L’aquila e il delfino
di Franco Farrauer
…visto che anche noi potremmo costruire come la Marina queste imbarcazioni d’assalto e che comunque dovremmo rischiare i nostri uomini e gli aerei per portare a termine le missioni, tanto vale che questo tipo di attacco si possa affidare a uomini dell’Aeronautica debitamente preparati, senza complicare le cose con la chiamata in causa della Marina e con la conseguente coda di piani, comunicazioni, coordinamenti, allenamenti e intese tra le entità distinte delle due nostre Forze Armate.
In questa missiva del 1936 scritta dal Generale Giuseppe Valle, Capo di Stato Maggiore della Regia Aereonautica, indirizzata al Generale Amedeo Duca d’Aosta, traspare un larvato tentativo di seduzione ed un amore non corrisposto tra la giovane Aeronautica e la tradizionale Marina.
In realtà il problema stava nello scontro tra le due Armi, “Blu“ e “Azzurra“ sulla questione sempre più sentita e necessaria di una Aviazione di Marina. Ottuso scontro che si protrasse con imbarazzanti e nefasti episodi fino al dopo guerra.
Nel 1935, in piena crisi etiopica, con la “home fleet“ trasferita nel Mediterraneo e la minaccia di uno scontro armato tra l’Italia e l’Inghilterra, Amedeo Duca d’Aosta, Comandante e pilota dello stormo da caccia con sede a Campoformido, compilò insieme al cugino Ammiraglio Aimone Savoia Aosta Duca di Spoleto ed in stretta collaborazione con i Capitani di Fregata Giorgi e Margottini, la seguente “proposta / promemoria” indirizzata allo Stato Maggiore della Regia Marina.
Sei piccoli motoscafi leggeri e veloci (40 nodi, forniti di una carica esplosiva di tritolo da circa Kg 300 – testa di un siluro) vengono sospesi a sei idrovolanti “Savoia Marchetti SM 55” Atlantici, sistemandoli tra gli scafi.
B) Una notte di mare calmo i sei idrovolanti trasportano i sei motoscafi nei pressi della base navale da attaccare, ammarando in mare aperto ad una distanza di una decina di miglia da terra in modo da escludere la possibilità di un preventivo allarme da parte della vigilanza nemica.
C) Messi a mare sganciandoli dagli aerei, i sei motoscafi si dirigono verso la base nemica con una navigazione silenziosa. Raggiunta l’imboccatura del porto, il capofila dirige a tutta forza contro l’ostruzione distruggendola localmente.
D) I motoscafi seguenti passano attraverso il varco aperto nella ostruzione e la cui ubicazione sarà resa manifesta da un segnale luminoso lasciato in mare dal primo motoscasfo assieme al timoniere. In caso esistesse una seconda ostruzione, il secondo motoscafo ripete l’operazione distruttiva già fatta dal capofila.
E) I rimanenti motoscafi penetrati nel porto dirigono per investire la navi alla fonda a 50 / 100 metri dal proprio bersaglio. Ogni timoniere si getta a mare, mentre il motoscafo prosegue esplodendo all’urto contro la nave.
F) Nulla vieta che l’operazione sia eseguita con più motoscafi (nove/dodici) ed anche ripetuta a breve intervallo, non essendo facile predisporre in pochi giorni una difesa proibitiva
Il documento termina con la frase: “Il presente studio è stato compilato dai sottoscritti insieme con i Capitani di Fregata Giorgis e Margottini. E’ vivo desiderio di tutti e quattro, in caso di favorevole accoglimento, di essere prescelti per la sua attuazione pratica.
Dato il momento di particolare tensione politica internazionale, la Marina andava alla ricerca di ogni nuova arma che potesse in qualche modo compensare la situazione di inferiorità nei confronti della flotta britannica in caso di guerra. Il progetto fu accolto con molto interesse, ma i “sottoscritti“ non furono mai prescelti per questa operazione che, sia pur con il senno di poi, avrebbe potuto rappresentare una Pearl Harbour mediterrane con conseguenze inizialmente risolutive o comunque imprevedibili.
La sorte volle diversamente e Margottini cadde al comando del suo cacciatorpediniere “Artigliere“ la notte del 12 ottobre 1940. Giorgis cadde al comando dell’incrociatore “Fiume“, nella tragica notte di Capo Matapan del 29 marzo del 1941. Aimone di Savoia non ebbe il conforto del riposo nel mare d’Italia e Amedeo d’Aosta morì prigioniero e fu sepolto in Africa dopo l’eroica difesa dell’Amba Alagi.
Il 29 febbraio 1936 l’ingegner Vittorio Baglietto, dell’omonimo cantiere costruttore dei MAS, fu incaricato della progettazione e costruzione di un piccolo motoscafo (mt.4,70) per velocità non inferiore a 30 nodi, ufficialmente denominato M.A.T. (Motoscafo Avio Trasportato), ma classificato come M.A. (Motoscafo Assalto), poi conosciuto come “barchino“, imbarcazione che con un motore Alfa Romeo 2300 da 90 HP, durante le prove di Varazze, il 23 novembre 1936, raggiunse i 32,4 nodi con un dislocamento di 1050 Kg, poi portati a 950 (compresi 300 Kg di esplosivo)
Contemporaneamente fu allestito un simulacro per le prove con l’idrovolante “Savoia Marchetti SM 55”, che fu inviato all’idroscalo di Orbetello il 23 marzo del 1936. E’ prevedibile che sia stato preso in considerazione, come vettore, anche il nuovo “Cant Z 506”, in quanto l’ SM 55 a quella data aveva concettualmente già più di dieci anni di onorato servizio, comunque la limitata altezza utile del tunnel tra i galleggianti, circa un metro a pieno carico, rendeva critico l’aggancio e lo sgancio del barchino che con un’altezza di costruzione di mt.0,60 sfiorava l’altezza del mare.
Le prove a Orbetello, condotte anche in mare, con il massimo riserbo confermarono questi inconvenienti, specialmente nelle fasi di flottaggio iniziale e decollo quando l’imbarcazione veniva investita dall’incrocio delle onde provocate dalla prua dei galleggianti. Inoltre dovendo far coincidere il Centro di Gravità della struttura al barchino e la sospendita con il dispositivo di sgancio alla struttura del longherone alare del velivolo, si rese necessario lo studio di carenature “a perdere“, per raccordare aerodinamicamente il carico al profilo dell’ala.
A questo punto è lecito supporre che il Generale Valle, viste le difficoltà e sentendo scappare l’osso, abbia indotto e sollecitato l’ingegner Zappata dei CRDA ad esplorare e studiare la possibilità di alloggiare i barchini nel vano di carico del “Cant Z 506 B” che, oltre a caratteristiche di velocità ed autonomia più attuali, presentava una architettura più favorevole. Ma l’Aereonautica perse definitivamente l’interesse a questo “sistema d’arma“ quando nel 1939 la Marina, con il nome di copertura di “1a Flottiglia MAS”, successivamente “X Flottiglia MAS”, costituì l’unità operativa dei nuovi mezzi d’assalto e per ovvie esigenze chiese di modificare radicalmente le caratteristiche del MAT, che divenne “M.T. 2a Serie” e successivamente nel 1942 “M.T.M. 4° Serie”.
La lunghezza arrivò ad oltre sei metri con un’altezza di costruzione di 1,40 ed un peso di 1200 Kg. La coperta, inizialmente in tela, venne sostituita da una in compensato e alluminio. Il motore, che era coricato di 90°, venne raddrizzato ed il posto di guida venne protetto da uno scudo, munendo il pilota di uno zatterino.
La palmola di contatto, come nel prototipo, faceva esplodere una serie di cariche “tranciabarchino“ che provocavano l’affondamento della parte anteriore dell’imbarcazione, con la detonazione della carica principale ad una certa profondità determinata dal piatto idrostatico. Furono costruiti circa 180 barchini commissionati oltre che al Cantiere Baglietto, anche alla SIAI Savoia Marchetti, ma tutti i gruppi propulsivi e di comando erano studiati e prodotti dalla CABI Cattaneo.
Questo gruppo aveva la particolarità di ruotare di 90° e disporsi dietro lo specchio di poppa per permettere il superamento delle ostruzioni; inoltre le due eliche coassiali annullavano l’effetto “coppia“ e permettevano una rotta stabile e rettilinea fino al bersaglio.
Il primo impiego dei barchini esplosivi fu coronato da un grande successo nel mese di marzo del 1941 nella baia di Suda a Creta, dove sei MT guidati dal Tenente di Vascello Faggioni, colpirono ed affondarono l’incrociatore “York“ e la petroliera “Pericles“.
Fu il primo di una lunga serie di azioni della “X MAS” che con i suoi piccoli mezzi subacquei e di superfice non modificò l’esito della guerra, ma diede fino alla data dell’armistizio come contributo, l’affondamento di oltre 270.000 tonnellate di naviglio nemico.
Bibliografia e fonti:
- I mezzi d’assalto della Marina Italiana
Bagnasco – Spertini – Abertelli - 100 uomini contro due flotte
di V.Spigai
Edizione Tirrena – Livorno
- Attacco dal Mare
Giorgerini
Le scie Mondadori
- Aereofan
Es Apostolo Milano
Altomareblu – Tutti i diritti riservati. Note Legali
Carissimo Sergio,
ti ringrazio per la tua preziosa collaborazione storica che mette in evidenza personaggi semplici, ma sicuramente incisivi che hanno segnato la storia della nostra marineria, progettando e costruendo barche performanti a livello agonistico, ma soprattutto belle, così come anticipi nel tuo graditissimo commento.
Insieme agli appassionati lettori di AMB di questa tipologia di barche restiamo in attesa della tua preziosa testimonianza a “Mastro Caviglia”, così come il prematuro scomparso campione di vela “Giorgio Zuccoli”, tutte persone animate da una grande passione per il grande elemento e per le barche a vela classe SI.
Un caro saluto,
Giacomo Vitale
Carissimo Giacomo,
lasciami qualche settimana e cercherò di soddisfare la tua curiosità e quella dei “nostri” lettori. E’ un tributo a “Mastro Caviglia” che volevo fare da tempo.
Spero inoltre e soprattutto, di recuperare alcune foto del “brontolone, ma unico” Caviglia. Ligure, trapiantato sul Sebino da sempre, ma che non aveva mai perso né il vezzo del mugugno, né tantomeno la parlata ligure. Tra l’altro aveva costruito quasi tutti i barchini da record del Commendator Alquati.
Un appassionato motonauta/velista di Cremona con villa dotata di darsena (più porto che darsena), titolare di record mondiali in classi varie e proprietario dei vari 5.50 SI – Violetta ex Twinx di Oberti, incluso quello che partecipò alle Olimpiadi di Acapulco 1968. Anche il prematuramente scomparso campione di vela Giorgio Zuccoli (per me sempre Giorgino), tirò i primi bordi sul 5.50 SI Violetta (VII?). Una barca ricca di fascino, un purosangue dalle linee armoniose.
Ma questa è tutta un’altra storia.
Buon vento!
Sergio
Carissimo Sergio,
è indubbiamente molto bello “scoprire” a distanza di tanti anni la straordinaria progettazione e realizzazione dei noti “barchini – esplosivi” ed avere avuto la fortuna di conoscere uno di quegli “artigiani – mastri d’ascia” che lavoravano Baglietto, così com’è capitato a te, è stato un evento speciale che mi incuriosisce molto e per questo ti chiedo:
Ci invieresti disegni e foto di quella barca che ti facesti costruire nel 1976 in mogano kaja da mastro Caviglia, descrivendo caratteristiche tecniche, parlando anche della personalità d mastro Caviglia e pubblicare un pezzo ad esso dedicato su AMB?
Un caro saluto e… fammi sapere!
Giacomo Vitale
Sempre belli gli interventi di Franco Harrauer.
Non conoscevo l’esordio aereonautico dei barchini. Per contro ho conosciuto uno degli artigiani, dei maestri d’ascia che lavorarono da Baglietto nella costruzione dei MT. Nel 1976 costruì la mia barca personale in lamellare di mogano kaya.
Ero affascinasto dai suoi racconti e così la costruzione si protrasse per più mesi oltre il previsto. Si chiamava Caviglia, io lo chiamavo maestro, mastro Caviglia. E’ mancato ultranovantenne tanti anni fa…
Personaggi unici.