“O misterio das amphoras” di Franco Harrauer
Sappiamo tutti che nell’anno 1492, un certo Colombo Cristofoto di professione navigante e pare nativo di Genova, veleggiando in Atlantico da Est ad Ovest si imbatté casualmente in un continente che anni più tardi prese il nome del conterraneo Vespucci Amerigo.
E’ la Storia!
Recentemente abbiamo appreso che molti anni prima del Comandante Colombo e precisamente cinquecento anni prima, un folto gruppo di vikinghi con a capo un certo Olaf, che lasciò moglie e figli in Norvegia, mettendosi in testa un elmo di circostanza per raggiunse il “Nuovo Continente” sbarcando sulle coste della Virginia, ove pare sia stata scoperta una stele con iscrizioni, riprendendo moglie.
Anche questo episodio è diventato Storia!
Pertanto, non mi meravigliai molto quando nel 1982 lessi su un giornale italiano una notizia riportata dal Times e da fonti americane, secondo la quale nelle acque della baia di “Rio de Janeiro” erano state trovate anfore di indubbia origine greca o fenicia.
L’evento lasciava supporre che Amerigo Vespucci ed il suo collega portoghese Cabral Francisco fossero stati preceduti qualcosa come cinquecento anni prima nella scoperta del “Continente Americano”.
Sapevo che i Cartaginesi mille anni prima di Cristo avevano varcato le “Colonne d’Ercole” e colonizzando le coste portoghesi si erano spinti sino alle Azorre ed a Sud lungo le coste Africane fino quasi all’Equatore.
Nessuna meraviglia quindi se favoriti dagli Alisei gli audaci navigatori avessero raggiunto le coste del Brasile per poi randeggiare verso Sud sino alla “Baia di Rio” come d’altronde ipotizzava anche il famoso naturalista e geografo Alexander Von Humboldt.
Mi venne anche in mente che un paio di anni prima, durante uno dei miei primi viaggi in Brasile ove lavoravo con l’amico Amerigo Santarelli, ero andato a
vedere ai piedi del famoso “Pan di zucchero“ la caratteristica montagna di pietra che sovrasta la “Baia di Guanabara” che si apre nella più vasta “Baia di Rio”. Un misterioso graffito a malapena visibile, ma chiaramente inciso in caratteri che ricordavano quelli che avevo visto a “Mozia” nello Stagnone di Marsala sui relitti di una nave fenicia ritrovata.
I graffiti erano stati scoperti dal geologo e storico Ladislao Neto e secondo l’insigne archeologo Bernardo Da Silva Ramos la loro inquietante interpretazione suonerebbe così:
“Siamo figli della terra di Canaan e navigato… su noi pesano la sventura e la maledizione… abbiamo invocato invano i nostri dei, essi ci hanno abbandonato e presto moriremo disperati. Oggi è il decimo anniversario dell’infausto giorno in cui sbarcammo su questa riva, il caldo è atroce, l’acqua è fetida e l’aria è piena di insetti. I nostri corpi sono pieni di piaghe. O Dei aiutateci… Tiro, Sidone, Baal”.
L’iscrizione era appena visibile sulla nera roccia dietro le ultime case dell’Urca, il quartiere elegante di Rio ove ha sede lo Yacht Club. Una zona che in un passato recente era una palude tropicale.
A non più di mezzo miglio, al centro dell’insenatura di Guanabara, sono state trovate le anfore su un fondale di circa trentacinque metri.
Nel 1983, mentre ero a Rio, vidi a casa di Amerigo una delle famose anfore, anzi per la verità ne vidi due, bellissime nelle loro incrostazioni di conchiglie e le fotografai.
Erano li davanti a me, prova della sensazionale notizia che qualche anno prima aveva percorso il mondo.
Fu così che l’amico “Amerigo Santarelli” mi raccontò la vera storia della “Descoberta do Brasil” e del “Misteiro das Amphoras“.
Una storia che ormai da anni si trascinava con alterne clamorose farsesche vicende nelle quali Amerigo cercava inutilmente di ristabilire la verità; una verità che la storia e la scienza ufficiale avevano un po’ affrettatamente rifiutato di accettare nell’entusiasmo di una scoperta che la stampa internazionale aveva definito “la scoperta del secolo più importante del tesoro di Tutankamon”.
All’amico Amerigo, che era un grande sportivo subacqueo, primatista di immersioni in apnea dopo Raimondo Bucher e prima si Maiorca, mentre stava scrivendo un libro sulle tecniche di immersione e sulle sue esperienze di subacqueo, consigliai di aggiungere un capitolo in chiusura del libro raccontando la verità che non riusciva a far conoscere.
Gli feci anche un disegno che è riprodotto in “Supersub“ e che rappresenta una nave fenicia in arrivo nella baia di Rio, per buona misura sulla vela degli audaci e sfortunati esploratori raffigurai lo stemma della Cobra, la società di prodotti sub di Amerigo Santarelli. In cambio seppi una piccola verità supplementare, cioè quale delle due anfore era l’autentica.
Oggi Amerigo non c’è più è caduto con il suo idrovolante (una passione che avevamo in comune) nel mare di Angra doss Reis. Conosco la ”piccola“ verità, ma voglio trascrivere integralmente, salvo una piccola nota, dal libro “Supersub“ questa curiosa storia con le parole di un indimenticabile amico.
Ecco cosa descrive nel libro “Supersub” Amerigo Santarelli:
“Nell’anno 1960 partecipai ad una crociera nel Mediterraneo a bordo del “Terror do Mundo” dell’amico Jacobacci con l’obiettivo di preparare un documentario per la televisione.
Fu un buon lavoro che tra l’altro comportò il ritrovamento di una nave oneraria fenicia a cinquantacinque metri di fondo al largo dell’isola di Filicudi. Riuscimmo a recuperare una ventina di anfore che arricchirono il “Museo di Lipari” e la rivista “Mondo Sommerso” pubblicò un bel reportage sul numero di ottobre.
A quell’epoca avrei voluto portare in Brasile una di quelle anfore, ma le leggi di protezione del patrimonio storico italiano non me lo permisero e come ricordo rimasero le mie belle foto e quelle di Claudio Ripa, scattate da quell’indimenticabile maestro dell’immagine subacquea che era Victor de Santis.
Amerigo adesso puoi dirlo: lo so che sei riuscito a portare una di quelle anfore in Brasile!! Di ritorno in Brasile decisi di tentare la fabbricazione e quindi una imitazione di quelle anfore per poi decorare la mia casa che che avevo intenzione di farmi ad Angra.
Basandomi sulle foto feci fare un disegno in scala e mi attivai per cercare qualcuno disposto a fabbricarmi quegli strani vasi.
Trovai finalmente a San Goncalo, dall’altro lato della baia, un portoghese con una piccola fabbrica di ceramiche.
Il povero uomo non sapeva che fabbricando i miei vasi da fiori dava inizio ad un processo di contestazione della scoperta del Brasile, mettendo in dubbio le glorie di uno dei navigatori storici, oltretutto suo compaesano: Pedro Avarez Cabral.
Il prezzo dei vasi era talmente a buon mercato che decisi di farne fare una ventina per compensare eventuali rotture e perdite nell’operazione di posa e recupero dal fondo del mare e per regalarne agli amici, cosa che poi feci.
Per conferire alle anfore un aspetto più veritiero intendevo collocarle in fondo al mare e perciò scelsi un posto su un fondale con acque molto scure nella “Baia di Guanabara” ove non correvano il rischio di essere scoperte da qualche sub. Dopo una decina d’anni ne recuperai un paio per decorare il mio studio: erano perfette!
Abitualmente non leggo i giornali, ma quando pochi anni dopo mio figlio Marco, interpellato per procurare alcuni strumenti elettronici per la ricerca, mi raccontò che servivano per localizzare una nave fenicia in fondo alla baia mi sentii morire dal ridere.
Le mie anfore erano state ritrovate ed erano state riconosciute come autentiche, confermando la presenza di navi greche o fenicie in Brasile prima della sua scoperta.
Quando mi resi conto che ciò avrebbe potuto rappresentare un mutamento nella storia del Brasile, tentai inutilmente di avvisare gli interessati circa la vera origine delle anfore. Percepii immediatamente che nessuno era disposto a credermi.
I fatti si erano svolsero in questo modo:Nel 1986 un subacqueo andando a caccia di prede trovò le mie anfore. Esse furono recuperate ed esaminate da tecnici ed archeologi che arrivarono ad opposte teorie.
Come riportava la rivista “Visao“, da quel momento cominciò una telenovela piena di misteri ed intrighi che coinvolsero il Prefetto di Rio Tamoyo ed il vecchio direttore del patrimonio artistico nazionale ”Marcelo Ipanema” che lasciava ai professori dell’istituto di archeologia brasiliana il compito di pronunciarsi sull’autenticità dei reperti.
La faccenda si trasformò in un caso politico e la lite tra Tamoyo e Ipanema si concluse con le dimissioni di quest’ultimo e di tutti i funzionari responsabili dell’Istituto del patrimonio archeologico nazionale.L’ autorevole rivista “Manchete”, in un reportage intitolato “O misteiro das amphoras grecas“, riportava che un frammento di una delle anfore era stato sottoposto ad analisi chimiche da parte dello “Smithsonian Institute” di Washington e che i tecnici erano arrivati anche alla conclusione che le anfore erano autentiche in quanto nel continente Sud Americano non esisteva quel tipo di argilla.
Il quotidiano “O Globo“ del 23/24 settembre confermava la presenza in Brasile dell’Archeologo Robert Framk Marxs, responsabile di 26 spedizioni di ricerca archeologica subacquea ed autore di trenta libri, che nella certezza dell’autenticità della scoperta, aveva costituito la Società “Fenicia Pes quisas Archeologicas Ltd “, aveva importato dagli USA le attrezzature di ricerca e aveva chiesto alla Marina Brasiliana i diritti di esplorazione nella zona.
Il “Jornal do Brasil“ del 26 settembre 1982 riconfermava l’autenticità delle “mie“ anfore dopo un’esame di termoluminescenza eseguito dall’Istituto di Energia Nucleare dell’Università Federale di Rio de Janeiro.
La sensazionale notizia fece in breve il giro del mondo e grande fu la mia sorpresa quando nell’ottobre del 1982 al Salone Nautico di Genova il mio amico Franco Harrauer mi chiese notizie e mi fece vedere i giornali italiani.
Intanto le ricerche continuavano e quando fu annunciato l’arrivo di una equipe del “National Geographic Magazine”, da parte mia non so sinceramente quando e come sarà ristabilita la verità. Immaginate se questa casuale scoperta fosse avvenuta in un futuro senza la mia testimonianza.Tutta la storia ispira una sconcertante riflessione di quante falsità è piena la storia dell’umanità e per questo, prima di passare per bugiardo e disonesto, desistei dall’inutile tentativo di informare gli interessati ed ho preferito raccontare a voi lettori miei la vera storia della maggiore scoperta archeologica del secolo che potrà essere confermata da “uno” degli esemplari di anfora oggi ancora in mio possesso.
E per voi tutti, acque chiare e buona immersione!
Articolo di Franco Harrauer scritto per AMB ad agosto 20013 con la testimonianza di quanto descritto da Amerigo Santarelli e pubblicato nel libro “Supersub“.
Il suggestivo disegno pubblicato in questo articolo è dell’architetto Franco Harrauer e rappresenta una nave fenicia in arrivo nella baia di Rio (pubblicato sul libro “Supersub”)
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