Sommergibile Nautilus
di Franco Harrauer
Nautilus: genere di mollusco cefalópode, tetrabranchiato, sopravissuto al Mesozóico… Questo nome ha sempre esercitato uno strano fascino sui costruttori di mezzi sottomarini. Suggestione forse dovuta al suo complesso e mirabile sistema di equilíbrio idrostatico che ispirò nell’Ottocento a Jules Verne il suo “Ventimila leghe sotto i mari” nel quale il suo autore diede questo nome all’avveniristico sottomarino del Capitano Nemo e ne suggerì il suo funzionamento subacqueo.
Sin dai primordi della navigazione subacquea questo nome ricorre con insospettata frequenza. Forse il primo vero Nautilus è quello ideato da Robert Fulton e costruito nel 1800 dalle officine dei fratelli Perrier a Parigi, offerto e rifiutato sia da Napoleone che dall’Ammiragliato Britannico.
I Nautilus di Fulton furono costruiti in tre esemplari, sempre più perfezionati, ma sempre precocemente in anticipo sui tempi. Troviamo altri Nautilus nella “Marina Nazionale Francese” con una unità della classe
“Turquoise“, costruita nel 1929 nell’arsenale di Tolone ed affondato a Biserta nel ’43
e nella Regia Marina Italiana con due battelli, uno della classe 600, tipo Argonauta varato nel 1932 che, successivamente, prese il nome di “Serpente“ e si affondò a circa cinque miglia fuori Numana, il 12 Settembre del ’43, per sottrarsi alla cattura tedesca. L’altro della classe Flutto, varato a Monfalcone nel 1943, catturato dalla Kriegs Marine dopo l’autoaffondamento a Venezia all’atto dell’armistizio e successivamente riaffondato a Pola e recuperato dalla Marina Jugoslava nella quale prestò servizio con il nome di “Sava“.
Nel 1911 la Marina Americana diede il nome “Nautilus“ ad un sommergibile della classe “H“ e successivamente nel 1930 al suo incrociatore sommergibile “SS 168” che sopravvisse alla Seconda Guerra Mondiale durante la quale si distinse per le sue audaci e fruttuose azioni, tra le quali l’incursione dei celebri “raiders“ di Carlson nell’isola di Makin.
Indubbiamente, dopo quello del Capitano Nemo, l’unità più celebre e conosciuta è il Nautilus “SSN 571” esposto al Submarine Force Museum di Groton, il primo vero sottomarino e non “sommegibile“ che valendosi della propulsione nucleare rivoluzionò la strategia navale.
La fortuna arrise o fu avversa alle molte unità che portarono questo nome. Forse
poche persone che si occupano di “cose di mare“ sono a conoscenza di un altro “Nutilus“, forse il battello sottomarino più anticonvenzionale e strano che sia diventato operativo e che ha con il suo successore “SSN 571” una sorprendente analogia. Il tentativo di raggiungere il Polo Nord in immersione, tentativo felicemente riuscito solo all’unità nucleare americana il 3 agosto 1958 e ripetuto dallo “Skate SSN 578”, con una crociera subacquea di 2405 miglia sotto la banchisa polare durata 10 giorni e 14 ore.
Furono per primi gli “U Boot” tedeschi che applicarono e perfezionarono la tecnica della navigazione sotto i ghiacci.
Nel 1943, durante le fasi più acute della battaglia ai convogli artici alleati diretti a Murmansk e carichi di rifornimenti diretti ai sovietici, alcuni comandanti tedeschi attuarono una nuova forma di attacco alle navi che, per sfuggire alla loro insidia randeggiavano la banchisa polare per avere almeno un fianco protetto.
All’inizio fu il caso.. un battello tedesco per sfuggire alla caccia di due corvette britanniche si rifugiò sotto il pack ove non poteva essere raggiunto e attese che il pericolo fosse passato.
In seguito altri comandanti trovarono comodo rifugio sotto i ghiacci e fecero emergere i loro battelli nelle “polynias“, i laghi della banchisa ove potevano ricaricare le batterie ed attendere il momento propizio per l’attacco.
Ovviamente, queste puntate sotto la banchisa si effettuavano in una fascia massima di una ventina di miglia, perché i sommergibili erano “ciechi” e dovevano navigare sfiorando la crosta inferiore dello strato di ghiaccio. Per questo tipo di navigazione si scoprì che l’assetto migliore era con il battello appoppato di 10°, in modo da “tastare“ con la prora il ghiaccio ad una velocità di due o tre nodi. In alcuni casi per sfuggire all’osservazione aerea, quando lo spessore del ghiaccio non era notevole, lo si sfondava con lo snorkel ed il battello poteva rimanere immerso e respirare al sicuro.
Voglio ricordare, a titolo di curiosità, ma anche con un certo orgoglio, che negli anni intorno al 1930 la Marina Italiana progettò una spedizone sottomarina al Polo Nord. Uno degli ideatori di questa impresa fu Teseo Tesei, un uomo che molti anni dopo fece olocausto della propria vita nel tentativo di forzamento del porto di Malta.
La spedizione italiana, che sarebbe stata guidata dal Comandante Mariano, già ufficiale di rotta del dirigibile “Italia“ di Umberto Nobile (1928), prevedeva che il battello in immersione sotto la banchisa potesse forare il ghiaccio con una specie di periscopio a trivella per potersi rifornire d’aria.
A tale scopo Tesei fece delle prove presso l’Arsenale di La Spezia con speciali periscopi in azione entro cassoni pieni di ghiaccio. Periscopi anche a forte diametro, in previsione di poterlo usare come passaggio.
Alla luce di queste poche notizie sarebbe interessante fare una ricerca approfondita
presso gli Archivi Storici della nostra Marina, per ricostruire i particolari di questa spedizione e stabilire una priorità o anche un collegamento tra le due idee che sembra siano contemporanee.
Nel 1931, dopo un paio di anni di preparativi partì da New York la spedizione del “milionario/esploratore” Wilkins Ellswort, diretta al Polo Nord, via Panama, Pacifico, stretto di Bering, imbarcata sul sommergibile “Naitilus“.
Lo scopo del viaggio era la traversata della calotta artica in immersione con sosta ed emersione al polo geografico e una serie di osservazioni, nonché lo studio di usare i sommergibili per il trasporto sulle rotte polari, che come è noto sono le più brevi tra i centri commerciali dell’emisfero boreale.
Il vero ispiratore del progetto fu Simon Lake, pioniere della navigazione sottomarina e costruttore di sommergibili, che molti anni prima aveva fatto navigare a scopo sperimentale un suo battello, il “Protector“, sotto la superficie gelata della baia di Newport.
Il “Nautilus“ era l’ex sommergibile della Marina Americana <0-12> costruito nei cantieri dello stesso Lake, la Lake Torpedo Boat Company di Bridgeport e destinato alla demolizione in base alle disposizioni sul disarmo del Trattato Navale di Londra.
La Marina Statunitense lo affittò per la somma simbolica di un dollaro alla società Lake & Danenhower che ne curò la trasformazione.
La fisionomia del battello cambiò completamente perché demolita la torretta fu costruita una sovrastruttura non stagna, che correva sullo scafo resistente da prora a poppa e che avrebbe facilitato la navigazione sotto la banchisa.
In questa carenatura a libera circolazione furono alloggiati numerosi apparati speciali, tra i quali all’estrema prora un bompresso paraurti idraulico per attutire e prevenire la collisione contro i ghiacci o gli ostacoli sommersi che comunque non avrebbero danneggiato seriamente lo scafo, perché tutta la parte prodiera, tubi lanciasiluri compresi, era stata riempita con blocchi di legno di quercia e cemento.
Sul dorso del “Nautilus“ era stata istallata una coppia di pattini azionati idraulicamente allo scopo di “scivolare“ sul soffitto durante la navigazione sotto la banchisa.
I pattini sarebbero stati coadiuvati in questa fase da una grande ruota sollevabile idraulicamente.
Nella ex camera di lancio di prora venne ricavato un compartimento stagno allagabile per la fuoriuscita dei palombari che avrebbero dovuto prelevare campioni del fondo marino o provvedere ad eventuali riparazioni dello scafo.
Una identica camera venne istallata sopra il locale alloggi con fuoriuscita sul ponte di coperta, qualora si fosse presentata l’impossibilità di emergere in un canale sgombro dai ghiacci o in una “polynia”. Il Nautilus era attrezzato con uno “snorkel a trivella per l’introduzione di aria nello scafo e di uno simile per lo scarico dei gas dei motori. Infine, una torretta telescopica, il cui boccaporto era munito di una testa a fresa azionata elettricamente era capace di perforare sei metri di ghiaccio, attraverso il quale l’equipaggio avrebbe potuto uscire sulla banchisa.
Il Nautilus era equipaggiato con laboratori per vari generi di ricerca, tra i quali una apparecchiatura Meinesz per la misurazione della gravità, di un laboratorio cinefotografico per lo sviluppo di riprese subacquee ed aeree, queste ultime con un pallone frenato.
Il Nautilus avrebbe dovuto salpare da un porto del Pacifico e dopo aver attraversato lo stretto di Bering avrebbe dovuto cominciare a navigare immerso in prossimità di Punta Barrow seguendo una rotta che lo avrebbe portato nell’arcipelago della Nuova Siberia , una regione sino ad ora inesplorata e successivamente verso la Groenlandia dopo essere passato per il Polo.
Il viaggio si sarebbe dovuto concludere a Londra dopo le tappe allo Svalberd e Berghen in Norvegia. Usiamo il condizionale perché in realtà il sommergibile riportò una gravissima avaria ai timoni di profondità durate una delle primissime immersioni sotto i ghiacci oltre lo stretto di Bering.
A nulla valsero le riparazioni effettuate con i mezzi di bordo. Il Nautilus volse la prua a Sud e malgrado tutto non tornò più ad affrontare i ghiacci polari. Si attesero ventisette anni, prima di vedere un nuovo Nautilus passare sotto la banchisa del Polo Nord.
CARATTERISTICHE PRINCIPALI DEL NAUTILUS 1931
- Lunghezza fuori tutto: 53,34 m
- Larghezza max.: 4,57 m
- Immersione: 4,50 m
- Dislocamento in superficie: 550 tonn.
- Dislocamento in immersione: 626 tonn.
- Velocità in superficie: 14,10 nodi
- Velocità in immersione: 8,00 nodi
- Autonomia in superficie: 7326 Nm
- Autonomia in immersione: 125 Nm
- Motori: 2 Diesel Busch Sulzer da 500 HP
- Motori: 2 Elettrici Diehl da 200 HP
- Accumulatori: Exide WL 43 da 500 Amp
- Equipaggio compresi i ricercatori: 19 unità
Articolo pubblicato sul periodico No Limits 1996 e qui riprodotto per g.c. dell’autore Franco Harrauer
- “AL POLO NORD IN SOTTOMARINO“
Sir Huber Wilkins
Editori Fratelli TREVES Milano – 1931 - “IL NAUTILUS con i pattini da ghiaccio“
Franco Harrauer
Edizioni NO LIMITS – Milano Dic. 1996
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