O falso pao de acucar di Franco Harrauer (seconda puntata)
Dopo una doccia ed una rapida e leggera colazione, zio Amerigo li volle condurre in giro per far vedere loro la grande tenuta.
Sapete andare a cavallo?
Francesco, in Accademia, aveva seguito un corso di equitazione e per lui montare il bel baio fu uno scherzo.
Non così per il Comandante Orfeo che, un po’ a causa della sua mole e un po’ per la sua diffidenza verso i cavalli, dovette accontentarsi di un tranquillo mulo.
La “fazenda” era veramente enorme; in parte coltivata a canna da zucchero ed in parte a pascolo per una grande mandria di bovini.
Amerigo Santarelli in Italia aveva liquidato la sua azienda commerciale ed aveva acquistato in Brasile, proprio nella zona di Angra dos Reis, una grande estensione di terreno che intendeva coltivare in maniera differenziata. Su verso Nord al limite della cordillera, dove le colline si prestavano ai terrazzamenti, pensava di coltivare il caffè. Mentre la pianura, dopo il pascolo e la canna da zucchero, avrebbe potuto diventare coltura di agrumi.
Cavalcarono tranquillamente per molte ore fin quasi al tramonto, chiacchierando e rievocando ricordi e conoscenze comuni alle quali per la sua giovane età Francesco si sentiva un po’ estraneo.
Arrivarono alla spiaggia nei pressi della casa con gli ultimi raggi del sole che illuminavano la cima delle palme e fecero un rilassante bagno nelle acque tiepide e tranquille.
Il paesaggio nella calda luce del tramonto era bellissimo, la lunga e bianchissima spiaggia era interdetta qua e la da enormi rocce tondeggianti di granito, dietro le quali saliva rigogliosa la foresta. Grandi e piccole isole si stagliavano sullo sfondo dell’ Ilia Grande ancora illuminata dal sole.
Francesco che nuotava lentamente sul dorso sentì il richiamo di una campana.
Dai Francesco a terra!
Gridò zio Amerigo che con Orfeo era già da tempo sulla spiaggia. Questo è il richiamo di zia Lucia che non ammette ritardi a tavola.
Quella sera sotto la grande veranda di fronte al mare Francesco poté constatare come “i sacri legami con la patria” potessero essere consolidati e celebrati da un piatto di tortellini al ragù. Alcuni amici brasiliani erano stati invitati da donna Lucia e la serata finì con canti italiani e melodie brasiliane.
Il piccolo “saviero” navigava tranquillo tra le isole
Era un classico motoveliero brasiliano a due alberi sospinto a sei nodi da un vecchio ma affidabile motore diesel a testa calda di difficile e problematica messa in moto.
Amerigo Santarelli, orgoglioso armatore, era al timone ed aveva issato a riva la bandiera italiana accanto a quella brasiliana.
Andiamo all’Ilia Grande, sono una quindicina di miglia ma alcune baie sulla costa Nord sono molto belle e ridossate. Possiamo pescare, scendere a terra e poi rientrare in serata.
Francesco, in costume da bagno, era sdraiato a prua vicino al bompresso.
Su marinaio! Facci vedere cosa hai imparato in Accademia. Tiriamo su un po’ di vele e vieni tu al timone
gridò Amerigo.
Pedro, Birra! Richiamò due giganteschi negri che emersero dal boccaporto della cucina dove Lucia stava preparando il pranzo.
I due marinai issarono rapidamente le due rande con il picco ed un fiocco a prora e Francesco sentì sulla caviglia della grande ruota la pressione dello scafo che stringeva il vento.
Il piccolo veliero era uscito dal ridosso dell’Isola Cipoja e adesso, sbandato di pochi gradi, beccheggiava lento sulla lunghissima onda atlantica; il motore era stato spento e la velocità si era ridotta a poco più di cinque nodi. Tanto bastava per navigare in tranquillità verso l’isola.
Dopo un paio d’ore di navigazione arrivarono di fronte ad piccola insenatura della parte Nord dell’isola, inoltrandosi a motore quasi all’ombra della rigogliosa vegetazione. L’alberatura toccava quasi le palme che crescevano sulla riva rocciosa e la prua si arenò dolcemente sulla sabbia della minuscola spiaggia. Francesco saltò a terra per dare una mano a portare due cime agli alberi più vicini ed aveva voglia di camminare..
Non allontanatevi molto, qui ci si può perdere, tuttavia se riuscite ad arrivare in cima il panorama ne vale la pena. C’è un sentiero che porta in alto sul crinale dell’isola; Orfeo vai anche tu, così smaltisci quei tre piatti di tortellini che ti sei mangiato ieri sera
disse Amerigo che da poppa aveva cominciato a calare delle lenze.
Camminavano in salita da circa mezz’ora, quando raggiunsero il crinale dell’isola che guardava verso Sud. Il sentiero era appena tracciato ed a volte si perdeva nel sottobosco. Man mano che avanzavano Francesco ed Orfeo sentivano i suoni ed i richiami degli abitanti della foresta cinguettii di uccelli, grida di scimmie, stridii di insetti, rumori e suoni di ogni genere che si quietavano al loro passaggio per poi riprendere con intensità.
Lo sguardo adesso poteva spaziare verso l’Atlantico che frangeva le sue onde su scogliere e spiagge che si alternavano in valli e piccole pianure ai piedi della montagna. L’isola era interamente coperta da una impenetrabile e folta vegetazione, salvo un’ampia radura che terminava su una spiaggia. Francesco la indicò a Negri che in quel momento arriva sbuffando sulla cresta.
Deve essere una istallazione militare; guarda il lungo muro di cinta con le torrette di guardia, mi sembra più una prigione.
A circa un paio di miglia nella valle sottostante si vedeva un complesso di edifici fatiscenti e con i tetti in parte scoperchiati. Non un’anima viva.. evidentemente era abbandonato da tempo. Francesco e Negri lo osservarono a lungo mentre riposavano all’ombra di una palma. Il sentiero proseguiva in discesa verso la radura a zig zag nella selva e la vista di quegli edifici abbandonati aveva dell’inquietante.
Il Comandante Orfeo Negri ed il neo guardiamarina Francesco Attanasio percepirono in silenzio quella strana inquietudine come un futuro presagio.
19 dicembre 1941 – Aereo S.M. 82 della LATI I – BOLI – Costa Atlantica a Nord di RIO
Quarantaquattro ore di volo effettivo, ogni motore fa duemiladuecentocinquanta giri al minuto; quindi centoventimila giri ogni ora, più o meno… Dunque, vediamo un po’, quasi cinque milioni di giri da quando sono partito da Guidonia! Quarantacinque milioni di scintille delle candele di ogni motore Alfa Romeo… porca miseria! Meno male che a Pernambuco Marini ha pulito le candele di tutti e tre i motori.
Il Comandante Orfeo Negri, con la visiera del berretto calata sugli occhi chiusi, cercava di fare dei calcoli perfettamente inutili perché se quelle candele non avessero fatto il loro dovere si sarebbero trovati insieme al suo equipaggio con il culo per terra.
Sprofondato nel seggiolino del posto di pilotaggio del suo Savoia Marchetti SM 82, Negri oscillava tra veglia e sonno il suo secondo pilota Moscatelli al quale aveva passato i comandi, sapendo bene che il comandante si incazzava come un toro quando veniva interrotto o disturbato nei suoi calcoli mentali. In special modo quando i calcoli venivano accompagnati, suo malgrado, da un sonoro russare.
Il grosso trimotore italiano aveva da poco sorvolato il piccolo villaggio di Buzio ed il suo possente rombo aveva fatto alzare il capo ai pescatori intenti alle loro barche. Per loro era diventato uno spettacolo abituale. Infatti, per volte alla settimana un aereo volava basso verso Rio, mentre l’altro volava verso Bahia.
Aveva lasciato alla sua sinistra Cabo Frio con le sue scogliere a picco, sulle quali si frangevano onde colossali.
Ora sorvolava a poche centinaia di metri le bianche spiagge e lagune ad Est di Rio de Janeiro
Due giorni prima, il tozzo Savoia Marchetti aveva attraversato l’Atlantico con un volo non molto tranquillo. Undici ore e trenta minuti dall’Isola del Sale a Pernambuco.
Negri lo aveva “tirato su” all’ultimo momento, quando lancette dell’anemometro indicavano più di centocinquanta chilometri orari e si era mangiato quasi milleduecento metri di pista. Il decollo con un “3M 82” a pieno carico ed in aria calda, secondo lui era un’arte. Dopo essersi scaramanticamente messo il berretto al rovescio, partiva sempre alle prime luci dell’alba quando la temperatura era più bassa.
Con l’aereo frenato all’inizio della pista aveva portato i motori a duemila giri, con le eliche al passo minimo fino a che la temperatura delle teste dei cilindri non era arrivata ad un valore ottimale. Poi, mentre l’aereo fremeva in tutte le sue strutture ed i motori urlavano, con una battuta che a Negri era particolarmente cara disse:
Ci voleva il polipo!
Infatti, contemporaneamente bisognava allentare i freni che erano indipendenti sulle due ruote, portare il comando del passo eliche in posizione “decollo” e tirare a fondo progressivamente le tre manette del gas. A questo punto l’aereo si muoveva pesantemente in avanti accelerando, ma l’effetto “coppia” delle tre eliche lo faceva sbandare a destra e per contrastare questo bisognava ridurre la potenza del motore sinistro e contrastare con la pedaliera dando timone sul lato opposto e agendo sul freno sinistro.
Tenendo d’occhio l’anemometro ed i tre contagiri bisognava poi “restituire” sul volantino in modo da alzare la coda e portare il timone di direzione nel flusso d’aria del motore centrale. Poi a centoquarantacinque, centocinquanta chilometri orari, se tutto era andato bene e la pista non era terminata, bastava tirare a se il volantino per effettuare la “rotazione” coordinando la retrazione del carrello appena le ruote si fossero staccate da terra.
Negri, quando descriveva la sequenza dei decolli dall’isola, aggiungeva sempre che era necessaria un’ulteriore mano per darsi una toccatina quando a sinistra si sorpassava l’autoambulanza ed il carro antincendio, sempre dislocati a metà della pista che per fortuna terminava sulla spiaggia senza ostacoli.
Effettuato il decollo, il Comandante non si voltava mai assorto come era a tener d’occhio gli strumenti, ma il telegrafista diceva che sul mare l’aereo lasciava la scia a causa della bassissima quota che doveva essere mantenuta durante le prime quattro o cinque ore, a causa della temperatura e del carico.
Quel giorno, dopo un paio d’ore di volo, prima di raggiungere la quota ottimale di volo, Negri si era imbattuto in un esteso fronte temporalesco, con zone di forte pioggia. Non potendo superarlo in quota, decise di volare basso sotto il tetto di nubi nere che scaricavano pioggia battente e fulmini. Dopo un paio di ore la visibilità, sempre a causa di piovaschi divenne critica e Negri, insieme a Moscatelli furono costretti ad aprire lo scorrevole laterale per sporgere il capo e tentare di mantenere una quota di sicurezza, osservando la superficie del mare bianco di schiume.
Fu un tormento fin quasi all’altezza di Fernando de Noronha, che era sprovvista di radiofaro e poteva essere avvistata a causa del suo alto “pico” roccioso. La posizione radiale poteva essere stimata solo dalla ricezione del radiofaro di Pernambuco, che in quelle condizioni dava un segnale debolissimo. Pertanto, mantenendo una rotta bussola di 205°, solamente l’osservazione fatta dal Secondo pilota, flagellato dalla pioggia ed affacciato alla botola superiore della cabina di pilotaggio, con il derivometro poteva indicare la deriva dotta dal forte vento di Sud Ovest.
Questo boccaporto, quando il tempo era sereno, serviva per osservare il sole e durante la notte gli astri e rilevare con il sestante il punto astronomico. Il sole riuscì a mostrasi verso le 19.00, basso sull’orizzonte, quasi al tramonto e nella sua ultima luce dorata, lontano sulla sinistra apparve il profilo dello scoglio si San Paolo. Negri modificò la rotta di una decina di gradi e dopo un paio d’ore la costa brasiliana con le sue luci sarebbe apparsa a prua ed il giorno dopo il volo per Rio sarebbe stato uno scherzo.
Dopo aver dato una rapida occhiata fuori dal finestrino Negri tirò a se il piccolo tavolo da carteggio e chinandosi sulla carta nautica di rotta misurò la distanza dallo scoglio di San Paolo. Misurare la distanza di un rilevamento sulla scala in gradi del meridiano, normalmente si effettua con un compasso, ma Moscatelli con la coda dell’occhio vide allibito il suo Comandante che misurava la distanza geografica tenendo tra le mani la cravatta come se fosse un compasso… Orfeo Negri era fatto così… ma con lui si arrivava sempre!!
Comandante, siamo in vista del Pan di Zucchero…
Sentì la voce del Secondo negli auricolari dell’interfonico. A quella voce Negri aprì l’occhio sinistro, seguito poco dopo a fatica dal destro e dopo aver sollevato la visiera del berretto vide attraverso i trasparenti della cabina di pilotaggio, innanzi a se ed un po’ sulla destra, una caratteristica “pedra” che si profilava in lontananza. Si aggiustò il laringofono e disse:
Caro Moscatelli per me questa è la ventesima traversata Atlantica e conosco a memoria la costa brasiliana. La riconosco dal profumo “disse strofinandosi il naso.
Quello non è il Pan di Zucchero, ma il “falso Pao”… ne abbiamo ancora per una ventina di minuti.
Si raddrizzò sul suo seggiolino e dopo un paio di sbadigli e stiramenti impugnò il volantino.
Disinnesta lo Sperry e facciamo un po’ di quota”. L’aereo dopo sette ore di volo da Pernambuco era leggero di carburante e dopo che fu disinnestato il pilota automatico, bastò una piccola variazione nel passo delle eliche ed una lieve inclinazione del volantino per fargli guadagnare un centinaio di metri.
Come va la dietro? Martinelli, che fungeva anche da “steward”, si levò dal suo seggiolino e aprendo la leggera porta metallica, si affacciò nella cabina passeggeri con il sorriso professionale di prammatica.
L’unico passeggero, l’addetto navale italiano presso l’ambasciata di Rio, Tenente di Vascello Mario Rossi era seduto solo nella lunga cabina vuota in una poltroncina sulla destra. Era assorto nella contemplazione del paesaggio sottostante e non si accorse di Martinelli che percorreva il breve corridoio e si volse a lui solamente quando si sentì toccare lievemente la spalla.
Il Comandante chiese:
Tutto bene, occorre qualche cosa? Entro una ventina di minuti saremo a Rio, serve niente?
Rossi si tolse i batuffoli di cotone dalle orecchie e si fece ripetere il discorso, a cui rispose:
Grazie, nulla! Non vedo l’ora di scendere a terra!
ed aggiunse:
Dovrei parlare con il Comandante, crede che possa lasciare il posto di pilotaggio prima dell’arrivo?
Può pregarlo di venire qui in cabina?
Il Tenente di Vascello Rossi era salito sull’aereo a Guidonia pochi minuti prima del decollo, quale unico passeggero. Era in borghese e ciò parve strano a Negri che conosceva la qualifica diplomatica di Rossi.
Durante la sosta a Siviglia e all’Isola del Sale, dove avevano trascorso la notte, Rossi aveva partecipato alla mensa che gli equipaggi della LATI dividevano con gli stessi passeggeri e si era dimostrato cordiale, ma molto riservato.
Il suo bagaglio era una sola valigetta chiusa dai sigilli diplomatici. Negri lo raggiunse in cabina seguito da Martinelli e si mise seduto nella poltroncina accanto.
Mi dispiace di non averle potuto tenere compagnia un po’ di più, cosa che nelle traversate tranquille, normalmente ho piacere di fare.
Martinelli ci puoi portare due caffè?
Caro Comandante
esordì Rossi.
La ringrazio per il caffè, non si preoccupi per la compagnia, piuttosto, so e Lei me lo può confermare, che tra Rio, Pernambuco e Bhaia avete fermi o prossimi a partire quattro aerei e dodici uomini di equipaggio e quattro aerei e sedici uomini con questo il suo velivolo.
Nei primi giorni di Gennaio, cioè fra poco più di quindici giorni, a Rio si terrà una conferenza organizzata dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, per indurre gli stati Sudamericani a definire il loro stato di neutralità o per indurli ad entrare in guerra contro l’Italia e la Germania, cosa che con tutta probabilità si verificherà per il Brasile e qualche altro stato minore.
Disse Negri in tono amaro:
Abbiamo una lista di nemici che si allunga di giorno in giorno.
Rossi non commentò, ma il suo sguardo fu più che eloquente.
Sono d’accordo con Lei Comandante!” e proseguì dopo un paio di minuti per dare il tempo a Martinelli di servire il caffè e rientrare a prua.
So che anche Lei deve rientrare con il velivolo entro la settimana e che l’altro aereo di base a Rio deve rientrare a Roma domani, ma ho fondate ragioni di credere che non vi sarà possibile ritornare in Italia!
Rossi fece una lunga pausa, ma Negri non intervenne.
È probabile che le autorità brasiliane facciano di tutto per non farvi decollare!
Rossi guardò brevemente il paesaggio che scorreva veloce sotto i suoi occhi, mentre Negri taceva intuendo la conclusione del discorso.
Vede Comandante, i tre equipaggi, adesso quattro con voi, sono composti da uomini molto preziosi per l’Aeronautica, ben più preziosi dei vostri quattro velivoli. Stiamo per atterrare in uno stato, non ufficialmente, ma potenzialmente già in stato di guerra con l’Asse. Lei ha notato in decollo a Bahia la corazzata Bahia, la corazzata San Paulo ed avrà visto che nel porto vi era un incrociatore americano con un paio di cacciatorpediniere ed una nave appoggio. Esse servono a scortare i convogli del Sud Atlantico e ciò costituisce una palese violazione della dichiarazione di neutralità del Brasile.
Negri non aveva visto le navi, ma all’aeroporto di Pernambuco, in un settore lontano dall’aerostazione delle linee civili, aveva notato una fila di grandi aerei da trasporto ed i bombardieri che non erano sicuramente brasiliani e ciò gli era sembrato strano.
L’entrata in guerra del Brasile é già scontata e la dichiarazione ufficiale avverrà al massimo entro la prossima settimana. Prima di tale data sarete trattenuti con qualche scusa, poi sarete internati e gli aerei saranno sequestrati. Tenga presente che nella parola “probabilmente”, questa è una notizia strettamente confidenziale quindi vincolata dal segreto, può realizzarsi un vostro “probabile” rientro. Nessuna azione preventiva era possibile e quando siamo partiti da Guidonia sapevo che questo era l’ultimo volo dall’Italia.
D’altronde i sevizi aerei con il Sud America, e ciò era considerato di alto valore strategico, dovevano essere continuati sino all’ultimo senza destare sospetti.
Negri conosceva benissimo la natura dei carichi che trasportava dal Brasile all’Europa e tutte le volte che decollava da Pernambuco per l’Isola del Sale, la tratta più lunga sull’Atlantico, il velivolo si mangiava tutta la lunghezza disponibile della pista e proseguiva sul mare con i motori al massimo della potenza, stentando a prendere quota con il pieno carico di benzina e più di una tonnellata di tungstenio in lingoti, cristalli di mica e diamanti industriali diretti in Europa alle industrie belliche germaniche ed italiane. Inoltre, gli aerei della LATI avevano trasportato in Europa alcuni alti ufficiali della Kriegsmarine, che erano fuggiti all’internamento in Argentina, dopo l’affondamento della Corazzata “Graf Von Spee”, nell’estuario della Plata.
L’Aeronautica vi considera uomini estremamente preziosi e sappiamo che Lei ha un’anzianità ed una esperienza di tutto rispetto; per questo sono stato autorizzato a riferirle quanto le sto dicendo. Dovrà quindi essere il capogruppo degli equipaggi in attesa di qualcosa che la Marina possa preparare.
Finalmente Marina ed Aviazione assieme! Era ora che si collaborasse e per una prospettiva del genere può contare pienamente su me
disse Negri.
Dovremo essere quasi arrivati” aggiunse accostandosi al finestrino dal quale si vedevano le prime isole che coronano all’esterno la Baia di Rio de Janeiro.
Buona fortuna!
Fu il reciproco saluto. Rientrato al suo posto di pilotaggio Negri non fece parola al suo secondo pilota del colloquio con il Tenente di vascello Rossi.
Moscatelli dì un po’, è vero che ti sei fatto una fidanzata in Brasile?
Ma per per carità! Comandante, ho moglie e figli che mi aspettano a Roma
Già! Ho anche io qualcuno che mi aspetta” borbottò pensando al futuro
Dai prepariamoci all’atterraggio
Attraverso la cuffia dell’interfonico gli giunse la voce di Martinelli:
Non gli dia retta Comandante, ne ha una anche a Pernambuco.
Poi con più professionalità:
Rio autorizza l’atterraggio, pista 13, Sud Est, vento da Nord Ovest 10Km/h.
Ridotti i motori l’aereo perdendo quota sorvolava la baia e la città, dopo aver sfiorato alla stessa quota il Pan di Zucchero. Passarono sopra il centro della città, poi sull’isola das Cobras con il suo arsenale della Marina, poi la baia di Guanabara, con in fondo l’isola del Governatore ove si intravedeva già la nuova pista dell’aeroporto. Negri ordinò:
Fuori i flaps, seconda tacca, siamo in finale.
L’aereo rallentò sensibilmente prendendo un’assetto più picchiato che fu subito corretto. Il rombo dei motori si era fatto più basso e l’aereo fremeva per la resistenza dei flap.
Nel periodo di sospensione dei voli LATI con il Sud America, dal giugno del 1940 e per più dì un mese, Negri pilotando il suo I-BOLI ed i suoi colleghi con i loro velivoli, sfidando la caccia inglesi di base a Malta, trasportarono da Brindisi o da Castel Vetrano in Libia centinaia di soldati, munizioni e materiale militare per tamponare l’avanzata inglese in Cirenaica.
Per adesso sarete sempre alloggiati al “Gloria” assieme ai tedeschi della Lufhansa. Troverà il Comandante Bonsignore ed il comandante Fenili con i rispettivi equipaggi. State tranquilli, anche io sono in attesa di ordini.
Come previsto, poche settimane dopo il Brasile entrò in guerra contro l’Asse.
L’atteggiamento di simpatia dei brasiliani verso gli equipaggi italiani ospiti all’Hotel Gloria sulla spiaggia del Botafogo non mutò e fu sempre cordiale e corretto e senza limitazioni apparenti della libertà di movimento. Ai motoristi fu concesso di raggiungere gli aerei sequestrati per effettuare l’ordinaria manutenzione, tanto che a Negri venne in mente che si poteva tentare con uno dei velivoli un volo fuga verso l’Argentina.
Tuttavia, l’ottimismo dei colleghi e la speranza di poter essere rimpatriati, oltre ad un preciso bilancio del carburante rimasto nell’aereo, bloccò il sogno dell’irrequieto Orfeo e le limitazioni al movimenti si fecero sempre più pesanti. Le lettere in partenza venivano censurate e le telefonate erano quasi impossibili, tanto che Negri non riuscì a comunicare col lo zio Amerigo, cosa che faceva abitualmente durante le soste a Rio.
(fine seconda puntata)
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!