TWR 999 Trawler “yacht – casa”
di Franco Harrauer
Ho sempre cercato di dare una risposta coerente ad una delle domande “imbarazzanti” che spesso mi vengono poste ai Saloni Nautici quando si parla, ovviamente, di barche. Non alludo alle infernali domande degli “appassionati”, veri mostri di competenza in fatto di dinamica dei fluidi o idrostatica, chiedendoti a bruciapelo se il coefficiente “K” più la costante 3,14 ecc e con implacabile crudeltà non ti mollano per tutto un pomeriggio… No! Mi riferisco invece al signore che ti chiede: “Ma Lei che tipo di barca si farebbe?” Classifico la domanda come “imbarazzante”, proprio perché è un quesito che non mi sono mai posto in modo razionale e quando ho affrontato il problema l’ho fatto in modo accademico e professionale senza una spinta emotiva interiore o un convincimento ben radicato.
Comunque, analizzando oltre sessanta anni di lavoro nel campo della progettazione navale, posso intravedere una certa tendenza, una certa filosofia progettuale alla quale mi dedico con più entusiasmo e che, in tutta sincerità, mi ha dato le maggiori soddisfazioni. Si tratta di una piccola barca da crociera a motore, con velatura ausiliaria. Non proprio un moto sailer, ma un primo gradino verso la vela, nel quale la componente motore perde le sue caratteristiche corsaiole e viene impiegato con una carena appropriata, nell’area delle velocità economiche, cioè non superiori alla formula:
R = 4,5
- Una barca da vivere come “casa” dalla quale si possa guardare tranquillamente un panorama
- nella quale si possa cucinare e mangiare un piatto di spaghetti mentre si naviga
- con la quale si possa viaggiare di notte, magari al minimo del motore e con un paio di stracci a riva, mentre qualcuno a bordo può realmente dormire e voi potete godere in solitudine dei magici momenti della navigazione notturna con i piccoli problemi delle luci, dei fari e dei loro rilevamenti, con le piccole ansie di una lucina rossa che sulla vostra dritta “non scade”.
- Una barca che non ti ponga il problema della moquette che si bagna o della cristalleria che si rompe
- Una barca da “vivere” non una “barca di credito”
L’ipotesi di progetto nasce da due mie vecchie idee che negli anni sessanta realizzai sulle rive del Lago Trasimeno con la SAI Ambrosini e sul mar Ligure con il Cantiere Navale Luigi Mostes, dove furono costruite imbarcazioni in lega leggera e una serie di Trawler in legno che ancor oggi navigano nel Mediterraneo. In verità avevo già progettato per la Tyler inglese un trawler di 13,70 m basato su una loro carena in vetroresina e chiamato “Poseidon”.
Queste- idee trovarono posto anche in due articoli pubblicati da “Mondo Sommerso” che titolavano:
Perché l’alluminio” e perché i “Trawlers
La fusione di queste due “idee – esperienze” hanno originato il progetto “999”, un trawler in alluminio di nove metri e novantanove centimetri progettato e costruito con le tecniche di assemblaggio utilizzate negli anni quaranta dalla SAI per la costruzione degli aerei da caccia.
Lo scafo per le barche e la fusoliera per gli arei si impostavano al rovescio su uno scalo o forma e dopo lo sviluppo del tracciato “entro ossatura”, si iniziava la costruzione iniziando la posa in opera degli elementi longitudinali continui tra i quali poi si saldavano gli elementi trasversali o meglio ‘interlongitudinali” che costituiscono le ordinate di calcolo. Successivamente dall’esterno venivano messe in opera i corsi di fasciame, le cui lastre erano saldate solamente ai longitudinali.
Questa procedura è molto rapida perché su ogni singola sezione dello scafo possono operare sino a sei saldatori contemporaneamente, evitando deformazioni termiche dovute alle saldature asimmetriche, oltre alla formazione di infestonamenti (effetto egg box) dovuti anche ai carichi idrodinamici, specialmente a prora nella zona di palpitazione, oltre alle deformazioni elastiche o permanenti dei pannelli tra gli elementi di strutture verticali che turbano in maniera cosiderevole il flusso dell’acqua nell’opera viva.
Tutti gli elementi strutturali longitudinali e inter – longitudinali sono costituiti da un unico tipo di profilo, trafilato o estruso, angolare (100 mm x 50 mm x 5 mm) posizionandoli per la saldatura su appositi appoggi dello scalo. Le lastre dei corsi di fasciame, con un peso specifico molto basso, caratteristica delle leghe leggere, (circa 10 Kg x Mq) possono essere tagliate con utensili manuali e posizionate a mano senza l’intervento dei mezzi di sollevamento tipici e necessari nei cantieri navali in ferro. Ciò significa un “handling“ molto veloce ed economico.
Le leghe di alluminio non sono tossiche. Facilmente riciclabili, la loro produzione e lavorazione è compatibile con un relativamente basso consumo energetico ed emissione di gas nocivi. Il prodotto finito può fare a meno di verniciature protettive perché il suo contatto con l’ossigeno atmosferico produce uno strato auto protettivo di ossido di allumia. Ciò è molto importante nelle sentine e nei serbatoi che possono essere realizzati integralmente alle strutture. Questa caratteristica va a vantaggio dell’opera viva che può fare a meno della verniciatura antivegetativa.
L’uso delle leghe leggere per la costruzione di una imbarcazione relativamente lenta come un Trawler, potrebbe essere una “contraddizione in termini“, ma considerate tutte le componenti energetiche dirette o indirette ecologiche, il basso rapporto “potenza – dislocamento” ed i vantaggi di una costruzione razionalmente industrializzata, in confronto con una imbarcazione in legno, ferro o vetroresina, pone il concetto “trawler – lega leggera” in una posizione commercialmente interessante.
Credo che il confronto vincente possa essere proprio nella “formula trawler”, cioè quella della barca/casa, relativamente lenta, ma di buona tenuta di mare con forte autonomia, (anche di cambusa), con abitabilità per un minimo di quattro persone. Una casa/barca nella quale, anche in navigazione, si possa cucinare una “carbonara” per gli amici e la famiglia, senza dover fare delle acrobazie. Navigazione tranquilla in attesa della notte per arrivare alla meta o per sostare all’ancora in una cala ben ridossata.
Una casa dal mutevole paesaggio quando si è ancorati “alla ruota”. Una casa al mare da tenere in armamento in un porto raggiungibile nei week-end invernali in poche ore di automobile. La presenza di una alberatura è giustificata dalla possibilità di avere una navigazione più confortevole mettendo a riva una vela stabilizzatrice che può essere integrata da una carboniera (non “carbonara”) come ausilio alla propulsione.
Vorrei ricordare con piacere che uno dei primi velisti transatlantici in solitario, il professor Austoni, si era convertito alla vela navigando con un mio trawler costruito da Mostes, con il quale, complice un compiacente maestrale, fece una tranquilla traversata Crotone – Corfù in un paio di nottate. Certo è che non bisogna avere fretta perché con un motore di una cinquantina di KW a otto nodi potremo arrivare ultimi al traguardo serale del posto barca in una Marina. Molto meglio una notte in navigazione verso una non lontana meta, che essere all’ormeggio e in preda alle onde dei concorrenti alla gara del posto barca.
Ma se volete star tranquilli, lontani dalla Marina, usate un semplice dispositivo antirollio: la vostra barchina di servizio, gommone o pram, meglio se pieno a metà d’acqua, messo fuori bordo all’estremità di un tangone o “asta di posta“, ridurrà il rollio a valori accettabili per un buon sonno e… non dimenticate di accendere il fanale di fonda!
Tornando al “Trawler 999”, per contenere i costi entro limiti ragionevoli, oltre alla metodologia di costruzione, gli interni possono essere realizzati in blocchi separati, mentre ho pensato ad una imbarcazione base “standard“, pronta al varo ed alla navigazione, pronta e predisposta a ricevere tutta una serie di “sistemi“ da istallare eventualmente in tempi successivi, come l’impianto di climatizzazione, generatori elettrici, pannelli fotovoltaici, autopilota, strumentazione elettronica e quanto altro possa emergere dopo un certo periodo di esercizio, cioè una personalizzazione ragionata dal punto di vista idrodinamico e idrostatico.
La carena è a spigolo con ginocchio arrotondato e con sviluppi di superfici piane, in realtà leggermente convesse, in modo da avere una buona resistenza di pannello data dalla curvatura, tra la cinta e lo spigolo e tra quest’ultimo e la battuta di chiglia. Le forme di prora sono molto piene perché oltre a guadagnare volumi interni, ho privilegiato la spinta statica a quella dinamica con il mare in prua.
Allo specchio di poppa è prevedibile una plancia abbattibile con scaletta, mentre dalla sezione maestra, fino allo specchio di poppa, il fondo presenta un diedro di circa 10° che termina con un flesso per contenere metà del disco dell’elica, dentro la linea di base e l’intero diametro tra le due chiglie di protezione.
Il “999” è progettato come monomotore diesel catalizzato o ibrido. L’indice di velocità R (r = v RQ l) è 4, per una velocità di 8 kn/12 Tonn. Pertanto la distanza “Portofino – Capo Corso”, può essere percorsa in una nottata (carbonara compresa).
Il piccolo trawler “999” che, per il suo insolito e curioso aspetto qualcuno ha soprannominato il “il brutto anatroccolo” è stato pensato con un dimensionamento e una potenza che ne permette l’uso entro i limiti geografici e le norme di navigazione che consentono di condurlo senza patente. Queste limiti, peraltro molto permissivi ed ampi per un natante relativamente grande che naviga nei nostri mari costieri, possono essere ignorate ed ampliati con la trasportabilità su strada.
Ovviamente il nostro anatroccolo non rientra nella categoria dei natanti da tenere in garage e nei weekend agganciare con un carrello per una gita al mare o ai laghi. Le sue dimensioni e peso però, ne permettono il trasporto dal Tirreno all’Adriatico, verso le isole o in qualsiasi luogo nell’Europa Mediterranea, con un semplice trasporto commerciale nelle norme TIR, avendo una larghezza massima su strada, di due metri e cinquanta.
Ciò comporta lo smontaggio della tuga a livello del ponte e il trasporto, su un carrello a rimorchio con pianale ribassato. Lo scafo e le sovrastrutture sono munite di golfari strutturali per il sollevamento e la movimentazione mediante una gru di normale capacità.
I concetti progettuali del Trawler “ 999 “, vincolato dalle esigenze fiscali di esercizio, conduzione e trasporto, permangono validi nella loro filosofia della “Barca/Casa” e possono essere ampliati o ridotti dimensionalmente partendo dai progetti preliminari di due altre imbarcazioni:
- Il “Pilot – Trawler” lungo 13,50mm
- Il piccolo “Trawler – Murena”
Per il “Pilot Trawler” lo studio iniziale della forma di carena avrebbe dovuto arrestarsi di fronte al famoso “indice di velocità relativa R”. Infatti, si richiedevano due tipi di velocità di esercizio:
- Una di trasferimento o crociera superiore ai 14 Kn – R = 5,25 – 250/300 Kw
- Una di lavoro o comunque inferiore a questo valore di 50/100 Kw – richiesta motivata dal contenimento dei costi iniziali delle attrezzature di produzione e da due diverse tipologie commerciali sullo stesso scafo in versione monomotore: disegni n° 1 – 2 -3 – 4.
La soluzione avrebbe potuto essere quella della “geometria variabile”, ma esperienze progettuali ed osservazioni fatte sulle carene di G. Calkins, Bartender, disegnate su richiesta dell’US Coast Guard e gli ottimi risultati di velocità del “Giada”, uno Yacht Trawler di 18 mt. da me pantografato dal “Calafuria Bartender” di Vincenzo Catarsi, mi fecero poi pensare ad una carena “Delta”, di forma decisamente planante, a spigolo, che minimizza i moti di rollio, ma con una “falsa poppa“ tondeggiante o “double ender”, tipo “Colin Archer”, che richiudesse dolcemente dietro di se la scia.
Era anche l’idea della carena del famoso ed unico esemplare al mondo, motorsailer “Exocetus Volans” progettato da Renato Levi e da me. In effetti questa soluzione comportava l’applicazione di un “redan” che nel mio caso, oltre la velocità critica di carena, avrebbe provocato il distacco della vena fluida allo specchio di poppa che, prima della falsa poppa , sarebbe stata ormai fuori dall’acqua, essendo in condizioni di planata R=¨6.
Lo “step” avrebbe dovuto avere in planta una forma angolata con vertice verso poppa per minimizzare le resistenze del “salto” e favorire il rientro laterale del flusso, nella fase di transizione tra le due velocità. Alla base dello “step” possono essere istallati due “intruder” o correttori di assetto. La propulsione monomotore è quindi monoelica entro un tunnel per il 50 % del diametro oppure con elica ventilata di superficie.
La carena con un diedro di 20° al redan è monoedrica dalla St 2 verso AD, con uno spigolo molto teso, mentre la linea di cinta segue il “cavallino” con un andamento curvilineo anziché retto. Ciò è dovuto alla modifica del piano delle linee originali richiesta da una specifica dei Piloti del porto di Anversa (1994) per la versione Pilot successiva allo studio di uno sportfisherman di mt. 11, 60.
Il “Pilot Trawler” ha cabine per otto persone in quattro cabine con servizi e un saloncino/cucina con timoneria duplicabile sul fliyng bridge. La capacita in carichi liquidi può essere elevata ad oltre 4000 lt.
Il piccolo “Trawler Murena” di mt 6,60 – deriva dalla “Murena Laver – Conaplastic” da me progettata negli anni settanta come imbarcazione da pesca sportiva e piccola crociera
Disegni n° 7 – 8 – 9. Infatti, a prua era ricavata una piccola cabina con due cuccette e la possibilità di istallare un WC sotto una di esse.
Per il resto era tutto ponte libero, ad eccezione della piccola tuga con dinette – cucina e timoneria.
La motorizzazione base era un diesel 15 kw per una velocità di 6,5 Kn. La Murena, allora ed ancora adesso, ha avuto un successo anomalo ed insperato. Nella sua versatilità l’ho vista impiegata come rimorchiatore e ormeggiatore nelle Marinas, barca Giuria nelle regate, barca appoggio per subacquei sportivi o professionisti, attività di sorveglianza, oltre che attività di pesca e turismo.
Infine, vorrei far notare un particolare di pragmatismo progettuale: la sovrastruttura o tuga, in tutti e tre i Trawler, è asimmetrica rispetto all’asse dello scafo. Questa disposizione inusuale ci permette di avere un saloncino più grande ed un unico corridoio di murata più comodo. In sostanza, il trawler, che gli inglesi chiamano anche “drifter” è una barca che rispetta certi concetti, non tanto nella geometria o nei suoi parametri, quanto nel suo impiego “Drifter Trawler barca – casa”.
“To drift” significa: farsi trasportare, andare con la corrente. Da questo la parola identifica la barca da pesca, quella che lavora al vento o con la corrente e che si stabilizza facilmente con una piccola vela di mezzana. Particolari che caratterizzano le mie imbarcazioni.
Gentile Leonardo Lomartire,
ci scusiamo per non aver risposto sollecitamente alla Sua richiesta informazioni circa una unità U22, realizzata anche dall’Arch. Papaduli, non abbiamo notizie a riguardo e purtroppo l’Arch. Franco Harrauer non è più tra noi. Ci dispiace non poterla accontentare.
Grazie per averci contattato.
Cordiali saluti,
Giacomo Vitale
Altomareblu
Buongiorno,
sto ristrutturando una U22, realizzata anche dall’Architetto Papaduli. Sapete se è possibile avere notizie o progetto? E mi chiedevo se l’architetto Harrauer fosse anche artefice di questa imbarcazione
Grazie
Sono stato un felice possessore di una fedelissima Murena Conaplastic, con un Farymann 20cv dal 1985 al 1995; leggere questa pagina mi ha riempito il cuore.
Dopo essere passato da diverse tipologie, lunghezze e potenze, torno al primario concetto di godere il mare, acquisterò se Dio vuole, a breve un trawler taiwanese di quasi quindici metri su cui vivere con il mio equipaggio/moglie la mia passione a tempo pieno.
Grazie per aver avuto la fortuna di godere di una sua creatura, Le sono veramente grato.
Aurelio Iraci
Gentile Niko,
la carena del Murena Conaplastic è dislocante e progettata per l’applicazione di un motore entrobordo da 20 CV. Qualcuno ha anche applicato un fuoribordo recente da 20 CV, che in realtà ne da 30 all’elica, ma senza risultati di incremento di velocità.
Concludendo, le sconsiglio di applicare il motore fuoribordo, poiché le carene dislocanti, cioè quelle che navigano con l’opera viva quasi totalmente immersa, non plananti, anche applicando potenze da poco superiori ai 20 CV di progetto come nel caso specifico, non riuscirebbero comunque ad incrementare la velocità di punta se non di qualche nodo, con un consumo enorme e rendimento negativissimo.
Diversamente se la carena della Sua barca fosse stata planante e progettata per essere spinta da un motore fuoribordo di 140 ed oltre CV, non solo avrebbe potuto istallarlo senza problemi il motore di cui riferisce, ma avrebbe incrementato la velocità di punta rispetto all’applicazione di un motore di potenza inferiore.
Grazie per averci contattato.
Cordiali saluti,
Giacomo Vitale
Salve.
Se monto un motore da 140CV 4 cilindri su una Murena Conaplastic di 6 metri che velocità raggiungerebbe?
Rimango sconcertato dalla lettura del commento che ha inviato il sig. Crepaldi riguardo al suo Tonnetto.
Vorrei precisare che non sono il progettista del Tonnetto, che è invece opera del Dott. Palmisano. Inoltre, conoscendo l’imbarcazione ritengo che l’istallazione di in motore da 115 HP sia una prova di incoscienza e di pericolosa superficialità che, se portata a conoscenza del RINA, comporterebbe il ritiro e l’annullamento dell’ immatricolazione. Credo di ricordare che una imbarcazione del genere possa essere stata immatricolata come prototipo per potenze non superiori ai 75 HP.
Inoltre, avendo una modesta conoscenza dei problemi di velocità in mare e di idrodinamica mi permetto di dubitare in merito all’affermazione dei “40 nodi”, anche con il preambolo del “sembra comportarsi bene”, possono trasformare l’amato Tonnetto in una arma micidiale per il signor Crepaldi.
Saluti,
Franco Harrauer
Salve a tutti,
sono Nicola e posseggo un Conaplastic Tonnetto del ’78.
Da molto tempo sto cercano una risposta alla mia domanda e voi potreste aiutarmi. Nella targhetta a poppa del tonnetto vi sono riportate alcune informazioni quali matricola, portata persone, portata CV, omologazione. Bene, alla voce omologazione trovo stampato RINA, ma nessuno sa dirmi (nemmeno Rina) a cosa fa riferimento. Inoltre, alla voce “portata CV” non vi è alcuna scritta e mi chiedevo quanto potesse portare dato che ora ho installato un 115hp yamaha 4t e lo scafo sembra comportarsi bene anche a regime massimo superando 40 nodi.
Ringrazio per l’attenzione e attendo una vostra risposta.
Distinti saluti.
Grazie mille per il vostro interessamento…
Aspetto con gioia vostre notizie
Gentile Raffaele Muccoli,
l’architetto Franco Harrauer, in riferimento alla sua richiesta fa sapere che l’U 16 è stato progettato dall’Architetto Costantino Papaduli di cui, purtroppo, non abbiamo né i disegni, né le coordinate dello stesso per metterci in comunicazione. Tuttavia, ci attiviamo per entrare in contatto con lui ed a contattato attivo, Le faremo sapere..
Cordialità,
Giacomo Vitale
Gentile Raffaele Muccioli,
nel ringraziarla per averci contattato, la informiamo che abbiamo provveduto a giare il suo quesito al progettista Arch. Franco Harrauer ed appena avremo la sua risposta sarà automaticamente avvisato dal nostro sistema informatico su cui si basa la piattaforma di AltoMareBlu.
Cordiali saluti,
Giacomo Vitale
Salve,
anch’io posseggo un U16 chiamato nominato Nimbus 2000. Certo non è una barca da regata non bolina… Tuttavia, mi piacerebbe migliorarla. Ho aggiunto un gennaker con drizza appena sopra il genoa e armato la testa d’albero uno spi… che però non ho ancora avuto modo di provare. Ci potrebbero essere dei consigli? Esistono dei disegni in giro? É tanto che cerco qualche disegno di questa barca!!!
Grazie
Gentile Giò,
l’U16 è un progetto dell’Architetto Costantino Papaduli, nostro collaboratore (Levi – Harrauer) nel periodo “Conaplastic Vela”. Infatti, è della serie “U” e dell’ U 20 da me progettato.
E’ un ottimo cruisrer per crociera costiera, certamente non adatto per il “Fastnet Race”, ma un atto di coraggio per chi vuol andare per mare a vela, con una barca “ragionata”.
Auguri e buona navigazione!
Arch. Franco Harrauer
Sto ristrutturando un Conaplastic U-16 e mi pare di capire che l’architetto sia lei Franco Harrauer, forse in collaborazione con Renato Levi.
Non riesco a trovare notizie di questo simpatico barchino. Mi sembra del tipo inaffondabile ed un ha pescaggio minimo.
Certo non avrà una carena per fare una bolina da paura, ma per un pensionato che vuole fare navigazione lungo costa mi pare perfetta.
Se lei è il progettista,cortesemente la prego di farmi avere quante più notizie possibili di questa barca.
Cosa vuole mi ci sono affezionato!
Grazie,
BV
Gio’
Grazie Dottor Harrauer per questi minuti di sana lettura!
In effetti il trawler o quanto meno il concetto è sempre stato per me un punto di arrivo, proprio per quei motivi da lei elencati, fonte anche di tante discussioni tra appassionati puntualmente divisi in velocisti e non.
Questa formula che in Italia non ha goduto del meritato successo, almeno negli anni in cui ha progettato il Murena, complice anche il fatto che i mostri sacri della produzione erano e sono d’oltreoceano, con misure e costi un po’ fuori portata. Ovviamente il confronto è riferito ai 6,5 metri Murena.
Grazie anche per i ricordi evocati. Infatti ero un ragazzino quando frequentavo il cantiere Conaplastic di via Scavata Case Rosse a Salerno insieme ad Alfonso Longo, noto personaggio della nautica salernitana, che la notte faceva il panettiere nel forno di famiglia e di mattina si andava per cantieri a collaudare, magari qualche prototipo ancora in compensato di pioppo!
Ricordo ancora il Gambalunga, il Tonnetto, il Ringo ed Mustang! Ovviamente Murena e l’U16, ma non ricordo di questi, quali sono nati dalla sua matita.
Vito