Rivista Marittima – Dicembre 2012
EDITORIALE
[quote]Quando uscirà questo numero della Rivista Marittima, l’ultimo del 2012, ci auguriamo che i nostri colleghi del San Marco: Massimiliano Latorre e Salvatore Girone siano riusciti a riabbracciare i loro cari sul suolo italiano e non in qualche Hotel, fosse anche una lussuosa residenza appartenuta un tempo ad un ricchissimo Maraja e messa a disposizione dalle autorità locali per farci mandare giù la pillola della violazione della nostra sovranità nazionale.
Ritornare a riabbracciare la propria gente, i propri familiari e colleghi, a respirare i profumi di casa e della propria terra a riscoprire la semplicità di una vita quotidiana basata su un lavoro onesto, lontano dai riflettori di una effimera celebrità destinata, fortunatamente, a venire meno una volta tornati a casa, è di certo l’unico desiderio dei nostri fucilieri, dopo quasi un anno di privazione della propria libertà personale.
L’incidente del 18 febbraio 2012 è destinato, ci auguriamo presto, a diventare un semplice “case study”, che sarà rammentato soltanto dagli studiosi di diritto internazionale, allo stesso modo in cui viene ricordato l’equipaggio dell’ USS Pueblo, catturato dalle autorità Nord coreane in acque internazionali il 23 gennaio 1968 e rilasciato il 23 dicembre dopo un duro scontro diplomatico.
La guerra fredda è finita e in ogni caso l’India è un Paese amico con cui noi condividiamo molti interessi e che contribuisce con la sua Marina alla sicurezza delle vie di comunicazione marittime, indispensabile non solo al nostro benessere ma anche e soprattutto a quello degli Indiani visto che la crescita, di cui stanno ancora godendo, è resa in gran parte possibile dal commercio marittimo con i Paesi europei.
Quindi i due incidenti non hanno quasi nulla in comune, così come potrebbe essere considerato pretestuoso paragonare i due fucilieri agli ex prigionieri di guerra italiani che, nonostante il conflitto fosse finito, furono trattenuti per mesi nei domini britannici, India compresa e non solo, in attesa di essere rimpatriati.
Alcuni di questi rientrarono dagli Stati Uniti d’America soltanto nel 1947 e pur ricevendo cinque pasti al giorno, compresa quella carne che in Italia pochi potevano permettersi e ogni possibile cura sanitaria, erano moralmente a pezzi rispetto ai propri colleghi che rischiarono di morire di stenti e sotto i bombardamenti in Germania.
Questi ultimi, finita la guerra sapevano di essere liberi ed anche senza mezzi di trasporto, seppur stremati dalla fame e dalle malattie, poterono rientrare a casa anche a piedi. Il loro morale era alle stelle. Da subito cominciarono a ricostruire ciò che la guerra aveva distrutto.
Viceversa, quelli che contro la loro volontà, non considerandoli più prigionieri di guerre, ma neanche uomini liberi, rientrarono in Patria dopo tanto tempo, soffrirono una violenza psicologica superiore: la mancanza della propria libertà e la sensazione di essere considerati una minoranza scomoda da dimenticare, in quanto non prigionieri dei nazisti, ma «trattenuti» dai liberatori.
Occorre tanta forza morale ed il nostro sostegno per sopportare la privazione della libertà personale per un periodo cosi lungo, soprattutto sapendo di non essere prigionieri di una guerra né calda né fredda, ma servitori dello Stato che nell’espletamento del proprio dovere (legge n. 130, 2 agosto 2011) anche a favore dell’Unione Europea e per non dire della Comunità internazionale, sono vittime dirette di sottigliezze interpretative del diritto internazionale e indirette della pirateria.
Tuttavia, nonostante l’incidente accorso ai nostri fucilieri, l’impegno quotidiano della Marina nel contrasto del fenomeno, continua nella convinzione che il Potere Marittimo resta ancora oggi come citava l’ammiraglio Oscar Di Giamberardino nel lontano 1937:
“La capacità di uno Stato di FAR USO DEL MARE per il perseguimento dei propri fini, sia militari che commerciali (…)” in altri termini per la salvaguardia dei propri interessi nazionali previsti nella prima missione delle FFAA ed espressi nel «Concetto Strategico del Capo di Stato Maggiore della Difesa 2004-2006» ancora in vigore.
In questa antica definizione di Potere Marittimo si estrinsecano anche i compiti discendenti delle Marine di DIPLOMAZIA NAVALE, CONSTABULARY ed il RUOLO MILITARE, tra cui il tradizionale e principale compito che consiste nella protezione delle linee di comunicazione marittime, oltre che nella capacità di proiezione di potenza contro gli eventuali avversari.
Oggi questi ultimi potrebbero essere costituiti da qualsiasi tipo di organizzazione anche non statuale, che con atti di terrorismo impedisce il regolare uso del mare. La pirateria è soltanto una di queste minacce, la più tradizionale visto che il fenomeno è vecchio come la spinta di Archimede. Gli stessi metodi di contrasto sono molto antichi, anche se cambia la tecnologia e possono essere così riassunti in:
a) Scorta diretta dei mercantili da parte di navi militari
b) Scorta indiretta con transito dei mercantili in aree e corridoi sorvegliati o
bonificati
c) Armamento dei mercantili sia con personale militare sia con armi
d) Pagamento di un diritto di transito
e) Ingaggio di mercenari o di ex pirati che combattono la pirateria diventando
corsari
f) Occupazione dei siti terrestri e logistici utilizzati dalla pirateria.
Occorre ricordare che il fenomeno endemico della pirateria nel Mediterraneo di fatto si è esaurito dopo l’occupazione dell’Algeria nel 1830 da parte della Francia e la successiva colonizzazione delle coste nord africane.
Il mondo cambia la tecnologia, ma la natura umana è sempre la stessa ed il fenomeno della pirateria, allora come ora, è sempre figlio dello stesso padre: la miseria. Non si tratterà più di colonizzare territori, al contrario di assisterli portando aiuti non solo umanitari evitandone il fallimento.
Solo le potenze di un tempo se ne possono occupare e sarà sempre più necessario aumentare e non diminuire la presenza militare, ove necessario, con strumenti in grado di proiettare capacità ripartendo lo sforzo economico tra i Paesi appartenenti l’UE e la NATO.
Nonostante la crisi, nel prossimo futuro saremo obbligati ad aumentare e non a diminuire le spese in questo settore strategico, a meno di non fare finta di nulla e sperare che siano altri a occuparsene al posto nostro rinunciando però al peso che riteniamo di avere sulle questioni di politica internazionale.
Sono quindi ancora le minacce esistenti e prevedibili che determinano la struttura fisica delle FF AA e delle Marine o viceversa?
Patrizio Rapalino
[/quote]SOMMARIO
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Obama rieletto ma la strada è subito in salita
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Cyberspazio e relazioni internazionali
Umberto Gori
Mediterraneo teatro di conflittualità
Andrea Teni
Democrazia e sviluppo socio-economico
Giancarlo Olimbo – Francesca Cocozza
PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE
Modernizzazione e trasformazione dello strumento navale italiano
Pietro Batacchi
L’irregular warfare in ambiente marittimo
Diego Bolchini
Golpe e corazzate
Giuliano Da Fré
SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE
Provenienza geografica ed estrazione sociale degli Ufficiali di Marina
Renato Battista La Racine
Pittori di Marina rumeni
Paolo Bembo
Il transatlantico Normandie
Carlo De Risio
STORIA E CULTURA MILITARE
La costruzione dei vascelli europei nei secoli XVII-XVIII
Francesco Frasca
Affondate la Gustloff
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