Gibilterra, 2 ottobre 1943: Mezzogiorno di fuoco
di Franco Harrauer
Il rapido frullio d’ali di un uccello acquatico bastò a risvegliarlo di soprassalto.
Sollevò il passamontagna che si era calato su gli occhi e si tirò su dallo scomodo seggiolino. Era bagnato per l’umidita della notte, ma la pesante muta di tela gommata ed i sottostanti indumenti di lana lo tenevano caldo ed aciutto.
Le prime luci dell’alba davano ora contorni precisi al paesaggio che aveva intuito più che visto durante la notte. L’orizzonte era limitato dal fitto canneto dove si era addentrato con il suo barchino. Senza far rumore, stirando le membra indolenzite dalla scomoda posizione in cui si era addormentato, salì in piedi sulla leggera coperta del piccolo scafo che ora oscillava percettibilmente. Impugnò il binocolo e fece un primo giro di controllo sopra la vegetazione della palude.
A Nord oltre la breve pianura, con le casupole dei contadini che cominciavano a fumare pigramente per i fuochi del mattino, vide ergersi le montagne innevate della lontana Serra de Ronda. Ad Ovest le colline grigie erano solcate da una strada ove una autocorriera mattutina sollevava un lungo polverone. Seguì il movimento del veicolo nel suo giro d’orizzonte finché disparve dietro le prime case di Algesiras.
A meno di due miglia il porto della cittadina spagnola sembrava appiattito dalla potenza delle lenti, con le alberature e le sovrastrutture dei piroscafi ancorati che si confondevano con le varopinte case retrostanti. L’uomo indugiò un istante sulla sagoma di una vecchia petroliera affiancata al molo di levante.
Sapeva che era “Olterra“, una nave italiana imternata dall’inizio delle ostlità, che nascondeva un segreto al quale era legato ll buon esito dell’azione che tra poche ore lo avrebbe visto protagonista.. Più a Sud lo Stretto appariva ancora avvolto dalla bassa nebbia che non nascondeva completamente i monti africani.
Girò rapidanente il binocolo ad est, dove contro il cielo rosato dell’alba si stagliò improvvisamente negli oculari il suo obiettivo: la Rocca di Gibilterra, un’immenso monolito di roccia calcarea che si ergeva come un leone accovacciato a guardia del suo porto e della rada.
Lo sguardo si soffermò sulle decine e decine du navi ancorate dentro e fuori della diga della base nemica: un cacciatorpediniere, una portaerei, alcuni incrociatori che confondevano le loro sagome mimetizzate con la città ai piedi della grande roccia, una ventina di navi mercantili ancorate un rada in attesa della formazione di qualche convoglio, diverse vedette incrociavano a guardia delle preziose prede.
Ora l’uomo si china, riprende il suo posto nell’angusto abitacolo e ripone il binocolo. Estratta una carta nautica da un ripostiglio accanto alla bussola vi controlla le posizioni degli obiettivi con le osservazioni fatte poco prima, ripensando alla lunga navigazione fatta durante la notte per arrivare alle foci del Rio Palmones nei canneti ove è ora nascosto con gli altri tre barchini.
E’ stata un’impresa difficile guidare i compagni da un punto a tre miglia da Punta Carnero sino all’interno della baia di Algesiras e trovare nell’oscurità più assoluta la foce del fiume con le sciabolate dei riflettori delle difese di Gibilterra ed i frequenti passaggi delle motovedette di sorveglianza ai vicini ancoraggi.
La navigazione è condotta al “minimo“ ed i potenti motori Alfa Romeo soffrivano borbottando e ingolfandosi facilmente, mentre i piloti morivano dalla voglia di sgassare per pulire le candele imbrattate dalla benzina che al minimo dei giri i carburatori lasciavano in eccesso.
La messa a mare dei barchini da parte del sommergibile “Murena“ si era svolta con la complicità di un mare liscio come l’olio.
Nella notte gli operatori, aiutati dai compagni di bordo, avevano sfilato i barchini dai contenitori stagni del sommergibile in affioramento.
Alle 01,30 gli scafi si erano mossi in formazione con rotta a Nord passando sotto il faro di Punta Carnero, mentre il “Murena” “ si immergeva silenzioso per rientrare in Italia.
Erano passati a pochi metri dalla diga foranea di Algesiras dietro la quale era ormeggiata “Olterra” e si erano accorti che, contemporaneamente al loro passaggio una compiacente e rumorosa pompa di bordo della vecchia petroliera si era messa in moto.
Solo l’uomo che guidava la piccola formazine sapeva che oltre ad essere una “copertura”, quel rumore era un segnale di “tutto bene“. Dall’alto della plancia dell’Olterra alcuni sguardi amici li avevano scorti e seguiti con il rumoroso augurio.
Lui sapeva che in una stiva segreta della petroliera nello stesso istante un mezzo subacqueo, un SSB diretto discendente dei famosi SLC “maiali“, stava per essere messo in mare attraverso un passaggio subacqueo e che due suoi compagni della “X MAS” si stavano vestendo con le pesanti mute nere in attesa di cavalcare il micidiale siluro e portarlo dentro il porto di Gibilterra contemporaneamente al suo assalto alle navi mercantili in rada.
Doveva essere un’azione molto precisa nei tempi di esecuzione e sino ad ora era andato tutto bene. L’uomo distoglie lo sguardo dalla carta nautica per controllare l’orologio, sono le nove del mattino. Si alza in piedi sul seggiolino e modula un richiamo con un fischietto da cacciatore di palude.
Dopo pochi secondi, tra un rumore di canne che si spartiscono, ecco apparire un barchino mimetizzato a strisce grige e nere con una rete drappeggiata in coperta e sui fianchi. Lo si può vedere solo a breve distanza contro la vegetazione della foce del Rio Palmones, mentre il pilota, a lenti colpi di pagaia lo fa accostare. Due altri barchini arrivano silenziosamente da opposte direzioni. Un saluto sottovoce, poi il comandnte passa a turno il binocolo ai piloti che, alzandosi in piedi osservano la baia ormai animata dall’attività della base inglese e dalle barche dei pescatori spagnoli.
Dopo un breve conciliabolo davanti alla carta sulla quale sono assegnati gli obiettivi, gli uomini si siedono nei rispettivi abitacoli. I quattrro motoscafi nella loro mimetizzazione sembrano altrettanti caimani in agguato. Quindi le reti vengono buttate in acqua. I piloti si calano i passamontagna e come cavalieri antichi calzano l’elmetto d’acciaio nero come lo stemma della Marina Italiana e tirano la leva di avviamento dei motori. Dopo un breve miagolio un rombo possente fa alzare in volo spaurito gli abitanti alati della palude.. ma dopo un paio di colpi di accelleratore che fanno emettere fumate azzurrognole dalle fiancate delle fragili imbarcazioni, i motori vengono messi al minimo.
I piloti verificano e controllano i pochi strumenti e comandi a loro disposizione: bussola, contagiri, pressione olio, temperatura, manetta del gas, un movimento rapido al volantino/timone, una carezza alla leva dell’innesco della carica esplosiva ed alla leva di sgancio dello zatterino pieghevole alle loro spalle. Innanzi a loro separata da un leggero parabrezza in alluminio si allunga il leggero ponte del barchino con sotto il motore e la potente carica di esplosivo. Il Comandante alza un braccio e uno dopo l’altro gli scafi cominciano a muoversi lentamente tra le canne. Il mare è poco distante, ma ancora invisibile dietro la vegetazione che si apre appena toccata dalle prore.
Improvvisamente, sono tutti e quattro allo scoperto in mare, una leggera onda fa beccheggiare i battelli al superamento della barra, seguono una rotta Sud Est, si portano ancora a lento moto verso il centro della baia. Passano ad una decina di metri da una barca da pesca spagnola il cui equipaggio li guarda stupiti interrompendo il lavoro di salpare le reti.
Si infilano tra due grossi piroscafi con bandiera britannica senza apparentemente essere notati, salvo che da un marinaio che su un bilancino sta pitturando la fiancata e che, riavutosi dallo stupore, dopo aver buttato a mare il pennello, cerca di riguadagnare a fatica il ponte. Poco dopo sono quasi al centro della baia, mentre il sole già alto splende in un cielo senza nubi. In quello stesso punto, una decina di metri sotto la superfice del mare, altri due marinai italiani stanno dirigendo verso l’imboccatura del porto di Gibilterra a cavallo dell’SSB con i suoi trecento chilogrammi di esplosivo nel muso.
Sono partiti da un paio d’ore dall’Olterra ed entreranno approfittando dell’apertura delle ostruzioni retali che si verifecherà tra poco, a causa dell’assalto dei barchini in rada , per attaccare la portaerei ancorata all’inteno del porto.
Il motore del mezzo subacqueo ronza sommessamente spinto dal motore elettrico a circa quattro nodi di velocità. Il pilota segue la bussola con una rotta di novanta gradi e manovra il volantino come se pilotasse un’aereo. Ogni tanto da uno sguardo in alto per mantenere la quota a vista e consulta il suo orologio da polso. Egli sa che in superfice i compagni dei barchini stanno per andare all’assalto e che tra poco troverà il varco di ingresso aperto per l’uscita su allarme dei mezzi antisom
Il Capogruppo dei barchini alza nuovamente il braccio, i tre gregari salutano, poi le mani si abbassano sulle manette degli accelleratori. Un lontano lamento di sirene ed un colpo di cannone annunciano l’allarme.
Gli scafi leggeri si impennaano come destrieri, mentre il rombo potente dei motori finalmente scatenati riempie la baia. Un rombo che i due uomini a cavallo del siluro percepiscono distintamente. I quattro barchini divergono le loro rotte a raggiera diretti ormai a trenta nodi verso le navi nemiche contro le quali esploderanno.
Sono le 12.00 del 2 ottobre 1943! Una data che avrebbe potuto essere ricordata a lungo nella storia della Marina Italiana se non fosse stata preceduta da un’altra data:
l’ 8 settembre 1943!
Ho immaginato e ricostruito quanto più fedelmente possibile questa azione che in realtà non avvenne mai, collegando tra di loro alcuni documenti di natura tecnica che mi sono stati forniti durante i miei contatti di lavoro con l’Ingegner Cattaneo, ideatore dei mezzi d’assalto impiegati, oltre a diverse notizie non ufficiali, tra le quali una nota del Comandante della X MAS: Junio Valerio Borghese.
“Imminente era in programma un’azione completamente nuova contro Gibilterra.
Tre sommergibiki da 1000 tonnellate muniti di quattro cilindri stagni per il trasporto dei mezzi erano stati assegnati alla X Mas: Murena, Gronco e Sparide. Dei tre, il Murena era già pronto, cosi come il nuovo siluro SSB, per sconvolgere le difese avversarie. Il piano d’azione si scostava totalmente dalle modalità sino ad ora seguite degli attacchi notturni. Il Murena del Comandante Longanesi, dalle coste spagnole dello Stretto, a notte inoltrata avrebbe rilasciato quattro barchini esplosivi tipo MTR che, risalita la baia di Algesiras, tenendosi sotto la costa neutrale, si sarebbero portati sul lato settentrionale della baia per nascondersi nelle paludi alla foce del fiume Palmones.
Alle 12.00, in pieno giorno, i barchini sarebbero scattati dai loro nascondigli e puntando sui quattro mercantili ormeggiati in rada li avrebbero decisamente attaccati.
L’esperienza dei precedenti attacchi ci aveva insegnato che in conseguenza dell’attacco in rada l’ostruzione della porta Nord del porto di Gibilterra veniva aperta per permettere a rimorchiatori, vedette e mezzi antisom o di salvataggio, di uscire in soccorso delle navi colpite.
Un nostro siluro pilotato, tipo SSB, partito dall’Olterra alle otto del mattino avrebbe traversato in immersione tutta la rada (sei miglia = tre ore) per trovarsi all’apertura del varco Nord nel momento in cui le ostruzione retali venivano aperte e approfittando del disordine creatosi per gli attacchi in rada e della conseguente distrazione della viglianza interna, avrebbe effettuato l’attacco alla massima nave presente.
La preparazione di questa audace azione era molto avanzata e il Tenente di Vasello Scardamaglia, capogruppo degli MTR, era già munito del biglietto per l’aereo Roma Siviglia che il 9 settembre avrebbe dovuto portarlo in Spagna, per fare dall’Olterra un sopraluogo nella zona dell’operazione, mentre il Tenente di Vascello Jacobacci, che aveva come riserva il TV Pucciarini e come Secondo operatore il Sergente Palombaro Forni, destinati al forzamento del porto, si preparavano da mesi, compiendo con l’SSB in immersione nel golfo de La Spezia, percorsi superiori a quello studiato. L’SSB operativo era stato già spedito sottoforma di pezzi di ricambio per macchinario nell’officina segreta a bordo dell’ Olterra.
L’attacco doveva aver luogo il “2 ottobre 1943”, conclude il Comandante Borghese.
“A questi compiti eravamo intenti, quando la sera dell’ 8 settembre, trovandomi al Comando della X MAS a la Spezia, accesi la radio per sentire il bollettino di guerra e come un fulmine a ciel sereno, la notizia dell’avvenuto armistizio piombò sui nostri progetti, sulle nostre attività, sulle nostre speranze.
In tal modo, io Comandante della X , capo militare di combattenti su tutti i fronti, depositario di importanti segreti e di nuove armi, responsabile davanti al Re ed al popolo delle funzioni militari conferitemi e della vita degli uomini che mi erano stati affidati, appresi dalla voce gracchiante della radio (che avrei potuto anche non aprire) che il Paese per il quale eravamo in armi e combattevamo, era entrato in stato armistiziale.
Nessuno dei miei superiori diretti o indiretti aveva ritenuto necessario darmene, sia pur riservatamente, preventiva comunicazione.
“Mi sembrò strano“.
Invidio Franco Harrauer perchè probabilmente ha avuto la fortuna di conoscere qualcuno di quegli eroi, oggi ormai dimenticati od ignorati dai più.
Ed invece Franco Harrauer,
ha voluto sorprendere te e tutti quelli che seguono le sue incredibili avventure, che in gran parte sono episodi di guerra, realmente accaduti.
Grazie Antonio da parte mia e da parte di franco Harrauer per il tuo commento e per la passione con la quale segui AMB.
Giacomo Vitale
Avevo scritto,
dopo il racconto su New York, che non mi avrebbe sorpreso un racconto intitolato “Mezzogiorno di fuoco a Gibilterra”… ed invece leggerlo è stato una graditissima sorpresa!