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Oh My God! Come siamo caduti in basso

24/02/2012/1 Commento/in Franco Harrauer /da Franco Harrauer

di Franco Harrauer

Yachting: Una riflessione e due ricordi

Il fatto che siano stati gli inglesi sul finire del XVII secolo ad inventare lo yachting e gli yachts Club rientra nell’ordine naturale delle cose. La prima associazione di proprietari di yachts fu fondata nel 1720 come “Water Club of the harbour of Cork”. I fondatori e soci provenivano dalla grande e piccola nobiltà inglese ed irlandese e come membri della sovrana e nobile classe regnante, si mostrarono estremamente sensibili a qualunque violazione dell’educazione, del “bon ton” e dei privilegi di classe e di rango.

Il Solet, braccio di mare tra la costa dell’Hampshire e l’isola di Wight, divenne più tardi l’ideale per veleggiare e gli ancoraggi di Cowes, come scrive un cronista mondamo dell’epoca, posseggono tutte le comodità di una nobile villa di campagna senza l’inconveniente di un vicino sgradito, poiché salpando l’ancora si possono cambiare a piacimento.

Splendid isolation quella del Cowes Yacht Squadron, che nel 1820 divenne Royal Y.S. accogliendo nei suoi ranghi il Re Giorgio IV. Il ristrettissimo gruppo di gentiluomini serrava sempre di più le fila e far parte dello Squadron era ardua impresa ai comuni figli di Albione. Lo yachting diventava sempre di più esclusivo ed il metodo per mantenersi tale era ed è tuttora l’uso disinvolto ed arbitrario della Pallina nera.

La procedura di voto del R.Y. S. di Cowes garantiva una segretezza assoluta sul singolo parere di ammissione di nuovi soci ed era sufficiente una pallina nera, su dieci bianche, per negarla vita natural durante. Ma via via che il R.Y.S. diventava un centro mondano più che nautico. Sempre più numerose le palline nere e ancor oggi questo singolare ed unico club mantiene la sua esclusività e prestigio.

La mia riflessione é che lo Yacting con le sue torri d’avorio è diventato un fertile terreno per il protagonismo, lo “status”. Può sembrare una contradizione in termini, probabilmente è stato sempre così. Forse bisognerebbe ritornare all’uso dela pallina nera.

Salone Nautico Internazionale di Genova 1973

Sotto la gran volta circolare del Palasport la folla della prima domenica di apertura era enorme. Il ricorrente miracolo economico italiano aveva inaugurato il mercato dei sogni e dopo la “cinquecento” i desideri degli italiani, colpiti da improvviso benessere, miravano fiduciosi verso gli sconfinati orizzonti marini. In fin dei conti, tra gli altri improbabili attributi siamo anche un popolo di navigatori.

Nelle sempre più affollate spiagge domenicali o ferragostane i capi famiglia sotto l’ombrellone sfogliano le sempre più numerose riviste di nautica e pensano che una scappatella al prossimo Salone Nautico possa essere interessamte. Come sempre sono presente al Salone! Guardo con occhio curioso e critico le altre barche e mi soffermo presso gli stand degli amici che hanno dato fiducia alle mie qualità di progettista e sono sempre delle soste gratificanti.

  • 1972 – Sono stato illuminato dall’hitleriana idea della barca per il popolo: La Vokdboat!
  • 1973 – E’ l’anno del RIO 500.

Le nuove tecnologie della termoformatura di grandi lastre di ABS mi hanno permesso, con la coraggiosa collaboazione degli ingegneri della RIO, di creare il Rio 500, cinque metri, 4,99 per la precisione, di cabinato con abitabilità al limite della legge. Sull’incompenetrabilità dei corpi che, con una serrata campagna di pubblicità su tutti gli organi di diffusione, compreso un paginone a colori sul Corriere della Sera, offre al popolo la possibilità di navigare… il tutto allo straordinario prezzo base di ottocentocinquantamila lire.

Il capofamiglia, quello dell’ombrellone, ha preso la decisione, balza sulla sua “cinquecento“ e parte verso Genova per una prima ricognozione al Salone!

Io l’ho riconoaciuto subito… abbigliamento anonimo, contrariamente alla maggioramza dei visitatori che sfoggiano tenute da navigatori transoceanici. Cautamente gira intorno al suo obiettivo con quattro borse piene di depliants raccolti per creare un iniziale “falso scopo“. Lo osservo mentre si informa con discrezione e competenza. I clienti sono dei veri mostri in fatto di scienze nautiche e ti mettono sempre in seria difficoltà. Poi, prima del sopraggiungere dell’oscurità, rientra a casa sulla sua cinquecento che ritrova dopo estenuanti ricerche a quattordici chilometri dal Salone.

Il giorno dopo lo ritrovo che gira intorno all’ormai suo Rio 500, così per tutti i dieci giorni del Salone. L’ultima domenica, in chiusura lo vedo, entra diretto verso lo stand della RIO, seguito dalla moglie e da sei figli di età compresa tra i tre ed i sette anni. Mi avvicino ed ascolto con discrezione…

Vedi amore mio… ecco la nostra barca!

Turbata da questa tardiva ed inusuale dichiarazione più che dall’aspetto dell’oggetto a lei indicato, la moglie osserva lo strano oggetto con sguardo sospettoso, mente i figli assaltano urlando il “Rio cinquecento“ sotto gli occhi atterriti degli standisti.

Io e te dormiremo quì

e indica le due minuscole cuccette incuneate sotto la piccola tuga. Il novello navigatore prosegue implacabile mentre tenta di controllare le piccole belve scatenate che salgono e scendono urlando.

Vedi cara, i bambini…

e dal suo sguardo capisco che pensa ad Erode…

possono dormire qui sul pagliolo, accanto a noi.

Ma! La povera donna tenta di intervenire, mentre il futuro Comandante prosegue implacabile:

qui si può sistemare un piccolo fornello e tu puoi preparare da mangiare per noi, ma saremo in vacanza?

La consorte avvilita si vede intenta a spignattare anche durante le ferie.

Amore mio.. non andremo in vacanza, finalmente andremo in crociera

A quel punto mi allontano di nascosto dallo stand sentendomi un verme nella mia gloria di progettista .

Cantiere “Delta” Fiumicino 1983

Sono solo sul piazzale accanto alla banchina del cantiere sulla Fiumare del Tevere che scende limaccioso, sporco e lento verso il mare… E’ estate ed il cantiere sta terminando per la cosegna, come al solito in ritardo, una barca ai lavori. La banchina e quasi vuota, sono tutti fuori in mare e fa un gran caldo, quello di ferragosto e sul fiume non c’è il consueto traffico. Franco Jacomini esce dal capannone asciugandosi la fronte con un fazzoletto e mi domanda ridendo: “è già passato il preservativo delle undici e trenta?”

E’ ormai una consuetudine osservare il lento fluire del Tevere verso il mare, una corrente pigra piena di spazzatura e degli scarichi notturni di Roma. Mentre d’abitudine guardo l’orologio per stare allo scherzo, sento un lontano tuf, tuf di un piccolo diesel e da dietro il canneto che nasconde l’ultima ansa del Tevere verso il mare appare una imbarcazione che arranca sbilenca e appoppata verso di noi. Da bordo vedo fare dei segnali. Forse è una piccola ex barca di slvataggio su cui e stata montata una cabina ed un tendalino un po’ rattoppato.

La barca denuncia vari strati di colore sotto la vernice scrostata e lentamente, sempre più sbandata accosta alla nostra banchina senza ingranare la retromarcia e urta violentemente il tavolato, mentre la struttura dello strano natante geme con un pietoso scricchiolio accompagnato da gli ultimi gorgoglii del suo motore, evidentemente raggiunto dall’acqua.

Ao, annamo a fonno, aiuto

urla un barbuto individuo che lascia la ruota del timone e cerca di passarmi una cima. Bermuda sbrindellati sotto il ginocchio, maglietta a righe un po’ sporchetta tesa su una notevole pancia e impreziosita da una catena d’oro a girocollo, qualificano assieme ad un cappello da comandante la figura del timoniere armatore.

Mentre provvedo con Franco ad un provvisorio ed improvvisato ormeggio del decrepito natante che comincia a far acqua a livello dei paglioli, saltano fuori dalla tuga altre tre figure. Un uomo con un salvagente anulare che non scende sotto le ascelle a causa di una enorme pancia e due donne che comincino ad inveire contro il comandante che si è già arrampicato in banchina e si presenta:

Ao, so’ Tiberio Pennacchioni della premiata salumeria Pennachioni sulla Tuscolana , specialità porchetta! Er mio socio qui presente è pure mio cognato. Grazie!

Intanto le due passeggere sono riuscite a raggiungere la banchina, mentre la barca rimane appesa al precario ormeggio, tutte e due vistosamente truccate con grandi cappelli, enormi occhiali da sole e provviste di beauty case, oltre che di capaci borse piene di filoni di pane, bottiglie di vino e salumi assortiti.

Ao volessimo annà in crociera co sto yacht che me so’ appena comprato? Cosi semo partiti un par’ de ore fa co’ ste due mignotte

Al che le due signore interruppero il comandante per presentarsi: “Piacere”, dissero in coro con un sorriso di circostanza.

Ma le nostre signore nun sanno manovrà er cesso de bordo, così ce semo trovati co’ li piedi a mollo! Li mortacci loro!

concluse lo yachtman.

Altomareblu – Tutti i diritti riservati. Note Legali

 

Tags: Franco Harrauer, Racconti di mare, Storie di mare
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1 commento
  1. Franco Iacomini
    Franco Iacomini dice:
    04/04/2012 in 12:02

    E’ tutto vero,

    Franco Harrauer potrebbe scrivere una “enciclopedia Treccani” con tutti gli aneddoti registrati durante la sua lunga carriera di progettista navale.

    Ricordando che tra i suoi clienti si sono avvicendati nell’esperienza di costruttori navali dal coltivatore di funghi al palazzinaro romano.

    Franco Iacomini

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