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allievi collegio navale Morosini1 - Rivista Marittima - giugno 2012

Rivista Marittima – giugno 2012

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allievi-collegio-navale-Morosini

Allievi del Collegio Navale Francesco Morosini sfilano nella splendida cornice di Piazza San Marco a Venezia in occasione del loro giuramento, tenutosi il giorno della Festa della Marina lo scorso 10 giugno 2012

EDITORIALE

VENEZIA AMMIRAGLIA

L’affondamento della corazzata astro-ungarica Santo Stefano al largo dell’isola di Pre­muda avvenuta il 10 giugno del 1918 da parte del MAS 15, al comando del Coman­dante Luigi Rizzo non fu soltanto il frutto di un caso fortunato. L’eroe di Milazzo non era al suo primo successo: nella notte tra il 9 ed il 10 dicembre 1917 aveva già affondato in porto a Trieste la corazzata Wien. Dietro al bis di due corazzate affondate in meno di un an­no, oltre all’audacia, al coraggio e all’amor di Patria si cela grande professionalità e perizia frutto di anni di preparazione non solo di Rizzo, ma anche di chi, come l’ammiraglio Paolo Thaon di Revel Capo di Stato Maggiore dell’epoca, aveva scelto di realizzare e impiegare gli uomini ed i mezzi più adatti alla particolare circostanza per ottenere il successo finale.

Questo non significava arrivare alla semplicistica deduzione avanzata da alcuni esperti per cui MAS, siluranti, sommergibili e mezzi d’assalto avrebbero dovuto costituire il futu­ro della Marina, più importante da perseguire invece di sprecare risorse in grandi e costo­se navi comunque vulnerabili, rispetto ai mezzi subacquei e presto seguiti anche dalla minaccia aerea, senza ave­re le reali capacità di conseguire il dominio del mare.

Le imprese di Rizzo così come quella di Alessendria d’Egitto del 19 dicembre 1941, so­lo per citare la più nota, non sarebbero state possibili senza avere alle spalle una grande flot­ta da battaglia, uno Stato Maggiore e il Padre Etemo,  che in quei casi ascoltò la pre­ghiera del marinaio: «Comanda che le tempeste e i flutti servano a lei». In effetti se il 10 giu­gno 1918 le condizioni del mare non fossero state ideali, Rizzo non avrebbe potuto attacca­re la flotta austroungarica e forse oggi festeggeremmo un altro evento “Se durante la secon­da guerra mondiale la Regia Marina non avesse avuto una temibile flotta da battaglia, ancorché in «potenza»,  per quale ragione gli Inglesi avrebbero dovuto mantenere la Queen Eliza­beth e la Valiant nel porto di Alessandria?  In ogni caso, anche in mancanza di vittorie poli­ticamente corrette (gli Inglesi non si fanno certo problemi a festeggiare la notte di Taranto), potremmo sempre poter contare su Santa Barbara.

Occorre riflettere sul fatto che dietro l’azione eroica di Rizzo vi sono cinquant’anni di stu­dio, di assunzione di consapevolezza e di preparazione dei mezzi e degli uomini con lo sco­po di uscire dalla smacco psicologico di Lissa causato dalla mancata maturità marittima del­le Marine pre-unitarie.

Saper navigare è soltanto una condizione necessaria ma non sufficiente per essere vitto­riosi sul mare. Persano, comandante in Capo della flotta italiana a Lissa, così come Albini e il napoletano Vacca, non avevano alcuna esperienza di combattimento in mare fatta ecce­zione per le operazioni di bombardamento costiero ad Ancona, Gaeta e Messina anteceden­ti alla formale unificazione. Agli inizi del XIX secolo doppiare lo stretto di Magellano e ve­leggiare al comando di una nave tra le isole del Pacifico, come dimostrò di saper fare Per­sano, poteva comportare qualche rischio, ma mai quanto quelli che si assumono nel portare in combattimento un ‘intera flotta, risolvendo in pochi secondi complessi calcoli cinematici e balistici. La responsabilità è così grande che anche un abile comandante rischia di entrare in uno stato di panico se non abituato dall’infanzia all’esercizio del comando.

La sconfitta tattica era prevedibilc anche perché i vertici della Marina, nonostante gli sfor­zi effettuati per rinnovare il naviglio ordinando la costruzione di nuove corazzate in Gran Bretagna e all’estero, non avevano ancora compreso che la strategia dei mezzi non è suffi­ciente a fornire la vittoria se non si ha anche una strategia di impiego degli uomini a prescin­dete dai mezzi disponibili. In altri termini il materiale non è sufficiente per vincere se gli Ammi.ragli non sono in grado di condurre le navi in battaglia e i sottoposti non sono adde­strati a eseguirli.

Per fare un Ammiraglio che sia vincitore sul mare occorrono generazioni di esperienze e di tradizione maIittima. Si deve iniziare a andar per mare da bambini, occorre una vita sco­moda e frugale, respirare l’aria salmastra che solo la vita a bordo e città come Venezia pos­sono offrire.

Non per nulla gli equipaggi delle navi austroungariche che vinsero a Lisse apparteneva­no all ‘antico Stato veneziano, il solo a possedere grandi tradizioni marinare, nonostante Ve­nezia, come Genova, ormai da tempo avesse cessato di essere una potenze marittima. Una miriade di barcaioli, gondolieri e pescatori continuavano a trarre il loro sostentamento dal mare e a credere nell’antica grandezza della Serenissima. Il popolo veneziano costituiva il vivaio prezioso da cui la Marina austroungarica attingeva i preziosi e combattivi equipaggi. Inoltre, gli ufficiali di marina austroungarici venivano formati dai veneziani nel Marine Ca­detten Kollegium di Venezia, da cui uscì il vincitore di Lisse, l’ammiraglio Tegetthoff.

Da tale sconfitta nasce la vera Marina italiana e non il 17 marzo 1861. Senza Venezia e i Veneziani la Merina era soltanto la sommatoria di due flotte distinte e concorrenti. Attraver­so la graduale riscoperta delle proprie tradizioni maIinare, il 10 giugno 1918 sempre in Adriatico, Lissa sarà finalmente vendicata da parte di un Ufficiale siciliano sotto la guida di un Ammiraglio piemontese.

Oggi, in occasione del cinquantennale della «rifondazione» della Scuola Navale France­sco Morosini, il giuramento degli allievi in Piazza San Marco, con l’Amerigo Vespucci alle boe, alla presenza del Capo dello Stato, del ministro della Difesa, ammiraglio Giampaolo Di Paola e del capo di Stato Maggiore della Marina, ammireglio di Squadra Luigi Binelli Man­telli, entrambi ex allievi del Collegio Navale, sottolinea in modo solenne il legame che esi­ste e che continuerà a esistere tra Venezia e la Marina. Rappresenta la consapevolezza del­le nostre tradizioni marittime e della volontà di continuare a formare i giovani al culto del­l’assunzione di responsabilità e dei valori morali che ogni buon cittadino, con o senza le stel­lette, deve possedere in qualsiasi ambito professionale.

Petrizio Rapalino

SOMMARIO

PRIMO PIANO

  • India: alla ricerca del proprio destino
    Alessandro Corneli
  • La Zona Economica Esclusiva
    Fabio Caffio
  • L’immigrazione e le sue complessità
    Ferdinendo Sanfelice di Monteforte
  • Il braccio di ferro navale tra Cina e Stati Uniti
    Emanuela De Marchi
  • Il semipresidenzialismo francese
    Renato Giocondo

PANORAMICA TECNICO–PROFESSIONALE

  • La Marina canadese nel XXI secolo
    Giuliano Da Frè
  • Le dismissioni dei beni della Difesa
    Andrea Grigoletto
    Il Morosini cinquant‘anni dopo
    Andrea Tirondols
  • Idrografia ed economia
    Alfredo Civetta

SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE

  • Un inedito carteggio del comandante Angelo Belloni
    Lucio Ricciardi

STORIA E CULTURA MlLITARE

  • La battaglia di Capo Spada
    Alberto Santoni
RUBRICHE
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