Quella strana coppia
di Franco Harrauer
Il titolo non deve lasciar adito a maliziose allusioni.
Negli anni sessanta o giù di li, insieme a Renato “Sonny” Levi, ci trovammo ad affrontare un interessante problema di coppie; alludo alla “coppia di reazione” che si manifesta in modo molto sensibile in eliche dal forte diametro e basso numero di giri. La coppia, in questo caso “torcente” come dicono i testi di meccanica, è un sistema di due vettori paralleli, di verso opposto, non allineati e di egual modulo applicati ad un corpo… ecc..
Una manifestazione nota e temuta da chi con una barca monomotore fa marcia indietro per accostare in banchina, sempre sotto l’occhio critico di chi sta a terra, è che in una barca veloce e potente sempre monomotore, la fa sensibilmente coricare in corsa su un fianco.
Ricordo ad Anzio il “decollo” di “Ultima Volta” dell’avv. Agnelli, che percorse affumicando tutto il golfo, nel tentativo di entrare in “redan” e quando finalmente riuscì ad innescare i turbocompressori del suo unico Carraro V 12 da 850 CV, partì tutto sbandato a sinistra contro la coppia di reazione dei 4800 giri della sua unica elica.
Per inciso, il tipo di elica che Renato aveva in mente richiedeva un surmoltiplicatore di giri, anziché un riduttore. Pochi giorni dopo, con l’attivazione di una generosa coppia di correttori d’assetto, tutto tornò normale e detto tra di noi, ne sarebbe bastato uno solo: quello sinistro.
Con le eliche superveloci completamente immerse in regime di supercavitazione, il fenomeno di coppia non era rilevante come si sarebbe presentato con un altro “mostro” di 1800 CV , la cui elica semisommersa doveva girare a qualcosa come 4000 giri. Il “mostro” era lo “SCIMITAR” che con i suoi teorici 100 Kn avrebbe dovuto battere il primato mondiale di velocità Diesel.
Per questo racer, per ragioni di spazio e di centraggio dei pesi, il surmoltiplicatore era applicato all?esterno dello specchio di poppa in un “castello” metallico che supportava l’elica semisommersa. Il motore, un CRM 18 D/S, era collegato alla scatola del surmoltiplicatore mediante un cardano. Pertanto, sarebbe stato possibile angolare l’asse elica di un paio di gradi a sinistra sul piano orizzontale, per tentare di minimizzare l’effetto di coppia che sarebbe stato determinante su uno scafo di nove metri di lunghezza f.t., dal peso di 4 tonnellate e con un diedro a poppa di 19 gradi.
Con Nino Petrone, futuro primatista e titolare del cantiere SAPRI dove era in costruzione lo Scimitar, mi recai un paio di volte a Castellanza alla CRM per il problema del surmoltiplicatore che aveva solo rapporti di riduzione, mentre Levi voleva aumentare il numero dei giri in cerca di una soluzione anche anticonvenzionale, pur di uscire da quella empasse.
Suggerii di montare il riduttore al rovescio… Lo sguardo inorridito dell’ingegner Mariani si placò solamente quando, dopo un rapido calcolo disse:
va bene, durerà solo una ventina di minuti, poi può esplodere. Sbrighiamoci a battere questo primato…
Ancora oggi non abbiamo capito se Mariani abbia sherzato.
Sulla strada di ritorno da Castellanza Nino mi disse:
meno male che tra il mio posto di guida e il surmoltiplicatore c’è di mezzo una tonnellata si motore.
Il “mostro” non uscì mai dal cantiere Sapri! Problemi economici non permisero la realizzazione del progetto Scimitar, ma alcuni anni dopo l’effetto coppia, contrariamente alla sua negatività, aiutò a battere il primato di velocità con “Arcidiavolo” in classe 2.
L’amico Soccol, che era secondo pilota in quella corsa di primato scrive:
Cercando di fare una rotta rettiliea sulla base misurata di Sarnico, bisognava compensare l’effetto di coppia dell’unica elica, dando notevole incidenza al timone. Sonny suggerì di prendere la corsa di lancio molto lunga e di dare il meno possibile timone, lasciando andare la barca dove l’elica la portava. Con una minor resistenza della pala del timone abbiamo aumentato la velocità pura e la media su 67,694 Kn, battendo così il primato nonostante il maggior percorso che, compresa la rotta di lancio, risultò un’ampia e graziosa curva.
Alcuni anni dopo Renato Levi mi disse che nel calcolo della graziosa curva si era dimenticato di considerare il “walkig” o “lateral thrust” che avrebbe potuto migliorare di un paio di centesimi di secondo il tempo. Non ho capito ancor oggi se l’ingegner Renato Levi abbia scherzato, ma conoscendolo bene, credo che parlasse seriamente.
Circa un decennio prima un analogo e problematico “effetto coppia” ci portò a indagare su uno vecchio brevetto italiano che poteva risolveva alcuni nostri problemi. Da tempo collaboravo con il Comandante De la Penne e con Roberto Frassetto, entrambi durante la guerra piloti di mezzi d’assalto e questi contatti ci avevano introdotti nell’ambiente della progettazione “classificata”.
Eravamo quindi alle prese con l’effetto coppia di una grande elica intubata pentapala, che doveva scaricare poco meno di 100 KW a 300 giri e far navigare sott’acqua un “mezzo” a cinque nodi.
Il problema in se stesso non era senza soluzione, ma questo propulsore era in asse ad un corpo fusiforme che, salvo per piccoli piani di governo orizzontali e verticali come quelli di un siluro, non poteva avere durante la navigazione subacquea uno sponsor idrostatico o idrodinamico che annullasse o mitigasse la grande coppia generata dall’elica.
In poche parole, questa volta non si poteva lasciar andare la barca dove l’elica la portava!
Nel museo aereonautico di Vigna di Valle avevamo visto l’idrovolante da primato Macchi MC 72 che scaricava i suoi 3000 CV mediante un’elica coassiale, cioé due eliche controrotanti che reciprocamente annullavano le loro formidabili coppie. Poteva esser questa la soluzione? Esisteva già il piede “stern drive Aquamatic” della Volvo con elica singola e ne conoscevamo vagamente i nebulosi retroscena, ma decidemmo di risalire alla “fonte” di questa idea.
Tramite i “buoni uffici” di De la Penne andammo a trovare l’ ingegner Cattaneo della CABI di Milano, per conoscere meglio l’origine e la genesi del gruppo entrofuoribordo poppiero ad eliche coassiali.
Sapevamo che Cattaneo aveva inventato, brevettato e costruito sin dal 1935 un piede poppiero istallato sul racer Asso e con la singolare comunicabilità che si stabilisce tra gente che parla lo stesso linguaggio, l’ingegnere ci raccontò tutte le sue esperienze e ci fece vedere tutti i disegni originali dei mezzi da lui ideati e sviluppati fino alla fine della guerra.
Inoltre, l’ing. Cattaneo aggiunse:
Nel 1936 venni interpellato dall’ing. Baglietto che da anni costruiva le mie barche da corsa, affinché collaborassi a risolvere i problemi meccanici connessi al progetto di un motoscafo esplosivo che gli era stato sottoposto dal Ministero della Marina Militare. Il mezzo era destinato oltre che all’attacco e unità in navigazione, anche al superamento di sbarramenti retali. Quindi l’elica e il timone non avrebbero dovuto sporgere oltre il pescaggio dello scafo per evitare impigliamenti ed arresti.
Essendo poi il barchino destinato ad essere abbandonato dal pilota in piena velocità ad un centinaio di metri dall’obbiettivo, bisognava fare in modo che la traiettoria fosse rettilinea e non soggetta alle deviazioni dovute alla coppia di reazione dell’elica ed a quello che voi oggi chiamate “walking”. Fu proprio per risolvere questi problemi che progettai la prima trasmissione a Z per i mezzi d’assalto partendo dalla base dei propulsori che avevo ideato per gli scafi da corsa.
Avevo disegnato il primo piede poppiero a eliche coassiali alcuni anni prima per il racer ALAGI, che il Conte Theo Rossi di Montelera e io sul gemello Aradam, guidammo nella Golden Cup di Detroit per la classe “unlimited”. Per inciso, il motore era un dodici cilindri Isotta Fraschini (poi CRM) con compressore meccanico Roots, che erogava 450 CV a 3000 giri; un motore che mio padre Agostino aveva progettato e che divenne il motore dei celebri idrovolanti “Savoia Marchetti SM 55”.
Per questi due racers il piede era fisso, ma renderlo retrattile e ribaltabile entro la sagoma dello specchio di poppa, fu relativamente facile. Inoltre nei piedi da corsa una delle eliche contro rotanti era anteriore e quindi “trattiva”, perchè temevo ingiustificatamente i fenomeni di “taglio” o interferenza tra i due flussi.
Ovviamente insieme a Levi domandammo a Cattaneo quali rivendicazioni avrebbe potuto presentare alla Volvo Penta per la paternità del suo piede poppiero… Cattaneo ci disse semplicemente con grande serenità: “Voi sapete benissimo che abbiamo perso una guerra e tutti i nostri brevetti di interesse militare sono diventati “preda bellica” e la realtà fu che nel 1958 Jim Wynne, allora capo collaudatore alla Mercury, propose a Karl Kiehkafer, un piede poppiero “ispirato” da quello dei mezzi d’assalto della CABI e da lui applicato ad un motore da 70 cv della Volvo. Dopo i test sul famoso “Lake X”, Kiekhafer con una decisione che faceva poco onore alla sua mitica lungimiranza, rifiutò l’idea che Wynne propose successivamente in Svezia alla Volvo.
Nel 1960 al New York Boat Show, dopo la presentazione furono venduti oltre un migliaio di Aquamatic. Tutto ciò ci fu raccontato da Jim circa un anno prima della sua morte, in un incontro che avemmo a Miami.
La mia trasmissione a Z, proseguì l’ingegner Cattaneo, venne resa brandeggiabile lateralmete, in modo da essere sollevata completamente dall’acqua. Risolsi il problema della coppia montando sullo stesso piede due eliche coassiali controrotanti in modo che le due coppie opposte si annullassero a vicenda. Mentre la carica esplosiva di 300 Kg di tritolo sistemata a prora, fu dotata di un congegno d’innesco idrostatico in modo che non deflagrasse in superfice ma ad una profondità prestabilita, dove gli effetti erano più esaltati.
Inoltre, per fare in modo che dopo l’urto la carica affondasse rapidamente, dotai il barchino di una “palmola”, una specie di paraurti che girava tutt’intorno alla prua e che in seguito all’urto faceva esplodere una carica “tranciabarchino” posta subito a poppa della carica principale.
Così il barchino tranciato letteralmente in due affondava rapidamente fino alla quota stabilita dal piatto idrostatico (4 – 6 metri) dove avveniva la deflagrazione. Per permettere al pilota di salvarsi predisposi a tipo schienale uno zatteino rigido che, al momento del blocco del timone e del disinnesco della sicura delle cariche cadeva in mare assieme al pilota e sul quale egli doveva sistemarsi il più rapidamente possibile per proteggersi dall’urto subacqueo dell’esplosione.
Questo mezzo d’assalto denominato originariamente MT poi MTM, era propulso da un motore a benzina avio Alfa Romeo, tipo 2300 da circa 75 HP a 4400 giri. Le sue due eliche coassiali contrirotanti permettevano una rotta rettilinea fino al bersagllio.
Nel 1941, dopo il forzamento della “Baia di Suda” nella quale gli MT del comandante Faggioni affondarono l’incrociatore inglese “York”, progettai l’MTR con una sezione maestra ridotta, in modo da essere alloggiato nei contenitori stagni dei sommergibili vettori dei mezzi d’assalto subaquei tipo SLC.
L’ingegner Cattaneo concluse con una nota di rassegnazione nella sua voce:
Dei circa duecento MTM costruiti, alla fine della guerra uno di essi fu portato in America dai vincitori come preda bellica… da dove poi “emigrò“ in Svezia. Il resto della storia ormai la conoscete.
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