VelaTerapia
La Marineria velica
All’epoca della marina velica, i marinai erano considerati dalle popolazioni a terra individui rudi, dediti alle zuffe ed al bere, insomma, individui “poco raccomandabili” ma, non privi di quel fascino suggerito ed alimentato dal loro aspetto sempre abbronzato, dal modo di parlare, di vestire, di muoversi e camminare, di tatuarsi e dal fatto che avevano”visitato” terre lontane ed erano scampati a tempeste e possibili naufragi.
Forse, alle popolazioni costiere il timore incusso da questi uomini di mare derivava da un’ancestrale paura dovuta al ricordo di lontane scorrerie di corsari o di pirati.
Per i marinai invece, la vita a bordo e il duro mestiere in quell’epoca non dovevano essere per nulla facili ed allegri.
La ferrea disciplina spesso, era impartita esemplarmente a suon di frustate assieme ad altre “amene” punizioni, a seguire, le magre razioni, la penuria d’acqua potabile e la continua paura della morte rendevano il marinaio tra le persone più superstiziose e fataliste della sua epoca, dove molti inoltre erano anche gli analfabeti.
L’arruolamento forzato poi, era pratica corrente nella marineria dell’epoca. D’altronde ogni Comandante preferiva avere a bordo solo una parte di fidati marinai anziani ed esperti che avrebbero insegnato “il mestiere” alla massa dei più giovani ed ignari novizi più facilmente controllabili.
Un equipaggio composto solo da marinai anziani, esperti, fatalisti e superstiziosi, a volte, poteva essere fonte di serie preoccupazioni per il Comando di bordo, soprattutto durante le lunghe navigazioni od in circostanze particolari come ad esempio, la somministrazione di una punizione ritenuta ingiusta da una parte dei membri dell’equipaggio. Non poche, infatti, sono state le notizie di casi di ammutinamento che le cronache ed i racconti dell’epoca hanno portato alla nostra conoscenza.
Con l’avvento della propulsione meccanica, l’evolversi delle tecnologie e delle varie normative in materia, la vita del marinaio a bordo è cambiata enormemente, pur mantenendo sempre inalterato quel fascino per un mestiere svolto in un ambiente tanto particolare: il mare.
Terapie in barca a vela; la velaterapia.
Le barche a vela, oggi quasi tutte con un motore ausiliario, sono utilizzate quasi esclusivamente per uso diporto, sportivo ed anche terapeutico.
Come molti prima di me, sono sempre stato un convinto assertore che anche gli uomini di mare, come tutti, hanno problemi di convivenza tra loro. Ciò accade soprattutto quando l’imbarcazione si trova tranquillamente all’ormeggio, viceversa, durante le navigazioni qualsiasi rivalità, contrasto e insofferenza vengono a cessare creando un legame indissolubile tra le persone a bordo.
Le cause ed i condizionamenti che manifestano un tale comportamento in mare possono essere molte: la consapevolezza che, in una minuscola società come quella di bordo costretta a convivere in uno spazio così limitato ed angusto, ciascuno dipenda anche dagli altri; l’impossibilità di poter nascondere o mascherare i propri limiti e le proprie manchevolezze ma, soprattutto, il timore reverenziale di fronte all’enormità ed alla bellezza di una superficie così sconfinata e da cui scaturisce quella dose di coraggio necessaria per affrontare quelle avversità rappresentate da una natura non sempre benigna.
Dallo studio di queste considerazioni è emerso, infatti, che ciascuna persona facente parte di un gruppo imbarcato su un’unità più o meno piccola, nel relazionarsi con gli altri è costretta ad esprimere il meglio od il peggio della propria umanità.
L’applicazione pratica di questi studi ha generato dei progetti di salvaguardia e recupero a favore dei cosiddetti “giovani difficili”. Quei ragazzi che non riuscendo ad inserirsi in una collettività urbana, cercano con tutti i mezzi più o meno leciti, di acquisire una loro visibilità e notorietà, il loro “posto al sole”, nei confronti della cosiddetta società civile.
Vincere la loro ritrosia e riuscire a portarli su una barca a vela è già un enorme risultato. Se poi si riesce anche a farli navigare immagino il loro sbalordimento, ed anche i più scettici di fronte all’assoluta novità, avranno quantomeno modo di porsi delle domande che creeranno in loro dei dubbi da cui scopriranno che esistono anche altri sistemi ed altre regole determinate da una natura che l’uomo ha imparato ad assecondare per poter “sopravvivere” su di essa assieme agli altri esseri umani.
Per quanto concerne invece, i ragazzi più scettici e coloro che sono comunque determinati a percorrere quelle “scorciatoie” per il raggiungimento dei propri scopi, non dimenticheranno mai quelle ore trascorse in mare ma, gli verranno in mente ogni qualvolta vedranno una pozzanghera od uno specchio d’acqua.
Leggevo, da una statistica che ha esaminato e confrontato gruppi di ragazzi di 10/12 anni degli anni dal 1998 al 2008, che c’è stata una forte diminuzione nella forza muscolare delle braccia. Questi ragazzi “moderni” hanno, infatti, manifestando notevoli difficoltà: nell’essere in grado di poter sollevare il proprio corpo, nella capacità di afferrare oggetti, nonché con una diminuzione del “coraggio”, inteso come volontà di arrampicarsi su di un muro.
Perciò ben vengano le gite in barca a vela con tutte le attività manuali correlate, una vita all’aria aperta e ben lontani da quegli strumenti elettronici ludici utilizzati da utenti “sedentari” e predisposti alla pinguedine.
Pertanto, sarebbe forse il caso di rivedere un pochino come passare il nostro tempo libero, dedicandolo soprattutto agli altri ed il mare, nei casi presi in esame, può aiutarci moltissimo.
Come ad esempio sta facendo attualmente la campionessa olimpica e mia amica Alessandra Sensini, collaborando con il mensile “ILGIORNALE DELLA VELA”…
Buon vento…
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