Il ritorno di Sandokan
Analisi architettonica di un progetto non convenzionale
di Enrico Cernuschi
Le vie della Provvidenza sono infinite, quelle della Rivista Marittima quasi altrettanto.
Sulla base dei due articoli apparsi nell’agosto 2002 e nell’aprile 2004 in merito ai piccoli battelli d’assalto a motore unico da 13t – SA 1 ed SA 2 , (soprannominati rispettivamente dalle maestranze Sandokan e Yanez), progettati dal Generale (AN) Eugenio Minisini e realizzati dal Silurificio di Baia nel 1942, l’architetto milanese Franco Harrauer, noto progettista navale con un debole per le belle barche e per le soluzioni non ortodosse, come quelle per esempio dei catamarani e degli schermoplani, ha realizzato con la propria consueta eleganza grafica gli accattivanti disegni riprodotti qui di seguito.
Dopo aver preso visione dei documenti originali statunitensi del novembre 1943, relativi a questo progetto e delle fotografie scattate dagli americani in occasione del recupero di uno dei due battelli (smontato e trasportato in America per un lungo ciclo di prove dell’apparato motore), Harrauer ha studiato da professionista i dettagli delle immagini disponibili osservando, per esempio che:
(…) credo di aver potuto fare un disegno relativamente vicino alla realtà e di aver trovato alcuni particolari interessanti. Nelle foto a pag. 115 e 118 (Rivista Marittima – aprile 2002, NdA), al piede destro della “capra” vi sono due pezzi della camicia del periscopio. A pag. 116 a destra (incornicia la ruota del carrello) potrebbe esserci, inoltre, la struttura stessa della camicia.
Sul corpo centrale (sotto la capra) è presente solamente una torretta cilindrica sulla quale non è visibile un boccaporto, pertanto potrebbe essere quella del periscopio che permette all’osservatore di avere l’oculare a un’altezza di circa 1,60-1,70 m dal pagliolo. Ma è altrettanto vero che dovrebbero esserci sia un’altra torretta per l’accesso al battello, sia (sempre nel corpo centrale) una dal lato prora del locale adiacente al motore.
Il risultato finale di quest’opera permette di apprezzare con abbondanza di dettagli l’aspetto probabile dei battelli in questione cartterizzati come erano, tra l’altro, da uno spunto di velocità in immersione conseguito alle prove, di ben 15 nodi protratto per due ore, oltre che architettonicamente, da due eliche trattive controrotanti prodiere e da due tubi lanciasiluri rivolti verso poppa.
L’aspetto forse più affascinante di questa ricostruzione risiede, tuttavia, a parere di chi scrive, nella successione quasi cinematografica delle fasi del varo del battello in questione dalla poppa di un cacciatorpediniere. Per quanto si trattasse di una manovra, provata soltanto su modelli in scala 1 a 4, a dir poco funambolica e destinata, come recita la relazione italiana dell’epoca, a far si che il piccolo battello fosse, in realtà, <<una sorta di siluro a lunghissima portata, da lanciare in mare ad opera di un cacciatorpediniere modificato>>.
L’intera procedura raffigurata qui a lato ripercorre passo per passo, a partire dalle soluzioni adottate per la nave madre, il testo dei documenti del 1943 con la sola aggiunta qui menzionata per dovere di correttezza, <<(…) una ipotetica invasatura di varo che credo debba estendersi per almeno due terzi della lunghezza fuori tutto, in modo da proteggere le eliche nel momento in cui l’SA lascia la rampa di varo.
Credo che per salvaguardare le eliche i progettisti possano aver preso in considerazione un paio di alette orizzontali con incidenza negativa solidali alla parte posteriore dell’invasatura, in modo che quest’ultima, appena lasciata la rampa, abbia una forte e rapida tendenza ad appruarsi staccandosi dal battello. All’invasatura è solidale il cavo di traino dell’ancora galleggiante. Con un altro cavo collegato ad essa e filato in bando, si poteva ipotizzare il successivo recupero dell’invasatura>>.
Dopo aver aggiunto che <<(…) il peso totale di circa 20 tonnellate (…) concentrato sulla parte poppiera di un CT poteva costituire un serio problema per i progettisti per gli effetti sulla stabilità longitudinale della nave>>. Il risultato finale di questo studio, oltre ad assicurare un impatto visivo e mnemonico superiore a quello offerto dalla semplice lettura delle relazioni dell’epoca e delle fotografie rinvenute successivamente, si inquadra a sua volta, nell’ambito della copiosa opera di recupero di progetti non convenzionali italiani e tedeschi (concepiti tutti nell’ambito dei mezzi d’assalto e delle unità veloci costiere, messi allo studio prima e durante la seconda guerra mondiale) intrapresa, parallelamente dall’architetto Harrauer da vent’anni a questa parte.
Non è da escludere che questa linea di ricerche non convenzionale, ma improntata al più stretto rispetto della documentazione dell’epoca, oltre che vagliata, criticamente, sulla base di una solida esperienza professionale e marinaresca nel contesto storico delle conoscenze e della situazione reale dell’epoca, non possa portare, nel prossimo futuro, a nuove ed assai curiose scoperte, magari ancora oggi attuali.
Bozzetti: arch. Franco Harrauer
Articolo pubblicato sul mensile della Marina “Rivista Marittima”, settembre 2005 – rubrica “Storia e Cultura Militare” e qui riprodotto per gentile concessione: “RIVISTA MARITTIMA” – Stato Maggiore della Marina.
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