Tre lettere e due pacchi di Franco Harrauer
Millecinquecentoquindicesimo giorno di guerra:
I Marines americani, uno sbarco dopo l’altro, riconquistavano le isole del Pacifico perdute dopo Pearl Harbour.
Il rullo compressore dell’Unione Sovietica era arrivato nella sua inarrestabile marcia a riconquistare il suo territorio sino al corso dello Dnieper e si apprestava ad entrare nell’Europa devastata dai massicci bombardamenti alleati.
Perduta definitivamente l’Africa Settentrionale, dopo la ritirata cominciata ad El Alamein e terminata a Tunisi, anche la Sicilia era stata conquistata e le truppe angloamericane, combattendo aspramente, risalivano la penisola italiana dopo essere sbarcate senza opposizione a Taranto e nella penisola salentina. L’Italia accettava un armistizio concordato segretamente molti mesi prima. Il governo con il Re fuggiva da Roma verso Brindisi, mentre l’esercito si sbandava, l’Aviazione si scindeva in due opposti schieramenti e la Marina rimaneva unita e fedele al giuramento dato.
Nel Mediterraneo, nelle gelide acque del Nord Atlantico ed in quelle tropicali, lungo le coste del Brasile e dell’Africa i sommergibili italiani e tedeschi combattevano le ultime battaglie.
Tra gli atolli del Pacifico sino alle coste del Giappone e dell’arcipelago indonesiano, i grandi battelli americani falcidiavano il vitale flusso marittimo dell’Impero del Sol Levante.
Nell’Oceano Indiano, gli “U Boot” che erano riforniti di siluri e nafta dai battelli chiamati “vacche da latte“ e dai corsari di superficie, incrociavano i grandi sommergibili italiani che trasportavano gomma o tungsteno dal Giappone e tecnologia bellica dell’Asse dai porti atlantici della Francia occupata verso Singapore.
Sotto tutti i mari del mondo i motori dei sommergibili, al pari dei loro equipaggi, dovevano fare periodiche e furtive emersioni per “respirare“ prima di ritornare nelle oscure e sicure profondità.
Vero “tallone di Achille“, questa necessità esponeva il battello alla scoperta e alla caccia da parte delle unità nemiche che spesso si concludeva tragicamente.
La Marina Germanica, alla ricerca dell’invulnerabilità per le nuove unità subacquee, aveva adottato una invenzione già sperimentata dalla Regia Marina: lo snorkel che a quota periscopica permetteva di “respirare“. Inoltre, stava mettendo in linea gli “elektroboot” e sperimentava il vero “sottomarino“ propulso dalla turbina Walther che era indipendente dall’atmosfera: il vero “motore unico“.
Costretti ad emergere per “respirare“, settecentottantatré battelli tedeschi e centoventotto italiani furono colpiti ed affondati con quarantatremila marinai sommergibilisti.
Nella notte tra l’8 ed il 9 settembre del ’43, nelle acque del golfo di Salerno, il primo vero piccolo sottomarino italiano, che non aveva bisogno di “respirare“, si apprestava a combattere la sua prima ed unica battaglia. In realtà tutto cominciò quasi dieci anni prima.
Negli anni ’30 il Maggiore del Genio Navale “Pericle Ferretti” risolse il problema della respirazione dei sommergibili con un dispositivo che permetteva la navigazione a quota periscopica con i motori a combustione interna tipo Diesel, mentre per la navigazione completamente subacquea era sempre necessario il motore elettrico con le pesanti batterie ricaricabili dallo stesso Diesel.
www.delfinidacciaio.it/propulsione.html
Il dispositivo “ML“ fu istallato sperimentalmente nel 1934 su alcuni battelli tipo “Sirena“ in costruzione al cantiere CRDA di Monfalcone. Ma l’incremento di soli 1.7 nodi ottenuto in immersione con il diesel e il dispositivo ML, rispetto al motore elettrico, ne giustificò l’abbandono e l’accantonamento.
Per inciso, dopo l’8 settembre la Kriegsmarine adottò il dispositivo ML sui suoi sommergibili, chiamandolo snorkel. Il dispositivo di Ferretti era stato trovato abbandonato nei magazzini del cantiere di Monfalcone. Il vero obiettivo delle ricerche di Ferretti era l’eliminazione del motore elettrico e della sua batteria, sostituendoli con un motore termico “unico“ ed indipendente dalla aspirazione atmosferica. Secondariamente, lo studio e la determinazione di una forma idrodinamica per un vero battello sottomarino e non sommergibile, capace di sviluppare forti velocità subacquee.
La soluzione di base era un motore unico, cioè un motore che come comburente potesse usare i suoi stessi gas di scarico purificati ed additivati con ossigeno… cioè un motore a ciclo chiuso. Ferretti mise a punto un motore aeronautico a quattro tempi Isotta Fraschini “Asso“ da 350 CV alimentato ad alcool al 97 % e ossigeno conservato allo stato liquido in bombole ad alta pressione.
L’alcool solubile in acqua salata depurava i gas di scarico raffreddati dai residui di combustione e li faceva ritornare nel ciclo.
Le prove a terra nel 1936 dimostrarono l’impossibilità di raggiungere ulteriori grandi potenze con questo sistema che ne riduceva l’utilizzazione a battelli di piccole dimensioni e quindi di limitato valore strategico.
Da questa limitazione nacque l’idea del piccolo sottomarino d’assalto SA, progettato dall’Ammiraglio “Eugenio Minisini” al quale si doveva anche il lanciasiluri ad impulso laterale istallato sui Mas. Sottomarino già realizzato da Caproni ma con scarse doti di velocità e stabilità di lancio. Il battello di Minisini fu impostato in due esemplari, SA 1 e SA 2, nel 1941 in gran segreto, presso il silurificio di Baia, abbandonando l’idea architettonica del classico sommergibile ed era progettato come un sottomarino.
Disegni realizzati da Franco Harrauer ricostruendo il tutto dalle foto documenti, specifiche tecniche ecc.. basate sulle ricerche dello storico navale Enrico Cernuschi.
I due esemplari erano battelli fusiformi di 13 tonnellate cadauno, con linee estremamente idrodinamiche, equipaggio di tre uomini e motore a ciclo chiuso Isotta Fraschini, che azionava un’ elica prodiera trattiva, alla velocità subacquea di 15 nodi, la più alta mai registrata sotto acqua.
I due SA erano armati con due siluri in gabbie per lancio poppiero. Il piccolo battello era dotato di uno scafo resistente di forma cilindrica con terminali conici molto raccordati. Non avendo controcanne nelle quali alloggiare le casse di compenso ed assetto, il volume era calcolato per avere una riserva di galleggiamento di soli 300 Kg.
La navigazione in immersione alla quota massima di 25 metri era assicurata dinamicamente dai timoni di profondità che avevano una incidenza fissa di 5 gradi alla velocità di 15 nodi.
Le variazioni di quota potevano essere ottenute solo dinamicamente variando la velocità ed agendo sui timoni orizzontali oltre i 5 gradi fissi. La riserva di galleggiamento poteva essere incrementata in emergenza sganciando la chiglia esterna in piombo, in tal caso essa saliva a 1800 Kg. Era previsto anche un dispositivo di compensazione che immetteva acqua di mare al peso corrispondente del carburante consumato.
Le bussole erano due:
- magnetica, che era sistemata nella pinna del periscopio, lontano dalla massa dello scafo e letta mediante un ripetitore
- giroscopica, montata in camera di manovra.
L’efficacia e il rendimento delle eliche trattive erano state ampiamente dimostrate nelle prove in vasca e in mare su modelli in scala degli SA. Le eliche anteriori dimostrarono inoltre che il battello era:
- molto stabile nel mantenimento della quota subacquea
- molto manovriero
- immune dagli scompensi di assetto e velocità durante le fasi di lancio.
Infatti il lancio prodiero di due siluri del peso di una tonnellata, per reazione avrebbe rallentato sensibilmente la velocità di un battello di tredici tonnellate facendolo anche emergere in assetto pericoloso.
Il vantaggio dell’alta velocità era però castigato dalla scarsa potenza ottenibile dall’apparato motore e incompatibile con l’esigenza strategica che voleva per i battelli di elevato dislocamento, autonomia e capacità offensiva, limitandone l’impiego al campo tattico.
Era stato studiato il suo lancio a breve distanza dall’obiettivo mediante un “vettore“ che in questo caso poteva essere un cacciatorpediniere di squadra della classe “soldati“ dotato di uno scivolo di lancio poppiero. Il lancio avrebbe dovuto avvenire alla velocità di 30 nodi mediante la trazione di un’ancora galleggiante del tipo a paracadute solidale all’invasatura del battello mediante un cavo.
Il sottomarino SA entrava in acqua di poppa e con il motore già in moto e si immergeva svincolandosi dall’invasatura che poteva eventualmente essere recuperata ed era quindi una specie di siluro pilotato di grande autonomia.
Le prove a mare svolte in gran segreto nel tratto di mare tra Procida e le isole Pontine diedero buoni risultati, anche se limitati alla resistenza fisica e psicologica dell’equipaggio e dalla scarsa velocità del mezzo “vettore“, un vecchio pontone posamine litoraneo, eufemisticamente classificato “Galleggiante Inseguimento Siluri GIS 7”, che con i suoi Diesel Tosi raggiungeva a mala pena gli 8 nodi e rendeva critica la fase di lancio.
Il vero ostacolo all’impiego immediato di questo mezzo rivoluzionario era la complessità e delicatezza dell’apparato motore, oltre alla sua conduzione. Esso richiedeva continue e meticolose messe a punto, con modifiche e sopratutto conoscenze tecniche da parte del motorista. Le cause di tutto ciò erano nell’inesauribile “perfezionismo” di Ferretti che portava ad una spirale senza fine nella ricerca del motore perfetto.
Fu cosi che nel 1942, presso l’Istituto dei Motori di Roma, si sperimentò al banco con successo un nuovo motore, mentre in un reparto isolato e segreto del Silurificio di Baia, si impostò il sottomarino SA 3. Il motore questa volta era un Diesel, probabilmente un OM a due tempi, i cui gas di scarico usati per diluire l’ossigeno liquido, venivano direttamente espulsi in mare, mentre il loro residui, arricchiti di ossigeno, venivano direttamente iniettati nei cilindri.
Come ulteriore perfezionamento Ferretti mise a punto una miscela comburente, in un primo tempo a base di ossigeno allo stato liquido, oltre al gasolio e successivamente diluendolo nell’elio che è un gas neutro.
E’ di quel periodo l’interesse del Comandante della X MAS “Capitano di Fregata “Junio Valerio Borghese” per questo mezzo ormai classificato come mezzo d’assalto, sollecitando l’amico Principe Cinori Conti, presidente della Società Lardarello unica produttrice di questo gas, per incrementarne la produzione e l’accantonamento. (doc.)
Questa ricerca portò al risultato eccezionale di sviluppare 40 Cv per litro di cilindrata, con un peso di tre Kg per CV, valori assolutamente positivi per un motore a circuito chiuso del tipo Diesel.
Il sottomarino SA 3 era accreditato di una velocità subacquea di oltre 20 nodi raggiunti su base misurata e presentava alcune varianti rispetto ai precedenti SA 1 e SA 2. Esso fu realizzato, in un reparto isolato, modificando il progetto SA 2 con una differenza sulla parte poppiera dello scafo non resistente, che era del tipo a “castoro“, con il timone di profondità incorporato in essa e sormontata da una coppia di timoni direzionali. Inoltre i tubi lanciasiluri da 450 mm erano sempre due, con lancio verso poppa, ma all’interno dello scafo non resistente.
La stabilità longitudinale in immersione era assicurata da un servomotore idraulico Riva Calzoni, asservito ad un piatto idrostatico del tipo montato sui siluri. La realizzazione del sottomarino SA 3, oltre che dalle restrizioni di segretezza e dalle continue modifiche, (Ferretti si proponeva di poter raggiungere i 25 nodi con un motore esotermico a turbina) fu ostacolata nella primavera del 43 dalla situazione bellica contingente.
Il misterioso danneggiamento di un incrociatore americano nel Golfo di Salerno, avvenuto nella notte tra l’8 ed il 9 settembre del ’43, più volte attribuito a bombe teleguidate tedesche, ad aerosiluranti o al sommergibile italiano “Vellela“ , successivamente affondato presso “Punta Licosa”, potrebbe essere in realtà attribuito al piccolo SA 3 che, non ancora consegnato ufficialmente alla Regia Marina, ma in collaudo di accettazione con equipaggio militare, partì il tardo pomeriggio dell’8 settembre da Baia per l’ultimo collaudo (operativo?) e non rientrò alla base.
Il piccolo battello, alle 19,30 lasciò la darsena del silurificio a bordo del GIS 7, accuratamente coperto con reti mimetiche. Lo stabilimento era ormai chiuso, ma a bordo, come d’altronde in tutta l’Italia, nessuno sapeva ancora della proclamazione dell’armistizio.
La ricerca tecnico/storica, in collaborazione con Enrico Cernuschi, ha prodotto un’enormità di informazioni che, dopo più di cinquanta anni, declassificate dalla Marina Americana, si stanno rivelando di grande valore storico.
L’indubbio interesse suscitato dalla recente pubblicazione da parte di una rivista motonautica italiana che, le eliche trattive controrotanti sono frutto del lavoro di ricerca italiano e la liberalizzazione dei documenti dell’OSS, madre della CIA, allora in mano a Mr. Donovan, hanno evidenziato che in quel periodo vi furono rapporti tra mafia e camorra italo americana ed i servizi segreti della US Navy. Rapporti tesi a svelare le tecnologie molto avanzate delle nuove armi subacquee allo studio e sperimentate presso il Silurificio Italiano di Pozzuoli – Baia, per conto della Regia Marina, tra cui il nuovo tipo di piccolo sottomarino siglato SA.
Copie di documenti segreti, relazioni tecniche e fotografie, ci sono state inviate dagli Stati Uniti e precisamente dal Dr. O’Hara, eminente storico che ha accesso agli archivi della Biblioteca del Congresso US (doc.).
Si sapeva che la “felice“ ubicazione del Centro sperimentale del Silurificio era nell’aerea di Napoli e specificamente a Baia e si sapeva inoltre che l’ambiente, dal punto di vista della sicurezza, era un “colabrodo“.
Recentemente un nuovo sorprendente elemento è entrato in nostro possesso, con l’esistenza di due preziose fotografie che ritraggono un piccolo sommergibile o meglio un sottomarino che, su un carrello trainato da un
vetusto Fiat 18 BL, sta uscendo dallo stabilimento di Baia, dove presumibilmente sarebbe stato costruito, in pieno giorno e sotto lo sguardo perplesso e incuriosito di tutti gli operai del silurificio, che scommettevano se la torretta del piccolo battello sarebbe passata sotto l’arcata del portone di ingresso.(doc.)… passa o non passa? L’operaio che in una delle foto si vede in cima ad una scala tranquillizzerà le maestranze in patriottica attesa.
Lo spettacolo avvenne in pieno giorno, in uno dei più segreti reparti sperimentali dell’industria bellica italiana, in piena guerra e precisamente nell’estate del 1943.
Ma cos’è l’oggetto sul carrello, in attesa del verdetto dell’omino in cima alla scala? Si tratta, fuori da ogni ragionevole dubbio, del sottomarino SA 3, il prototipo definitivo dei tre sottomarini sperimentali tipo SA, del quale si ignorava fino a quel giorno dell’esistenza, documentata da disegni, progetti, relazioni e fotografie.
Allo stato dell’arte del 1943, era un vero capolavoro dell’avanzatissima tecnologia subacquea italiana! Primo vero sottomarino con capacità di navigazione occulta ed illimitata, dotato del suo motore a circuito chiuso che, solo nei successivi anni duemila, verrà realizzato dalla tecnologia germanica con i battelli tipo U 212, ora in dotazione alla Marina Militare Italiana.
Le due foto del SA 3 sono l’unica testimonianza dell’esistenza di questo battello del quale si ignorava persino che fosse stato costruito.
Le due uniche e preziose fotografie e quella successiva delle eliche trattive contro-rotanti ci sono state gentilmente inviate dal figlio dell’ingegnere Roberto Avati, che all’epoca lavorava presso il silurificio di Baia. Inoltre, come potete notare dalla foto pubblicata qui a fianco, queste eliche di diametro apparente superiore ai 533 mm, potrebbero essere i propulsori “trattivi” sperimentali dei sottomarini SA, poiché non sono protette dal “castello” di suporto dei timoni e mancano nell’ogiva dello scarico dei gas. Probabilmente le propulsione era elettrica.
La foto si aggiunge alle due foto del sottomarino SA 3 “Kammamurì”, su carrello di trasporto in uscita dal silurificio di Baia, quale unico elemento dell’esistenza di questo straordinario ed avveniristico battello.
Tutti i documenti e le relazioni tecniche dell’ US Navy, datate dopo l’armistizio dell’ 8 settembre, parlano di due primi battelli sperimentali SA 1 e SA 2; quest’ultimo rapidamente recuperato in mare nella darsena innanzi al silurificio, dopo l’ingresso a Baia degli americani e da essi rapidamente inviato in America. Recupero documentato dalle numerose fotografie inviateci da O ‘Hara, che abbiamo potuto esaminare e dalle quali abbiamo anche ricostruito un disegno dimensionale.
Nessuna documentazione parla o fa cenno dell’esistenza di un terzo battello SA 3 che, viceversa, appare nelle due foto dell’ ing. Avati, con una configurazione molto più avanzata, specialmente nella parte poppiera dove sotto il timone orizzontale di profondità si intravedono le bocche di due tubi lanciasiluri.
Oggi si potrebbe ancora recriminare sulle scarpe di cartone degli alpini italiani in Russia e sull’esistenza contemporanea della tecnologia estremamente avanzata dell’ SA 3… Probabilmente la storia andrebbe riscritta dopo ricerche documentate e serie.
Altre fotografie, relazioni di prove di navigazione, dei collaudi motori e progetti del piccolo SA3, tutto materiale classificato segretissimo, è stato distrutto presso gli uffici tecnici della Marina a Roma nei giorni immediatamente precedenti l’8 settembre. Evidentemente a Baia qualcuno aveva pensato differentemente.
L’esistenza dell’AS 3, del quale si ignora la fine, (è risaputo che a Napoli e dintorni è possibile far sparire anche una nave…) la strana sorte del precedente SA 2, che nelle foto del suo recupero appare abbondantemente rottamato e privo dell’apparato di propulsione, ipotizzano che “Willie”, nome di copertura di Vito Genovese e gli altri soci napoletani della OSS, fossero a conoscenza dell’esistenza e operatività sperimentale dell’ AS 3 ed invece di dirlo a Mr.Donovan, abbiano voluto fargli il classico “pacco napoletano“, per poi “tesaurizzarne“ i meriti negoziandoli poi con il nuovo Governo Italiano del Sud, la cui Marina Militare voleva conservare per il suo futuro, la preziosa tecnologia del “super motore unico“.
- Che fine ha fatto il sommergibile SA3?
- Giace abbandonato e vivisezionato in qualche capannone di un arsenale della Marina Militare Italiana chiuso a chiave?
- Il suo motore è stato fatto “sparire“ dopo i collaudi in uno stabilimento di Zingonia?
- La sua carcassa arrugginita giace in un fondale della baia di Pozzuoli, a poca distanza dal luogo dove era stato facilmente recuperato il sottomarino SA 2?
A noi piace pensare che il piccolo SA 3 sia adagiato tra le gorgonie, ormai coperto dai coralli, in un basso fondale tra gli isolotti dei “Li Galli”, di fronte a Positano (SA).
Inizia così il “racconto – romanzato” di Franco Harrauer di questa intrigante, simpatica ed a tratti nebulosa storia di guerra ambientata durante la seconda guerra mondiale in quel di Napoli e dintorni.. per essere precisi: Baia – Pozzuoli Positano ed i tre isolotti de “Li Galli” (SA) che ha tre figure come personaggi principali:
P.S.: I nomi citati nelle “tre lettere” sono reali:
- Il Comandante Athos Fraternale, mancato alcuni anni fa, era mio cugino, ex comandante del smg Morosini in Atlantico, a lui debbo molte “confidenze“.
- L’ingegnere Viola, credo abbia lavorato a Zingonia negli anni ’60.
- Salvatore Esposito, se mai è esistito, è il migliore esempio di marinaio: il ritratto di tutti i sommergibilisti italiani.
Nota: E’ chiaro che a confondere ancor più questa intricata vicenda, ma forse a far luce sull’esistenza e la sorte degli SA, è interessante leggere i libri:
- Servizi segreti Italiani ”ADN Kronos 1985” del Generale Viviani
- “Come perdere una guerra e vincere una pace“ di Vera Zamagni – Edizioni “Il Mulino” 1997.
UNA LETTERA DA POSITANO
Positano, 9 Maggio 1947
Al Comandante
Capitano A.N. – Athos Fraternale
Ufficio Personale M.M. Ministero Marina M.
Lungotevere delle navi RomaCarissimo Comandante,
Ho saputo solamente alcuni giorni fa del suo rientro dalla prigionia; spero che anche il Capitano Solsari, che era con noi, sia già rientrato in Italia, ma non ne ho notizie. Da quella notte del 6 settembre, nel Golfo di Salerno, quando il nostro SA 3 “Kammamurì“ (espressione che in napoletano vuol dire testualmente: qua dobbiamo morire) è affondato in un bassofondo di dieci metri presso le isole de “Li Galli”, non ci siamo più visti ne sentiti.
Lei mi ha fatto uscire dal battello per primo con il respiratore, mentre stavamo con l’acqua alla gola. Sono riuscito a raggiungere a nuoto l’isola piccola, quella a Sud e mi sono nascosto tra gli scogli. Improvvisamente la motovedetta inglese che ci aveva dato la caccia illuminava con il faro il mare nella mia direzione e fermandosi, ho pensato che vi avesse recuperato assieme al Capitano Soleri, così come fortunatamente è avvenuto. Prima che albeggiasse ho smontato il respiratore e con il solo sacco polmone che mi sorreggeva ho raggiunto a nuoto la spiaggia tra S. Agata e Positano, che come sapete è il mio paese.
Ho nuotato per un paio d’ore tra una grande quantità di rottami, facendo il “morto“ quando sentivo avvicinarsi una di quelle motovedette che ci davano la caccia. Sentivo il rumore delle cannonate ed il rombo di numerosi aerei che all’alba sorvolavano la testa di sbarco e la zona di mare antistante. Giunto a casa la gioia di essere salvo e ritrovarmi assieme ai miei è stata amareggiata dalla notizia dell’armistizio firmato poche ore prima. Per me è stato un duro colpo e non ho potuto trattenere le lacrime.. erano lacrime di rabbia al pensiero dei nostri compagni caduti nell’affondamento del Morosini in Atlantico.. Mi sono ricordato che, quando eravamo ancora a bordo del GIS, sotto-costa nei pressi di Sorrento, avevo visto a terra fuochi, luci e suoni che non erano quelli di una ormai usuale incursione aerea.. Infatti, a terra si festeggiava la fine della guerra. Poveri illusi! Quante sofferenze ci attendevano ancora.
Mentre i tedeschi erano ancora a Salerno combattendo contro le forze americane sbarcate a Vietri sul Mare, nei giorni successivi, dopo aver messo al sicuro la mia famiglia tra i boschi del “Monte Faito”, ho tentato di raggiungere Napoli e Baia per fare un primo rapporto tecnico di missione all’ ingegner Viola. Rientrato successivamente al silurificio avevo trovato un gran casino.. Più della metà del personale se l’era squagliata e ho avuto l’impressione che sia a Baia, come a Napoli, tutti aspettassero gli americani…
Che vergogna, specialmente per me che avevo ancora il sale addosso! Ho fatto un primo rapporto all’ingegner Viola che mi ha raccomandato di non dire a nessuno della nostra missione, di dove era affondato il SA 3 e di non parlare assolutamente del battello. Mi sono ricordato e ho trascritto nella relazione anche i dati di consumo di elio, avendolo annotato durante la missione, che nella fuoriuscita dal battello avevo perso in mare e che tanto preoccupava il Comandante Borghese della X Mas.
L’ingegner Viola era molto soddisfatto del rendimento del nostro nuovo motore e ha telefonato subito al Professor Ferretti che era a Milano. Poi l’ho aiutato a raccogliere alcuni disegni e documenti e congedato il carabiniere di guardia al capannone ormai vuoto, abbiamo chiuso il nostro laboratorio segreto. Viola è partito subito per Milano, mentre al tramonto, una squadra di operai stava caricando il vecchio SA 2 parzialmente smontato su un pontone. Pare che l’ordine fosse stato dato dal Comando Marina tedesco di Napoli e mi è parso molto strano che dalla Direzione fossero state date precise istruzioni di affondare il pontone con il suo carico, in un posto ben preciso, poco distante dal molo del silurificio in un fondale di pochi metri.
Nello stabilimento eravamo rimasti in pochi, alcuni dipendenti dell’Ufficio Tecnico ed una squadra di operai nuovi che non avevo mai visto, addetti proprio al caricamento del pontone. Ogni tanto venivano squadre di tedeschi che caricavano sui camion i pochi siluri pronti per la loro Marina e perquisivano e saccheggiavano gli uffici.
Qualcuno mi disse che l’Archivio era stato messo al sicuro per tempo al Nord, oppure come cominciavo a pensare, era stato nascosto pronto per essere consegnato agli americani, come la carcassa del vecchio SA 2. Da lontano si sentiva il tuonare dei cannoni e sembrava che fossero arrivati a Nocera e Castellammare di Stabia i caccia bombardieri che sganciavano bombe, mitragliando Napoli, Pozzuoli e Baia. Però sembrava che il Silurificio fosse un obiettivo da preservare intatto, tanto che la popolazione vi si rifugiava nonostante il rigido divieto.
Il 1° ottobre gli americani entrarono a Napoli e subito dopo a Pozzuoli e Baia. Il giorno stesso, quando le retroguardie tedesche si ritiravano combattendo sulla via Domiziana, verso il Volturno, gli americani entrarono nello stabilimento. Erano una cinquantina, tra soldati, ufficiali di Marina e civili, tra i quali ho riconosciuto alcuni dipendenti del silurificio che indicarono con precisione dove era affondato il pontone. Alcuni sommozzatori della Marina Americana si immersero e con la nostra gru galleggiante, rimasta miracolosamente intatta in mezzo a tanta distruzione, recuperarono il sommergibile SA 2. Così il vecchio “Janez“ fu caricato a pezzi su un carrello pianale per trasporto dei carri armati e avviati verso il porto di Napoli per essere urgentemente spedito presso un arsenale della Marina Americana assieme a molte casse di documenti e disegni.. (quelli che erano stati messi al sicuro al Nord). Poi il silurificio fu definitivamente chiuso e tornai a Positano molto amareggiato.
Ancora adesso, spesso guardo il mare in direzione de “Li Galli” e penso che il nostro “Kammamuri“ SA 3 riposa in pace con i suoi segreti.
A Napoli “molti” sapevano del vecchio SA 1, il prototipo poi rottamato dopo le prove deludenti del motore. Sempre a Napoli “pochi” sapevano del successivo SA 2, con il motore a benzina ed ossigeno, ma “nessuno” sapeva del nostro sommergibile SA 3, costruito in segreto nel settore studi ed esperienza, fuori dal silurificio in un capannone presso il lago Fusaro e ben guardato dai Carabinieri. Mentre noi entravamo nel capannone dopo i soliti interrogatori dei Carabinieri, compreso il direttore Ammiraglio Minisini, “tutti” a Napoli sapevano della costruzione dei piccoli sottomarini a Baia e li chiamavano “Sandokan“ e “Janez“, aspettando il “Kammamuri“.
E così anche gli americani, con la preziosa e precisa indicazione dei cugini della camorra napoletana, non aspettavano altro che raggiungere Baia e il piccolo SA2, “nascosto” al sicuro in un fondale facilmente raggiungibile. Caro comandante, il silurificio come sicurezza era un “colabrodo“ e la camorra era ben piazzata anche nei nostri uffici tecnici ed amministrativi che erano depositari di importanti segreti militari sui nuovi siluri radioguidati ed altre nuove armi. Nel 1942, a seguito della fuga di notizie riservate, vi furono numerosi arresti con successive condanne e qualche fucilazione che fecero molto scalpore.. erano solo pesci piccoli sacrificati per il colpo grosso. A Baia tutti hanno riconosciuto il boss “Vito Genovese”, che gli americani durante il recupero del SA 2 chiamavano “Willie“ e che adesso vive tranquillo a Napoli dopo il suo rientro dagli USA…
Ma se “Willie“ ha fatto il “pacco“ ai danni della Regia Marina, noi del Fusaro dobbiamo essere orgogliosi di aver fatto il “doppio pacco“ alla Marina Americana, con il nostro sommergibile AS3 “Kammamuri“!
Sempre agli ordini!
Suo Capo Motorista
Gennaro Esposito
UNA LETTERA DA ROMA
Roma 10 giugno 1947
Egr. ingegnere
Carlo Viola
Via C. Aloisi, 32 RomaCarissimo Carlo,
finalmente, dopo il mio rientro in Italia ho avuto il tuo indirizzo da amici comuni. Ho saputo che ti sei congedato da tempo e sono felice per il tuo reinserimento nella vita civile ma, come vedi, la divisa della Marina noi l’abbiamo cucita addosso e se non sbaglio tu lavori nell’industria navale e ti occupi sempre degli studi per il motore unico per i sommergibili. Motore che hai iniziato a studiare prima della guerra con il professor Ferretti e che equipaggiava il nostro SA 3 a Baia. Non ci vediamo da quella sera dell’ 8 settembre quando ci siamo salutati sul GIS del Cantiere che mi sganciò a ridosso di Punta Campanella. Hai saputo che Gennarino Esposito, il nostro fido motorista, si e salvato dopo l’affondamento del battello e mentre io e Solari venivamo fatti prigionieri e tradotti in Algeria, lui se l’è squagliata a nuoto ed è rientrato a Baia e mi ha scritto raccontandomi le vicende del Silurificio e lo strano destino del sottomarino SA 2 , che attualmente pare sia in America per essere studiato dai cervelloni dell’ US Navy.
Insieme a Solari credevamo che fosse annegato dopo la fuoriuscita dal battello e quando siamo emersi, a poca distanza dalle scogliere dell’isola dei Galli, siamo stati raccolti dal cacciasommergibili inglese che ci aveva dato la caccia dopo il lancio dei nostri due siluri contro l’incrociatore americano davanti a Salerno.
Il comandante del cacciasommergibili ci accolse a bordo con un certo stupore e imbarazzo, tanto che non riuscivamo a capirne il perché.
“l’Italia non è più in guerra contro gli alleati da più di sei ore. E’ stato accettato un armistizio! Sorry!“
Nella notte poi venimmo a sapere che dall’altra estremità del golfo, presso punta Licosa, era stato affondato il nostro sommergibile “Vellela“ con tutto il suo equipaggio. Anche questa unità, come il nostro SA3, era stata inviata nel Golfo di Salerno per contrastare “l’imminente sbarco“. Fu un contrasto criminoso, un inutile sacrificio ordinato da Supermarina e dagli Ammiragli che avevano mercanteggiato la resa molti giorni prima. All’amarezza della prigionia adesso si aggiungeva quella della resa e della consapevolezza che i marinai italiani erano stati traditi da chi aveva accettato il loro giuramento.
Noi eravamo partiti da Baia con il GIS, proprio mentre veniva annunciato l’armistizio. Ho saputo poi che Gennarino ti ha raggiunto a Baia e ti ha fatto la prima relazione sull’attacco e sul comportamento del motore e degli impianti. Ma la parte più interessante della sua lettera è quella che riguarda l’azione di spionaggio all’interno del Silurificio e l’interesse degli americani per i nostri sottomarini equipaggiati con motore unico a circuito chiuso ideato da Ferretti.
Mentre ero in prigionia in Algeria, la Marina Americana nell’Arsenale di Groton stava sperimentando e studiando l’ SA 2 prontamente recuperato sul fondale a pochi metri dallo stabilimento.
Ma anche se non siamo più nemici ma cobelligeranti, mi rimane la grande soddisfazione che il motore istallato sul SA 3 è rimasto un segreto custodito sott’acqua presso l’isola dei Galli. Mi rimane però anche il piacevole sospetto che la camorra napoletana, alla quale si erano alleati gli americani, abbia fatto il “pacco“, come mi suggerisce malignamente “Gennarino Esposito” nella sua lettera.
Infatti, è indubbio che abbiano rifilato agli amici dell’OSS i rottami inutili dell’SA 2, con il vecchio e inaffidabile motore a benzina ed ossigeno, ben sapendo che nell’officina segreta del Fusaro era stato messo a punto il sottomarino SA, 3 con il nuovo motore ad alcool ed elio. Ma il nuovo sottomarino era sparito in quella notte dell’8 settembre assieme al suo avvicinatore GIS 7. Infatti, adesso ricordo che avevamo fatto circolare la voce che il GIS sarebbe stato trasferito a La Spezia con un carico di materiali.
Ma tornando a quella notte, dopo che il GIS 7 con te a bordo ci aveva varato a ridosso della penisola Sorrentina, mi diressi verso Capri per doppiare sotto-costa la Punta Campanella. Navigando ad una quindicina di metri di profondità, quota che il battello manteneva dinamicamente con pochi aggiustamenti dei piani di profondità, asserviti al sistema idrostatico Calzoni che finalmente funzionava senza fare capricci, Solari era seduto dietro di me e manteneva la rotta che gli avevo indicato sul piccolo tavolo da carteggio. Eravamo paralleli alla batimetria dei cento metri ed ogni cinque minuti riducevo il regime del motore per portare il battello a quota periscopica e controllare la distanza dalla costa, dietro la quale vedevo lampeggiare la battaglia nel Golfo di Salerno.
Avevo avuto informazioni che Capri era stata occupata da un commando americano e quindi doppiai “Punta Campanella”, tenendomi molto vicino alla costa ed usando l’ecoscandaglio, anche perché l’idrofono mi trasmetteva negli auricolari il caratteristico rumore del Diesel e della rotazione delle eliche di una unità in pendolamento. Erano le unità antisom che pattugliavano il perimetro della testa di sbarco. Il motore ronzava tranquillamente a 1800 giri ed i consumi di ossigeno ed elio erano sotto controllo di Gennarino, che seduto innanzi a me, li annotava nel suo inseparabile e sgualcito taccuino. Certo è che stare seduti, chiusi entro un tubo di un metro e mezzo di diametro ti fa venire una irresistibile voglia di tirarti su in piedi per sgranchire le membra e rimpiangevo la camera di manovra del mio “Morosini“, che ora riposava sui fondali del Golfo di Biscaglia.
Alle 19.00 ho fatto rotta 270°, con velocità 15 nodi a quota 10 metri e con brevi affioramenti, per portarmi nella usuale zona di collaudo che avevo concordato con il Comando Sommergibili di Napoli. Una zona all’altezza della foce del Sele, a 15 miglia dalla foce stessa.
A bordo funzionava tutto bene o quasi. L’impianto di rigenerazione e ventilazione non ne voleva di sapere funzionare e dopo quattro ore dal varo dalla GIS, l’atmosfera a bordo era alquanto pesante, ma per noi era abbastanza familiare quell’aria che il Comandante Borghese classificava come il miglior profumo: una miscela di sudore, olio , nafta, umori di cattive digestioni, alla quale si aggiungeva lo strano odore dell’elio e dell’alcool metilico. Inoltre la temperatura e l’umidità che si condensava all’interno del battello era a livelli mai raggiunti.
Eravamo vestiti con le tute da lavoro regolamentari della Regia Marina, ad eccezione di Esposito che, beneficiando di una statura non superiore al metro e cinquanta, era riuscito con strani contorcimenti a liberarsi della tuta ed era rimasto in canottiera e mutande, abbigliamento che noi, suoi diretti superiori, “obtorto collo“, con invidia gli avevamo concesso. L’illuminazione interna era ridotta alla luce rossa di rigore nelle camere di manovra dei sommergibili. Evidentemente i cacciasommergibili inglesi o americani avevano ricevuto ordine di allargare la zona di caccia e sorveglianza perché improvvisamente sentii sullo scafo metallico la staffilata di un ADSIC che mi aveva localizzato. Fu allora che invertii la rotta.. non ero più in una zona di collaudo, ero in zona di guerra ed era mio dovere attaccare per difendermi.
Puntai verso la costa per poi tenermi con la chiglia ad una batimetria di venti metri, in modo da confondere con il fondo i cacciasommergibili ed il suo “ping“, che sentivo provenire alle mie spalle. Stavo forse disobbedendo agli ordini, ma oltre all’SA 3 avevo anche due siluri elettrici da collaudare. Ormai avevo superato il traverso di Vietri sul Mare ed ero in piena zona di sbarco con il mio cacciatore sempre alle spalle e sorpassata Salerno l’ecoscandaglio marcando bassi fondali di sabbia mi fece capire che potevo essere quasi alla foce del Sele e mi slargai verso Sud Est, non sentendo più i segnali di scoperta a poppavia.
Verso le 20.15, durante una breve delfinata, avvistai quasi a prua a meno di due miglia, una sagoma scura che si stagliava contro l’orizzonte lattiginoso, illuminata dai brevi bagliori del bombardamento a terra. Pareva immobile ed i vistosi baffi bianchi pitturati a prua non mi avevano tratto in inganno. La sagoma delle sovrastrutture era quella di un incrociatore leggero dell’US Navy, con le torri brandeggiate al traverso, forse in posizione per battere la spiaggia di sbarco con le sue artiglierie.
Avverto Solari e Gennarino e con il pedale destro a fondo inizio una virata di 180° a quota 15 metri, per portarmi in posizione di lancio per i nostri due lanciasiluri poppieri. Mentre il battello vira, faccio ruotare di 180° il visore del periscopio e riemergo un paio di secondi per inquadrare il bersaglio nel reticolo graduato quando ho completato la virata. Il beta è 0° in quanto la nave e praticamente ferma.. Do l’ordine a Salari “uno e due.. FUORI!” e sento la spinta potente dei due siluri che si scarica sul mio piccolo scafo.
Do tutta potenza al motore, mentre sento la voce di Solari che scandisce i secondi sul suo cronometro… 15… 16… 17… sino a 38, poi si ferma con voce perplessa ed aspetta che il suono delle esplosioni arrivi attraverso l’acqua che ci circonda. Arrivò il boato di due esplosioni contemporanee e SA 3, a meno di tre miglia sentì sul guscio dello scafo l’onda di pressione.
Verso le 22.00, eravamo già al traverso della Costiera Amalfitana, percepii nettamente la frustata di un altro ADSIC. Qualche nuovo cacciasommergibili ci aveva beccato! Fu una lunga agonia di cambiamenti di rotta e di quota. Contavo molto sulla nostra velocità, ma l’unità che ci aveva individuato non mollava la preda. Andò avanti così fino verso mezzanotte, quando una scarica di almeno sei bombe di profondità esplosero in due brevi successioni.. Persi il controllo del battello che emerse di prora… il periscopio fu messo fuori uso da due colpi di cannone nella camicia di protezione. Uno dei colpi di cannone deve aver colpito anche la bussola magnetica, la giroscopica era già fuori uso, che come sai era in alto sulla camicia, lontano dalla massa magnetica dello scafo.
Cosi’ diventammo ciechi e senza una indicazione della rotta da seguire. Sentii che il battello si appruava e sprofondava, ma ricordai che in una delle ultime emersioni avevo visto l’isola de “Li Galli” verso Ovest a breve distanza. Solari mi avvisò che doveva esserci una via d’acqua importante verso poppa, che le pompe e l’aria compressa non riuscivano ad esaurire e sentii che il battello sprofondava appoppato. Feci dare la massima potenza al motore e dinamicamente il “Kammamurì” SA 3 cominciò a risalire molto lentamente. Raggiunti i dieci metri Gennarino Esposito mi disse:
Comandante cerchi di dirigere verso Li Galli, tra le due isolette mi pare di ricordare, c’è un fondale di sabbia a circa dieci metri. Se il motore regge a questo numero di giri, riusciamo a sostenerci in quota ed incagliarci su quel banco di sabbia, riuscendo ad uscire di qui.
Salari mi disse che l’acqua saliva rapidamente e poteva mettere in corto l’impianto elettrico. Infatti, poco dopo si spensero le luci e la pompa di sentina smise di ronzare. Feci estrarre le lampade stagne ordinando di indossare gli autorespiratori, mentre con surreale umorismo Gennarino disse:
Comandante, lei conosce il significato in italiano del nome napoletano Kammamuri, dato all’SA 3?
Alla risposta: non lo so, Gennarino replicò:
qua dobbiamo morire…
Poco dopo, con l’acqua già al punto di vita, sento il battello che si incaglia e si ferma sul banco di sabbia, leggo la profondità sul manometro… dieci metri. Tolgo tutti i contatti ormai inutili, mentre Gennarino chiude le valvole di ammissione del gas dopo una ultima lettura dei dati ed io, prima di mettermi il boccaglio e di aprire la bombola sotto il sacco polmone, ordino a Esposito di aprire la valvola di equilibrio della pressione e di aprire il boccaporto che è sopra di lui non appena la pressione è equilibrata… poi apro la valvola di allagamento e sento nei timpani la pressione che aumenta. Abbiamo l’acqua già al livello della gola. Faccio un cenno di saluto a Gennarino che sta ruotando il volantino del boccaporto. Il portello si spalanca di colpo mentre una valanga di acqua irrompe nello scafo ed una grossa bolla d’aria trascina Gennarino fuori dal battello.
Adesso tocca a Solari che è dietro di me, ma nello scavalcarmi al buio e sott’acqua rimane impigliato con i piedi in qualche tubazione. Sento che si dibatte e si agita, ma con il mio aiuto riesce a passare uscendo dal boccaporto. Poi mi muovo anche io e all’ultimo momento mi ricordo di prendere con me e gettare fuori bordo la cartellina zavorrata dei codici e documenti. Appena in superficie mi guardo attorno, vedo Soleri ma non Esposito… vedo il cacciasommergibili avvicinarsi a lento moto con un faro che spazza il mare sopra di noi e sulle scogliere a picco dell’isola. Chiamo ad alta voce il mio motorista, ma non ottengo risposta. Adesso la prua del cacciasommergibili è quasi sopra di noi.. PT 71 leggo in lettere bianche e vedo che una rete a larghe maglie viene calata fuori bordo. Un paio di marinai scendono aggrappati alla rete e ci aiutano a salire a bordo.
Il Comandante del PT71, dopo aver cortesemente risposto al mio saluto e prima dell’interrogatorio, mi disse che da poche ore l’Italia non era più in guerra a seguito della richiesta di un armistizio. Lo stupore fu reciproco come l’imbarazzo ed il Comandante Smith con grande comprensione condusse un interrogatorio estremamente formale.Finiva così la nostra guerra e cominciava la prigionia. In attesa di presto vederti,
Tuo,
Athos Fraternale
UNA LETTERA DA ROMA
Roma 10 Ottobre 1943
Professor Pericle Ferretti
Via privata Lenza n. 000MILANO Carissimo Professore, Conto, quanto prima, di raggiungerLa a Milano, ma devo trattenermi a Roma ancora per un tempo indeterminato. Sono distaccato momentaneamente al Ministero Marina per recuperare presso gli uffici tecnici del Comitato Costruzioni Navali ciò che rimane dell’archivio che in questo clima sta smobilitando per trasferire il materiale riservato al Nord (o al Sud?)..Cercherò di salvare disegni e documenti di studio sul motore e sul SA 3.Gli Americani sono a Napoli e ho saputo che hanno recuperato SA 2 e sequestrato tutto il materiale tecnico riguardante i motori. Sono andati a colpo sicuro.
Da tempo sapevo che l’obiettivo degli americani erano i nostri sottomarini S A e da più di un anno, in qualità di direttore tecnico del Reparto Sperimentale, prudentemente e su suggerimento del SIS, avevo dirottato il lavori del nuovo SA 3 nel capannone distaccato del Fusaro.
Come temevo e come mi ha raccontato Gargiulo, dopo il suo avventuroso rientro a Baia, il Silurificio dal punto di vista della sicurezza era un colabrodo. Maal Fusaro eravamo pochi e fidati ed anche il Direttore Ammiraglio Minisini, progettista del SA, raramente e con estrema prudenza veniva al Fusaro per seguire i lavori. Lo scafo del battello era stato costruito in pezzi separati non identificabili, presso l’AVIS di Castellammare di Stabia ed il motore era stato assemblato e provato presso l’Istituto Motori di Roma da lei diretto.
Così fino all’ultimo abbiamo tentato di conservare il segreto, ma sono stato spesso avvicinato da colleghi e tecnici del Silurificio, che larvatamente mi avevano fatto delle “avances“ molto interessanti.. alle quali avevo dato un po’ di “corda“ per risalire ai pesci grossi che ho saputo più tardi, facevano parte della camorra napoletana.Infatti, alla fine del ’42, ci sono stati in sede ed in città, degli arresti “eccellenti“ il cui esito e stato poi coperto da un discreto silenzio. La camorra napoletana, come la mafia in Sicilia, era ed è legata alla confraternita americana che sapevamo collaborava attivamente con i servizi segreti statunitensi.
Ho saputo dello strano ordine verbale da parte del Comando Kriegs Marine di Napoli, di affondare con un pontone SA 2.. Ma da chi veniva realmente l’ordine? Non dalla Regia Marina o dal Comando Sommergibili di Napoli dal quale dipendevamo. Era nostro dovere sottrarre al nemico il materiale coperto da segreto, ma ho avuto il sospetto, poi confermato da voci provenienti da Baia, che il materiale compreso SA 2, sia stato prontamente recuperato dagli americani e spedito negli USA. Per contro, è anche molto strano che nessuno ha avuto sentore che al Fusaro c’era qualcosa di più interessante che il vecchio SA 2.
Eppure alla mafia non potevano essere sfuggite certe nostre manovre notturne. Come quando abbiamo imbarcato l’SA 3 sul GIS, per i primi collaudi al largo di Procida.Anche quando siamo partiti l’ 8 settembre, per l’azione di Salerno, il vero collaudo operativo, è mai possibile che la preparazione, sia pur di notte a stabilimento chiuso e sorvegliato dai Carabinieri, sia sfuggita allo spionaggio nostrano? Siamo forse in presenza di un classico “doppio gioco?“ Io credo che l’ OSS sia stato giocato dalla camorra napoletana con il classico “pacco“, oppure in questo caso, “doppio pacco“ contenente il materiale di scarto del vecchio battello imbarcato sul pontone ed affondato a pochi metri dal molo del Silurificio, in un posto facilmente identificabile e di facile recupero.
C’è da credere che l’onorata società abbia avuto un rigurgito di patriottismo e che Vito Genovese, ormai al sicuro in Italia, pare che sia rientrato al seguito delle truppe americane, abbia voluto ringraziare con un titolo di merito anche le autorità del nuovo governo italiano del Sud. A Napoli tutto è possibile. Come Le ho detto nella mia telefonata del 15 Settembre, il motore dell’SA3, durante la prima ed ultima azione, si è comportato benissimo, al contrario dell’impianto di rigenerazione dell’aria. Le allego separatamente i diagrammi di consumo del combustibile e dell’elio, oltre alle temperature rilevate da Gargiulo.
Abbiamo lasciato Baia al tramonto di quel disgraziato giorno con l’oscurità incipiente quando lo stabilimento era già chiuso.Il nostro GIS, che per la vetustà e la velocità dei suoi sfiatati diesel, era eufemisticamente classificato come “Galleggiante Inseguimento Siluri” e che era invece un vecchio pontone posamine costiero che non raggiungeva la velocità di 8 nodi. A questa velocità, con in più il tiro dell’ancora galleggiante, era insufficiente la spinta per il varo ed il battello doveva essere aiutato a muoversi sulle sue rotaie per raggiungere la rampa di varo inclinata sulla poppa del GIS.
Mentre uscivamo da Baia nell’oscurità, potevamo vedere il palpitare degli incendi nel porto di Napoli, colpita dalla recente incursione aerea .Io ero al comando con il nostro Capo Mezzetti, il motorista e due marinai. L’equipaggio del SA stava trafficando nel battello. Uno dei marinai, un’eccellente cuoco, ci preparò un formidabile piatto di maccheroni ai frutti di mare, che innaffiato da un fiasco di Gragnano, consumammo tutti assieme, mentre navigavamo sulle rotte di sicurezza nel buio della notte. Verso Sorrento, che stranamente illuminata si stagliava contro la penisola, oltre la quale nella mattinata erano sbarcati gli americani, nessuno di noi che mangiava nella piccola timoneria del GIS, ebbe la sensazione dell’ ultima Leonardesca cena, come scherzando disse il Comandante Fraternale che, realmente non rientrò più con il suo equipaggio, anzi se ben ricordo, ci demmo appuntamento per una serata da Peppino a Baia.
Alle 19.00 eravamo sotto-costa al traverso di Massalubrense e il Comandante con il suo equipaggio si imbarcò sull’SA 3 dopo averci salutato. In moto a tutta velocità, si fa per dire, iniziammo le operazioni di varo. Liberato il battello dalle ritenute e lanciata l’ancora galleggiante, per smuovere l’SA3 fu necessario un intervento di un martinetto idraulico e appena fu in movimento Fraternale avviò il motore e le sue eliche coassiali cominciarono a girare sempre più veloci.
Il piccolo battello aveva issato sul periscopio la bandiera di combattimento che il suo Comandante aveva portato con se dopo lo sbarco dal “Morosini“ a Bordeaux. L’SA3 fece un bellissimo tuffo e scomparve nel buio della nostra scia. Non lo avremo più rivisto. Rallentammo per recuperare l’invasatura e volgemmo la prua verso Baia che raggiungemmo all’alba.Solo parecchi giorni dopo seppi da Gargiulo, che arrivò fortunosamente in Silurificio, il resto della storia. Gennarino mi raccontò dell’azione e che sperava che il Comandante e Solerifossero stati salvati e presi prigionieri dal cacciasommergibili inglese presso l’isola de “Li Galli”. Così è finita la vicenda o meglio la leggenda dei sottomarini SA , ma sono convinto che i nostri studi daranno i loro frutti che non serviranno più, spero per realizzare mezzi subacquei per le future guerre. Conto di essere a Milano non più tardi della fine del mese prossimo, con la documentazione che sto tentando di salvare.
P.S.: Mi faccia sapere se alcuni componenti del motore debbo farli recapitare presso il Suo nuovo laboratorio a Zingonia (Dalmine).
Con i sensi della mia stima.
Ing. Carlo Viola
UNA TRADUZIONE “MOST SECRET”
Report of action in the night of the 9 Sept 43 Salerno Bay (doc.)
HMS Subchaser “PT 71“
Lietenant Commande J. SmithH 20.00 Come da ordini trasmessi (768118 /17/9/43) ho raggiunto con l’unità al mio comando, la zona pattugliamento A1 Salerno – Punta Campanella, iniziando il pendolamento. Con il sezionario PT 70 – velocità 6 Kn e rotta 80°/ 260º
H 21.00 Lungo la costa Est è visibile il fuoco di appoggio dell’artiglieria navale alle truppe da sbarco. Inizio virata per 260° H 21,30 Ricevo radio: incrociatore americano attaccato siluro in zona “C“. Chiedo se necessaria assistenza – negativo
H 22.00 Il mio ADSIC segnala un contatto verso prua, B 30° – il fondale decrescente confonde il segnale. Posto di combattimento
H 22.10 Viro per 60° e incrocio una scia bianca di acqua emulsionata che rimettendo per 260° inseguo aumentando la velocità a 10 Kn. La scia è ben visibile e persistente sulla nostra sinistra. H 22.30 Al traverso di Positano osservo che la scia persiste. Aumento velocità a 15 Kn per raggiungere la fonte della scia presumibilmente di un sommergibile nemico molto veloce di nuovo tipo. Il mio ASDIC lo segnala a mezzo miglio con R 10°
H 22.50 La scia poggia verso la costa con una R 320° che seguo aumentando a 20 Kn, ma non lo raggiungo in quanto il smg nemico ha una velocità superiore alla mia.
H 23.10 Stimo che il battello nemico debba virare verso Est oppure Ovest entro 15 minuti per non finir in costa. Decido di tagliarli la possibile rotta verso Ovest. Il mio ADSIC lo rileva, poco dopo a sinistra B 10°, ad una distanza di un quarto di miglio. H 23.30 L’ADSIC lo rileva esattamente a prora, adesso ha virato per 250 °
H 24.00 Sono sulla sua verticale e faccio sganciare un ”pacchetto“ di BAS regolate a 100 e 200 ft.H 00.00 Dopo l’esplosione delle BAS, l’obiettivo emerge sulla nostra dritta con un angolo verticale di 45° e lo illumino con il mio proiettore. Appare prima la camicia del periscopio, molto piccola ed affilata, poi lo scafo con una coppia di eliche controrotanti ancora in moto La mia mitragliera di prua da 20 mm lo colpisce con due colpi nella zona del periscopio. Poi il battello emerge ed assume un assetto quasi orizzontale. Ne stimo la lunghezza in circa 50 ft con un corpo fusiforme di colore nero grigio. Poco dopo il battello si immerge in retromarcia. Il mio secondo S.L Balwin, mi fa notare che il sommergibile è privo di bottazzi e di timoni di profondità vicino alle eliche.
H 00.20 Seguo la scia in direzione 255° e noto che il periscopio e ancora emerso e non accenna a scendere in profondità.
H 00.30 Il mio pezzo di prora spara alcuni colpi in rapida successione che colpiscono il periscopio sempre illuminato dal mio proiettore. Il piccolo smg si immerge procedendo sempre in direzione delle isole de “Li Galli” dalla quale stimo la distanza in circa mezzo miglio.
H 00.40 Riduco la velocità e poi ordino macchina indietro e stop. Sono tra le scogliere a picco. Poco dopo vedo emergere numerose bolle d’aria tra le quali scorgo due uomini che hanno raggiunto la superficie con un respiratore Davis. L’ecoscandaglio segna 80 ft
H 00.55 Faccio calare la rete di recupero e faccio salire a bordo i due uomini che si presentano in coperta facendo il saluto militare. Rispondo al saluto e vedendo le stellette sul risvolto della loro tuta capisco che sono ufficiali italiani. Domando se vi sono altri superstiti ed uno dei due, in inglese, mi dice che per primo dovrebbe essere emerso un loro sottufficiale.H 01.00 Per circa trenta minuti faccio ricerche con il faro in acqua e sulle scogliere. Poi segnalo per radio l’azione e riprendo il pendolamento.
H 01.30 I due prigionieri sono stati assistiti nella nostra infermeria e prima dell’ interrogatorio li ho convocati nella mia cabina.“Sono estremamente imbarazzato di dover comunicare loro che dalla sera precedente l’Italia ha accettato un armistizio e pertanto non dobbiamo più considerarci un guerra. Il Comandante Fraternale dice di non aver avuto notizia di ciò ed è molto sorpreso ed abbattuto moralmente. Al Comandante Fraternale faccio le mie condoglianze per la perdita del del suo sottufficiale e della sua unità.
H 02.00 Inizio l’interrogatorio d’uso con il verbale (rif. 0 /1 CA/ 0142) stilato dal mio Secondo. Dopo le generalità, il grado, il numero di matricola e l’esame dei documenti di identità. I prigionieri alle mie domande si rifiutano di rispondere . Hanno ammesso di aver effettuato alle ore 21,30 il lancio di due siluri verso una nave che ritengono sia un incrociatore leggero americano.Chiudo il verbale.
Lieutenant Commander
S.O. (L) J. Smith
Infatti, il padre dell’ing. Roberto Avati lavorava all’epoca della costruzione di SA 1, SA 2 ed SA 3, nel siluripedio di Baia – Pozzuoli (NA). Si ingrazia per la preziosissima collaborazione:
Tra i tanti significativi ricordi della vita di mio padre, Giantommaso Avati, conservo molte fotografie e documenti relativi al periodo compreso tra gli anni1934 –1944, in cui, in qualità di ingegnere prestò servizio nello stabilimento del Silurificio Italiano che aveva sede in Baia, sorto in origine nel 1915 ed ampliato negli anni successivi.
La produzione dello stabilimento era incentrata sui siluri 250/533,4 x 7,500, ovvero, sui siluri aventi una carica di tritolo da 250 Kg, un diametro di 533,4 mm ed una lunghezza di 7,500 metri, utilizzati da navi in superficie e sommergibili.
L’ogiva da guerra di questo siluro, aveva due acciarini universali a pendolo, mentre l’ogiva di esercizio era autoalleggeribile.
L’apparato motore era costituito da due macchine motrici verticali con quattro cilindri ciascuna, affiancati a due a due nel senso dell’asse. La pressione di carica del serbatoio di aria compressa era di 175 Kg/cmq.
I serbatoi di immersione erano sistemati con il piatto idrostatico posto verticalmente su una parete di una scatola stagna, nella quale erano compresi il pendolo e la molla antagonista e potevano essere regolati per profondità da 1 a 12 metri.
A causa della grande distanza tra i regolatori di profondità ed i timoni orizzontali, erano alloggiati due servomotori, di cui il primo veniva azionato dalla leva del piatto idrostatico e trasmetteva i movimenti al servomotore ausiliario a poppa, collegato ai timoni.
Il riscaldatore era del tipo Armstrong-Whitehead a petrolio.
Questo siluro non possedeva un congegno regolatore di distanza, ma un dispositivo che regolava contemporaneamente la molla del regolatore di bassa pressione, l’efflusso dei due rubinetti dell’acqua e del petrolio e la quantità d’aria che dal regolatore di bassa pressione andava al riscaldatore, in modo che il siluro proseguiva la sua corsa, finché la pressione non era uguale a quella atmosferica. Quando nei lanci di esercizio l’immissione di aria si fermava, il volume residuo si espandeva nei compartimenti stagni, permettendo il galleggiamento.
Il siluro poteva essere regolato per tre corse:
- 3000 metri con velocità di 39 miglia/h
- 7000 metri con velocità di 32 miglia/h
- 12000 metri con velocità di 25 miglia /h
Per i lanciasiluri che avevano questo tipo di regolazioni, esse potevano essere selezionate con il siluro nel tubo di lancio, mentre per i battelli sprovvisti dell’apposito dispositivo, occorreva farla direttamente sul siluro, mediante un apposito utensile.
La trasmissione ai timoni verticaliera effettuata mediante l’aiuto di un cilindretto pneumatico sistemato nella sua coda e comandato da una valvola ausiliaria sistemata nel guidasiluri.
Il siluro descritto fu usato mediante apposite modifiche, dalla Marina Militare fino al 1968.
Si ringrazia il signor Giantommaso Avati, per aver fornito le foto e disegni di sua proprietà inerenti il materiale del Silurificio di Baia.
Ricerca tecnico – storica: dott. Enrico Cernuschi
Bozzetti e disegni: Arch. Franco Harrauer
Altomareblu – Tutti i diritti riservati. Note Legali
Gentile Cyrus Basile,
La ringraziamo per averci scritto! I Savoia, i Mille e Garibaldi portano alla mente solo il grande disastro con cui hanno inferto ferite micidiali al nostro paese. Passa il tempo, ma siamo sempre alle solite.. dominati e ridotti malissimo siamo in balia di un sistema politico economico europeo, americano ed internazionale che ci rende solo loro poveri schiavi, grazie a nostri politici ecc. che sistematicamente tradiscono e ci massacrano per vili interessi di parte..
Bella e documentata storia! Peccato che alla fine si è dato sfogo ai soliti fasulli pregiudizi preconfezionati su un popolo che allora era alla completa e più nera miseria e fame, seconda città in Europa a liberarsi dai nazisti nel pieno della loro potenza bellica, come poi dimostrato dalle varie linee fortificate lungo gli Appennini ed in soli 4 giorni, mentre in Italia si ricordano le 5 giornate di Milano in cui un nemico stanco e sconfitto fuggiva verso casa, maledetti Savoia, maledetti i Mille e soprattutto maledetto massone Garibaldi.
Hi,
AMB is interested in hearing the news in its possession rguardanti the minisbmarines Torbole / Nago who were on Lake Garda and for that contact in private on his mail.
Thank you very much for your cooperation and if with such news can write an article in English and Italian on AMB, referring to the history of minisubmarines Torbole / Nago, and of course we’d love to indicate his name as a source of such information.
Sorry again for the late response, but a technical problem I’ve missed the comment.
We look forward to your kind reply.
Best wishes,
James
AMB
Traduzione:
Salve,
AMB è interessata a conoscere le notizie in suo possesso rguardanti i minisbmarines Torbole / Nago che erano sul Lago di Garda e per questo la contatto in privato sulla sua mail.
La ringraziamo molto per la collaborazione e se con tali notizie possiamo scrivere un articolo in inglese ed italiano su AMB, riferito alla storia dei minisommergibili Torbole / Nago, ci farebbe molto piacere e naturalmente indicheremo il suo nome come fonte di tali notizie.
Scusi ancora per la tardiva risposta, ma per un problema tecnico il commento mi è sfuggito.
Restiamo in attesa di una sua gentile risposta.
Un caro saluto,
James
AMB
Looking for information on what happened to the minisubmarines in Lake Garda: Torbole/Nago.
Please contact me.
Thanks very much
Gentile Nestore Antonio Sabatano,
abbiamo provveduto ad inviare all’arch. Franco Harrauer la Sua richiesta. Appena avremo la risposta la pubblicheremo in questo spazio ed il sistema provvederà in automatico ad avvisarla. Grazie per averci contattato!
Cordiali saluti,
G.V.
Vorrei chiedere se è possibile visionare tavole del progetto del sommergibile SA visto che non è più materiale top secret in quanto declassato. Potreste fornirmi informazioni a riguardo? Grazie.
Gentile Antonio Sabatino,
non mi risulta che l’Ing, Gabola abbia fatto parte del gruppo MInIsini (SA). Potrebbe invece aver collaborato con Calosi per il siluro SIC o successivamente per la Selenia..
Cordialità,
Franco Harrauer
Gentile Antonio Sabatano,
abbiamo provveduto a girare la sua richiesta all’architetto Franco Harrauer, autore del pezzo di riferimento ed appena ci perverrà la sua risposta, la pubblicheremo e sarà avvisato automaticamente dal sistema AltoMareBlu. Grazie per averci contattato!
Cordiali saluti,
AMB
Salve,
da accurate ricerche che sto conducendo su SA e successive, vorrei sapere se sapete qualche cosa a riguardo dell’Ing. Gabola e in che contesto era inserito nella progettazione dei sommergibili.
Saluti,
Nestore Antonio Sabatano
Caro Antonio Nestore,
dalla documentazione che ho avuto modo di leggere, credo che il tuo amico ricordi bene la disposizione dei vari reparti del fu “Silurificio di Baia”.
Circa le due definizioni attribuite ad un siluro, credo si possa trattare di un siluro armato e pronto all’uso, per quello da guerra, metre l’altro potrebbe trattarsi di un siluro non armato per esplodere ed invece destinato ai test di collaudo, visto che dalla base di lancio che si trovava dislocata sull’Isolotto di San Martino, venivano lanciati i siluri che andavano in direzione NO, mentre un motoscafo dotato di un motore a benzina americano, lo affiancava per verificarne il rispetto della rotta e quant’altro.
Per quanto riguarda l’Ammiraglio Minisino e del Direttore ing. Sacco dovrei chiedere al dott. Enrico Cernuschi…
Giacomo Vitale
Caro Sig. Vitale,
oggi 2 luglio 2011, grazie ad un caro amico ho avuto la fortuna di conoscere un Sig.re che ha lavorato presso il Silurificio di Baia nella mensa, mi ha descritto molto dettagliatamente i vari reparti, addirittura spigandomi che i capannoni dove segretissimamente venivano costruiti gli SA erano mimetizzati negli scali. Inoltre, mi ha parlato di reparti di Torneria, Guidasiluri, Calderai, Sala Freni. Quello che mi è rimasto impresso è una frase che ha ben stampato nella sua mente: “Il siluro è un’arma subacquea semovente destinato a colpire il bersaglio stabilito”. Mi ha parlato di “testa di esercizio e testa di guerra”.
Lei trova riscontro in tutto questo e può confermarmi la precisione di queste notizie?
Ancora, mi ha parlato dell’Ammiraglio Minisino e del Direttore Ing. Sacco. Sono notizie affidabili? E’ vero che le teste da guerra erano formate da Tritolo Compresso?
Gentile Nestore Antonio,
puoi trovare tre articoli pubblicati sulla periodico della Marina Militare Italiana “Rivista Marittima”, che descrivono dei sottomarini costruiti nel “Silurificio di Baia”. Questi tre pezzi sono stati scritti dall’ottimo ed esperto ricercatore storico-navale italiano “dott. Enrico Cernuschi”.
1. “Il Regio Sottomarino Sandokan”, RIVISTA MARITTIMA, ago./set. 2002
2. “Sandokan alla riscossa”, RIVISTA MARITTIMA, apr. 2004
3. “Il ritorno di Sandokan”, RIVISTA MARITTIMA, set. 2005
Per acquistare i tre numeri indicati della “RIVISTA MARITTIMA” devi rivolgerti a:
Rivista Marittima – Via Taormina 4 – 00135 ROMA
Tel. 06/368 07 251
Fax 06/368 072 249
e – mail: marivista.abbonam@marina.difesa.it
Certo di essere stato d’aiuto ti saluto ringraziandoti per averci scritto.
Giacomo Vitale
AMB
Cari amici, sarei lieto se potreste indirizzarmi dove posso trovare tutte le riviste dove si parla dei sommergibili SA1 – SA2 – SA3 di Baia (NA). Esiste una libreria? Grazie.
Gentile Franco Lillini,
la informo che ho provveduto a girarle in privato la risposta dell’arch. Franco Harrauer.
Cordialità,
Giacomo Vitale
Gentile Franco Lillini,
abbiamo provveduto ad avvisare l’ing. Avati e l’arch. Franco Harrauer del suo commento tramite quest’ultimo. Appena avremo risposta la pubblicheremo e La informeremo.
Grazie per averci scritto!
Giacomo Vitale
Mi complimento con Lei ing. Avati perchè con le sue notizie ha consentito di svelare una pagina importante ma ancora misteriosa della storia del mio paese: Baia.
Non immagina quale emozione a leggere questi documenti!. Al silurificio hanno lavorato molti miei parenti tra cui mio zio Alfonso Borrelli, capo officina, che fu esonerato dalla leva perchè persona indispensabile e preparata. L’Altro mio zio Carlo Lillini, era addetto al collaudo dei siluri presso il siluripedio di San Martino, era esperto nel sistema giroscopico di rotta. Mio nonno Giorgio Borrelli, operaio.
E’ solo da poco tempo che si conosce della costruzione di sottomarini, fino a poco tempo fa si sapeva che dal silurificio uscivano solo siluri e maiali. Io stesso (ho 59 anni)ho lavorato per 29 anni nello stabilimento della Selenia al Fusaro (direttore l’ing. Calosi), proprio sul posto dove anni prima fu costruito il SA3K. E non lo sapevo!. Le sarei grato se mi potesse inviare altre foto e materiale. Le Sue preziose informazioni, se me lo consente potranno essere inserite nel mio lavoro di ricerca di prossima pubblicazione dal titolo :”La cultura del mare nel golfo di Napoli” di cui mi onorerò donarLe una copia.
Ringraziamenti anche all’arch. Harrauer che seguo da tempo sulle riviste del settore.
Nel ringraziarla ancora La saluto e resto in attesa di sue notizie.
Baia 28/06/2011
Franco Lillini
Per chi è interessato all’acquisto del libro:
“Il mistero della missione giapponese” di Luca Valente, Editore Cierre, lo può ordinare scrivendo una mail a:
“Libreria del mare” di Roma – ilmare@ilmare.com
Costo 20€ +10€ per invio con corriere Bartolini.
Il pagamento può essere effettuato con bonifico bancario o paypal.
Per contatti telefonici: 06/ 361 21 55
Giacomo Vitale
Ok Sergio,
telefono subito alla Libreria del Mare di Roma e vedo se me lo procurano loro che sono specialisti del settore e sono curiosissimo di leggere questo testo che hai consigliato e detto da te che sei un “addetto ai lavori”… Idem dicasi per il campo aeronautico con la storia delle relative officine e Caproni, con i suoi mini sommergibili..
Circa la categoria dei “burocrati di stato” sarebbe meglio sostituirli con dei comuni ed efficienti pc, tanto ormai sono inutili figuri che servono solo a fare danni… Se riesco a trovare il libro mi informo e comunico a chi ci segue dove reperirlo… Grazie infinite per le preziose notizie che ci fornisci!
Un caro saluto,
Giacomo
Niente notizie di prima mano.
Quello che so l’ho appreso dal testo di Luca Valente ce ti- vi consiglio di leggere. Chi è Luca Valente ? Un giovane storico che merita di essere seguito.
Come sempre a riguardo di storie meno conosciute, ma in campo aeronautico, consiglio “Tunnel factories”di Giorgio Danilo Cocconcelli ISBN 88-87261-11-3 La storia delle officine aereonautiche Fiat e Caproni realizzate nelle gallerie della gardesana. Si parla anche dei mini sommergibili della Caproni e si vedono in alcune foto della ricognizione aerea – molto confuse- in SMG fuori dal porto di S.Nicolò a Riva del Garda.
Un sommergibile forse prese la via degli USA. Preda bellica del 86° 10a Divisione da Montagna (sic!) Un libro difficile da trovare, ma tutto da leggere, compresa – nella pagina dei ringraziamenti – una nota di biasimo al personale della Prefettura di Brescia ed al Direttore Archivio di Stato BS che con la loro “burocrazia” hanno fatto ritardare questo lavoro di circa due anni.
La prima edizione è del 2001 , io ho la seconda del 2002 (segno che è argomento interessante…)
Buona lettura.
Sergio Abrami
Carissimo Sergio,
è esattamente come tu dici, massima efficienza alle eliche controrotanti trattive, vedi anche il piede poppiero a doppie eliche controrotanti ideata dall’ing. Cattaneo sempre intorno al periodo bellico… poppa spatolata ecc… genialissime invenzioni di tecnici italiani di grande rilievo.. Adesso, però, mi metti una pulce nell’orecchio dicendomi dell’interesse dei giapponesi ai progetti SA dell’Ammiraglio Eugenio Minisini, di cui non sapevo..
Visto che sei informato in merito, non credere di cavartela così a buon mercato… adesso ci devi dire quello che sai.. e non ti nascondo che tale progetto è veramente bello tecnicamente ed intrigante…
Aspettiamo tue nuove in merito e grazie per le preziose notizie.
restiamo in attesa di tue news in merito.
Un caro saluto,
Giacomo
Bellissima la trovata dell’elica traente: massima efficienza!
Anche la poppa spatolata non è da meno.
Soluzioni geniali.
Ma il genio italico si è perso per strada o…
Lo sapevate che i giapponesi si erano interessati ai nostri SMG tascabili?
Vedi “Il mistero della missione giapponese” di Luca Valente.
Dopo oltre 60 anni si potrebbe sapere qualcosa di più…
Sergio Abrami