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pirati - Nuovi strumenti di protezione contro la pirateria a favore delle navi private

Nuovi strumenti di protezione contro la pirateria a favore delle navi private

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di Fabio Caffio

Fabio Caffio è Ammiraglio Ispettore CM in ausiliaria, esperto di Diritto del Mare, autore di varie pubblicazioni in ma­teria ed in particolare, del “Glossario di Diritto del Mare – III Edizione” – supplemento alla Rivista Marittima maggio 2007 e disponibile sul sito della Marina Militare www.marina.difesa.it. Ha tra l’altro curato, assie­me al Contrammiraglio aus. Massimo Annati, il supplemento di dicembre 2009 della Rivista Marittima “La pirateria di ieri e di oggi”.

La comunità internazionale, di fronte al dilagare della pirateria al largo del Corno d’Africa, è impegnata sin dal 2008 nel suo contrasto. Varie risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nel qualificare il fenomeno come «minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale», hanno infatti invitato gli Stati ad adottare misure navali di sorveglianza e interdizione, per garantire la sicurezza delle rotte commerciali sulla base delle pertinenti norme della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos). Queste norme, che riflettono anche il diritto internazionale consuetudinario e hanno perciò una uni­versale accettazione, qualificano la pirate­ria come «crimine internazionale», attri­buiscono agli Stati la funzione di reprimerla con proprie navi da guerra (1) stabilen­do vari criteri concorrenti per l’esercizio della giurisdizione nei confronti dei pirati.

In accoglimento della richiesta delle Nazioni Unite, numerosi Stati hanno inviato nell’area navi da guerra in missioni di scorta dei mercantili (primi tra tutti quelli adibiti al trasporto di aiuti del World Food Program (WPD) o di sorveglianza delle rotte maggiormente frequentate. L’Unione Europea e la NATO hanno in particolare organizzato operazioni navali specificata­mente dedicate al contrasto della minaccia (rispettivamente la EUNAVFOR Atalanta e la Ocean Shield, cui partecipa l’Italia con Unità della Marina Militare). Una coalition of willing è anche intervenuta con la Forza denominata “CTF 151”, nell’ambito dell’ operazione “Enduring Freedom” ope­rante a llargo del Mar Arabico. Il coordina­mento tra i vari dispositivi navali operanti contro la pirateria (alcuni dei quali al di fuori di un contesto multinazionale) è sta­to attuato all’interno del Gruppo di Contat­to costituito dalla Risoluzione delle Nazio­ni Unite 1851 (2009) la cui attività ha ri­guardato anche gli aspetti relativi alla giu­risdizione nei confronti dei pirati catturati.

Nonostante l’impiego di robusti dispo­sitivi navali, il fenomeno della pirateria somala si è andato tuttavia sempre più estendendo in un’ area di enorme estensio­ne, che giunge a lambire a Sud le Seychelles ed a Est l’India, autoalimentandosi con il flusso finanziario derivante dai riscatti e avvalendosi di sempre maggiori capacità operative dei pirati che dispongono ora di «navi madre».

Misure aggiuntive rispetto alla protezione navale

Il susseguirsi di assalti a mercantili ha in­dotto alcuni Paesi, sin dal 2009, a intra­prendere ulteriori iniziative rispetto all’in­vio di navi da guerra nell’area del Como d’Africa. Alcuni Stati hanno autorizzato l’imbarco di guardie armate private sui mercantili (cd contractor). Questo è stato fatto in larga misura dai Paesi considerati Open Registiy, come Panama, Liberia e Bahamas, che non dispongono di flotte militari (2).

L’ International Maritime Organization (IMO) aveva a più riprese giudicato sfavo­revolmente questa soluzione, come non consona alla realtà del lavoro e della vita dei marittimi imbarcati, incentivando in­vece l’adozione di succitate best practices (3) di auto protezione da considerare come prioritarie e non alternative all’impiego di contractors. Questo cauto approccio dell’I­MO ha portato all’emanazione nell’ 89° Maritime Safety Meeting del 20 maggio 2011 di “Guidance on the use of private1y contracted armed security personnel” ri­guardante armatori e comandanti di mer­cantili (4) oltre a raccomandazioni per gli Stati di bandiera ai fini dell’esercizio della giurisdizione sui contractors.

In considerazione di tali riserve, che tuttavia non impediscono giuricamente di far ricorso a contractors, in quanto il loro im­piego a bordo in alto mare non altera lo status non armato dei mercantili (5) e non viola alcun diritto di cui godono gli Stati costieri nelle loro acque di giurisdizione (6), è stata ipotizzata la possibilità di im­barcare sugli stessi mercantili team di mi­litari armati. Questa misura, che presuppo­ne un impiego isolato di militari su un mercantile, con armamento proporzionato alla minaccia e con dipendenza dalla perti­nente catena di comando e controllo mili­tare, non solo non modifica egualmente lo status del mercantile, ma è anzi in linea con gli obblighi internazionali che agli Stati incombono di tutelare i propri conna­zionali all’estero. Tra l’altro i militari agi­scono a protezione dei mercantili come or­gani dello Stato di appartenenza e quindi – a differenza dei contractors – ne impe­gnano la responsabilità diretta nel caso di uso della forza secondo le direttive ricevu­te. In ogni caso la loro funzione è di sola difesa in caso di attacco e quindi, non va confusa con quella di prevenzione e neu­tralizzazione della pirateria, assegnata alle navi da guerra dall’ articolo 107 dell’ Un­clos e dalle pertinenti “Risoluzioni delle Nazioni Unite”.

Indicazioni favorevoli al loro impiego venivano dall’Unione Europea che, nel de­finire con l’Azione comune del Consiglio 2008/851/PESC del 10 novembre 2008, il mandato dell’operazione Atalanta, aveva già previsto la possibilità che, sui mercan­tili da scortare, imbarcassero Vessel Pro­tection Detachment (VPD). Vale a dire nu­clei di militari armati destinati alla prote­zione diretta dei mercantili previo consen­so dello Stato di bandiera. La Francia pe­raltro aveva anche autorizzato l’imbarco di team armati su navi da pesca di bandiera, stazionanti al largo delle Seychelles in considerazione degli specifici rischi con­nessi alla loro attività e all’interesse nazio­nale a proteggerne lo svolgimento.

L’urgenza per l’Italia di adottare misure dirette di protezione del proprio naviglio è sorta per il progressivo crescere della di­mensione della minaccia messa in atto da pirati che, disponendo anche di navi d’al­tura, sono in grado di operare a centinaia di miglia dalle coste. Con l’aumentare dei rischi per l’armamento italiano, che com’è noto, è ai primi posti nelle classifiche mon­diali per tonnellaggio globale e che rappre­senta il 10% dei transiti annui complessivi attraverso la rotta che passa per lo stretto di Bab el Mandeb, è quindi emerso un in­teresse in ambito parlamentare a emanare norme autorizzanti l’imbarco di guardie armate private. Varie proposte di legge so­no state presentate in materia a partire dal 2009.

Le condizioni per dar corso a questo impegno programmatico si sono verifica­te di recente. Di fronte all’ennesimo se­questro a danno del mercantile di bandie­ra Marisa d’Amato (che è seguito a quello del rimorchiatore Buceneei, nel 2009, e del mercantile Savina Caylin) l’armamen­to nazionale rappresentato da Confitarma, riconsiderando il proprio precedente orientamento sfavorevole, aveva indicato l’esigenza di non essere penalizzato ri­spetto a quei Paesi che avevano già adot­tato la soluzione dei nuclei di protezione armata o in alternativa, delle guardie pri­vate armate. Emblematico da questo pun­to di vista il caso del peschereccio oceani­co Torre Giulis che, impossibilitato ad au­to proteggersi, aveva dovuto passare sotto bandiera francese.

Sulla base dell’ ordine del giorno n. 0/02002/005/0304 con il quale si impegna­va il Governo a «verificare l’opportunità, nonché l’utilità, di consentire o meno la presenza di personale militare e/o l’eserci­zio di servizi di vigilanza privata a prote­zione di navi mercantili e da pesca batten­ti bandiera italiana in acque internazionali interessate da rischio pirateria, la Com­missione Difesa del Senato ha così avvia­to un’indagine conoscitiva. La disciplina normativa delle misure antipirateria così definite è stata poi attuata con il Decreto Legge 12 luglio 2011, n. 107, relativo alle missioni internazionali, che è stato conver­tito in legge con modificazioni, nella leg­ge 2 agosto 2011 n. 130.

I Nuclei di Protezione Militare (NMP)

Il progetto di impiego dei Nuclei Milita­ri di protezione (NMP) su mercantili di bandiera italiana era stato illustrato il 14 giugno 2011 alla Commissione Difesa del Senato dal capo di Stato Maggiore della Marina, Ammiraglio Bruno Branciforte, nei termini seguenti: «L’esigenza operati­va sviluppata è quella di garantire la pro­tezione di beni e marittimi imbarcati su mercantili nazionali, in navigazione lungo le principali direttrici del traffico nell’area del Golfo di Aden e del bacino somalo» ha dichiarato l’ammiraglio Branciforte. Aggiungendo che «l’esigenza si ritiene possa essere soddisfatta impiegando in modo coordinato in area di operazioni, un totale di dieci nuclei di protezione, ciascuno composto da sei militari appartenenti alla Marina, qualificati e opportunamente ad­destrati ed equipaggiati, da imbarcare sui mercantili in transito (… ) il personale militare a bordo delle unità mercantili manterrebbe una dipendenza diretta dalla Difesa senza attribuzione di alcuna fun­zione militare al Capitano del mercantile, che rimarrebbe responsabile della sicurezza della navigazione, nonché delle funzio­ni di polizia giudiziaria previste dal codi­ce della navigazione, a meno delle fatti­specie riconducibili alla pirateria, per le quali sarà pertanto necessario prevedere attribuzioni dirette al Comandante del Nucleo (…). Il nucleo militare di prote­zione opererà in conformità alle direttive e alle regole di ingaggio che saranno ema­nate a cura del Ministero della Difesa, avendo a riguardo i limiti costituzionali e di legge che regolano l’uso della forza (…)>>. «L’esigenza operativa sviluppata è quella di garantire la protezione di beni e marittimi imbarcati su mercantili naziona­li, in navigazione lungo le principali diret­trici del traffico nell’ area del Golfo di Aden e del bacino somalo» ha dichiarato inoltre l’ammiraglio Branciforte.

Tale progetto è stato poi disciplinato nell’articolo 5, commi l e 2, del citato leg­ge 130/2011 laddove si prevede che il Mi­nistero della Difesa, possa stipulare con l’armatoria privata italiana (rappresentata per la quasi totalità da Confitarma) e con altri soggetti dotati di specifico potere di rappresentanza della citata categoria (qua­li, per quanto riguarda il naviglio da pesca, la Federpesca) convenzioni per l’imbarco, a richiesta e con oneri a carico degli arma­tori, di NMP composti da personale della Marina e integrati eventualmente da perso­nale delle altre Forze Armate. La protezio­ne delle navi battenti bandiera italiana av­verrà, «nell’ambito delle attività interna­zionali di contrasto alla pirateria» nelle aree di acque internazionali a rischio. Tali spazi, che in primis riguardano il Corno d’Africa e i bacini adiacent,i che a Ovest lambiscono l’India e a Sud le Seychelles sono stati individuati con il Decreto del Ministro della Difesa del 1 settembre 2011 (Vds. Riquadro) sulla base dei rapporti pe­riodici dell’IMO concernenti il rischio pirateria e tenendo conto delle zone di ope­razione delle missioni Atalanta e Ocean Shield.

Il Ministero della Difesa

 

Visto l’articolo 5 del decreto legge 12 luglio 2011, n. 107, convertito, con modificazioni, dal­la legge 2 agosto 20 l l, n. 130, e, in particolare, il comma 1, che prevede l’individuazione, con decreto del Ministro della Difesa, sentiti il Ministro degli Affari Esteri e il Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti e tenuto conto dei rapporti periodici dell’ lnfemational Maritime Otgunizstion (IMO), degli spazi marittimi internazionali a rischio di pirateria nei quali. Previa stipula di apposite convenzioni, possono essere effettuati servizi di protezione mediante l’im­barco di Nuclei militari di protezione (NMP) a bordo delle navi battenti bandiera italiana;

Considerato che gli atti di pirateria nelle acque internazionali allargo del Corno d’Africa rap­presentano una rilevante minaccia alla libertà di navigazione del naviglio commerciale italia­no nelle rotte in entrata e in uscita dallo Stretto di Bab e l Mandeb, attraverso il quale transi­ta una parte consistente del flusso di rifornimento energetico destinato ali ‘Italia, nonché in un’ampia porzione dell’oceano Indiano, estesa sia verso est che verso sud del medesimo stretto;

Tenuto conto che i rapporti periodici sulla pirateria pubblicati dal l ‘ lMO evidenziano la sussi­stenza di un rilevante rischio per la navigazione commerciale nelle aree sopra indicate;

Considerate le aree d’interesse dell’operazione militare dell’Unione europea denominata “Atalanta” e dell’operazione della NATO denominata “Ocean Shield”;

Sentiti il Ministro degli Affari Esteri e il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti;

DECRETA:

Art. 1

Finalità

1. Il presente decreto individua gli spazi marittimi internazionali a rischio di pirateria nell’am­bito dei quali può essere previsto l’imbarco dei Nuclei Militari di Protezione (NMP), di cui al­l’articolo 5. comma 1, del decreto-legge 12 luglio 201 1, n. 107. convertito, con rnodificazio­ni, dalla legge 2 agosto 2011. n. 130, sulle navi in transito battenti bandiera italiana, i cui ar­matori o altri soggetti dotati di specifico potere di rappresentanza della medesima categoria, hanno stipulato le apposite convenzioni con il Ministero della Difesa di cui al citato articolo 5, comma 1

Art. 2

Spazi marittimi internazionali a rischio pirateria di previsto intervento dei Nuclei militari, di protezione

l. Gli spazi marittimi internazionali a rischio di pirateria, nei quali la protezione delle navi bat­tenti bandiera italiana può essere assicurata mediante l’imbarco di Nuclei militari di protezio­ne, sono individuati dalla porzione dell’Oceano Indiano, delimitata a nord ovest dallo Stretto di Bab El Mandeb, a nord dallo Stretto di Hormuz, a sud dal Parallelo 12″S e a est dal Meridia­no 78″E.

2. La medesima protezione è assicurata anche negli spazi marittimi internazionali esterni a quelli di cui al comma 1, per la durata della permanenza dei Nuclei militari di protezione a bor­do delle navi, resa necessaria da esigenze di natura tecnica od operativa connesse alle zone di possibile imbarco e sbarco sul e dal medesimo naviglio.

II presente decreto sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

Roma, 1 settembre 2011

La norma dispone inoltre che il perso­nale dei NMP operi in conformità alle di­rettive e alle regole di ingaggio emanate dal Ministero della Difesa, assegnando al Comandante di ciascun nucleo, al quale fa capo la responsabilità esclusiva dell ‘atti­vità di contrasto militare alla pirateria e al personale da esso dipendente, le funzioni rispettivamente: di ufficiale e di agente di polizia giudiziaria riguardo ai reati di pira­teria di cui agli articoli 1135 e 1136 del co­dice della navigazione. Nello svolgimento dell’attività assegnatagli, il medesimo per­sonale beneficia dell’applicazione della causa di giustificazione cui all’articolo 4, commi 1-sexsies e 1-septies, del decreto-­legge 4 novembre 2009, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 di­cembre 2009, n. 197, secondo cui «Non è punibile il militare che, nel corso delle missioni di cui all’articolo 2, in conformità alle direttive, alle regole di ingaggio, ovve­ro agli ordini legittimamente impartiti, fa uso ovvero ordina di fare uso delle armi, della forza o di altro mezzo di coazione fi­sica, per le necessità delle operazioni mili­tari».

Le guardie armate private

Per rafforzare la protezione diretta del naviglio mercantile, il nuovo provvedi­mento all’articolo 5, commi 4 e 5, ha an­che disciplinato l’impiego di guardie giu­rate, autorizzate ai sensi degli articoli 133 e 134 del testo unico delle leggi di pubbli­ca sicurezza (RD 18 giugno 1931, n. 773), a bordo delle navi mercantili battenti ban­diera italiana, che transitano nelle stesse aree di acque internazionali a rischio pirateria in cui operano i NMP, nei casi in cui il Ministero della Difesa non possa fornire i servizi dei NMP. L’impiego di guardie giurate viene consentito esclusivamente a bordo delle navi predisposte per la difesa da atti di pirateria, mediante l’attuazione di almeno una delle vigenti tipologie ri­comprese nelle best management practices di autoprotezione del naviglio definite dal­l’IMO (7). Il personale privato dovrà esse­re individuato preferibilmente tra quello che abbia prestato servizio nelle Forze Armate, anche come volontari, con esclu­sione dei militari di leva e che abbiano su­perato appositi corsi teorico-pratici. Lo stesso personale potrà utilizzare le armi in dotazione delle navi, appositamente predi­sposte per la loro custodia, detenute previa autorizzazione del Ministro dell ‘Interno. Nulla si precisa circa i limiti all’uso della forza da parte di tale personale, ma è im­plicito che esso sarà abilitato a usare le ar­mi, secondo criteri di necessità e propor­zionalità, soltanto quando si configuri una reale minaccia. Questo prevede infatti l’art. 54 del CP relativo all’uso legittimo delle armi «secondo il quale non è punibi­le il pubblico ufficiale (tale è a certe con­dizioni il personale autorizzato a svolgere funzioni di guardia giurata) che per difen­dere i beni fa uso delle armi» quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di impedire la consumazione di reati di omicidio, rapina e sequestro. Peral­tro la nuova normativa dispone al riguardo che con decreto del Ministro dell’Interno siano determinate le modalità di svolgi­mento del servizio affidato alle guardie giurate, «comprese quelle relative al porto e al trasporto delle armi e del relativo mu­nizionamento, alla quantità di armi dete­nute a bordo della nave e alla loro tipolo­gia, nonchè ai rapporti tra il personale di cui al comma 4 e il Comandante della nave durante l’ espletamento dei compiti>. Rilevante è anche il fatto che lo stesso comma 4 faccia espresso riferimento alle già citate linee guida del Maritime Safety. Committee dell’IMO e cioè alla circolare emanata il 20 maggio 2011 contenente Iterim Guidance per armatori, operatori marittimi e comandanti sull’uso di Con­tracted Armed Security Personnel (8).

Conclusioni

Unico tra i Paesi occidentali l’Italia, che tra l’altro era già uno dei pochi Paesi ad aver previsto il reato di pirateria come «crimine universale» sin dal 1942 nell’ ambito del Codice della Navigazione, ha emanato una disciplina organica, sia delle guardie armate private, che dei nuclei mili­tari di protezione.

Evitando soluzioni improvvisate e te­nendo conto sia delle esperienze degli al­tri Paesi che delle Raccomandazioni e Li­nee guida dell’IMO, il legislatore ha stabi­lito precise condizioni per il loro impiego. Non si è infatti genericamente autorizzato il ricorso a contractors (che qualcuno ha impropriamente definito come mercenari senza alcuna garanzia di qualificazione di limiti alla loro attività. Ma si è adottata la formula delle «guardie giurate» già pre­visto dall’ordinamento italiano, assogget­tandola a precise modalità di svolgimento da regolamentare con decreto del Ministe­ro dell’Interno. Tra le materie da discipli­nare in questo modo, dovranno essere in particolare comprese tipologia e quantità di armi da difesa, porto e trasporto delle stesse, nonché reciproche relazioni tra per­sonale di vigilanza e Comandante del mercantile.

La cura del legislatore nel fissare il pe­rimetro della nuova attività è indice della volontà di evitare quelle situazioni di in­controllato uso della forza da parte di pri­vati, che avevano fatto sorgere iniziali dub­bi sulla possibilità di ammetterne lo svol­gimento (9), oltre che perplessità sulla ec­cessiva libertà di azione che sarebbe loro stata concessa, a fronte delle rigide regole di ingaggio relative al personale dei NMP. Altrettanto significativo è che siano stati imposti agli armatori per legge, obblighi di attuare alcune tipologie di best practice, raccomandate dall’IMO ad evitare che navi­glio di bandiera sia assalito dai pirati per carenze nell’applicazione di misure di au­to protezione.

Nonostante fosse stato avversato a vari livelli e in varie sedi, è stata infine autoriz­zato il progetto di imbarcare sui mercanti­li team militari concepito ed elaborato dal­la Marina Militare. L’attività che sarà svolta dai nuclei militari di protezione, si inquadra nella funzione assegnata alla For­za armata dall’art. 111 del Codice dell’Or­dinamento militare (D. Lgs. 15 marzo 2010, n. 66), come modificato dall’articolo 5 comma 6 della legge 130/2011, di «vigi­lanza a tutela degli interessi nazionali e delle vie di comunicazione marittime, al di là del limite esterno del mare territoriale, ivi compreso il contrasto alla pirateria». Essa ha perciò una valenza istituzionale e correttamente è stata considerata dal legi­slatore come prioritaria, nel senso che gli armatori possono avvalersi di guardie giu­rate soltanto quando non siano previsti i servizi di protezione militare. Da questo punto di vista, parlare come è stato detto di «militari in affitto» è quanto meno fuor­viante e riduttivo, se non proprio spregiati­vo. il problema non sta nel pagamento da parte degli armatori degli oneri specifica­tamente correlati alla prestazione del ser­vizio. Quanto piuttosto in una visione del­la funzione militare poco orientata al mare, che non percepisce le peculiarità delle atti­vità in acque internazionali della Marina Militare e non tiene in alcun conto della di­mensione degli interessi marittimi italiani da tutelare, lungo le vie di comunicazione che alimentano l’economia nazionale. La realtà innegabile è che ci sono vari modi di difendere la Patria: uno di questi è ora la protezione militare a bordo del naviglio di bandiera.

Articolo apparso sulla “Rivista Marittima” –  ottobre 2011 e qui pubblicato p.g.c.

Nota:

Nel mese di aprile 2011 l’Ammiraglio Vittorio di Sambuy scriveva la seguente lettera al  Capitano di Vascello Patrizio Rapalino direttore della Rivista Marittima 

Mi risulterebbe che fino a una decina di anni fa esistevano ancora in giro per il mondo, e presumibilmente anche in Italia, migliaia di complessi binati «Bofors» da 40/60 mm ormai obsoleti.

Se non fossero stati rottamati perché non imbarcarli sui mercantili che attraversano regolarmente le rotte a rischio dell’Oceano Indiano? Non sarebbero solo un deterrente perché come “difesa di punto” contro barchini all’arrembaggio potrebbero essere ancora utili.

Vittorio di Sambuy

La risposta dell’ Ammiraglio Fabio Caffio:

Ammiraglio Sambuy,

Dotare i mercantili di armi pesanti (quali i Bofors da 40/60) è questione che va esaminata da vari punti di vista.

Anzitutto il contrasto alla pirateria è attività di uso della forza condotta in tempo di pace sulla base della Convenzione sul diritto del mare. Non essendo quindi inquadrabile nell’ambito di un conflitto armato va regolamentata in relazione alle pertinenti norme nazionali e internazionali sull ‘imbarco di armi sui mercantili, misura che in teoria potrebbe essere limitata all’armamento difensivo personale.

In ogni caso tale armamento va autorizzato dallo stato di bandiera del mercantile e, nel caso sia quantitativamente e qualitativamente superiore alle strette esigenze difensive del comandante e di alcuni membri dell’equipaggio, ne va informato lo stato del porto.

Problemi si porrebbero peraltro anche nel caso di semplice transito inoffensivo nelle acque territoriali di un altro stato di mercantili con armi di dotazione «in eccesso». Al riguardo la legge italiana è molto restrittiva, tant’è che le varie proposte di legge volte ad autorizzare l’imbarco di guardie armate private (cd contractors) a protezione di mercantili italiani, prevedono che la tipologia di armi sia stabilita con apposito decreto in applicazione del TU di pubblica sicurezza.

Il nostro Codice della navigazione per parte sua, oltre a prevedere all’articolo 193 che «L’imbarco di armi e munizioni per uso della nave è sottoposto all’autorizzazione del comandante del porto o della autorità consolare», considera come «sospetta di pirateria» la nave fornita abusivamente di armi non riportate dai documenti di bordo. Peraltro anche in caso di conflitto armato dotare un mercantile di armamento pesante è stato in passato un problema discusso.

Si sosteneva infatti che un mercantile, a meno di non essere trasformato in nave da guerra, secondo la VII convenzione dell’Aja del 1907, non potesse essere dotato di armamento diverso dal classico cannone a prora, pena il divenire un «obiettivo militare».

Il principio espresso al tempo per giustificare questa interpretazione, era quello secondo cui «le navi da guerra dei belligeranti, quand’anche armate a scopi difensivi, non sono assimilate a navi da guerra», a condizione che siano impiegate per finalità commerciali senza ingerenza del rispettivo governo.

Detto questo, c’è da aggiungere che altra cosa è il dotare il personale militare da imbarcare a protezione di mercantili con idoneo armamento: come è noto esiste un progetto in merito il cui studio la Difesa ha affidato alla Marina Militare che, ove approvato, richiederebbe l’approvazione di necessarie modifiche legislative.

Fabio Caffio

Note all’articolo

(1) Nei secoli passati la pirateria era molto diffusa tant’è che i Romani dovettero armare una flotta al co­mando di Pompeo per snidare i pirati del Mediterraneo orientale. I pirati erano definiti «Hostes umani ge­neris» e perciò a chiunque era lecito combatterli. Terminato il controllo di Roma sulla libertà dei traffici ma­rittimi, nel Medioevo la pirateria riprese con maggior virulenza. Per contrastarla, poiché gli Stati non era­no più dotati di una vera e propria Marina da guerra, i privati dovettero armare proprie navi mercantili per difendersi dagli attacchi pirati. Il problema è che, col tempo, queste operazioni private da meramente difen­sive, assunsero anche carattere offensivo di depredazione. A partire dal XIV secolo, gli Stati intervennero a regolamentare l’attività delle navi destinate a «correre il mare» concedendo loro un’autorizzazione (<<lette­ra di marca») per quella che era anche considerata una funzione pubblica: tali navi, dette corseie, venivano infatti adibite a combattere sia il commercio esercitato dalle navi nemiche che quello delle navi neutrali in favore del nemico. Quando gli eccessi delle navi corsare divennero intollerabili la comunità internazionale cercò di limitarli. Con la Convenzione di Parigi del 1856, si stabilì infine che «La guerra di corsa è e resta abolita». A partire da questo momento si afferma il principio che soltanto le navi da guerra delle Marine so­no soggetti autorizzati dall’ordinamento internazionale a usare la forza in mare. Esse sono infatti gli unici «legittimi belligeranti» della guerra marittima a meno che navi mercantili non vengano incorporate nella Marina come navi da guerra secondo le regole stabilite dalla vn Convenzione dell’ Aja del 1907 concernente appunto la trasformazione delle navi commerciali in navi da guerra. In tempo di pace ad esse è inoltre riconosciuto il potere di agire jute imperii, sia contro i mercantili coinvolti nella tratta degli schiavi, sia contro le navi pirate. L’art. 110 della Convenzione del Diritto del Mare del 1982, recepisce questo principio dopo che si era già consolidato a livello consuetudinario.

(2) Il 29 maggio 2009 Panama, Liberia, Isole Marshall e Bahamas hanno emanato a New York una Joint DecJaration relativa a «Commitment to Best Management Practices to Avoid, Deter or Delay Acts of racy» in cui invitano gli armatori di naviglio di propria bandiera, ad adottare misure di self protection comprendenti anche l’impiego di private contrectors. Hanno poi aderito a questa dichiarazione Stati Uniti, Regno Unito, Singapore, Giappone e Cipro.

(3) Varie sono le tipologie di best practice raccomandate dall ‘IMO. Esse comportano che il master del mercantile sia adeguatamente informato dei rischi esistenti nell’area di navigazione e si registri, durante il transito nel Golfo di Aden, presso l’apposito Maritime Security Centre Hom or Africa (MSCHOA). I mercantili dovrebbero inoltre adottare misure preventive (come il dotarsi di una «cittadella» in cui rifugiarsi, circondate lungo il bordo da barriere antintrusione di filo spinato, attivare cannoni ad acqua ad alta pressione) o evasive (come aumentare la velocità o manovrare, in caso di attacco, con accostate e contro accostate. Essi possono anche avvalersi di armi non letali come laser abbaglianti o mezzi acustici ad alta intensità. In questo ambito si collocano le soluzioni tecnologiche realizzate in Italia dalla Selex Sistemi Integrati come Direct Electromagnetic Stopper (DESTO), che genera una bolla elettromagnetica che è in grado di disattivare i motori elettrici dei barchini dei pirati, attraverso un raggio direzionale di energia non pericolosa per il corpo umano. Altro sistema elaborato dalla Selex è il «Pompeus» in grado di contrastare le incursioni dei pirati e di sorvegliare h24 aree adiacenti un mercantile in navigazione, consentendo un avvistamento avanzato di barchini veloci. Sul tema delle armi non letali in funzione antipirateria (Vds. M. Annati, 2).

(4) Le Raccomandazioni dell’IMO – dirette anche agli Stati di bandiera dei mercantili – nel precisare l’uso dei private contrsctois non può essereconsiderato alternativo rispetto all’adozione delle Best Management Practice, notano che la giurisdizione degli stessi Stati ha valenza prioritaria nei confronti di questo personale, anche se è concorrente la giurisdizione del Paese costiero nelle cui acque si trovi eventualmente il mercantile o del Paese del porto. Particolare rilievo è dedicato alle materie del risk assessment, dei criteri di selezione dei contrectors, del comando e controllo della loro attività, della gestione dell ‘uso delle armi a bordo e alle regole per l’uso della forza da concordare congiuntamente da parte di armatori, Comandanti di mercantili e compagnie di sicurezza private.

(5) La questione del possibile armamento di un mercantile al di fuori dei casi di trasformazione in nave guerra si pose durante la prima guerra mondiale. Gli Stati Uniti espressero l’opinione che «armi e munizioni non sono contrabbando di guerra, se tenute a bordo di un mercantile come parte del suo equipaggiamento ed esclusivamente a scopo di difesa». II punto cruciale stava però nel limite della finalità difensive quando il concetto si prestava a interpretazioni discordanti, essendo riferito ad armamenti che potevano dare dai semplici fucili ai cannoni. Di qui l’elaborazione del principio secondo cui non è l’armamento il tipo di impiego a rendere offensivo un mercantile. Conseguentemente dopo la prima guerra mondiale affermò la tesi secondo cui «le navi da guerra dei belligeranti, quand’anche armate a scopi difensivi, sono assimilate a navi da guerra», a condizione ovviamente che venissero impiegate per finalità commerciali senza ingerenza del rispettivo governo. La prassi consolidatasi durante la seconda guerra mondiale fu quella di dotare i mercantili di un cannone leggero a prora, senza con ciò far venir meno la loro rdiffeenza di status rispetto alle navi da guerra.

(6) Nell’analizzare tutte le controindicazioni relative all’impiego di private contrasctors, si è adombrata la possibilità che questi, se non sottoposti a rigidi controlli da parte degli Stati di bandiera, facciano un uso debito della loro funzione, trasportando una dotazione di armamenti, per così dire sovradimensionata alle strette esigenze di autodifesa. Essi potrebbero per esempio svolgere attività illecite come il contrabbando di armi o per assurdo, potrebbero essi stessi dedicarsi alla pirateria, magari verso imbarcazioni da diporto, mascherandola sotto la specie della reazione in legittima difesa contro un intento ostile. In ogni caso il sito nelle acque territoriali straniere di un mercantile dotato di propria capacità di autodifesa armata, non realizza di per sé una violazione dei principi del passaggio inoffensivo (UNCLOS 19,21) a condizione che le armi siano custodite a bordo e non si faccia esercitazioni con esse. Nulla toglie, che in applicazione del diritto di difesa legittima e in assenza di assistenza da parte dello Stato costiero, le stesse armi possano essere date ai private contractors presenti a bordo per reagire ad un attacco di pirati. Questo vale anche per il caso che la protezione ad un mercantile sia assicurata da personale militare. Altra questione è il transito inoffensivo esercitato per entrare in un porto; in questa ipotesi dovrebbe infatti essere necessario ottenere il preventivo consenso del Paese costiero, fornendo garanzie sulla custodia a bordo delle armi.

(7) Vds. la precedente nota (2)
(8) Vds. la precedente nota (3)
(9) Vds. la precedente nota (5)

 

Tags: Rivista Marittima
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