941 e nel 1942. Tutte queste vicende, e molte altre, sono descritte passo per passo citando i singoli messaggi inglesi decrittati, con i relativi riferimenti archivistici, gli orari, i tempi di intercettazione, di decrittazione e di ritrasmissione.
La morale? Non è riassumibile in poche righe. Ad ogni modo, il 95% dei decrittati britannici era fornito dalle macchine Enigma tedesche e la sigla ZTPI, che qualcuno ha erroneamente interpretato come “messaggi italiani” era, in realtà, quella di un bollettino informativo dedicato alle vicende navali mediterranee e formato da marconigrammi pressoché tutti germanici. La Regia Marina decrittò a sua volta, con continuità, fino al giugno 1943, tutti i cifrari della Royal Navy e della RAF, sia “leggeri” sia “pesanti”, ottimizzando i tempi (meno di 20 minuti) per lo sfruttamento con successo delle situazioni tattiche.
Gli inglesi impiegavano, in media, 10 ore, i tedeschi oltre 12 (senza informarci, e viceversa). Lo sfruttamento, sia pure questa volta soltanto parziale, dei codici navali avversari continuò, ad ogni modo, fino all’armistizio e, in seguito, anche a opera della Marina Repubblicana, riportando nel corso del 1944-1945, qualche ulteriore successo, ovviamente minore date le circostanze, ma non disprezzabile.
La famosa macchina cifrante svedese C 38 m utilizzata dalla Marina italiana, infine, fornì ai britannici, in quasi tre anni d’esercizio, solo poche centinaia di messaggi, nessuno dei quali di valore tattico o strategico, ma soltanto conferme, a posteriori, di quanto appreso e già sfruttato, se del caso, sull’onda delle comunicazioni germaniche. Si trattava, in fin dei conti, di informazioni amministrative come, per esempio, quella relativa alla perdita, nel dicembre 1941, di un bauletto di camice destinate al governatore dell’Egeo, l’ammiraglio Campioni, notizia regolarmente annotata dagli inglesi dopo una settimana di sforzi criptologici, ma non proprio fondamentale come si è cercato di far credere.
Un’ultima osservazione. Tutti i divulgatori che hanno affrontato questi argomenti hanno ripreso la notizia, fornita dalla B.I., volume II, pagina 283, di 4.000 messaggi italiani cifrati con la C 38 m e letti da ULTRA. nel luglio 1942. Eppure sarebbe bastato verificare le varie edizioni dei libri Y di quella macchina conservati a Roma per sapere che si trattava di un totale di chiavi superiore a quelle disponibili tra tutti i comandi interessati per l’intera stagione estiva e fino all’ottobre di quello stesso anno.
In alternativa a questa ricerca sul campo sarebbe stato sufficiente verificare i registri del Reparto Telecomunicazioni per scoprire quanti erano stati, in realtà, i marconigrammi trasmessi. La dura realtà è che colui che si è occupato di queste cose, qualunque fosse la sua latitudine, non ha mai cercato i documenti italiani, preferendo limitarsi a ricopiare o a tradurre (male) Hinsley senza dimostrare il minimo spirito critico in omaggio a unì’atteggiamento che un autentico accademico come il professor Virglio Ilari ha liquidato sin dal 1996, nel proprio inventarsi una patria, scrivendo di “Quell’oligarchia, che proietta sulla nazione il proprio inconscio disprezzo di sè”.
Enrico Cernuschi, classe 1960, è nato a Bologna e radicato a Pavia. Laureato in Giurisprudenza, lavora come funzionario di una delle maggiori banche italiane.
Studioso di storia navale, ha scritto, tra l’altro, Navi e quattrini (2014) e collabora a diverse pubblicazioni italiane e straniere, tra le quali «Rivista Marittima», il mensile dello Stato Maggiore della Marina Militare, «Storia militare» e «Warship».
Con Mursia ha pubblicato Gran Pavese (2011) per il quale, nel 2012, ha ricevuto a Roma il Premio Marincovich.
«Ultra» la fine di un mito
Casa Editrice MURSIA, pagine 288 (testo: 282 + inserto: 1/6)
Euro 16,00
Codice 14388L
EAN 9788842552185
Non posso che sottoscrivere le parole dei Sig.ri Mancini, Meoni e Carolei in difesa del compianto Prof. Santoni.
Cordiali saluti.
Nicola Ragnoli
Continuo a non capire che bisogno ci fosse di alzare tutta questa buriana per la presentazione di un libro che nessuno dei commentatori sembra avere letto. Certo è che nessuno, docente in università o meno, è infallibile.
Siccome l’intelligence non è il mio campo preferito (non che gli altri commentatori abbiano dato prova di grandi competenze), mentre sono un po’ più esperto di questioni di artiglieria, vorrei suggerire ai commentatori di rileggere (sempre che non l’abbiano già mandato a memoria) l’articolo del dott. Santoni “Perché le navi italiane in guerra non colpivano il bersaglio” (Rivista Storica n. 3, 1994) e di confrontarlo con quello di Giuliano Colliva, pubblicato in 4 parti sul “Bollettino d’Archivio della Marina Militare” (sett. 2003 – mar. 2004) intitolato “Questioni di tiro… e altre”. Uno è zeppo di trite e ritrite chiacchiere da bar, smontate una per una da parte dell’altro. Solo che l’impietoso raffronto all’epoca è stato lasciato elegantemente cadere nel dimenticatoio. Ecco, magari era meglio fare lo stesso con il libro di Cernuschi, perché data la mala parata con le artiglierie non vorrei che la stessa situazione si riproponga questa volta con l’intelligence.
PS Sono orgoglioso di essere italiano, storia militare inclusa. Quasi quasi mi unisco alla moda delle liste di proscrizione e chiedo al prof. Ilari di proporre alla SISM un vibrante messaggio ricolmo di sdegno per chi non la pensa come me su chi disprezza la propria nazione, dato che le nostre posizioni sono sostanzialmente uguali.
E’ veramente vergognoso ed inaccettabile che esca questo libro a soli tre mesi dalla scomparsa del Prof. Alberto Santoni, docente universitario a Pisa ed all’Accademia Navale di Livorno, nonché storico ineccepibile.
E’ più che evidente che il testo è stato scritto molto tempo prima e viene dato solo ora alle stampe nel momento in cui il Prof. Santoni ( che curava sempre i suoi libri con dovizia di particolari ) non può più difendersi. Io ho conosciuto personalmente il Prof. S. e devo dire sinceramente che, al di là delle sue evidenti simpatie per la Gran Bretagna, egli è sempre stato portavoce di una verità storica inoppugnabile, suffragata da una ricchissima documentazione.
Allora mi chiedo: come mai l’autore fa le sue controdeduzioni solo ora, a moltissima distanza dagli anni 80? Quando uscì, nel 1981, il best-seller del Prof. Santoni ” Il vero traditore “, un ammiraglio, di cui non ricordo il nome ( forse era proprio Donini ? ), commentò il libro con queste precise parole :
” A Santoni non si può dire nulla perchè ha la lingua foderata di documenti ! ”
E’ altresì evidente che l’autore, funzionario bancario, sia peraltro ben posizionato tra gli alti vertici della Marina, la quale, a suo tempo, non prese molto bene le rivelazioni fornite da ULTRA in quanto, purtroppo, noi italiani uscivamo piuttosto ridimensionati da tutte le vicende mediterranee dell’ultima guerra . . .
Io non sono filo-britannico, anzi sono orgoglioso di essere italiano ( per le Arti e le Lettere, non certamente per le imprese militari ), ma ritengo che la verità storica debba sempre prendere il sopravvento su qualsiasi tipo di faziosità, qualunque essa sia.
Ritengo che l’uso della logica sia la soluzione migliore. Alla luce di quanto letto nel libro di Cernuschi e della documentazione riportata, è vero o non è vero che nella “British Intelligence” sono presenti numerosi errori? E’ vero o non è vero che tali errori sono stati riportati dagli altri autori che hanno trattato del tema? (se l’ha fatto anche il dott. Santoni, mi spiace, ma anche lui poteva sbagliarsi) Non è necessario scomodare il reato di lesa maestà, ma solo l’insegnamento di Nostro Signore: “dite ‘sì’ quando è ‘sì’ e ‘no’ quando è ‘no’: tutto il resto viene dal diavolo”. Se poi la logica (per così dire…) da seguire è invece “L’ha detto Santoni, e tanto ci basta”, allora bruciamo tutti gli altri libri e chiudiamola qui (un po’ come gli arabi con la biblioteca di Alessandria “In quei libri o ci sono cose già presenti nel Corano, o ci sono cose che del Corano non fanno parte: se sono presenti nel Corano sono inutili, se non sono presenti allora sono dannose e vanno distrutte”).
Secondo me, mettersi a criticare un libro sulla base di una presentazione senza verificare se l’autore abbia ragione o meno non è un passatempo molto utile, né si fa un gran servizio a uno studioso che non è più tra noi sottolineando che avrebbe, eventualmente, scritto cose che non coincidono con i documenti resi disponibili dal più recente studio di Cernuschi.
“Tutti, all’estero e in Italia, hanno copiato la B.I. con l’aggiunta di qualche ulteriore sproposito e il risultato finale è stato quello di produrre una serie di pasticci del tutto inutilizzabili sotto il profilo storico, scientifico e criptologico in quanto redatti, con la mano sinistra, da un pattuglione di dilettanti allo sbaraglio incapaci di affrontare, non dico un criptogramma, ma finanche un cruciverba, oltre che ispirati da un miles gloriosus e accuratamente digiuni in materia di radiocomunicazioni.”
Scusi, sig.Agresti, come si fa a non prendere le difese del prof. Santoni quando nella presentazione del libro di Cernuschi c’è una frase tipo quella sopra riportata. Per tutti s’intende tutti, anche Santoni. Quindi, a questo punto, l’unica verità sull’argomento Ultra è quella di Cernuschi. Non mi sembra che il professor Santoni,come ricercatore e come storico, possa essere compreso in questo “Tutti”. Forse il Cernuschi, mi risulta che la presentazione pubblicata su Alto Mare Blu sia stata scritta personalmente da lui, avrebbe potuto presentare il suo libro con toni diversi.
Lino MANCINI
Suggerirei ai seguaci del defunto dott. Santoni di evitare di infiammare inutili polemiche, che per altro vedono soltanto loro. Non mi pare che si faccia un bel servizio al proprio autore preferito tirandolo per la giacca in diatribe nelle quali non è stato minimamente citato. Se poi credono che solo lui avesse il diritto di scrivere su ULTRA e gli altri non ne abbiano la licenza, lo dicano chiaramente. Li invito piuttosto a leggere il libro di Cernuschi e trarre le logiche conclusioni dai documenti e dati riportati: contra factum, non valet argomentum. Sempre che non si ritenga che valga l’ipse dixit, e quindi se qualcosa non è scritto nei testi sacri allora non è vero…
PS Chiunque abbia un minimo, ma davvero minimo, di esperienza in campo editoriale conosce i tempi di revisione, stampa e diffusione dei libri, per non parlare degli anni usualmente dedicati alla precedente ricerca e scrittura, e quindi sa benissimo che la tempistica di pubblicazione di un testo come questo non può minimamente essere collegata alla scomparsa del dott. Santoni.
Sono francamente sconcertato da quanto letto come presentazione dell’ultimo capolavoro del Dr. Cernuschi!
Date le note rivalità tra l’autore e altri illustri storici italiani sull’argomento ULTRA, non si tratta affatto di aggiungere argomentazioni polemiche in una presunta “gara tra primedonne” quanto piuttosto di manifestare una doverosa difesa dell’amico Prof. Santoni vilmente attaccato tra le righe perché non più in grado di replicare (cosa che certamente avrebbe fatto, forte della preparazione documentale che caratterizzava la sua autentica professionalità di storico).
Le tesi sostenute nel libro di Cernuschi, prive di un “briciolo di reale documentazione”, negano chiaramente quello che illustri colleghi storici, non ultimo il Prof. Ilari riconoscono essere elemento indispensabile quando si tratta una materia così affascinante: una rigorosa ricostruzione sostenuta da un valido metodo scientifico di ricerca e di studio delle fonti a sostegno di una successiva inevitabile interpretazione soggettiva dell’autore.
Una voce chiara e forte di sdegnosa autorevole critica innanzitutto della Sism, in particolare di Ilari (anche citato da Cernuschi) e di qualificati colleghi italiani di storia militare della 2^ GM rappresenterebbe la più efficace e concreta difesa dello storico Santoni e del suo lavoro, molto più che uno “scontato” quaderno alla memoria: questa sarà infatti alimentata e ravvivata nel tempo proprio dalla valorizzazione delle opere, dei trattati e degli articoli scritti da Santoni, mentre invece rischierà di essere offuscata da faziosi vuoti tentativi di difendere a posteriori le responsabilità storiche del Comando della Regia Marina, con l’intento chiaro di riabilitare oggi quanti sono eredi di tali vertici.
Prima di leggere il libro di Cernuschi consiglerei di leggere il libro del professor Santoni, recentemente scomparso,”Ultra Intelligence e Macchine Enigma Nella Guerra di Spagna 1936-1939″- Edizione Mursia.
Il professor Santoni, noto Professore di Storia Navale, nonché fine ricercatore, sulla scorta di inediti documenti dell’archivio britannico dimostra come sin dal 1938 la Regia Marina Italiana è divenuta la prima Forza Armata a subire violazioni delle macchine Enigma, violazioni che si protrassero con successo durante tutto il secondo conflitto mondiale, in particolare dal 1941 al 1943.
Lino MANCINI