Quando la marina va per terra…
di Antonio Raspa
Gruppo ANMI “Francesco Bona” – Corsico
Sessantacinque anni fa, il 2 e 3 giugno 1946, si tenne il referendum a suffragio universale con il quale gli italiani, dopo la caduta del fascismo, venivano chiamati alle urne per scegliere la forma di governo da adottare tra monarchia o repubblica. A partire dal 1948, il 2 Giugno si celebra la Festa della Repubblica che rappresenta la principale festa nazionale civile italiana; il cerimoniale prevede la deposizione di una corona d’alloro al Milite Ignoto presso l’Altare della Patria e una parata militare lungo Via dei Fori Imperiali alla presenza delle alte cariche dello Stato e di tutte le Forze Armate, tutte le Forze di Polizia della Repubblica, il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, il Corpo della Croce Rossa Italiana e, a partire dal 2005 anche il Corpo di Polizia Municipale di Roma in rappresentanza di tutte le Polizie Locali d’Italia e la Protezione Civile.
La parata militare ha visto nel tempo, sia per ragioni di bilancio che per i mutati scenari geo-politici, la progressiva riduzione del personale defilante e dei mezzi che comunque sono sempre stati principalmente terrestri ed aerei (con le Frecce Tricolori) per le ovvie difficoltà a far “sfilare” le unità della Marina.
Quest’anno la parata rientra negli eventi ufficiali per la celebrazione del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia ed i vari reparti hanno sfilato in uniformi che rievocano i diversi periodi dal 1861 ad oggi. Tra i mezzi storici è giunta, sorprendentemente inaspettata, la falsa torre (vela) del sommergibile R12: vedendola defilare lungo Via dei Fori Imperiali viene subito da riflettere su quanto sia inconsueto veder transitare dei mezzi navali sulla terraferma. Possono i sommergibili navigare sulla terra? E possono le navi risalire fiumi e valli? Oppure possono delle imbarcazioni arrampicarsi tra i monti e scavalcare i passi?
La mente vola subito alle calde notti agostane del 2005 quando il sommergibile Toti “fendeva” un mare di curiosi ammassati lungo le vie di Milano per vedere trasferimento da Cremona al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano. Tutta l’operazione ebbe una copertura giornalistica completa e gli Italiani seguirono quasi in diretta questo trasporto decisamente complicato ma, come vedremo, non unico od eccezionale.
Approfondendo l’argomento infatti si incontrano i diversi episodi avvenuti nel 1942 per dislocare delle flottiglie di MAS, MTS e sommergibili tascabili sul Mar Nero, sul Lago Ladoga in Finlandia, in Nord-Africa ed a Betasom, la base dei sommergibili atlantici a Bordeaux; ancora più sorprendente fu poi nel 1439 il trasferimento di un’intera flotta di galee e galeazze da Venezia al lago di Garda, effettuato risalendo il fiume Adige fino a Rovereto e quindi trasportando le navi via terra per circa 20 km fino a Torbole.
A completamento di questi eventi principali ci sono poi i treni armati: essi vennero introdotti durante il primo conflitto mondiale per poter spostare velocemente artiglierie ed vennero quindi attrezzati dei carri ferroviari con pezzi di tipo navale. Essi vennero sfruttati per tutto il conflitto ma vennero radiati appena dopo l’armistizio; nel 1935 la Regia Marina rimodernò il materiale rotabile preesistente e allo scoppio della seconda Guerra Mondiale allineava dodici convogli con compiti di difesa costiera. Inoltre, sempre durante il primo conflitto mondiale, vennero installati su rotaia i cannoni da 381 mm destinati inizialmente alla corazzata Cristoforo Colombo.
In definitiva si tratta di una serie di situazioni abbastanza eterogenee, più o meno conosciute e documentate, ma comunque collegate tra loro dall’intreccio prettamente italico di inventiva e d’incoscienza con cui vennero affrontate. Per cercare di compararle si è scelto un approccio “grafico”: sono state realizzate una serie di tavole con il disegno in scala dei mezzi coinvolti lasciando al testo un ruolo didascalico.
La falsa torre del Sommergibile R12
Iniziamo quindi questa carrellata con la falsa torre del sommergibile R12, l’ultimo dei 12 battelli da trasporto della cosiddetta Classe “R”: il progetto venne elaborato dai Cantieri Tosi intorno al 1942 quando le previsioni circa la durata del conflitto non erano più ottimistiche ed ormai iniziavano a scarseggiare alcune materie prime di provenienza oltremare quali caucciù, stagno, zinco. Fu necessario pianificare l’approvvigionamento di tali materie prime dalle terre allora occupate dal Giappone ed il sommergibile divenne l’unico mezzo impiegabile per un sicuro rifornimento di materiali per e dall’Estremo Oriente nonostante le sue limitazioni di carico. Si studiò quindi un tipo di sommergibile da impiegare esclusivamente per il trasporto di materiali ed il progetto relativo apparve sin da subito rispondente ai requisiti richiesti dalla Marina tant’è che sin dall’estate del 1942 furono impostati i due primi esemplari. Il programma di costruzioni prevedeva dodici di queste unità e la ripartizione delle ordinazioni ai cantieri fu fatta tenendo conto degli impegni già in atto per altre costruzioni belliche; l’approntamento dei sommergibili da trasporto ebbe comunque una certa priorità rispetto alla costruzione di altre unità subacquee. Dei dodici battelli previsti dal programma, solo due poterono essere consegnati alla Marina prima dell’armistizio; i rimanenti dieci, alcuni dei quali in avanzato stato d’approntamento, furono demoliti per ricupero materiali dopo il termine del conflitto.
In particolare il battello R12 fu catturato dai tedeschi il 9 settembre 1943 sullo scalo, dagli stessi varato, e autoaffondato incompleto presso la diga est di La Spezia. Venne recuperato nel 1946 e adibito per alcuni anni a deposito galleggiante di combustibili (GR 523) in vari porti italiani ultimo dei quali Ancona. Nel 1978 venne infine trasferito ad Ortona per essere demolito eccetto la falsa torre che viene donata dal demolitore al Comune di Ortona per l’erigendo monumento ai Caduti del mare. Sembrava la sua collocazione finale ma il monumento venne smantellato a causa di uno smottamento del terreno e la falsa torre venne abbandonata per anni in un cantiere di lavori delle ferrovie. Nel 2005 venne “ritrovata” ed identificata grazie ad un gruppo di appassionati di storia della Marina Militare Italiana e alla sua componente sommergibilistica che discutono in rete sul forum www.betasom.com e che dal Gennaio 2011 fanno capo all’Associazione Culturale Betasom. Superate le fasi iniziali di indignazione per lo stato di abbandono in cui versava la torretta l’Associazione Betasom ha cercato una soluzione per il recupero di tale cimelio ma le varie strade percorse si sono sempre rivelate a fondo chiuso. All’inizio del 2011, finalmente, la svolta: grazie alla collaborazione tra l’Associazione Betasom e la sezione ANMI di Monfalcone che stava organizzando il Raduno Italiano dei sommergibilisti (19.03.2011) si è riusciti a “riprendere” la falsa torre e trasportarla a Monfalcone per un’opportuna opera di pulizia e verniciatura prima di essere collocata sul piazzale antistante la mostra predisposta per l’occasione. Nel frattempo viene deciso che gli verrà concesso l’onore di defilare lungo Via dei Fori Imperiali durante la parata del 2 Giugno: il giusto riconoscimento per l’ultimo sommergibile di una classe il cui eponimo si chiamava SMG Remo.
Per trasportare la falsa torre del SMG R12 è stato sufficiente utilizzare un autoarticolato con rimorchio a pianale ribassato: vediamo quindi illustrato un mezzo commerciale da Ortona a Monfalcone ed un Astra della Marina Militare durante la parata. Come nota a margine la torretta è stata riverniciata con l’attuale colorazione blu scura della nostra componente sommergibilista ma il suo colore originale avrebbe avuto probabilmente una tonalità grigia scura.
Tavola 1
Dall’alto in basso, da sinistra a destra:
Falsa torre SMG R12 nel trasporto da Ortona a Monfalcone e durante la parata del 2 Giugno 2011
SMG Toti durante il trasporto da Cremona a Milano
Galea da Mori a Loppio, durante la discesa verso Torbole, con le vele armate ed in assetto da battaglia.
Trasporto del sommergibile S 506 – Enrico Toti
I sommergibili della classe “Toti” furono una svolta importante nella storia dei sommergibili italiani perché furono i primi battelli di costruzione italiana del dopoguerra: furono progettati e realizzati dai C.R.D.A. di Monfalcone che poteva vantare, oltre alla lunga esperienza costruttiva, le conoscenze acquisite nel periodo 1944-45 per realizzare alcuni esemplari di sommergibili tedeschi tipo “XXI” e “XXIII”. I classe Toti furono quindi la sintesi dell’esperienze belliche e di quanto la tecnologia postbellica aveva migliorato o aggiunto: notevoli risultati si ottennero nei campi della silenziosità, della velocità in immersione, dell’ autonomia, della quota operativa; erano battelli a semplice scafo totalmente saldato, che comprendeva i tubi lanciasiluri e la garitta d’emergenza, che era inglobata nella parte anteriore della vela; lo scafo leggero racchiudeva a prora ed a poppa le casse di zavorra; l’elica a cinque pale era azionata solamente dal motore elettrico, alimentato dalle batterie in immersione e dai gruppi elettrogeni in emersione. Le caratteristiche di questi piccoli battelli li metteva particolarmente in grado di essere utilizzati per la difesa della zona costiera in funzione antisommergibile, per cui furono classificati SSK (Submarine-Submarine Killer).
Il sommergibile Toti, eponimo della classe, venne varato nel 1967, entrò in servizio nel Gennaio del 1968 e venne radiato alla fine del 2000; uscendo dal servizio attivo era già stato destinato ad essere ospitato dal Museo della Scienza e della Tecnica di Milano. Nel 2001 vennero effettuati alcuni lavori di pre-musealizzazione e venne quindi trainato da Augusta a Chioggia via Taranto; successivamente risalì il Po fino a Cremona. Nella darsena di Cremona vennero completati i lavori di restauro e ci si predispose al trasporto rimuovendo in particolare tutta la zavorra e gli accumulatori.
Nei tre anni successivi si studiarono i vari aspetti relativi al trasferimento verso la destinazione finale coinvolgendo tutti i soggetti a partire dalla direzione del Museo, alla Marina Militare, al Comune di Milano e le aziende municipalizzate (Atm, Aem e Metropolitana Milanese): furono programmate diverse riunioni tecniche e sopralluoghi e si definirono quindi gli interventi necessari a rendere possibile il transito del sommergibile attraverso la città, coinvolgendo partner tecnici ed economici adeguati a sostenere il progetto in ragione dell’analisi tecnica effettuata.
Si trattava di spostare un “bestione” di 46 metri che pesava, anche se alleggerito, circa 340 tonnellate su un percorso di poco più di 40 km che prevedeva però alla fine il transito attraverso la città di Milano, rimuovendo o spostando temporaneamente marciapiedi, semafori, aiuole, pali di illuminazione, linee aeree di tram, filobus e treni.
Vediamo dunque come venne organizzato il tutto: la falsa torre venne separata dallo scafo e venne caricata su un autoarticolato con rimorchio a pianale ribassato.
Per lo scafo vennero invece predisposti due carrelli modulari semoventi, denominati SPMT (self-propelled modular transporters). Il sistema è basato su moduli di trasporto fondamentali che può essere assemblata con le altre per formare diverse configurazioni di trasporto; ciascun modulo è costituito da un telaio molto resistente che costituisce la piattaforma di carico, e da linee assiali (ruote) tante quante sono necessarie per ottenere la lunghezza del modulo stesso. Le unità di trasporto possono essere rese solidali fra loro sia longitudinalmente che trasversalmente in modo da adattare la piattaforma di sostegno al carico da trasportare. L’unità di propulsione (PPU – Power Packs Units) è basata su tipi diversi di motori diesel che azionano prevalentemente pompe assiali a pistoni, è collegata ad un’estremità del carrello e provvede a fornire la potenza idraulica ed elettrica richieste dal modulo. Su ogni carrello sono presenti almeno 2 linee di assi motorizzati idraulico. Un sistema elettronico di controlla la sterzatura del carrello gestendo singolarmente i singoli assi. Inoltre è possibile gestire l’innalzamento/abbassamento della piattaforma per avere un’ equa distribuzione del carico sui diversi assi e la compensazione tra gli stessi nel caso di transito su terreno sconnesso.
1439 – Galeas per montes
Nel 1438 il duca di Milano, Filippo Maria Visconti, scese in guerra contro la Repubblica di Venezia e con una serie di fortunati colpi di mano l’esercito milanese prese il controllo delle terre lombarde fino al lago di Garda meridionale asserragliandosi nei castelli di Peschiera del Garda e di Desenzano; Brescia, assediata dal capitano di ventura Niccolò Piccinino al soldo del ducato di Milano, invocò soccorso al senato veneto mentre sul grande lago spadroneggiava la flotta viscontea con le navi allestite dalla Repubblica di Genova.
La contrapposizione delle due repubbliche marinare è paragonabile, forse addirittura più intensa, a quella relativamente recente tra il blocco orientale e quello occidentale e non conosceva confini: senza esitazioni la Serenissima decise di predisporre un piano militare che permettesse alle proprie truppe di sorprendere l’esercito visconteo passando a nord del lago ed il 1 dicembre 1438 venne approvata la proposta formulata da Biaso de Arboribus, ingegnere al servizio della Serenissima, e da un marinaio greco, Nicolò Sorbolo.
Nel gennaio del 1439 migliaia di uomini lasciarono la laguna veneta con una flotta composta da 25 navi grosse, 6 galee sottili e 2 fregate (oppure 2 galee e 6 fregate secondo altre fonti) ed imboccarono le foci dell’Adige nei pressi di Sottomarina di Chioggia, lo navigarono controcorrente, abbatterono ponti, attraversarono paludi, risalirono fino a Verona, si infilarono nello stretto passaggio della Chiusa, giunsero a Mori dove tirarono in secca le barche e le caricarono su delle “macchine a tal fine inventate”. Vennero assoldati centinaia di operai: sterratori, falegnami e carpentieri che realizzarono una strada fatta di tavole di legno, livellando il terreno e togliendo dal tracciato piante, macigni ed anche due case. Poi, con l’aiuto di 2000 buoi e centinaia di uomini del luogo, le imbarcazioni vennero fatte rotolare su rulli lungo la strada di tavole di legno fino al lago di Loppio dove vennero nuovamente messe in acqua per raggiungere la base di una cascata di un centinaio di metri culminante in quello che oggi si chiama Passo San Giovanni. Le navi vennero letteralmente sollevate tra le rocce, galee attraverso le montagne appunto, grazie agli argani montati in cima alla salita e, soprattutto, ai muscoli di uomini e animali.
Ma l’impresa titanica non è ancora finita: mancano gli ultimi due chilometri di ripida discesa dal passo verso il lago! È arduo affermare se in quel momento prevalse l’incoscienza o l’ingegno. Raccontano i narratori dell’epoca che il peso delle navi era tale che diversi ulivi secolari, a cui erano stati fissati gli argani, vennero letteralmente strappati dal terreno: per frenare la discesa delle imbarcazioni vennero quindi armati degli alberi e delle vele di fortuna per sfruttare l’Ora, il forte vento che soffia nel pomeriggio da sud.
Il trasporto della flotta non restò tuttavia nascosto ai milanesi e fu perso così il fattore sorpresa sul quale contava Piero Zen, capitano della flotta veneziana. Lo scontro avvenne al largo di Desenzano e la vittoria fu dei milanesi numericamente più forti. I Veneziani ottennero comunque il controllo navale della parte settentrionale del lago di Garda e la possibilità di portare aiuti e derrate alla città di Brescia permettendole di resistere un altro anno all’assedio. Nel frattempo venne allestita a Torbole una seconda e più potente flotta veneziana con il materiale trasportato da Venezia attraverso l’itinerario collaudato Adige-Loppio-Torbole. Il 10 aprile 1440 la nuova flotta della Serenissima, comandata da Stefano Contarini, si scontrò nuovamente con quella Viscontea al largo del Ponale uscendone vincitrice ed acquisendo il controllo completo del lago.
Tornando all’impresa portata a termine in soli 15 giorni e considerando la complessità dell’impresa e le risorse tecnologiche a disposizione, è incontrovertibile considerarla una delle più importanti opere di ingegneria militare mai realizzate. Pochi i dettagli riportati dalle cronache del tempo che sottolineano favolosa cifra di 15.000 ducati d’oro utilizzata per finanziare l’operazione. D’altra parte a quei tempi tutte le potenze marittime, dai saraceni agli ottomani, dalle Repubbliche marinare ai catalani od ai Turchi avevano flotte da guerra costituite da galee la cui forma e proporzioni, caso unico nella storia marinara, rimasero comuni ed immutate per quasi un millennio.
Il nome deriva dal greco galeos (pesce spada) e le forme dall’evoluzione del dromone bizantino: la galea propriamente detta ovvero la galea sottile era larga 5 metri e lunga circa 42 con un rapporto di 1/8 mentre la galea grossa aumentava il rapporto ad 1/6 con una larghezza di 8 metri ed una lunghezza di 48. Inizialmente avevano una sola vela latina ed un solo ordine di remi ma presto le vele divennero due, qualche volta tre sulle ammiraglie, e parimenti si raddoppiarono gli ordini di remi che venivano manovrati da 200 rematori distribuiti su 24 o 25 banchi per lato. Il dislocamento tipico di una galea pronta per prendere il mare era di circa 200-250 tonnellate comprendenti oltre allo scafo attrezzato con tutta l’alberatura, pennoni, vele, manovre e remi, l’armamento, le munizioni, le armi individuali, le provviste di acqua, i viveri e le parti di rispetto.
Per quanto riguarda le dimensioni si possono quindi paragonare al Sommergibile Toti le 31 galee trasferite da Chioggia a Torbole. Più difficile invece dare un’indicazione circa i pesi: probabilmente le unità risalirono l’Adige senza aver imbarcato acqua, viveri e forse neanche le parti di rispetto ma non ci sono informazioni su cosa venne smontato e/o rimosso per i trasferimenti via terra. Lo scafo senza attrezzatura ed alleggerito al massimo potrebbe pesare intorno alle 70 tonnellate alle quali andrebbe aggiunta almeno l’alberatura, come mostrato in alcune stampe, e le “macchine (da trasporto) a tal fine inventate”: verosimilmente almeno un centinaio di tonnellate da trainare in salita e da frenare in discesa contando solo sulla forza muscolare di uomini e buoi. È plausibile pensare che durante la discesa sia stato armato un solo albero con una “semplice” vela quadra per frenare la galea: un insieme inusuale e decisamente molto meno elegante di una galea armata con vele latine.
1942 – La X° MAS sul Mar Nero, sul Lago Ladoga, a Bordeaux ed in Nord Africa
Dall’alto in basso, da sinistra a destra:
- M.T.M., M.T.S.M e M.A.S. tipo 500
- Autocolonna Moccagatta mentre lascia La Spezia
- MAS sui rimorchi speciali
- Autocolonna Giobbe verso Biserta
Nel gennaio 1942 non si era ancora spento in tutta Europa l’eco delle sorde esplosioni avvenute il 19 Dicembre 1941 nella baia di Alessandria. Il rimbombo era particolarmente forte a Berlino dove l’Ammiraglio tedesco Reader chiedeva ed otteneva dall’Ammiraglio Riccardi che venisse inviato un reparto d’assalto della Regia Marina Italiana sul Mar Nero, dove la Marina Rumena con quattro unità di superficie e un sommergibile cercava di fronteggiare una flotta Sovietica composta da una nave da battaglia, otto incrociatori, quindici tra cacciatorpediniere e siluranti, e una trentina di sommergibili. Peraltro la dichiarata neutralità della Turchia rendeva impossibile il passaggio dei mezzi navali dell’Asse per lo stretto dei Dardanelli.
La Regia Marina predispose quindi un piano per trasportare via terra:
- una squadriglia di 5 siluranti MTSM
- una squadriglia di 5 barchini esplosivi MTM
- una squadriglia di 4 MAS
- una squadriglia di 6 sommergibili tascabili CB
Le quattro squadriglie, ciascuna con un proprio comando, furono poste sotto il comando del Capitano di Vascello Mimbelli e, come vedremo, raggiunsero le destinazioni assegnate indipendentemente l’una dall’altra: infatti le particolarissime caratteristiche dei nostri mezzi richiedevano personale specializzato e materiali dedicati tanto per la messa a punto che per l’impiego operativo. Si organizzarono quindi le diverse spedizioni via terra che, oltre ai mezzi navali, trasportarono il personale, il materiale e l’attrezzatura necessari per il loro funzionamento e già nell’aprile del 1942, poco più di tre mesi dalla richiesta avanzata dall’alleato Tedesco, le diverse componenti del reparto d’assalto lasciarono l’Italia dirigendosi verso il Mar Nero.
Più o meno nello stesso periodo il Comando della Marina Tedesca chiese ufficialmente alla Regia Marina di esaminare la possibilità dell’invio di naviglio leggero silurante sul Lago Ladoga in Finlandia: dall’autunno del 1941 le forze armate tedesche, con il concorso delle truppe finlandesi, stringevano d’assedio, da terra, la città di Leningrado ma i sovietici continuavano a rifornire la città assediata attraverso il Lago Ladoga dove mantenevano un lungo tratto di costa sotto il loro controllo. Anche questa richiesta venne accolta e venne approntata il trasferimento di una squadriglia composta da quattro MAS con modalità analoghe a quello precedente. Poi tra luglio e ottobre del 1942 si aggiunse ai reparti della Regia marina italiana un’altra flottiglia di 6 MAS.
Intanto la X° MAS elaborò tra gli altri un piano per un‘azione incredibile: un sottomarino tascabile tipo CA avrebbe dovuto risalire l’estuario del fiume Hudson ed avrebbe minato il porto di New York per scuotere, oltre alle fondamenta dei grattacieli, gli animi degli americani che avrebbero visto, per la prima volta, la guerra portata sul proprio territorio. Si lavorò nella massima riservatezza a Betasom, la Base Italiana per le operazioni in Atlantico situata a Bordeaux: venne modificato il sommergibile Leonardo da Vinci per trasportare il piccolo CA che nel frattempo giungeva via ferrovia dall’Italia. Nella seconda metà del 1942 furono effettuate diverse prove in mare per la messa a punto dell’operazione che venne programmata per l’estate ’43. L’affondamento del sommergibile Da Vinci (Maggio 1943) fece slittare l’operazione e l’armistizio di Settembre la bloccò definitivamente.
Intanto sul fronte africano si stava esaurendo l’offensiva dell’VIII° Armata Britannica di fronte alla resistenza del fronte italo-tedesco che si preparava alla controffensiva. Le strategie della X° MAS vennero modificate per contribuire alla guerra dei convogli “cacciando” le unità britanniche con barchini occultati su degli innocui motopescherecci che incrociavano lungo le coste del Nord-Africa. A giugno poi il reparto, seguendo l’offensiva dell’Asse, si portava con un minimo di supporto logistico in Cirenaica per poter colpire Alessandria.
Nel 1942 quindi la Regia Marina venne chiamata a supportare con i mezzi insidiosi della X° MAS le operazioni belliche nelle più diverse aree d’Europa: con prontezza d’animo e spirito d’iniziativa tutto italiano vennero organizzati i vari trasferimenti di mezzi e di personale specialistico. Al di là dei successi conseguiti sul campo fu già un ottimo risultato l’organizzazione e la realizzazione in brevissimo tempo delle varie operazioni di trasferimento che ora analizziamo in dettaglio.
MTM e MTSM: destinazione Mar Nero
Il 6 maggio 1942 si assistette all’imponente spettacolo di una lunga colonna di camion in uscita dall’Arsenale di La Spezia: si trattava della cosiddetta Autocolonna Moccagatta che, in perfetto assetto di guerra, avrebbe affrontato i chilometri che la separavano da Foros sul Mar Nero trasportando 5 motoscafi siluranti (tipo MTSM) e 5 barchini esplosivi (tipo MTM)
Comandava l’operazione Salvatore Todaro che affrontò con il solito entusiasmo l’incarico ricevuto organizzando tutta l’operazione con energia e competenza: in sintesi occorreva costituire un gruppo completamente autonomo che potesse giungere sul teatro delle operazioni e che potesse sfruttare la propria mobilità per varare i mezzi d’assalto della X° MAS seguendo gli spostamenti del fronte terrestre.
Meglio noto come “barchino esplosivo”, il Motoscafo Turismo Modificato (MTM) fu il risultato dell’evoluzione dei mezzi veloci d’assalto di superficie iniziata nel 1936 con il Motoscafo d’Assalto (MA) e il Motoscafo d’Assalto Aviotrasportabile (MAT): venne costruito in circa 50 esemplari dai Cantieri Baglietto diventando praticamente il modello “standard” della X° MAS ed essere indicato familiarmente solo come “emme”. Si trattava di una piccola imbarcazione dislocante 1200 kg, lunga 6,15 e larga 1,7 metri che racchiudeva una carica esplosiva di circa 300-350 kg. di Tritolital (derivazione potenziata del Tritolo). Era pilotato da un solo uomo che, una volta fissato l’obiettivo, bloccava il timone e lo lanciava contro di esso ad oltre 30 nodi: il pilota quindi si sganciava cercando di la salvezza aggrappato al seggiolino galleggiante. Urtando il bersaglio esplodeva una prima carica che spezzava il barchino e faceva affondare quella principale in modo che quest’ultima arrecasse il maggior danno possibile.
Il Motoscafo Turismo Silurante Modificato (MTSM) fu il frutto degli sforzi congiunti dei Cantieri Baglietto e della CABI che migliorarono rispettivamente lo scafo e la meccanica dei precedenti MTS. Sotto il controllo dei due operatori alloggiati in abitacoli distinti lo scafo da 8,4 metri di lunghezza e 2,2 metri di larghezza poteva raggiungere i 29 nodi grazie ad una coppia di motori da 190 cavalli cercando di sfruttare al meglio l’armamento costituito da un singolo siluro da 450/320 sistemato al centro del battello e dalle due cariche di profondità da 50 kg. poste sulle selle laterali.
Come già detto precedentemente si trattava di mezzi particolarissimi che richiedevano, oltre ai piloti dalle eccezionali capacità di audacia e freddezza, un gruppo di personale specializzato nella loro messa a punto. Vista la necessità di operare sul Mar Nero venne quindi costituita un’autocolonna composta da:
- 1 motocicletta porta ordini;
- 1 auto Fiat 1100 coloniale per il comandante
- 1 furgone Fiat 1100 telonato, come autoradio, segreteria e piccolo magazzino ricambi
- 5 autocarri per trasportare i barchini esplosivi MTM (Fiat 666)
- 5 autocarri pesanti Fiat 666 con rimorchio per i barchini siluranti MTSM
- 1 autobus comando Fiat 621, dotato anche di cuccette per tutti i piloti
- 3 trattori;
- 1 auto officina
- 1 camion gru
- 1 autobotte (Fiat 666)
- 3 rimorchi con botte per trasporto liquidi
- 2 rimorchi per siluri;
- 1 biga a cassone
L’autocolonna Moccagatta trasportava benzina, lubrificanti, munizionamento, macchinari, pezzi di ricambio e viveri di riserva per essere completamente autonoma sia durante il trasferimento che sul teatro delle operazioni per vari mesi. A completamento dell’armamento individuale vennero aggiunte due mitragliere AA da 20 mm su carrello.
Lasciata La Spezia il 6 Maggio 1942 la colonna venne caricata su un convoglio ferroviario ed instradato verso la Crimea via Verona, Vienna e Leopoli. Il 19 Maggio giunse Simferopol da dove, sbarcata dal treno proseguì sulla sua sede naturale insieme ai camion sopraggiunti dagli altri trasferimenti: il 21 maggio, forte di 40 automezzi, transita per Yalta ed il 22 raggiunge la sua destinazione a Foros, sulla costa meridionale della Crimea, non lontana da Balaclava e a sud di Sebastopoli.
MAS 566, 567, 568 e 569: destinazione Mar Nero
La squadriglia MAS destinata al Mar Nero partì da Venezia il 22 aprile 1942: per via stradale raggiungeva Vienna, quindi proseguiva su chiatte lungo il Danubio fino a Galatz ed infine, con propri mezzi, raggiungeva la base logistica di Costanza il 4 maggio 1942.
Con la sigla MAS ovvero Motoscafi Armati Siluranti od anche Motoscafi Anti Sommergibile ci si riferisce ad una tipologia di imbarcazione piccola e veloce che venne realizzata in molteplici classi e serie, oltre alle numerose unità sperimentali. Derivati dalla motobarca armata SVAN, dal nome dell’azienda produttrice veneziana, i primi MAS vennero prodotti durante la Prima Guerra Mondiale dalle officine Fraschini e, successivamente, dal Cantiere Orlando di Livorno. Si distinsero in diverse episodi e D’Annunzio, che ne fu un grande estimatore, coniò appositamente il famoso motto Memento Audere Semper per evidenziare l’audacia indispensabile per imbarcarsi su tali mezzi. Il Sommo Poeta fu protagonista con Luigi Rizzo della famosa la beffa di Buccari ma, dal punto di vista bellico, ben più importante fu l’azione comandata da quest’ultimo che portò, all’alba del 10 Giugno 1918, all’affondamento della corazzata Szent Istvàn.
I MAS vennero prodotti fino alla fine del secondo conflitto mondiale e, pur evolvendosi tecnologicamente, mantennero più o meno la stessa impostazione generale: compatti ed affidabili, equipaggiati con motori a benzina, con dislocamento da 20 – 30 tonnellate (a seconda della classe), con una decina di uomini di equipaggio ed armamento costituito generalmente da due siluri, alcune bombe di profondità, oltre ad una mitragliatrice o ad un cannoncino.
Sarebbe interessantissimo discuterne lo sviluppo ma saltiamo direttamente alle unità destinate nel 1942 al Mar Nero ovvero la cosiddetta classe 500 quarta serie prodotta dai Cantieri Baglietto. Mentre la prima e la seconda serie furono caratterizzate da uno scafo ligneo, la terza e la quarta ebbero uno scafo metallico con alcune modifiche alle linee d’acqua che, pur riducendone la velocità, aumentavano la stabilità del mezzo stesso. I due motori ASSO da 1000 CV ciascuno, appositamente sviluppati dalla Isotta-Fraschini, comunque permettevano a queste unità con dislocamento di 28,3 tonnellate di raggiungere la ragguardevole velocità di 43 nodi.
Le linee generali si basavano su ponte continuo e una plancia costituita da un casotto, nella quale il personale stava con il solo busto al di sopra del ponte di coperta; per proteggere l’equipaggio dagli attacchi aerei vennero aumentate le protezioni del casotto stesso nella III° e IV° serie. Lo scafo aveva inoltre una serie di portellini luce per illuminare i due locali equipaggio e il locale motori, provvisto anche di osteriggi sul ponte di coperta. L’equipaggio si imbarcava solo per le missioni e normalmente alloggiava a terra o su una nave appoggio. L’armamento era costituito da due lanciasiluri da 450 ad “impulso laterale”, una mitragliera da 20/65 mm posizionata a poppa insieme ad una tramoggia per il lancio di bombe di profondità.
Vediamo ora come venne affrontato, non senza difficoltà, il trasferimento via terra da Venezia verso Vienna lungo la direttrice Verona – Brennero: si trattava infatti di spostare dei carichi decisamente ingombranti con una lunghezza di circa 17 metri ed una larghezza di 4,4 metri. A tale scopo vennero approntati dei rimorchi speciali su cui caricare i MAS 566, 567, 568 e 569 ma spesso fu indispensabile l’opera dei soldati del Genio che accompagnavano il convoglio per passare sotto ponti troppo bassi, come avvenne il 25 Aprile ad Oberaudorf, oppure per superare passaggi troppo stretti, arrivando perfino a demolire delle costruzioni che impedivano il passaggio.
Non è chiaro il numero ed il tipo di mezzi costituenti questa autocolonna ma, analizzando le immagini a disposizione, si osserva che vennero utilizzati sia degli Alfa Romeo 800 che degli OM Taurus per trainare i rimorchi con i MAS. Si può comunque ipotizzare che per ciascun MAS ci fosse un altro camion per il trasporto del casotto, dell’armamento e delle varie strutture rimosse. Al convoglio andrebbero poi aggiunti almeno un paio di camion per il trasporto dei siluri, i mezzi del Genio, una o due autovetture e probabilmente un autobus per il personale.
L’operazione come già detto si concluse in meno di due settimane e durante l’estate del 1942 venne replicata per aggiungere un’altra flottiglia di 6 MAS (dal 570 al 575) ai reparti della Regia marina italiana operanti sul Mar Nero.
Osservando su una carta il percorso seguito questo si avvicina e spesso si confonde con quello seguito dai Veneziani. Sembra di percepire ancora le urla degli uomini impegnati nel superamento dei punti difficili e degli ostacoli ma, nonostante i secoli di distanza, non si distinguono le une dalle altre tanto sono accomunati nella loro determinazione i protagonisti di tali imprese.
MAS 526, 527, 528 e 529: destinazione Lago Ladoga
Nei primi giorni del maggio 1942 quattro MAS, i numero 526, 527, 528 e 529, vennero tirati in secca: avrebbero smesso di solcare il Mar Ligure perché era stata costituita la 12° Squadriglia MAS che avrebbe affrontato le ben più gelide acque del Lago Ladoga in Finlandia.
Venne quindi predisposta l’operazione che avrebbe trasferito i quattro MAS ad oltre 3000 chilometri di distanza: un’autocolonna lasciò La Spezia il 25 Maggio 1942, risalì il passo della Cisa e quindi via Verona, Brennero, Innsbruck, Monaco raggiunse Stettino. A questo punto i MAS vennero imbarcati sul piroscafo tedesco Thielbeck fino ad Helsinki e poi vennero rimorchiati attraverso canali e laghi fino a Punkasalmi, dove vengono nuovamente tirati in secca, caricati su carri ferroviari e mascherati con frasche per raggiungere il porto di Lahdenpohja. Qui giunti i MAS vennero resi completamente operativi prima di giungere autonomamente alla base operativa di Sortanlahti. In 26 giorni venne completato il trasferimento senza incidenti di rilievo ed il 25 giugno 1942 i MAS italiani iniziavano la loro attività di prova sulle acque lacustri: il personale fremeva e voleva “menar le mani” prima dell’inverno!
I mesi di Luglio e di Agosto furono spesi in missioni di vigilanza costiera, di rastrellamento, di esercitazione con le unità germaniche e finlandesi, di sbarco informatori, di assistenza ad aerei germanici, di collegamento radio, ma senza risultati concreti.
Finalmente, il 14 agosto il MAS 527 affondò una cannoniera russa durante una missione di sbarco informatori; il 27 agosto i MAS 527 e 528, durante un rastrellamento, affondarono un piroscafo russo di 1.300 ton. carico di rifornimenti; il 1° Settembre, il MAS 529, durante un trasferimento, si scontrò, danneggiandole, con alcune motovedette russe ed il 28 Settembre i MAS 528 e 529 durante un agguato, si scontrarono con una formazione nemica, danneggiandola. In ottobre, con il lago che iniziava a ghiacciare, terminarono le operazioni ed i MAS vennero trasferiti sul Mar Baltico tramite il canale Saimaa; successivamente venne presa la decisione di far rientrare il personale in Italia e le quattro imbarcazioni vennero trasferite alla Marina Finlandese.
Anche per questa operazione non esiste un’indicazione esatta circa il numero ed il tipo di mezzi utilizzati; un’immagine molto nota immortala i rimorchi speciali trainati da autocarri pesanti tipo OM Taurus mentre affrontano le curve della Cisa ma, purtroppo, non fornisce la visione completa dell’autocolonna.
Sommergibili Tascabili CB: destinazione Mar Nero
La squadriglia sommergibili partì da La Spezia il 25 aprile 1942 e raggiunse Costanza il 2 maggio 1942, lungo un tragitto interamente per ferrovia affrontando, probabilmente, problemi minori rispetto agli altri trasferimenti..
Si tratta di sommergibili con un dislocamento in emersione di 36 tonnellate il cui scafo riprende nelle sue linee caratteristiche il tipo ” Cavallini ” con doppi fondi laterali non resistenti per circa i due terzi dello scafo; i lanciasiluri, per maggiore semplicità di costruzione, furono sistemati esternamente allo scafo. Questi battelli furono appositamente progettati per essere impiegati per la difesa ravvicinata e dimostrarono di avere buone qualità nautiche specie per la caccia ai sommergibili avversari in agguato presso i maggiori porti; data l’estensione delle coste italiane e la variabilità delle zone ove l’offesa avversaria poteva manifestarsi vennero costituite squadriglie composte da 6 CB con basi caratterizzate dal requisito della massima mobilità ovvero supportate da strutture autocarrate capaci di dare alle unità buona autonomia logistica garantendo una discreta assistenza tecnica per manutenzioni e lavori.
È altresì interessante osservare inoltre che tali sommergibili non erano costruiti cantieri nautici in prossimità del mare ma nello stabilimento Caproni Taliedo situato alla periferia di Milano vicino all’omonimo aerodromo. Durante il primo conflitto mondiale erano infatti sorte in Lombardia diverse realtà produttive legate alla nascente industria aeronautica e queste successivamente allargarono il loro campo d’azione alla componentistica ed alle attrezzature navali: accanto alla Caproni è opportuno ricordare almeno la Cabi Cattaneo con la sua “specializzazione” particolare nello sviluppo degli scafi e dei motori di derivazione aerea utilizzati dai mezzi insidiosi della Marina.
I sommergibili CB erano quindi intrinsecamente pensati per essere trasportati dalla fabbrica al porto di destinazione via terra tramite ferrovia e, pur in assenza di particolari descrizioni in merito, un’immagine delle operazioni di scarico di un CB appena giunto a destinazione sul Mar Nero fornisce molte informazioni in merito: vennero infatti utilizzati dei carri ferroviari standard con pianale ribassato attrezzato con un supporto che, verosimilmente, non fu realizzato specificatamente ma era quello normalmente usato dalla Caproni per le consegne. Dall’analisi di tale foto si evidenzia inoltre che per rientrare nella cosiddetta sagoma limite ferroviaria, ovvero per transitare in galleria, venne completamente smontata la falsa torre, il periscopio e le altre attrezzature presenti sulla coperta mentre non venne assolutamente toccato lo scafo e le varie appendici immerse.
Si può quindi ipotizzare che a La Spezia venne predisposto un singolo convoglio ferroviario con i sei carri dei CB opportunamente smontati e coperti con teli mimetici, un paio di carri merci ad uso magazzino e/o officina, uno o forse due carrozze passeggeri per il personale, una carrozza postale per il comando ed un paio di carri con armamento antiaereo.
Lasciata La Spezia il treno venne instradato verso Costanza sul Mar Nero via Verona, Brennero, Vienna e molto probabilmente ebbe sul tratto balcanico, data l’importanza del carico, la scorta delle Littorine Blindate (dette LiBli), delle autoblindo AB41 e delle Autocarrette del Genio Ferrovieri che pattugliavano le linee ferroviarie per prevenire i sabotaggi partigiani.
MTM e MTSM: destinazione Nord-Africa
Come precedentemente sottolineato nel 1942 gli echi delle esplosioni del dicembre 1941 erano ancora forti nel 1942 ed influirono positivamente sulla Regia Marina. Intanto l’offensiva dell’VIII° Armata Britannica si stava esaurendo di fronte alla resistenza del fronte italo-tedesco che si preparava alla controffensiva: per entrambe i contendenti diventava cruciale la protezione del proprio flusso di rifornimenti contemporaneamente al massimo contrasto di quello avversario.
Parallelamente si modificarono le strategie d’attacco della X° MAS e le metodiche d’utilizzo dei loro mezzi: in primavera, per contribuire alla guerra dei convogli che infiammava il Mediterraneo, si pensò di poter “cacciare” le unità britanniche tramite barchini trasportati in segreto dai motopescherecci Sogliola e Cefalo e dal motoveliero Costanza. Tali unità, apparentemente innocue, incrociavano lungo le coste del Nord-Africa trasportando degli MTM e/o degli MTMS pronti ad essere messi in acqua ed ad attaccare le navi nemiche.
L’offensiva dell’Asse sul fronte libico fu sferrato nel mese di Giugno con notevole impeto: il 21 fu conquistata Tobruk ed il 29 venne superato il confine egiziano con l’obbiettivo di attestarsi sulla linea di El Alamein, località prossima ad Alessandria e quindi all’imbocco del Canale di Suez. Mentre era in corso l’offensiva italo-tedesca, venne decisa la costituzione di un reparto di MTM ed MTSM da dislocare lungo il litorale cirenaico e già all’inizio di Luglio il peschereccio Sogliola trasportava 4 MTM ed il motoveliero Costanza 3 MTSM con i relativi operatori verso Tobruk. Tale base risultò però troppo esposta alle incursioni aeree inglesi nonostante la relativa distanza dalla linea del fronte: tutto il reparto si trasferì quindi ad El Dab’a, una piccola località sulla costa egiziana ad una cinquantina di chilometri da El Alamein. Per sopperire al necessario supporto logistico venne organizzata la cosiddetta Autocolonna Giobbe composta, presumibilmente, da pochi automezzi raccogliticci comprendenti una autogrù ed un paio di autocisterne.
La prima uscita in mare avvenne già il 26 Agosto: due MTSM avvistarono dei cacciatorpediniere britannici che sfilavano lungo la costa bombardando le linee italo-tedesche ma la distanza era troppo grande per tentare un attacco. Tre notti dopo quattro cacciatorpedieri inglesi presero sotto tiro le postazioni dell’Asse vicino ad El Dab’a: con prontezza il MTSM 228 si lanciò all’attacco della formazione silurando e danneggiando seriamente l’unità di testa, lo HMS Eridge, che, rimorchiato dalle altre navi, rientrò con difficoltà a Alessandria dove rimase fine alla definiva radiazione al termine del conflitto.
Il mantenimento della posizione avanzata ad El Dab’a diventò sempre più difficile a causa degli attacchi aerei inglesi ma, nonostante tutto, furono fatti ulteriori tentativi d’attacco alle unità britanniche in navigazione ed allo stesso porto di Alessandria. Alla fine la base fu smobilitata, il personale ed i principali mezzi rientrarono in Italia mentre l’autocolonna rientrava verso la Libia.
In ottobre ci si accingeva a costituire una nuova base per i barchini a Pantelleria ma, in reazione alla controffensiva alleata ed agli sbarchi anglo-americani in Nord-Africa, le truppe dell’Asse occuparono la Tunisia; il gruppo comandato da Todaro si installò a Biserta dove venne raggiunto dall’autocolonna Giobbe proveniente dalla Libia che aveva raccolto 5 autocarri pesanti con rimorchio, due trattori con rimorchio, 2 autobotti, un camion gru ed un camioncino per trasportare 4 MTSM e 6 MTM.
Grazie a questo trasporto “arrangiato” con mezzi di fortuna del quale si hanno poche notizie fu possibile organizzare un reparto d’assalto di notevole valore che effettuò diverse azioni in mare e colpi di mano a terra, dietro le linee nemiche, con gli incursori “N”. Purtroppo il 14 Dicembre durante il rientro da un tentativo di attacco al porto di Bona il motopeschereccio Cefalo fu attaccato da un aereo inglese: vennero danneggiati gli MTSM imbarcati e la stessa unità venne fatta incagliare su un basso fondale ma solo alla fine dell’attacco ci si rese conto che il Comandante Todaro era stato ucciso dal mitragliamento nemico.
I treni armati
Tavola 3
Dall’alto in basso, da sinistra a destra:
Sommergibili CB durante le fasi di carico sui vagoni e durante il trasferimento verso il Mar Nero
Autocarretta, Autoblindo ferroviaria AB41 e Littorina blindata (LiBli)
Sommergibile CA verso Bordeaux e come rinvenuto dopo la guerra
Abbiamo finora discusso soprattutto di operazioni logistiche per trasferire unità navali via terra utilizzando i mezzi più diversi, compreso quello ferroviario. Il treno peraltro non venne usato solo per il trasporto ma divenne esso stesso un vero e proprio mezzo militare che, nonostante l’apparente contraddizione, fu più navale che terrestre.
L’idea di corazzare ed armare i treni venne immediatamente dopo la creazione ai primi dell’800 della prima ferrovia in Gran Bretagna pensando di installare sui carri ferroviari grosse bocche da fuoco difficilmente maneggiabili in caso di mancanza di strade o di adeguati mezzi di trasporto. Nel corso di diversi conflitti vennero quindi sviluppate molteplici idee che portarono da un lato al cosiddetto treno armato, in pratica un’artiglieria su affusto ferroviario, e dall’altro al treno corazzato o blindato, mezzo cioè dotato di vagoni e locomobili protetti da piastre d’acciaio o pareti di cemento, vere e proprie casematte con armamenti ed installazioni di ogni genere.
Il massimo sviluppo tecnologico avvenne comunque durante la prima guerra mondiale utilizzando artiglierie di tipo navale che altrimenti non avrebbero potuto operare sui fronti terrestri: vennero quindi realizzati dei carri con cannoni di grosso e grossissimo calibro su affusto rigido senza particolari protezioni e, parallelamente, vennero installati su pianali ferroviari standard delle artiglierie su affusto a candeliere o su piattaforma ruotante parzialmente scudate per garantire ai serventi una protezione minima contro il tiro delle armi leggere e delle schegge.
In Italia, durante il primo conflitto mondiale, vennero predisposti diversi treni armati di entrambe le tipologie: lungo i litorali dell’alto Adriatico furono dislocati diversi treni armati con artiglieria medio – pesante, gestiti dalla Regia Marina, con la funzione di avvistamento e di primo contrasto alle incursioni delle navi Austro-ungariche. Quasi tutti i treni armati vennero disarmati o convertiti ad uso civile al termine del conflitto ma la Regia Marina, convinta della bontà dell’arma in funzione di difesa costiera, continuò nel periodo tra le due guerre a sviluppare i treni armati e sul finire degli anni trenta, quando apparve sempre più probabile un nuovo conflitto, vennero allestiti 12 treni armati.
Inoltre, sempre durante la prima guerra mondiale, il Regio Esercito ricevette in prestito dall’Esercito Francese alcuni cannoni ferroviari da 340/45 ed iniziò ad interessarsi a questa “nuova” arma. Avendone constatata l’efficacia in azione, si decise quindi di incaricare l’Ansaldo di progettare un affusto ferroviario per installarvi un cannone di grande potenza: i pezzi prescelti per l’installazione furono i 381/40 destinati alla nave da battaglia Cristoforo Colombo, la cui costruzione era stata sospesa all’inizio delle ostilità.
L’argomento relativo ai treni armati è ampiamente documentato ed una discussione approfondita esula dagli intenti di questo articolo che, come già sottolineato precedentemente, si focalizzerà sugli aspetti più tecnici a corredo dei disegni.
I cannoni della Cristoforo Colombo
Completato il programma di costruzione delle corazzate classe “Giulio Cesare” la Regia Marina puntò alla realizzazione di tre navi da battaglia da circa 32.000 tonnellate armate di cannoni da 381/40. I lavori della Cristoforo Colombo vennero avviati nel 1916 presso il cantiere di Sestri Levante ma ben presto giunse l’ordine di sospensione ed infine di demolizione.
Alla costruzione della corazzata era legata la realizzazione presso l’Ansaldo di dieci pezzi da 381/40 e l’allestimento di quattro torri binate che non furono mai completate: noto come 381/40 S 1914 il cannone era costituito da un tubo anima lungo 15,74 metri, filettato nella parte posteriore per ricevere l’otturatore. Il tubo anima era avvolto da due ordini di cerchi ed il massiccio blocco di culatta si impegnava tramite filettature sul cerchio più esterno. Il peso totale della bocca da fuoco era di 62 tonnellate e la carica massima provocava una pressione di 2900 atmosfere sul proietto da 876 chili con una gittata teorica di 24 chilometri.
Due dei dieci pezzi disponibili presso lo Stabilimento Artiglierie di Genova vennero installati nella torre binata del monitore Faà di Bruno che operò nell’alto Adriatico, uno venne tenuto da parte come rispetto e sette vennero installati su appositi affusti ferroviari realizzati dall’Ansaldo.
L’affusto poggiava su due carrelli anteriori a quattro assali ciascuno ed un singolo carrello posteriore a sei assali. Il puntamento di direzione veniva effettuato muovendo tutta l’installazione su un binario curvo appositamente predisposto con raggio di 150 metri: una volta piazzato era possibile correggere di un ulteriore grado il complesso. L’elevazione era invece compresa tra 0° e 25°. Per garantire la stabilità durante il tiro, la parte centrale dell’affusto poggiava direttamente sul binario grazie a dei ceppi di legno azionati da 12 martinetti posti sui lati dell’affusto stesso.
Vennero inoltre progettati dei carri “trasporto munizioni” che trasportavano ciascuno 30 granate complete: pare che in origine si fosse pensato di dotare ciascun pezzo con due carri ma ne vennero realizzati solo otto. Peraltro è molto probabile che non tutti e sette i pezzi siano stati realmente utilizzati: è documentato l’impiego di uno di questi cannoni sulla linea Verona – Trento per colpire le linee austriache a Rovereto.
Con la cessazione delle ostilità questi cannoni caddero nel dimenticatoio. Ci furono dei progetti per il loro utilizzo in artiglierie costiere con affusto a perno centrale ma alla fine quattro pezzi rimasero malinconicamente inattivi a la Spezia. Durante il secondo conflitto si pensò ad alesare e ritubare con un’anima da 450-500 mm le bocche da fuoco ma anche quest’idea non venne portata a termine.
Il convoglio ferroviario vero e proprio era abbastanza semplice: una piccola locomotiva da manovra trainava il carro con il 381/40 ed il carro munizioni, li posizionava e quindi si allontanava. È peraltro interessante osservare come questo treno fosse un’entità autonoma con un vero e proprio “equipaggio” costituito da 3 ufficiali e 120 sottufficiali e militari: tale impostazione verrà mantenuta anche sugli altri treni armati ed anzi verrà accentuato il ruolo dell’ufficiale in comando come tipicamente avviene su una qualunque unità navale.
I treni armati della Regia Marina
Tavola 4
Dall’alto in basso:
Cannone ferroviario da 381/40
Treno Armato contraereo da 76 (76/1/S-Sampierdarena, 76/1/T-Porto Empedocle)
Treno Armato contraereo da 102 (102/1/T-Siracusa)
Treno Armato da 120 (120/1/S-Vado Ligure, 120/2/S-Albenga, 120/3/S-Albisola, 120/4/S-Cogoleto)
Treno Armato da 152 (152/5/S-Recco, 152/1/T-Termini Imerese, 152/2/T-Carini, 152/3/T-Crotone, 152/4/T-Porto Empedocle) Treno Logistico
I primi treni armati, sviluppati nel corso della prima guerra mondiale, furono uno dei principali mezzi di difesa contro le incursione delle navi austriache nell’alto Adriatico e furono usati intensamente nella parte finale del conflitto: in pratica almeno un treno armato era sempre in movimento lungo i tratti di litorale più a rischio. Ovviamente questi treni avevano più un funzione di avvistamento e di primo contrasto non disponendo di un armamento pesante; inoltre erano abbastanza vulnerabili specie agli attacchi aerei.
Alla fine della guerra quasi tutti i treni armati furono disarmati ma la Regia Marina, date le positive e fortunate gesta, continuò a sviluppare i treni armati in funzione di difesa costiera nel periodo tra le due guerre: le linee ferroviarie della penisola erano tali da permettere l’utilizzo dei treni armati quale ottimale sistema per la difesa dei principali porti da incursioni navali, in combinazione con le batterie fisse ed il naviglio sottile destinato all’interdizione. Inoltre, protetti dai rifugi naturali delle gallerie, potevano operare con minori timori dell’offesa aerea ed anzi contribuire alla difesa contraerea.
All’epoca della guerra d’Etiopia (1935) vennero appositamente sviluppati nuovi tipi di vagoni armati con pezzi da 120 mm o da 152 mm in torri di tipo navale. Agli estremi di ciascun carro c’erano due ricoveri blindati, uno contenente il munizionamento e l’altro i servizi e gli alloggi dei serventi. Man mano vennero approntati, con base logistica a la Spezia ed a Taranto, diversi convogli formati da quattro vagoni armati di cannoni, vagoni deposito munizioni (Santabarbara), carri servizi, carri direzioni tiro e carri con mitragliatrici antiaeree; in testa ed in coda al treno c’erano poi due locomotive Gr. 735 FS o Gr. 740 FS per permettere un immediato movimento in entrambe le direzioni raggiungendo una velocità massima di 65 km/h.
Nell’agosto del 1939 vennero costituiti due specifici Comandi Gruppo Treni Armati (T.A.) a Genova ed a Palermo ovvero nelle due regioni italiane più vicine ai territori francesi da cui ci si aspettava un eventuale attacco aereo.
Nel 1940 venne assunto l’assetto di guerra previsto per concorrere alla difesa della costa e delle installazioni portuali e per contribuire alla difesa contraerea delle Piazzeforti Militari Marittime in collaborazione e dipendenza dai locali Comandi DICAT (Difesa Contraerea Terrestre): erano pronti all’impiego in pieno assetto 12 treni armati (9 con scopo antinave armati pezzi da 120/45 o 152/40 e 3 con funzione contraereo armati con pezzi da 76/40 o 102/35) ciascuno con un equipaggio composto da 2 ufficiali, 25 sottufficiali e 95 marinai sotto il comando di un tenente di vascello.
I treni armati vennero più o meno mimetizzati in modo da confondersi con il terreno circostante. Inoltre vennero realizzate opportune opere in muratura per proteggerli, specie il carro munizioni, durante i momenti di permanenza presso le rispettive basi. Le locomotive erano sempre sotto pressione pronte a muovere il convoglio in brevissimo tempo: una volta giunti a destinazione i carri venivano messi in posizione ed ancorati alla massicciata con martinetti idraulici nell’arco di pochi minuti mentre le locomotive cercavano protezione nelle gallerie limitrofe, spesso con anche il carro santabarbara.
I vari treni vennero identificati da una sigla composta dal tipo di artiglieria principale, da un numero progressivo e dalla sigla della base logistica di riferimento ovvero S per La Spezia e T per Taranto. La loro composizione seguiva, in linea di massima, il seguente schema:
- Locomotiva
- Carro comando/direzione tiro
- Carro antiaereo
- 2 – 4 carri con artiglieria principale
- Carro antiaereo
- Carro santabarbara
- Locomotiva
Tuttavia i vari convogli subirono nel corso del conflitto sia modifiche nella composizione che nelle artiglierie installate; a titolo indicativo lo schieramento all’inizio del 1943 era il seguente:
- T.A. 120/1/S a Vado Ligure
- T.A. 120/2/S ad Albenga
- T.A. 120/3/S ad Albisola
- T.A. 120/4/S a Cogoleto
- T.A. 152/5/S a Recco
- T.A. 76/1/S a Sampierdarena in funzione contraerea
- T.A. 152/1/T a Termini Imerese
- T.A. 152/2/T a Carini
- T.A. 152/3/T a Crotone
- T.A. 152/4/T a Porto Empedocle
- T.A. 102/1/T a Siracusa, in funzione contraerea
- T.A. 76/1/T a Porto Empedocle, in funzione contraerea
ma con l’avvicinarsi del conflitto alle coste italiane meridionali i convogli operanti in Liguria vennero riorganizzati ed una parte venne trasferito al Sud.
In abbinamento ai treni armati, per fornire il necessario supporto tecnico e l’acquartieramento dell’equipaggio vennero inoltre formati dei treni logistici così composti:
- Locomotiva
- Carro segreteria
- Carro cucina/deposito viveri
- Carro bagagliaio/deposito indumenti
- 2 carrozze per alloggio del personale
- 2 carri deposito munizioni
- 1 carro deposito ricambi
Una breve nota sui disegni
I bambini del terzo millennio, sin dalle elementari, padroneggiano il PC e scalpitano per “navigare” in Internet, affrontando un “mare” insidioso che offre poche rotte serene, attraverso insidie molto più temibili delle mitiche sirene di Ulisse.
Alla ricerca di “baie tranquille” ho scovato un sito con decine di profili di navi che hanno fatto brillare gli occhi di mio figlio di 9 anni: alla richiesta iniziale di alcune stampe è subentrata quella di disegnarne qualcuna, magari partendo da quella su cui ero stato imbarcato per raggiungere l’Antartide. Come si poteva declinare tale invito che aveva oltretutto risvegliato l’interesse paterno per il mare e per la navigazione in genere?
Ci avventurammo quindi con entusiasmo del disegno del Supply Vessel L’Astrolabe, un’unità da 65 metri e 1750 tonnellate di stazza (GRT). Annualmente, nel periodo compreso tra Novembre e Marzo, effettua cinque viaggi da Hobart (Tasmania) alla volta di Dumont D’Urville, la base Francese in Antartide, seguendo la semplice rotta di 180°S per circa una settimana, attraverso i famosi Quaranta Ruggenti ed i famigerati Cinquanta Urlanti. Armati di pazienza abbiamo dunque iniziato ad usare insieme MSPaint il programma di disegno già usato a scuola da mio figlio.
Da allora sono passati quasi tre anni ed abbiamo disegnati molti profili di navi. Abbiamo “navigato” attraverso siti più o meno collegati alla storia della navigazione e siamo venuti in contatto con persone di tutto il mondo. Inoltre abbiamo avuto modo di incontrare alcuni membri di questi forum virtuali “scoprendo” delle persone vere, ascoltando dei racconti reali e visitando luoghi decisamente stimolanti. Per ora posso constatare con soddisfazione l’acquisizione di sani interessi e di una consapevolezza crescente da parte di mio figlio e quindi, con l’auspicio che in futuro possa seguire rotte adeguatamente sicure, continueranno queste “esplorazioni congiunte”.
Questo lavoro è frutto inoltre degli interessi stimolati dalle discussioni in un paio di forum italiani ai cui membri vanno indirizzati i miei ringraziamenti per tutto il supporto fornitomi:
http://www.betasom.it e http://forumdifesa.forumgratis.org
Bibliografia
Questo lavoro si è basato su numerose immagini reperite soprattutto su internet ma la maggior parte dei siti, sia italiani che esteri, troppo spesso riportano solo parzialmente od addirittura omettono i crediti circa le informazioni pubblicate. La bibliografia si limita quindi ai testi principali:
N. Pignato – F. Cappellano, Gli autoveicoli da combattimento dell’Esercito Italiano Vol. 1
Luis De La Sierra, Gli assaltatori del mare, Mursia, Milano, 1971
G. Giorgerini, Attacco dal mare – Storia dei mezzi d’assalto della Marina Italiana, Mondadori, Milano, 2007
Aa.Vv., I mezzi d’assalto della X° Flottiglia MAS, Albertelli, Parma, 2005
A. Turrini – O. Miozzi – M. Minuto, Sommergibili e mezzi d’assalto subacquei Italiani, USMM, Roma, 2010
E. Bagnasco – A. Rastelli, Sommergibili in guerra, Albertelli, Parma, 2007
G. Giorgerini, Uomini sul fondo, Mondadori, Milano, 1994
Caro Sergio,
raccolgo la critica riguardo le immagini che, se selezionate, si ingrandiscono. Migliorerò la grandezza anche se, per standard, la grandezza del lato lungo è 640 px ma è migliorabile.
Riguardo gli errori del nome nel testo, chiederemo all’autore.
Per la visualizzazione del testo, ricordo che AltoMareBlu è su standard XHTML (ibrido con eccezioni), i browser hanno la possibilità di gestire la grandezza dei font (caratteri) in: normale, medio, grande e facilitare la lettura. Se mi indichi quale Browser utilizzi per la navigazione in internet, indicherò come fare a regolare la lettura in AMB.
È bene ricordare che, sempre in virtù degli standard, la grandezza del font del nostro sito, è uguale per tutti gli articoli ed è possibile la navigazione con sistemi palmari e tablet e in questo momento, sto rispondendo attraverso un iPhone 4.
Alex
Complimenti all’autore per il testo e per i “figurini”. Peccato che “si leggano male”. Meriterebbero un trattamento migliore.
Per bieche questioni anagrafiche (non riesco a leggere a video più di 2 o 3 pagine) ho stampato e finalmente trovato il tempo di leggere il pezzo che mi aveva incuriosito al suo “apparire” su AMB.
C’è un errore di “stompa” riguardante il nome della corazzata Sveti Stefan – Santo Stefano.
Non sapevo del percorso nord per portare le galee veneziane sul Garda. Avevo sempre creduto fossero arrivate dal Mincio.
Chi conosce la Mori Riva come il sottoscritto non può che entusiasmarsi al pensiero di tale impresa. Per la cronaca: non sono invece mai riuscito a trovare nella zona dell’ismo di Corinto i segni sul lastricato del passaggio degli invasi, delle slitte usate per aggirare l’ostacolo prima dell’apertura del canale (già progettato ed iniziato, ma mai finito in epoca romana).
Complimenti ancora. Attendiamo altri saggi (magari sui treni corazzati).
S.A.
Gentile Johnny,
mi dispiace molto comunicarti che non sono a conoscenza di nulla che riguardi la tua barca di cui riferisci e non saprei nemmeno dove poter reperire i disegni originali e sapere altre notizie in merito.
Tuttavia posso suggerire, visto che sei dell’ambiente nautico, come prima cosa capire dove si trovava il cantiere che costruiva la barca e da questo punto partire per le ricerche del cantiere o comunque di persone legate in passato ad esso per motivi di lavoro. A questo punto tutto sarebbe più facile.
Infine, ti suggerisco di metterti in contatto con l’ASDEC di Milano, asdec.it – tel. 02/76.01.39.88 chiedendo della segretaria signora Alessandra, persona gentilissima e molto competente che potrebbe darti una mano per la tua ricerca, dicendole che G.V. di AMB, ha indicato lei per questa ricerca..
Sperando di esserti stato d’aiuto, ti saluto cordialmente.
Giacomo Vitale
Salve,
mi scusi se la contatto qui, ma vorrei chiedervi delle informazioni su una imbarcazione.
Da un paio di mesi sono il felice proprietario di un Telaroli rialto, credo del ’68. Vorrei chiedervi se siete in grado di aiutarmi nel capire di che anno effettivamente sia questo motoscafo che sto pian piano restaurando, visto la mia fortuna di lavorare in un cantiere nautico di Chioggia. Vorrei capire anche come potrei ritrovare i piani di costruzione e tutto ciò che mi può aiutare nel restauro.
Grazie tante e scusate ancora.