Rivista Marittima – agosto – sett. 2013
EDITORIALE
di Patrizio Rapalino
A cosa serve la Marina Militare?
Come aveva compreso Cavour già prima del 1861 la politica marittima di uno Stato può essere il motore trainante della sua economia. Grazie alla realizzazione di una grande Marittima Militare e Mercantile, di arsenali e cantieri navali, nel giro di vent’anni un paese prevalente agricolo come era l’Italia appena unita, si trasformo in una delle più importanti potenze industriali del mondo affermando il made in Italy. E’ noto che nonostante la sconfitta subita durante l’ultimo conflitto mondiale il boom economico italiano degli anni Cinquanta fu superiore a quello ottenuto dai Paesi Europei vincitori come la Gran Bretagna e la Francia
Come poteva l’Italia priva di materie prime risorgere dalla crisi post-bellica senza l’utilizzo del mare? Certo la grande volontà e l’ingegnosità del popolo italiano, finalmente in Democrazia, furono determinanti così come il piano Marshall. Ma la crescita e la piena occupazione fu favorita anche dalle strutture industriali e cantieristiche realizzate a partire dall’epoca di Benedetto Brin con una apposita «legge navale» necessaria alla costruzione, a partire dal lontano 1873, delle due corazzate della classe «Duilio», le prime al mondo a propulsione meccanica. Le due navi non furono mai impiegate in combattimento, ma il loro allestimento portò alla nascita della siderurgia italiana.
Spesso si dimentica che una delle principali ragioni per cui l’Italia venne invitata a entrare nella NATO tra i paesi fondatori non fu solo la posizione geografica, ma le capacità cantieristiche dimostrate nell’arco di cinque anni di guerra. Con poche risorse e senza materie prime, gli Italiani erano in grado di mantenere in efficienza una delle flotte più potenti del mondo. L’8 settembre 1943 la Marina italiana era ancora la quarta nel mondo. I progetti di futuri missili, siluri, sistemi elettronici di avanguardia americani che gli storici attribuiscono quasi in toto alla Germania, portano la firma di decine di ingegneri e tecnici italiani.
La nostra cultura e tradizione a forte valenza continentale ci fa spesso dimenticare che il nostro Paese vive sul mare e di mare. Riteniamo che il mare sia soltanto un elemento della natura e che le navi militari siano dei mezzi realizzati per eseguire operazioni sul mare, così come i blindati operazioni terrestri e gli aerei operazioni aeree. Di rado ci si sofferma sul fatto che il mare è la più importante linea di comunicazione logistica attraverso la quale transitano il 90 per cento delle merci pesanti, compreso il petrolio.
Non molti sono consapevoli del fatto che la vera differenza che esiste tra le linee di comunicazione terrestri e marittime sta nel fatto che il mare, fuori dalle acque territoriali, non appartiene a nessuno. In alto mare tutti hanno il diritto di transitare senza interferenze. Una nave mercantile panamense, finché non entra nelle acque territoriali di un Paese qualsiasi, secondo le norme del diritto del mare, può essere fermata e ispezionata soltanto da una nave da guerra panamense. Di fatto, in alto mare, una nave mercantile gode di una quasi totale immunità che nessun mezzo di trasporto terrestre può vantare con tutti gli aspetti positivi e negativi discendenti. Ciò è dovuto al fatto che nessuno Stato ha giurisdizione sull’alto mare.
In un’epoca in cui le risorse terrestri si stanno riducendo progressivamente e vi è al contempo la necessità di sfruttare al massimo i beni rinnovabili e non rinnovabili che si trovano sui fondali marini, in modo sostenibile e rispettando l’ambiente, si possono determinare nuovi motivi di contenzioso tra i Paesi e organizzazioni non statuali in grado di potere sfruttare tali risorse e coloro che non lo sono. L’inquinamento in alto mare, area su cui nessuno esercita la sovranità, diventa un problema che coinvolge la comunità internazionale nel suo insieme e non può più essere trascurato nel prossimo futuro adducendo al fatto che in alto mare nessuno può intervenire.
Come ed a chi toccherà fare rispettare regole internazionali contro l’inquinamento marino, il rispetto della biodiversità e la protezione dei mammiferi in mare?
Come ed a chi toccherà sorvegliare il mare al fine da reprimere i traffici illeciti, la pirateria e il terrorismo?
In un’epoca in cui organizzazioni terroristiche e criminali possono, grazie ai principi della libertà dei mari e sotto la copertura di bandiere ombra, sfruttare l’ambiente marittimo per trasferire armi, esplosivi, materiale tossico, droga e ogni altro tipo di generi illeciti, da un punto all’altro della terra, occorre che le marine siano in grado più di ieri di potere sorvegliare e controllare il traffico marittimo e ciò trascende da come la nostra cultura intende i confini dello Stato italiano.
Non molti concittadini sono consapevoli del fatto che la pirateria nel Golfo di Aden sia un problema di «strategia marittima» con ripercussioni dirette sull’economia di casa nostra, né più né meno di una serie di scioperi degli autotrasportatori o della chiusura di un importante valico di montagna per una frana. La conseguente marginalizzazione del traffico marittimo nel Mediterraneo causata dalla pirateria si ripercuote sui prezzi al consumo e sulla crisi del sistema portuale italiano e mediterraneo, a vantaggio dei porti del Nord Europa, già di per se più moderni e competitivi di quelli del Sud Europa.
La natura internazionale del mare, ambiente su cui si basa la vera globalizzazione e non solo quella virtuale di internet, fatta di traffici di materie prime e prodotti finiti, rende le navi militari dei mezzi dotati di specificità particolari che altri strumenti bellici non hanno. Innanzitutto la nave è l’unico mezzo da guerra che gode del «passaggio inoffensivo» nelle acque territoriali di un altro Paese, mentre la penetrazione, senza autorizzazione, di truppe e aerei nei confini di un altro Stato è considerata un atto ostile. Una nave militare gode dell’extraterritorialità anche quando è ormeggiata in un porto estero. Lo Stato ospite può richiedere al comandante di uscire subito dalle proprie acque territoriali, ma non ha l’autorità di inviare forze di polizia a bordo o di arrestare un componente dell’equipaggio, anche per un reato commesso a terra.
In altre parole lo Stato rivierasco non ha giurisdizione a bordo di una nave militare estera che può quindi fornire, in circostanze particolari, anche asilo provvisorio a rifugiati. Pertanto il comandante, oltre a essere il capo di un mezzo militare è anche un diplomatico che grazie all’uso della sua nave può trasmettere diversi tipi di segnali al Paese ospitante: segnali di amicizia e sostegno o pressioni per ottenere specifici risultati.
Sfruttando queste peculiarità delle navi militari che, unite alla mobilità, alla flessibilità ed all’autonomia permettono di permanere nelle aree di crisi, al limite delle acque territoriali altrui, senza chiedere il permesso a nessuno, si possono ottenere risultati diplomatici importanti senza sparare un colpo. Le attività che vanno dalla semplice presenza e dalle visite di cortesia, fino alla pressione politico-militare finalizzata ad imporre la volontà della propria politica estera, rientrano nel campo della «diplomazia navale». La nave militare è uno tra i principali mezzi con cui un Paese marittimo esercita la propria politica estera a tutela dei propri interessi nazionali.
In caso di calamità naturale una portaerei o una nave anfibia possono trasformarsi con il minimo preavviso in un grande ospedale galleggiante fornito dei più moderni sistemi per salvare vite umane. Il ponte di volo può venire utilizzato in una piattaforma su cui sistemare mezzi della protezione civile. Gli elicotteri, di notte e di giorno, possono trasferire i feriti dal luogo dell’incidente all’ospedale di bordo e smistare i più gravi in ospedali di paesi vicini. Se la popolazione è vittima di una guerra civile le stesse operazioni di evacuazione di feriti e rifugiati possono essere condotte con una cornice di sicurezza fornita dal personale e dai mezzi appartenenti alle Forze da Sbarco con la copertura aerea garantita da aerei e elicotteri imbarcati. In sostanza la Marina Militare, qualora ben sviluppata in modo bilanciato in tutte le sue componenti rappresenta, già di per se, un sistema interforze ideale: marittimo (sopra e sotto la superficie), aereo e terrestre con il vantaggio di avere un’unica missione e unità di comando sulla scena d’azione così come più volte dimostrato.
Ma vi è ancora qualcosa di più: la flessibilità che fornisce una piattaforma galleggiante offre la possibilità di cambiare la missione operazione durante. Una nave in crociera addestrativa può trasformarsi immediatamente, dopo avere ricevuto l’ordine in unità di scorta di un convoglio che transita in un area soggetta a minacce reali, una sede neutrale dove riunire i rappresentanti di delegazioni per tenere trattative di pace, una piattaforma per gestire un intervento di soccorso umanitario o per esfiltrare il personale di ambasciate da un territorio in preda alla guerra civile. In altre parole i mezzi della Marina Militare, sulla base di un’esperienza e di una tradizione secolare, hanno sviluppato i propri mezzi navali di oggi e dovranno prepararsi a fare altrettanto per i prossimi decenni sulla base del soddisfacimento di esigenze DUAL USE.
Fino a oggi è stato possibile portare a termine tutte le missioni di mantenimento alla pace assegnate, a iniziare dal 1979 ai giorni nostri, grazie alla «Legge Navale» del 1975. Non si trattò di una spesa di 1.000 miliardi, ma di un investimento, grazie alla quale, la cantieristica italiana e un insieme di centinaia di medie e piccole industrie, di cui molte situate nel Mezzogiorno, si poterono sollevare dalla peggiore crisi del Dopo guerra, quella del 1973, favorendo trent’anni continuativi di occupazione e benessere ininterrotto. Non si trattò di sperperare fondi in inutili grandi opere pubbliche, poi abbandonate alloro destino, ma di un piano Marshall a favore delle industrie più dinamiche nel settore marittimo con ricadute positive sulla ricerca e sull’innovazione in molteplici campi non solo militari. Anche grazie a quell’ingente assegnazione di fondi fuori bilancio il Paese nel giro di vent’anni superò il PIL della Gran Bretagna entrando nell’area Euro.
Per uscire dalla crisi occorre continuare a investire. Ciò non significa aumentare la spesa pubblica ma scegliere e decidere con oculatezza quali siano i settori che, grazie a degli investimenti mirati, possano portare nel medio e lungo periodo alla crescita. Questi settori per un Paese proteso sul mare sono ancora una volta il settore marittimo e tutto il suo indotto: basi navali, arsenali, porti e infrastrutture portuali, logistica dei trasporti, piattaforme petrolifere, navi mercantili moderne a scarso impatto ambientale. La Marina Militare e nuove navi DUAL USE potranno ancora una volta agire da motore trainante dell’economia italiana, così come già sperimentato con successo nel passato tra il 1870-1880, 1934-1943 e nel 1974-1984.
La Marina Militare è la custode della «marittimità» e della nostra «strategia marittima» che tocca aspetti di competenza inter-ministeriale e anche a mezzo della Rivista Marittima continuerà nell’opera secolare di diffusione della conoscenza sui temi di politica marittima.
Riquadro
COMPITI DELLA MARINA MILITARE:
- SUPPORTO ALLA POLITICA ESTERA DEL PAESE SIA NEL CONTESTO NATO-UE SIA NELLA TUTELA DEGLI INTERESSI NAZIONALI SPECIFICI
Da tale supporto ne seguono i seguenti compiti:
- DIPLOMAZIA NAVALE
- MISSIONI DI PACE ovunque necessario senza particolari limitazioni geografiche e temporali
- OPERAZIONI UMANITARIE ovunque necessario senza particolari limitazioni geografiche e temporali
MEZZI NAVALI NECESSARI:
- PIATTAFORME DUAL USE, ossia in grado di svolgere sia operazioni di tipo militare come la sorveglianza ed il controllo delle vie di comunicazione, le missioni anti pirateria, anti terrorismo e di mantenimento ed imposizione della pace. Sia operazioni umanitarie di protezione civile in Italia e ovunque necessario, senza particolari limitazioni geografiche e temporali.
SOMMARIO
PRIMO PIANO
- La parola al Ministro della Difesa
Mario Mauro - Sicurezza Marittima Dinamiche e obiettivi di medio termine
Michele Valensise - Egitto, le rivoluzioni dimenticate
Massimo Jacopi - Costruire navi da guerra in tempo di crisi?
Gianadrea Gaiani - Il consiglio europeo per la Difesa dicembre 2013
Fabio Agostini
PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE
- Corsa agli armamenti navali nel Magreb
Vilmo Pagani - Le Marine militari stanno cambiando?
Pier Paolo Ramoino - «U212A» Punto di situazione e prospettive operative
Manuel Moreno Minuto
SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE
- Come prevenire i conflitti: una proposta
Georges Kassabgi
STORIA E CULTURA MILITARE
- Considerazioni politico strategiche sul comportamento della flotta l’8 settembre 1943
Patrizio Rapalino - La Marina e le direttive per l’impiego coordinato dell’ Armata Aerea
Ciro Paoletti
RUBRICHE
- Lettere al Direttore
- Osservatorio Internazionale
- Marine militari
- Nautica da Diporto
- Scienza e tecnica
- Diario di guerra
- Che cosa scrivono gli altri
RIVISTA MARITTIMA – Mensile della Marina dal 1868
DIRETTORE RESPONSABILE:
- Capitano di Vascello Patrizio Rapalino
REDAZIONE
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- Francesco Rasulo
- Tiziana Patrizia
- Gaetano Lanza
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SEGRETERIA AMMINISTRATIVA
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