O falso Pao de Aqucar – di Franco Harrauer (ultima puntata)
Aggiungo che questo suo ultimo lavoro, di cui mi parlava spesso, dovevamo come sempre rivederlo insieme, ma per impegni di lavoro reciproci abbiamo rinviato il tutto a momenti pià adatti allo scopo. Poi sua inaspettata scomparsa dopo un lungo silenzio durato oltre un anno..
Ho così realizzato da solo questo lavoro e lo dedico alla sua memoria, sperando che sia piaciuto a tutti coloro che amano questo tipo di racconti di guerra che Franco Harrauer descriveva con grandi verità, alternando sapientemente fantasia e realtà, riuscendo ad affascinare i tanti estimatori che ha saputo attrarre con queste sue opere di cui era tanto appassionato.
Ciao Franco, sperando di averti accontentato, ti auguro “Buon vento” nei mari splendidi ed eterni dell’infinito.
Giacomo Vitale
Brasile 1938 – 1943
Il mare a ridosso della grande isola era immobile sotto lo splendore del cielo stellato; un mare che oltre per la la calma della sua superficie, sembrava un grande lago stretto tra la “Cordillera Ilhja Grande” e l’arcipelago di “Angra dos Reis” con le sue centinaia di isole.
Solo verso Sud un varco aperto verso l’Atlantico segnato dalla scia d’argento del riflesso della luna piena.
Dalla superficie immobile emerse silenziosa l’estremità del periscopio del sommergibile “Leonardo da Vinci”. Il tubo d’acciaio salì non più alto di mezzo metro e il suo occhio fece una circospetta rotazione di 360°, tredici metri sotto la superficie del mare, all’altra estremità del tubo d’acciaio l’occhio del Comandante Longanesi che si staccò dall’oculare.
– Mantenere la quota periscopica. Rossi per cortesia dia un’occhiata anche Lei. Sono le 22.30 e dovremo essere nella posizione giusta per rilevare il segnale di terra.
Penso che potremo avvicinarsi ancora un paio di miglia.
– D’accordo Comandante!
– Attanasio comincerà a fare i segnali alle 23.30 con la luce orientata per 300°.
– Bene! Andiamo per la reciproca.. elettrici avanti piano, via così per 120°.
La luce rossa dall’interno della camera di manovra creava una strana atmosfera dando un aspetto spettrale alla gente.
- 70 metri sotto chiglia
- 75 metri
- 65 metri
La voce dell’addetto all’ecoscandaglio risuonava nel silenzio e Longanesi consultando il piano del Golfo di Angra, steso sul tavolo da carteggio alla battuta dei 65 metri, sapeva che a quota periscopica era sulla batimetria di 85 metri e marcò la posizione del battello.
I due marinai ai timoni di profondità con pochi movimenti e tenendo d’occhio la lancetta del grande manometro in mezzo a loro mantenevano la quota, mentre Rossi al periscopio guardava a proravia, alternando rotazioni esplorative all’osservazione del segnale proveniente da terra.
- 50 metri
- 45 metri
- 40 metri
– Comandante, il fondale sale rapidamente – disse il marinaio sempre con lo stesso tono di voce.
- 40 metri
- 35 metri
– Comandante vedo il segnale 10° a dritta!
– Dovremo essere già nell’ombra dell’isola e dalla terra ferma.
– Credo che nessuno possa vederci!
disse Rossi.
– Prepariamoci per l’affioramento – timoni a salire ed aria alle casse di emersione.
Il sibilo dell’aria compressa che espelleva l’acqua si fece sentire e la superficie del mare fu rotta dalla nera torretta che grondante di acqua fosforescente emerse come la pinna di una grande creatura sottomarina.
Longanesi con l’occhio al manometro poco dopo disse:
– Stop aria – ed il battello si stabilizzò in superficie con la sola torretta emersa.
– Andiamo su a dare un’occhiata –
Il Comandante, Rossi e due marinai salirono la scaletta verticale dalla quale, come sempre, aperto il boccaporto cadde una breve pioggia di acqua marina. Ormai erano a ridosso dell’isola a circa un miglio di distanza.
– Vedo a prua il segnale F – A – disse Rossi che impugnava un binocolo notturno.
– Segnalatore, batti ‘L – D – V con la lampada Aldis e poi nel portavoce:
– Emersione completa; imbarcare mille litri nella cassa assetto di prora. Elettrici stop!
Disse Longanesi che voleva una riserva di galleggiamento nel caso avesse avuto dei problemi per disincagliare la prua dalla spiaggia come aveva suggerito Francesco.
– Una squadra armata in coperta con il nostromo e avanti piano con l’elettrico di sinistra.
Il grande sommergibile, ormai tutto emerso nei suoi ottanta metri di lunghezza lentamente entrò nella stretta baia, quasi un fiordo tra rocce a strapiombo, coperte di folta vegetazione.
Francesco vide la nera sagoma del “Da Vinci” avvicinarsi silenzioso alle rocce sulle quali stava aspettando con Bira la canoa con la quale erano arrivati dalla Fazenda e che era sulla spiaggia.
Ormai il battello era a poche decine di metri e si vide la sagoma di Longanesi in torretta che agitava un braccio in segno di Saluto.
Una squadra di marinai, alcuni dei quali armati con fucili mitragliatori Beretta, erano sbucati sul ponte di prua e sollevavano la passerella di legno per disporla verso le rocce.
Il sommergibile si affiancò alle rocce ed alcuni marinai calarono dei grossi parabordi di manila a protezione dei bottazzi. La prua affondò dolcemente nella sabbia della breve spiaggetta ed il “Da Vinci” si fermò, mentre Bira raccoglieva la bozza lanciata a terra per tirare la passerella che era stata già messa di traverso sul ponte del sommergibile.
– Salve Attanasio – disse una voce nota dalla coperta
– Come va con il portoghese?
Francesco riconobbe Rossi che balzò a terra dalla passerella ormai sistemata
– Bene! Ormai possiamo parlare tutti in italiano grazie a Dio!
Poi mentre si stringevano le mani aggiunse:
– Ormai gli ospiti dovrebbero essere qui guidati da Pedro. In attesa del loro imbarco faccia imbarcare i caschi di banane che ho portato dalla fazenda e sono un omaggio di zio Amerigo. Il basilico è in questo cestino.
Poco dopo un mormorio sempre più forte, quasi un coro, si udì provenire dall’alto della montagna e poco dopo una lunga teoria di persone apparve tra gli alberi sul sentiero che scendeva a zig zag… in testa vi era Orfeo Negri con Pedro.
– Mo ben! Guarda chi c’è, il mio ultimo passeggero! Come va Rossi?
– Presto, schnell, schnell!
gridò Francesco verso la coda della lunga fila che sembrava non finire mai, Mentre Rossi, Francesco e Negri si trattenevano sulle rocce per sollecitare l’imbarco. Gli italiani ed i tedeschi percorsa rapidamente la passerella si calavano all’interno del sommergibile attraverso il boccaporto di prua.
Quando tutti furono a bordo Negri e Rossi salirono a loro volta. Francesco abbracciò Pedro e Bira imbarcandosi rapidamente, il nostromo faceva ritirare la passerella sistemandola sotto i paglioli di coperta.
– Comandante, siamo pronti a muovere – disse Francesco rivolto verso la torretta
– Elettrici parti indietro – comandò Longanesi attraverso il portavoce
Francesco sentì vibrare il ponte sotto i piedi, ma il battello non si mosse.
– Elettrici stop, esaurire la cassa assetto di prora!
Poi, dopo pochi minuti di silenzio:
– Elettrici indietro a tutta forza!
La prua con un sussulto lasciò l’abbraccio della sabbia ed il battello iniziò lentamente ad allontanarsi dalla spiaggia.
Una settimana dopo il “Da Vinci” era fermo posato ad alla profondità di ottanta metri, a quattro miglia dalla costa poco ad Est di Rio. Dopo la partenza dall’Ilhja Grande si era incontrato con un sommergibile di supporto germanico che lo aveva rifornito di viveri freschi e nafta, prendendo a bordo gli italiani ed i tedeschi che nel giro di dieci giorni sarebbero stati sbarcati in un porto della Francia occupata.
Francesco sarebbe rientrato a Bordeaux con il battello italiano dopo l’azione di Rio.
Dopo quell’incontro il “Da Vinci” si era diretto nuovamente verso le coste brasiliane per effettuare il previsto forzamento della Baia di Rio de Janeiro.
Il Comandante Longanesi, in camera di manovra, guardò il suo cronometro:
– Sono le 11,50, pronti per l’emersione. Radio: appena in superfice mettiti in ascolto sulla frequenza di Coltano – Supermarina
Il sommergibile emerse silenziosamente e mentre il Comandante, Rossi e Francesco saliti in plancia osservavano la costa lontana che si profilava contro il cielo stellato, l’antenna radio captò un messaggio di Supermarina. Poco dopo un marinaio si affacciò al boccaporto:
– Comandante, un messaggio in arrivo!
Longanesi ordinò l’immersione.
– Scendiamo giù Rossi venga a darmi una mano per la cifra e l’ultimo chiuda la porta!
Disse ridendo ma in cuor suo temeva il contenuto di quel messaggio.
Poco dopo il battello era stabilizzato in quota e Francesco che era di guardia osservava la costa dal periscopio.
Verso Ovest l’alone luminoso delle luci di Rio si stagliava contro il tormentato profilo delle montagna. Sentì la mano del Comandante sulla spalla:
– Attanasio l’azione di forzamento della baia di Rio è stata rimandata indefinitivamente. L’ordine è di rientrare a Bordeaux e già che è al periscopio, dia un’occhiata di addio al Pan di Zucchero che mi pare sia ancora in vista
– No Comandante, siamo troppo ad Est, quello che vedo é il falso Pan di Zucchero (O falso Pao de Aqucar); ho imparato a conoscerlo quando ero sui pennoni della “Colombo”.
“POST SCRIPTUM”
Il sommergibile oceanico “Leonardo da Vinci”, che faceva parte dei battelli italiani operanti nell’Atlantico con l’XI Gruppo operante dalla base “BETASOM” di Bordeaux, detiene il primato di tonnellaggio affondato durante le sue missioni: sedici navi per 116,00 tonnellate, prima di essere affondato a sua volta.
Al comando del Tenente di Vascello Gazzana Priarrogia, mentre rientrava alla base d2, una missione in Oceano Indiano, fu attaccato ed affondato da navi inglesi a trecento miglia ad Ovest di Vigo in Spagna il 25 maggio del 1943 e non vi furono superstiti.
Il “Da Vinci” va ricordato anche per una singolare missione che lo avrebbe visto protagonista nelle acque della “Baia di Rio.
Nell’Aprile del 1942 lo Stato Maggiore della Marina approvò un piano elaborato dall’Ammiraglio Polacchini, Comandante della base di Bordeaux, relativo alla possibilità di forzamento della baia di Guanabara da parte di un sommergibile, non appena il Brasile fosse entrato in guerra.
La data dell’azione sarebbe stata stabilita non appena si fossero verificate le condizioni tattiche e meteorologiche migliori. Il sommergibile prescelto fu il “Leonardo Da Vinci” sia per le caratteristiche di autonomia, anche per quelle di manovrabilità e silenziosità.
L’azione del sommergibile, che era comandato dall’allora Capitano di Corvetta Luigi Longanesi Cattani, doveva essere preceduta alcuni giorni prima da una ricognizione nella baia per stabilire gli obiettivi. Un ufficiale italiano sarebbe sbarcato di notte con un battellino pneumatico sulla spiaggia di Itaipù all’esterno della baia e in abiti civili avrebbe raggiunto la zona portuale di Rio per marcare la posizione dei bersagli e le eventuali difese e sbarramenti.
Il reimbarco dell’informatore sarebbe avvenuto quattro giorni dopo nella stessa località.
Successivamente il sommergibile si sarebbe portato in immersione tra l’isola di Cotunduba e la Praia Vermelha, dove su un fondale di venti metri avrebbe atteso le ore di oscurità per emergere. Questa posizione era stata scelta in quanto tra la Cotunduba e l’isola du Pai veniva eseguito un “pendolamento” di guardia da parte di un cacciatorpediniere.
In effetti si trattava di un vecchio caccia le cui caldaie alimentate da carbone di pessima qualità emettevano una enorme quantità di fumo ed era di guardia all’ingresso della baia. I “carioca” di una certa età lo ricordano ancora con l’affettuoso nome di “Fumando espero!”.
Il “Da Vinci” sarebbe emerso in affioramento con i motori elettrici ed entrato nella baia sfruttando la corrente di marea, passando l’isolotto fortificato di Laje e rasentando gli strapiombi sottomarini, sotto il “Pao da Acucar” con una breve immersione a quota periscopica per evitare le unità di guardia nel punto più stretto dell’entrata, si sarebbe spinto in affioramento fino ad un punto a mezzo miglio per 90° dalla “Ponta do Armacao” a Niteroi.
Da questo punto si poteva lanciare una prima salva di quattro siluri e dopo una virata di 180°, un ulteriore lancio di altri quattro siluri con i tubi poppieri. I bersagli a ottomila metri sarebbero stati rappresentati dai numerosi piroscafi del porto mercantile e le unità da guerra ancorate all’arsenale dell’Isola das Cobras.
A questo punto il piano prevedeva che, all’allarme dei dispositivi di difesa sarebbe stata preferibile una navigazione di disimpegno in totale emersione, sia per poter sfruttare in pieno la velocità di 18 nodi ottenibile con i motori termici, sia per potersi difendere con l’artiglieria e con le mitragliere dalla prevedibile reazione che si sarebbe scatenata. L’uscita dalla baia poteva essere facilitata dalla corrente di marea che nelle ultime ore della notte sarebbe stata nulla o favorevole.
Il “Servizio Segreto della Marina Italiana” aveva accertato che la baia non era chiusa da ostruzioni retali e che la prevedibile vigilanza poteva essere elusa con particolari tecniche di navigazione sperimentate in azioni di forzamento di Gibilterra ed altri porti. Inoltre, il forzamento di Rio de Janeiro presentava molte analogie con quello effettuato dall’U 47 di Prien a Scapa Flow, di cui la sua esperienza era stata messa a disposizione del Comando Betasom dall’alleato tedesco.
Le informazioni si rivelarono a posteriori errate, in quanto la marina Brasiliana mise in opera uno sbarramento tra l’isola di Villagagnon e Niteroi.
Possiamo supporre che la posa di questo sbarramento avrebbe compromesso l’azione. Tuttavia, la progettata missione del “Da Vinci” non venne mai effettuata poiché altre necessità premevano di giorno in giorno, man mano che il tempo passava e la posizione delle potenze dell’asse da offensiva diventava difensiva e si faceva sempre più critica.
Sarebbe stata un’azione che avrebbe avuto più un significato dimostrativo che pratico. Infatti, era stata ideata subito dopo la Conferenza di Rio nella quale gli stati sudamericani, con esclusione dell’Argentina e sotto le pressioni politiche economiche, proclamarono la loro “solidarietà” agli U.S.A., senza una esplicita dichiarazione di guerra.
In quella occasione il Governo Brasiliano, con un atteggiamento contrario alle regole del diritto internazionale e alla propria dichiarazione di neutralità, concesse le proprie basi navali ed aeree del Nord Est alla Marina Americana che vi si istallò a Recife gli incrociatori “Onaha” e “Milwaukee”, con quattro cacciatorpediniere e la nave appoggio aerei “Trush”, più un paio di squadriglie di aerei.
Il sommergibile “Leonardo da Vinci” mancò così una delle straordinarie imprese caratteristiche dello spirito aggressivo della Marina Italiana.
Tutte le notizie relative al forzamento del porto di Rio sono desunte dai documenti ufficiali in possesso dell’Ufficio Storico della Marina Militare Italiana e dai ricordi dell’amico scomparso “Capitano di Corvetta Athos Fraternale”, Comandante del sommergibile “Morosini”, dell’XI gruppo che operò da Betasom e partecipò alla stesura del piano di forzamento ed al quale dedico questo scritto.
Di questi ricordi la cosa che mi colpì di più, ma credo fosse una “boutade” di Athos, fu che nella scelta del
volontario che doveva sbarcare per quattro giorni a Rio per identificare i bersagli si sarebbe prevedibilmente verificata una entusiastica gara per la partecipazione tra i giovani ufficiali del “Da Vinci”.
Spirito di avventura? Senso del dovere?… No! Il Comandante Fraternale mi disse che si sarebbe offerto volentieri anche lui se fosse stato imbarcato sul “Da Vinci”. La missione era prevista per il periodo del Carnevale di Rio!
Franco Harrauer
Il Cairo Agosto – Settembre 2001
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