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Rivista Marittima – ottobre 2014

16/12/2014/0 Commenti/in Altomareblu News, Rivista Marittima /da Giacomo Vitale
Rivista Marittima ottobre 2014

Rivista Marittima ottobre 2014

EDITORIALE

INVESTIRE NELLA MARlTTIMITA’ REALIZZANDO UNO STRUMENTO NAVALE DUAL USE
Una soluzione percorribile per contribuire a uscire dalla crisi

Negli ultimi fascicoli della Rivista Marittima esperti appartenenti al mondo accademico, diplomatico e militare hanno richiamato la nostra attenzione sull’attuale situazione di forte instabilità determinatasi nel bacino del Mediterraneo.

Tirando le somme, abbiamo visto che molteplici fattori, politici, etnico-religiosi e sociali nonché meteorologici stanno provocando una forte migrazione verso il continente europeo. La desertificazione dell’area sub sahariana, la malnutrizione, le guerre civili e la lotta per la sopravvivenza portano popolazioni che, includono interi nuclei familiari, a mettersi in movimento entrando in conflitto con le popolazioni limitrofe di altra etnia e religione.

Il fondamentalismo religioso alimentato dalla miseria, dall’odio, dall’abbondanza di armi in circolazione, dalla circolazione di denaro accumulato da traffici illeciti e dal commercio della droga, diventa per l’Italia e per tutti i Paesi europei la principale minaccia asimmetrica. La guerra civile in Iraq, Siria, Mali, Sudan e Libia sono tipici esempi dell’instabilità presente in tutta l’Africa settentrionale e Medio Oriente con varie sfumature fino a giungere al tentativo, che per quanto sia effimero è pur sempre destabilizzante, di instaurare un nuovo Califfato. Il conflitto isreelo-palestinese alla cui cronicità ci siamo abituati agisce da catalizzatore dell’instabilità in aree molto più vaste non confinanti.

Il fenomeno della pirateria che soprattutto negli anni 2008-2009 ha avuto un ‘influenza nefasta sui traffici marittimi diretti nel Mediterraneo è figlio dello stesso male, ossia della carenza nell’esercizio della sovranità statuale, della insopportabile miseria e di un giro di affari illeciti di armi e droga.

Non è però soltanto tempo di pirati e di piccoli, veloci scafi appoggiati da insospettabili «navi-madre». La minaccia cosiddetta «simmetrica», ossia tradizionale, risalente alla Guerra Fredda (e non solo) era stata seppellita troppo in fretta dalla stampa quotidiana. In realtà il Mediterraneo, più o meno «allargato» è sempre lo stesso. L’attuale crisi ucraina conferma quello che già è stato vissuto in Adriatico tra il 1991 ed il 1999. Quanto alla Crimea ed alle poco note ma interessanti azioni belliche in corso nel Mar Nero, si tratta del cortile dell’Unione Europea attraversato, per di più, da fondamentali corridoi e oleodotti energetici. Chi non si preoccuperebbe di un incendio, in casa, dentro al vano del contatore del gas?

La crisi economica, la mancanza di crescita e la conseguente disoccupazione sono l’attuale minaccia interna dell’Italia, oltre che dell’Europa. Tale fenomeno sta provocando il graduale impoverimento del ceto medio con la conseguente riduzione dei consumi e il sorgere di un fenomeno che si riteneva scomparso: la deflazione che deve essere considerata ancora più pericolosa dell’inflazione, qualora non eccessiva a cui eravamo abituati a convivere. Infatti, quest’ultima portava le generazioni precedenti a trasformare i salari soggetti all’inflazione in beni, ossia a spendere o investire il denaro alimentando la crescita.

Anche le opere pubbliche che occupavano di lavoratori venivano pagate in parte con l’emissione di buoni del tesoro che offrivano interessi superiori all’inflazione.

L’ultima ma non meno importante minaccia è data dalla particolare morfologia del territorio nazionale che contribuisce a provocare periodiche alluvioni, smottamenti di terreno, con una frequenza pressoché annuale. Ciò, insieme ad altre calamità non prevedibili ma aggravate dalla mancanza di fondi che consentano le dovute manutenzioni, rende sempre più necessario da parte dello Stato potere disporre strumenti idonei per poter fare fronte alle emergenze. Senza crescita sarà sempre più difficile fare fronte a spese impreviste se non aumentando il prelievo fiscale. Ciò genererà fuga di capitali, aumento dell’evasione fiscale e riduzione dei profitti che possono essere spesi e investiti da imprese e famiglie.

Quindi una soluzione per uscire dalla crisi è quella di investire il denaro pubblico in settori che generino occupazione creando nuova ricchezza offrendo, però, allo Stato uno strumento di intervento flessibile che possa essere utilizzato sia in compiti di carattere militare sia a sostegno della popolazione civile in funzione dell’esigenza. Come ampiamente dimostrato dalla storia nessuno strumento militare è più DUAL USE dello strumento navale, soprattutto se le future costruzioni navali tengono conto delle nuove esigenze a cui dovrà saper far fronte lo Stato nei prossimi anni.

Occorre riflettere sul concetto di DUAL USE chiedendosi a cosa serve la Marina Militare. Innanzi tutto è bene rammentare che la natura internazionale del mare, ambiente su cui si basa la vera globalizzazione e non solo quella virtuale di internet, fatta di traffici di materie prime e prodotti finiti, rende le navi militari dei mezzi dotati di specificità particolari che altri strumenti bellici non hanno: la nave è l’unico mezzo da guerra che gode del «passaggio inoffensivo» nelle acque territoriali di un altro Paese, mentre la penetrazione, senza autorizzazione, di truppe e aerei nei confini di un altro Stato è considerata un atto ostile.

Una nave militare gode dell’extraterritorialità anche quando è ormeggiata in un porto estero. Sfruttando queste peculiarità delle navi militari che, unite alla mobilità, alla flessibilità e all’autonomia permettono di permanere nelle aree di crisi, al limite delle acque territoriali altrui, senza chiedere il permesso a nessuno, si possono ottenere risultati diplomatici importanti senza sparare un colpo. Le attività che vanno dalla semplice presenza e dalle visite di cortesia, fino alla pressione politico-militare, finalizzata a imporre la volontà della propria politica estera, rientrano nel campo della «diplomazia navale» e la nave militare è uno tra i principali mezzi con cui un Paese marittimo esercita la propria politica estera a tutela dei propri interessi nazionali.

In caso di calamità naturale una nave può trasformarsi con il minimo preavviso in un ospedale galleggiante, fornito dei più moderni sistemi per salvare vite umane. Il ponte di volo può venire utilizzato in una piattaforma su cui sistemare mezzi della protezione civile. Gli elicotteri, di notte e di giorno, possono trasferire i feriti dal luogo dell’incidente all’ospedale di bordo e smistare i più gravi in ospedali di paesi vicini. Potenti generatori di corrente possono fornire energia elettrica in località dove è in corso un grave blackout.

Se la popolazione è vittima di una guerra civile le stesse operazioni di evacuazione di feriti e rifugiati possono essere condotte con una cornice di sicurezza fornita dal personale e dai mezzi appartenenti alle Forze da Sbarco con la copertura aerea garantita da aerei e elicotteri imbarcati in qualsiasi angolo del mondo dove è necessario intervenire. In sostanza la Marina Militare, qualora ben sviluppata in modo bilanciato in tutte le sue componenti rappresenta, già di per se, un sistema interforze ideale: marittimo (sopra e sotto la superficie), aereo e terrestre con il vantaggio di avere un’unica missione e unità di comando sulla scena d’azione così come più volte dimostrato.

Ma vi è ancora qualcosa di più: la flessibilità che fornisce una piattaforma galleggiante offre la possibilità di cambiare la missione operazione durante. Una nave in crociera addestrativa può trasformarsi immediatamente dopo avere ricevuto l’ordine in unità di scorta di un convoglio che transita in un area soggetta a minacce reali, una sede neutrale dove riunire i rappresentanti di delegazioni per tenere trattative di pace, una piattaforma per gestire un intervento di soccorso umanitario o per esfiltrare il personale di ambasciate da un territorio in preda alla guerra civile. In altre parole i mezzi della Marina Militare, sulla base di una esperienza e di una tradizione secolare, hanno sviluppato i propri mezzi navali di oggi e dovranno prepararsi a fare altrettanto per i prossimi decenni sulla base del soddisfacimento di esigenze DUAL USE.

Fino a oggi è stato possibile portare a termine tutte le missioni assegnate dal Governo grazie alla «Legge Navale» del 1975. Si è trattato in parte di operazioni a carattere prettamente militare in cui è stato necessario avere in dotazione aerei imbarcati come gli «AV 8 B plus» (impiegati nei cieli del Kosovo, Afghanistan e Libia) e unità navali di altura in grado di permanere mesi in mare nell’Oceano Indiano per contrastare la pirateria e proteggere le linee di comunicazioni marittime, ma anche di operazioni umanitarie a favore di popolazioni vittime di calamità naturali fino a giungere all’attuale operazione Mare Nostrum in cui vengono svolti sia compiti di salvataggio in mare, sia compiti di sorveglianza e repressione di attività illecite.

Grazie allo stanziamento di 1.000 miliardi di lire in 10 anni previsto dalla Legge del 1975 non soltanto fu possibile salvare allora la Marina dalla sua estinzione, ma anche la cantieristica italiana e un insieme di centinaia di medie e piccole industrie di cui molte situate nel Mezzogiorno poterono risollevarsi dalla peggiore crisi del dopo guerra, quella del 1973, favorendo trent’anni continuativi di occupazione e benessere ininterrotto. Se oggi l’Italia è leader nella realizzazione di navi da crociera è in parte dovuto ai benefici di quella Legge Navale che contribuì a evitare la chiusura di molti cantieri navali.

Una soluzione possibile per contribuire a uscire dalla crisi è quella di copiare ciò che di positivo è stato effettuato nel passato in situazioni altrettanto critiche. Occorre continuare ad investire scegliendo con oculatezza quali siano i settori che, grazie a degli investimenti mirati, possano portare nel medio e lungo periodo alla crescita.
Questi settori, per un Paese proteso sul mare, sono ancora una volta il settore marittimo e tutto il suo indotto: basi navali, arsenali, porti e loro infrastrutture, logistica dei trasporti, piattaforme petrolifere, navi moderne a scarso impatto ambientale. La Marina Militare e nuove navi DUAL USE potranno ancora una volta agire da motore trainante dell’economia italiana, così come già sperimentato nel passato tra il 1870-1880, 1934-1943, 1909-1914 e nel 1974-1984.

Pertanto, occorre perseguire, con ogni possibile urgenza «un concreto piano di costruzioni aeronavali» che non costituisca un potenziamento della Flotta ma solo la sostituzione delle unità che vengono di volta in volta radiate.

Patrizio Rapalino

SOMMARIO

PRIMO PIANO

  • La rivincita della Geografia tra conflittualità regionale e globale
    Alessendro Colombo                                           
  • Nubi sul futuro
    Vittorio Emanuele Parsi
  • Il conflitto in Crimea
    Anton Bebler
  • Egemonia americana e il mare
    Massimo Iacopi
  •  Rockall: l’isolotto che divide ben quattro Stati
    Lorenzo Striuli 44

PAN ORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE

  • L’altra metà dell’Adriatico: la Marina croata
    Giuliano Da Frè       
  • La breve stagione dell’atomica europea
    Vezio Vascotto          

SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE

  • I Corsari di D’Annunzio
    Paolo Fragiacom0
  • L’attività d’intelligence dei gruppi jihadisti
    Roberto Celestre      
  • Le navi «Piemonte» sempre legate al destino di Messina
    Attilio Borda Bossana              

STORIA E CULTURA MILITARE

  • La vera storia non conosciuta della Regia Marina durante la Grande Guerra
    Stato Maggiore Marina Militare 

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Tags: Rivista Marittima
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