La mareggiata di Alberto Cavanna
Le onde ormai erano calate.
Il vento aveva smesso di battere la costa e, nel giro di una mezza giornata, la mareggiata aveva perso gran parte della sua forza. Anche le nubi si erano diradate e il sole era tornato, se non proprio a bruciare, almeno a rendere di nuovo la spiaggia un luogo completamente diverso all’inferno che era stato fino a qualche giorno prima.
Il bambino stava trascinando un grosso ramo spiaggiato verso i suoi amichetti. Le mamme in vacanza, dopo averli tenuti qualche giorno in casa incollati alla tv, ora li avevano mollati con l’unica raccomandazione di guardarsi bene dal mettere anche un solo piede in acqua, vista ancora la terribile risacca.
Gli altri erano intorno a un grosso mucchio di pezzi di legno che avevano con pazienza ammucchiato in un pezzo di spiaggia libera.
“Stasera, prima di tornare a casa ci daremo fuoco!”, disse quello che si chiamava Tommaso.
“Io ho già i fiammiferi!”, disse la bambina che si chiamava Cecilia.
“Intanto lo sapete che non si può”, disse quello che si chiamava Luca, “la Capitaneria proibisce qualsiasi tipo di fiamma libera lungo le spiagge.”
“Intanto qui non ci vengono, non c’è manco il porto!”, disse la bambina che si chiamava Lisa e tutti gli altri approvarono con un segno deciso della testa.
“No”, continuò imperterrito Luca, “però c’è Ettore il bagnino che è peggio. Lui non ti fa la multa, ti riempie di calci nel culo”
“Sei un guastafeste”, disse Tommaso smettendo di accatastare i pezzi di legno.
“No. Dico solo come stanno le cose. Ve lo avevo detto che questo gioco non solo è scemo ma è anche inutile perché non si può fare!”
“Eccola! Sta arrivando!”, urlò Cecilia a bassa voce.
Lungo la riva arrivava un’anziana signora. Camminava incedendo con passi misurati, una lunga veste di mussola sopra il costume appena mossa dal vento che scemava. I piedi calcavano la sabbia soda, proprio al limite estremo tra la schiuma dell’onda che inizia a ritirarsi e la spiaggia umida.
Come l’acqua li lambiva lei chiudeva gli occhi e le sue labbra si muovevano piano che stesse pregando o parlando con qualche entità invisibile. In mano aveva una vecchia palla di gomma rossa, macchiata e scolorita dal sole.
“Mia madre dice che è matta…”, sussurrò Lisa facendo finta di occuparsi del falò.
“No.” Scrollò la testa Tommaso. “E’ una strega del mare. Lo vedi che ha un giocattolo per prendere i bambini?”
Tutto il gruppo faceva platealmente finta di ammucchiare legna ma in realtà sbirciavano la donna passare e allontanarsi lungo il litorale.
“Ogni volta che c’è una mareggiata lei passa così. Parla, vedi?”
“Sta lanciando maledizioni”
“No. E’ solo matta.”
“Mangia i bambini. Li cattura con la palla!”
“E perché non lo fa col mare calmo?”
Rimasero a discutere a lungo mentre osservavano la figura rimpicciolirsi, alla fine di una lunga fila di impronte che le onde andavano cancellando.
“Io dico che dobbiamo fare qualcosa. Intanto il falò non si può fare.”
Si sedettero intorno alla legna facendo finta stesse bruciando.
“Possiamo andare a vedere in casa sua cosa c’è. Abita in quella casa bassa, proprio di fronte alla mia spiaggia. Secondo me possiamo scoprire qualcosa e farla smettere una buona volta!”, disse Tommaso convinto.
Discussero a lungo e alla fine decisero che sarebbero entrati in azione l’indomani che era giovedì. Sapevano che l’anziana signora quel giorno andava al supermarket in fondo al paese. Lasciava però sempre la finestra della cucina aperta in modo che il gatto – che tra l’altro era nero, aveva fatto notare Tommaso – potesse entrare e uscire. Una volta dentro avrebbero cercato il suo segreto e, se fossero riusciti a capire cosa erano le strane formule che recitava assorta con i piedi in mare, avrebbero potuto neutralizzarlo.
Quella notte quasi non dormirono per l’eccitazione e si ritrovarono il giorno dopo sotto l’ombrellone di Cecilia.
Salutarono la madre con una scusa e si allontanarono alla chetichella verso la casa.
Era già da una mezz’ora che facevano finta di giocare a ‘strega comanda colore’ quando la videro uscire.
La seguirono attenti con lo sguardo e, quando furono sicuri che si era diretta proprio verso il discount, entrarono in azione.
Tommaso salì sulle spalle di Luca e entrò con fatica in casa attraverso la finestra aperta mentre le bimbe facevano il palo.
La casa era una costruzione del secolo precedente, proprio in riva al mare, forse una vecchia dimora di pescatori.
La cucina era appena mezzo metro sopra il livello della sabbia e una porta finestra, dopo tre ripidi gradini di ardesia mangiati dalla salsedine, metteva in comunicazione la casa con la spiaggia.
“Svelti! Entrate senza farvi vedere!”, disse sottovoce Tommaso che aveva aperto uno spiraglio.
I bimbi entrarono e accostarono la porta dietro a sé.
La cucina non era grande ed era normalissima. Anzi, fece notare Lisa non sembrava decisamente l’antro di una strega adusa a cucinare bambini dopo averli attirati dentro.
“E tu cosa ne sai?”, aveva detto Tommaso un poco contrito.
“E dovè il pentolone?”, aveva obiettato lei.
“Li fa al forno, scemo.”
“Seeeee! Nel microonde, magari!”
Stavano per iniziare a litigare quando Cecilia li zittì.
“Guardate un po’ qui!”, disse dalla sala.
Anche la sala apparentemente non aveva nulla di strano. Un piccolo tavolo di legno scuro, un divano col cestino del cucito e qualche rivista di arredamento, la tv, la cesta dove un grosso gatto nero li stava osservando intimorito.
La bambina ora era di fronte ad una madia sulla quale stava un’interminabile fila di fotografie incorniciate.
“Gesusanto!”, esclamò Tommaso guardandole, “ma sono tutti i bambini che si è mangiata!”
Vicino, minacciosa, la palla rossa.
“No”, disse piano Lisa, “guardate bene. E’ sempre lo stesso bambino…”
“Comunque è meglio andarsene!”, disse Luca e tutti si scambiarono uno sguardo preoccupato. C’era qualcosa di strano in quella casa…
Il rumore della chiave nella porta li fece trasalire. Non riuscirono neppure a spaventarsi che, davanti a loro, stava l’anziana signora con i sacchetti della spesa in mano.
“Oddio! Per un attimo pensavo fossero i ladri! Ma come avete fatto ad entrare, bimbi?”, chiese loro con voce calma.
Luca indicò la porta finestra senza riuscire a spiccicare parole.
“Venite”, disse andando verso la cucina.
Prese dalla credenza un pacco di biscotti, del succo di arancia e tornò in sala.
“Avrete fame poveri piccini. Ecco prendetene pure, intanto io finisco di mettere a posto la spesa. Fate pure con calma e se volete qualcos’altro ditemelo pure.”
Loro erano rimasti a guardarsi straniti. Tommaso provò a toccare un biscotto ma Cecilia gli diede uno schiaffo sulla mano.
“Scemo! Magari sono avvelenati!”
“No. Sono buoni!”, disse Luca con la bocca piena sputando briciole.
La signora tornò e si sedette sul sofà aggiustando sul naso gli occhiali che portava appesi ad una catenella intorno al collo. Li guardò a lungo: “Siete venuti a vedere da vicino la strega, eh?” disse sorridendo.
Erano paonazzi ma fecero segno di sì con la testa.
“Ma perché parla alla mareggiata con gli occhi chiusi?”, riuscì a sillabare Luca.
Lei si voltò verso le fotografie.
“C’era una mareggiata proprio come questa, voi non eravate ancora nati. I vostri genitori erano dei bambini. Lui stava giocando fuori della cucina, lo guardavo dalla finestra mentre facevo da mangiare. Fu un attimo… Lo vidi correre dietro alla palla verso la riva.
Il giorno dopo il mare ributtò la palla, nient’altro.
Io cammino sempre con i piedi nell’acqua e, quando arriva l’onda è come se le sue manine mi sfiorassero i piedi.
Aveva cinque anni…”
Non disse altro e rimase a guardare assorta le fotografie.
“Beh… Noi andiamo signora.”, disse Lisa con un filo di voce.
La vecchia signora non rispose. Continuava a guardare le immagini: sul suo viso era un sorriso pacato, indefinibile.
Uscirono piano dalla porta e la accostarono dietro la schiena.
Si incamminarono piano, verso la spiaggia.
“Però i biscotti potevamo prenderli”, disse il bambino che si chiamava Tommaso.
“Ma sei incorreggibile!” lo apostrofò il bambino che si chiamava Luca.
“Non hai sentito la storia di quella povera donna! Non ti faceva pena… E pensi a mangiare!”, disse la ragazza che si chiamava Cecilia.
“A me però non sembrava triste… Forse a modo suo è felice”., disse la ragazza che si chiamava Lisa.
“Felice forse no”, disse pensosa Cecilia, “ma sicuramente non è triste, non odia il mare grosso…”
“E non è neppure matta né una strega.”, sentenziò Luca.
“Io i biscotti li avrei presi!” concluse Tommaso. “Intanto, comunque vada ho fame e devo mangiare. E poi è quasi mezzogiorno”
Non dissero altro e si diressero verso la riva dove avevano accatastato la legna per fare il falò.
La mareggiata era solamente un’onda lunga di schiuma quasi accennata.
Toccava piano la spiaggia…
Come volesse la volesse accarezzare.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!