Malta 2 – di Lino Mancini (prima puntata)
w25/26 luglio 1941
A Fiorenzo Capriotti
Per non dimenticare Te e chi con Te partecipò a Malta 2
“Perché è dal nostro sacrificio che i figli e le future generazioni sapranno in quale modo si serve il proprio Paese e ne trarranno l‘esempio e la forza per vincere”
Teseo Tesei
Indice
Prefazione – Ammiraglio Paolo Pagnottella pag. 4
Introduzione
- Premessa
- Motivazioni per una rilettura di Malta 2
- Mezzi disponibili per attacco
- Malta 2
- Ricostruzioni Rotte e Orari
- Ricostruzioni Attacco
- L’azione del Siluro Lenta Corsa (SLC) di Teseo Tesei e Alcide Pedretti
- Tre nuovi elementi a favore di Capriotti
- Conclusioni
- Appendice N°1 Tavole e Rotte di Trasferimento e Attacco
Tavola 1 – Rotta di trasferimento
Tavola 2 – Rotta di avvicinamento a Malta. MAS, MTL, MTS, Barchini
Tavola 3 – Rotta di avvicinamento a Malta. MTS, MTL, Barchini
Tavola 4 – Rotta di rientro nave Diana
Tavola 5 – Rotta di rientro MAS a fine missione
Tavola 6 – Percorso SLC di Costa/Barla
Tavola 7 – Percorso SLC di Tesei/Pedretti
Tavola 8 – Ostruzioni del Grand Harbour
Tavola 9 – Posizione delle cariche sotto il ponte di S. Elmo
11. Appendice 2 – Mezzi impiegati nello scontro
- Nave Diana
- Siluro Lenta Corsa (SLC) detto “Maiale”
- Motoscafo Turismo Modificato (Barchino esplosivo)
- Motoscafo Turismo Lento
- Motoscafo Turismo Silurante
- Motoscafo Turismo Silurante Allargato
- MAS 451
- Aereo Macchi 200
- Bombardiere BR.20
- Caccia Hurricane
- Aerosilurante Swordfish
12. Appendice 3 – Documenti
Doc. 1 – Ordine d’operazione 5/A
Doc. 2 – Norme di massima per l’Operazione contro Malta
– Terza parte dell’ordine d’Operazione
Doc. 3 – Lettera dello Stato Maggiore della Regia Marina
Doc. 4 – Rapporto del comandante della nave Diana
– Nota a commento della lettera del comandante della nave Diana
Doc. 5 – Relazione di Supermarina
Doc. 6 – Ricostruzione dell’attacco su Malta (1947)
Doc. 7 – Relazione del tenente di Vascello Francesco Costa
Doc. 8 – Relazione del sottoten. di Vascello Roberto Frassetto
Doc. 9 – Relazione del capo meccanico di 3ª classe Fiorenzo Capriotti
Doc. 10 – Relazione del silurista Bruno Bratovich
Doc. 11 – Lettera del comandante Ernesto Notari
Bibliografia
PREFAZIONE
- Viva coloro che caddero, viva chi perde i propri vascelli!
- Viva coloro che affondano con essi e non perdono l’onore!
- Viva tutti i Generali sconfitti e tutti gli Eroi schiacciati, cui la sconfitta non può togliere la gloria!
(da: “Inno alla gloria dei vinti” di Walt Whitman)
Sono onorato e felice che l’amico Lino Mancini abbia chiesto proprio a me, sommergibilista, Presidente in carica dell’Associazione Nazionale dei Marinai d’Italia, di aprire con un mio scritto questo suo libro. Credo che i tempi siano abbondantemente maturi per avere il coraggio di parlare con serenità e soprattutto con obiettività della nostra guerra rovinosamente perduta ma il cui retaggio non sarebbe stato così traumatico qualora avesse potuto essere valorizzato quello che hanno fatto, ma soprattutto quello che pensavano i nostri uomini migliori.
Quelli di Suda, quelli di Malta, protagonisti di questa opera, e poi quelli di Alessandria e Gibilterra, quelli dei sommergibili in Atlantico. Perché, come disse e scrisse il nostro miglior Comandante di sommergibili, Junio Valerio Borghese, “in ogni guerra la questione di fondo non è tanto di vincere o di perdere, di vivere o di morire, ma di come si vince, di come si perde, di come si vive, di come si muore. Una guerra si può perdere ma con dignità”.
L’obiettivo dei nostri uomini della X^ Flottiglia MAS, che come leggerete si erano prefissi di violare il porto de La Valletta a Malta, non era quello di affondare un gran numero di navi nemiche (ce n’erano poche mercantili e ancor meno da guerra, in quel porto in quei giorni) ma quello di mostrare al nemico di che pasta erano fatti gli Italiani e ottenerne rispetto e ammirazione. Lino Mancini ha conosciuto molto bene Fiorenzo Capriotti, uno che a Malta, in quel lontano luglio del 1941, non solo c’era ed era pronto a sacrificare la vita ma che ha fedelmente sempre raccontato cosa è successo, cosa ha provato e visto, a volte (tante volte) anche in contrasto con resoconti e “verità” ufficiali o di comodo.
Sulla scorta della testimonianza del Capriotti ha indagato, scavato negli archivi, scambiato corrispondenze con maltesi e inglesi, ricostruito ogni dettaglio sia dal punto di vista operativo che, novità assoluta, anche ingegneristico, rifacendo calcoli, sperimentando materiali, riprendendo e analizzando disegni costruttivi. Ne scaturisce una storia fluida, avvincente, dettagliata e convincente. Eppure, restano alcuni misteri: su tutti, la morte di Teseo Tesei e ancora: perché scegliemmo quel passaggio sotto quel ponte di Sant’Elmo, perché impiegammo mezzi tecnicamente e operativamente diversi, perché i barchini e non le cesoie. Non avremo mai, così come ci dice l’autore, risposte: i protagonisti sono tutti morti sul campo dell’onore. Mi piace riportare che Borghese definì quest’azione “il glorioso insuccesso”: perché anche dalle sconfitte, se non soprattutto da queste, si possono trarre conclusioni e sproni.
La conclusione che Mancini ed io traiamo dalla tragica impresa di Malta, è che l’obiettivo che si erano prefissi quegli uomini della Marina, ebbene, essi l’hanno raggiunto: il nemico ebbe espressioni di vera ammirazione per il coraggio e l’audacia degli Italiani, noi trovammo l’energia morale per seguire le loro orme.
Lo sprone è che ha senso compiuto parlare ancora oggi di quella notte, di quegli uomini, non solo per non dimenticare (essi non meritano l’oblio, tanto è grande quello che hanno fatto) ma soprattutto per fornire alle giovani generazioni quel sostegno morale, quella fiducia in se stessi e nelle proprie capacità, singole e di gruppo, di cui hanno certamente bisogno nella concezione della vita e dell’impegno in ogni settore di attività.Amm. Sq. Paolo Pagnottella
Presidente Nazionale della Associazione Nazionale Marinai d’Italia
INTRODUZIONE
Ho sentito la necessità di fare una rilettura dell’azione di Malta per rendere soprattutto un omaggio a Fiorenzo Capriotti, uno dei partecipanti all’attacco a Malta del 26 luglio 1941, recentemente scomparso, che nel suo libro “La Mia Decima, da Malta alle Hawaii”, fa rivivere le emozioni e le trepidazioni che gli attaccanti vissero in quell’azione all’alba di tanti anni fa.
Nel libro di Capriotti c’è anche una grande testimonianza sull’azione e sulla morte di Teseo Tesei. La verità raccontata da uno che c’era.
Ed è proprio per rafforzare questa testimonianza, contro le altre diverse dalla sua, che ho riesaminato documenti, avvenimenti e quant’altro fosse correlabile con quest’azione. In particolare, ho riletto le relazioni scritte dai partecipanti all’azione per capire come mai si era potuti giungere a conclusioni diverse.
Purtroppo, ho costatato che qualche documento o non è stato visionato o non è stato letto attentamente e soprattutto non sono stati correlati tra di loro. Solo così si possono spiegare le diverse interpretazioni e in particolare quella riguardante la posizione del Siluro Lenta Corsa (SLC) di Teseo Tesei prima che il ponte saltasse; per alcuni sotto il viadotto, per altri in tutt’altra posizione o addirittura oggetto di una raffica di proiettili sparati da un cannone del forte di S. Elmo.
In questo lavoro ripropongo l’attacco a Malta ricostruendo l’ordine di operazione e i relativi orari, le rotte di avvicinamento, i mezzi impiegati e lo svolgimento dell’attacco; in questo quadro ho esaminato l’azione di Teseo Tesei e del suo secondo Alcide Pedretti.
Non sono uno storico ma uno che, ritiratosi da ogni attività professionale, si dedica, da appassionato, all’approfondimento di quegli avvenimenti storici che hanno fatto parte di quell’area professionale cui maggiormente si è dedicato, prima in Marina, in qualità di Ufficiale del Corpo del Genio Navale, poi da dirigente e dopo da Amministratore Delegato nell’industria privata.
Per non appesantire il lavoro ho preferito evitare le note e inserire tutti i riferimenti e quant’altro necessario nell’ambito del testo.
Come nel mio spirito, non poteva mancare una veste polemica nei confronti di quella Marina che non seppe decidere.
1. Premessa
L’azione di Malta, a distanza di quasi settanta anni, continua ancora a presentare punti oscuri, nonostante le ricostruzioni fatte sia da parte italiana che maltese. Dette ricostruzioni, spesso si basano poco sui documenti peraltro scarsi e più su basi probabilistiche scaturite da testimonianze e recuperi di materiali avvenuti in tempi successivi.
L’azione principe, quella legata al Siluro a Lenta Corsa di Teseo Tesei e del suo secondo Alcide Pedretti, non è stata ancora sdoganata da quell’aria di mistero riportata dalla letteratura ufficiale che, nel nostro caso, è rappresentata dal libro edito dall’Ufficio Storico della Marina Militare “I Mezzi d’Assalto”.
Ancora oggi, il famoso Ponte di S. Elmo, oggetto dell’azione, potrebbe custodire nelle acque sottostanti i resti di quegli avvenimenti. Così sembrerebbe dalla visione di un recente filmato di un’immersione effettuata in queste acque che mostra in uno stato di abbandono totale la presenza di reperti dell’epoca: pezzi di rete metallica, maglie di catena, rottami vari.
Da quanto mi risulta nonostante che negli anni settanta, come dirò più avanti, fosse stato individuato un reperto significativo per la ricostruzione di un avvenimento di quest’attacco, niente è stato fatto né da parte italiana né da parte maltese per promuovere una campagna d’immersioni con l’intento di recuperare quanto di storicamente interessante potrebbe essere ancora presente.
La via d’acqua sotto il ponte di S. Elmo, un passaggio di circa settanta metri con due piloni centrali a sostegno delle due arcate in ferro che costituivano il ponte, era l’ingresso secondario al Grand Harbour della Valletta, normalmente utilizzato da naviglio minore.
L’ingresso principale, leggermente più a est, era ed è delimitato dai moli in cemento che partono dai Forti di S. Elmo, il più lungo e Ricasoli il più corto; il ponte congiungeva il forte di S. Elmo con il relativo molo.
Nell’operazione Malta 2 era stato previsto di portare due attacchi:
- il primo al porto principale detto Grand Harbour da eseguirsi con nove barchini e un SLC, questo con il compito di praticare un’apertura nel varco d’ingresso di un’ostruzione metallica;
- il secondo, con altro SLC, nell’adiacente porto militare di Marsa Muscetto per attaccare la base sommergibili.
Per entrare nel Grand Harbour fu scelto di forzare l’ingresso secondario perché quello principale era ritenuto più sorvegliato, più difeso e con ostruzioni più difficili da forzare, tre file costituite da reti d’acciaio agganciate a boe di circa due metri di diametro e distanziate, l’una dall’altra , di circa un metro e mezzo. Si trattava delle classiche ostruzioni affioranti sul livello del mare che i barchini potevano superare agevolmente poiché il piede poppiero di propulsione era stato progettato per essere sollevato lateralmente. Queste ostruzioni erano sistemate come segue (Tav.8).
La prima, a difesa dell’entrata del porto, si estendeva tra il molo del forte Ricasoli e il molo del forte di S. Elmo;
La seconda, quasi perpendicolare alla prima, si estendeva tra il molo del Forte Ricasoli (punto comune di partenza con la prima ostruzione) e la sponda del Forte di S. Elmo. Verso S. Elmo aveva un’interruzione di circa due metri per permettere il passaggio di piccole imbarcazioni che utilizzavano l’ingresso secondario;
La terza si estendeva da S. Elmo (punto comune di partenza con la seconda ostruzione) verso l’interno del porto fino al frangiflutti del Forte Ricasoli; divergeva di circa trenta gradi dalla linea della seconda ostruzione.
In pratica, le ostruzioni delimitavano una prima zona d’acqua assimilabile ad un’area quadrata cui se ne aggiungeva una triangolare che aveva in comune con il quadrato il lato costituito dalla seconda ostruzione. L’ingresso secondario era protetto con una rete metallica che fissata alle travi del viadotto arrivava sino sul fondo e pertanto, per penetrare da questo ingresso, era necessario praticare un’apertura ed era stato deciso di utilizzare una carica esplosiva.
Nell’operazione in questione, l’apertura del passaggio sulla rete era stata affidata a un SLC e solo come riserva, in caso d’insuccesso del SLC, era stato previsto l’utilizzo di uno ed eventualmente di un secondo e terzo barchino nel caso il primo avesse fallito in parte o del tutto l’intervento. Tre barchini erano stati predisposti affinché la loro carica esplodesse a una piccola profondità vicino alla superficie.
Una volta superata quest’ostruzione, per entrare nel porto principale ed attaccare i bersagli assegnati, i barchini avrebbero dovuto navigare alla massima velocità, rasenti la sponda del Forte di S. Elmo, sfruttando il passaggio laterale largo due metri che, come già detto, era stato predisposto per il transito delle piccole imbarcazioni; in pratica il punto di unione della seconda e terza ostruzione era stato ancorato a due metri dalla sponda di S. Elmo.
Se effettivamente fosse più vigilato l’ingresso principale che il secondario è una domanda a cui è difficile dare una risposta perché non è stata trovata documentazione in proposito che giustifichi la scelta fatta.
Visti i risultati dell’azione, sembrerebbe che qualche possibilità di successo in più forse ci sarebbe stata scegliendo l’ingresso principale. I barchini, una volta superata la prima ostruzione e quindi entrati nell’area quadrata, avrebbero potuto o entrare nel porto dal passaggio stretto dirigendosi verso la sponda di S. Elmo, oppure scavalcare la seconda e terza ostruzione.
L’azione, in questo caso, avrebbe potuto svolgersi con le stesse procedure adottate a Suda e il Siluro Lenta Corsa (SLC), non destinato all’apertura del varco, avrebbe potuto aggiungersi a quello già previsto per l’attacco alla base dei sommergibili.
Si sarebbero così configurate due azioni, una di soli mezzi subacquei nel porto militare e l’altra di soli mezzi di superficie nel Grand Harbour; questa pianificazione avrebbe anche eliminato le critiche, inizialmente mosse nel gruppo dagli stessi operatori, sull’opportunità di impiegare congiuntamente mezzi con prerogative operative tra loro diverse.
La scelta di eseguire l’attacco nel Grand Harbour, utilizzando l’ingresso secondario, portò alla pianificazione di un’operazione congiunta tra SLC e barchini.
2. Motivazioni per una rilettura di Malta 2
Il motivo che mi ha spinto a fare una rilettura di Malta 2 è legata soprattutto ad un personaggio, scomparso da poco (10 novembre 2009), Fiorenzo Capriotti, uno degli eroi di Malta, che con un suo libro “La Mia Decima, da Malta alle Hawaii” ha voluto lasciare la sua testimonianza sull’impresa a cui aveva partecipato.
Nel libro racconta anche della sua prigionia nei vari campi inglesi e americani e dedica un intero capitolo alla sua personale battaglia contro i vertici di quella burocrazia militare che, nell’assegnare le ricompense al valore per quest’azione, sconvolse quella scala di valori che gli arditi di allora si erano dati nel loro decalogo e che al punto tre così recita:
“Non sollecitare Ricompense. La più bella ricompensa è quella di aver portato a termine la missione che ci è affidata. Le medaglie, le ricompense, gli elogi, gli onori, rendono fieri chi li riceve per lo spontaneo riconoscimento di chi li giudica, non chi li sollecita o li mendica”
Nell’assegnazione delle ricompense al valore, i partecipanti a questa impresa furono oggetto di forte discriminazione. Quella stessa burocrazia riuscì a far di peggio tramutando nel corso degli anni ricompense di livello inferiore a quello superiore, solo alcune medaglie d’argento diventarono d’oro.
Caso strano, quella di Capriotti rimase d’argento per un motivo molto semplice: l’otto settembre del 1943, prigioniero in un campo americano, rifiutò di compilare il questionario che, di fatto, lo avrebbe regolarizzato nella Marina del regno del sud.
Ecco come descrive, nel suo libro, l’avvenimento:
“Fu distribuito a tutti un questionario nel quale si parlava di combattere contro un nemico imprecisato. Molti firmarono, ma io non volli saperne… C’era chi ricordava come io avessi insistito nel proclamarmi Italiano e non fascista”.
E sempre nel suo libro si legge:
“Non mi si dia del fascista perché io non lo fui mai… Per me gli Italiani si dividevano in due categorie in funzione soltanto di quanto erano disposti a dare alla patria”.
Da italiano e non da fascista, come lui più volte si è sempre definito, voleva finire coerentemente quella guerra che aveva iniziato con nobili ideali di amore e lealtà verso quella patria cui molti di loro avevano già donato le loro giovani vite.
“Come soldato ero morto a Malta”, sono le sue parole.
Nel 1991, in occasione della celebrazione dell’impresa di Alessandria del 18/19 dicembre 1941, ebbi il piacere di conoscere Fiorenzo Capriotti. L’uomo mi affascinò da subito per il suo spirito di concretezza. Per questo evento era stato organizzato a La Spezia un congresso in cui più oratori accreditati si alternavano nel raccontare il mondo dell’incursione e le imprese dei mezzi d’assalto nella seconda guerra mondiale.
Teseo Tesei era al centro delle argomentazioni ed un oratore, l’amm. Birindelli, nel raccontare l’azione di Tesei a Malta finì per rimanere sul generico e più o meno ripeté la stessa versione riportata nel libro “I mezzi d’assalto”. A questo punto il Capriotti, che non faceva parte dei relatori invitati a parlare, si alzò di scatto, si avviò verso il palco e afferrato il microfono, chiese attenzione alla platea. Iniziò con questa frase:
“Vi racconto io che c’ero come è morto Tesei”.
Raccontò brevemente cosa successe quella notte, gli errori da taluni commessi; si riferiva in particolare al suo compagno d’azione Frassetto, presente in sala, a cui ha sempre addebitato il fallimento dell’azione per avere iniziato l’attacco, precipitosamente, senza la dovuta autorizzazione del comandante degli assaltatori, il Sottotenente di Vascello Bosio. In cuor suo gli imputava anche, giacché fu il primo a cui nel 1946 fu tramutata la medaglia d’argento in oro, con motu proprio dello Stato Maggiore della Marina Militare, quello che poi scriverà nel suo libro:
“certe valutazioni avrebbero dovuto consigliare al Frassetto un qualche senso di solidarietà verso quei compagni che avevano vissuto l’Apocalisse scatenata con il suo comportamento in quell’Azione del 26 luglio 1941: nulla, sempre nulla. A Frassetto rimprovero principalmente di aver rinunciato nel dopoguerra, alla cittadinanza italiana per quella americana, pur rimanendo in Italia”.
Senza giri di parole, nella sua testimonianza lo accusa di aver ricevuto la medaglia d’oro per altri meriti, collaborazione con il governo americano dopo l’ 8 settembre del 1943 e non certo per l’azione di Malta.
Ed alla fine terminò con una frase a effetto:
“Teseo Tesei l’abbiamo ammazzato Noi.”
Capriotti, nonostante i suoi ottanta anni si dimostrò un oratore brillante che decisamente affascinò, con il suo parlare schietto, una platea che finalmente sentiva delle parole fuori dal coro. C’è da dire che conservò lucidità e brillantezza di pensiero fino alla sua morte avvenuta nel novembre dello scorso anno all’età di novantotto anni; caso strano della vita, compiva gli anni l’otto di settembre.
Frassetto, a sua volta, con cui recentemente ho avuto una conversazione telefonica per avere una sua opinione sull’attacco a Malta, giudica negativamente Capriotti ritenendo che con le sue lettere di critica indirizzate ai vertici della Marina abbia gettato solo discredito; inoltre, mi ha confermato che sull’azione non ha niente da aggiungere rispetto a quanto ha già dichiarato nella sua relazione redatta nel settembre del 1944. Le relazioni di Capriotti e Frassetto insieme ad altre dei partecipanti all’azione saranno oggetto di particolare attenzione nel capitolo cinque in cui verrà ricostruita l’azione dell’attacco a Malta.
Leggendo le lettere di Capriotti, tutte raccolte nel suo già citato libro, giudicate negativamente da Frassetto e le relative risposte con cui gli ammiragli, Birindelli compreso, cercarono di giustificare il comportamento dei vertici ed i motivi di opportunità che non permettevano di tramutare al Capriotti la sua medaglia d’argento in oro, c’è da rimanere sbalorditi. In proposito, il comandante Notari che collaborò nel 1947 alla ricostruzione dell’azione, nel 1955 ebbe a scrivere in una sua lettera indirizzata allo Stato Maggiore Marina (Azione dei mezzi d’assalto, documento in allegato 3), quanto segue:
“In seguito, per diretta iniziativa di Maristat e nonostante il parere contrario del comandante Forza, fu commutata in Medaglia d’Oro la Medaglia d’Argento al Valor Militare concessa al Tenente di Vascello Frassetto”.
Anche il comandante Notari, lui stesso operatore della X^MAS, si dissociava ufficialmente dalla decisione presa dalla Marina sulla riconversione della ricompensa al valor militare del Frassetto.
Da quel giorno del 1991 a La Spezia ebbi la fortuna, per una serie di circostanze legate alla mia ed alla sua passata vita professionale, nonostante ci separassero trentatré anni d’età, di stringere con Capriotti una profonda amicizia. Ci vedevamo spesso a Milano e qualche volta lo accompagnavo a riunioni della X^ MAS o congressi in cui ricercatori proponevano riletture delle imprese dei mezzi d’assalto. Inutile dire che, anche se non compariva nella lista degli oratori ufficiali, alla fine riusciva sempre a prendere il microfono e confutare certe verità raccontate con ufficialità. La cosa naturalmente non era gradita dai ricercatori che, come studiosi, preferiscono prevalentemente ricostruire la storia sulla base di documentazione ufficiale e non essere influenzati da ricordi personali dei partecipanti.
In linea di massima è una procedura condivisibile, ma solo se ci riferiamo a studi condotti su documenti inglesi, tedeschi o americani; un po’ meno se parliamo di documenti prodotti nell’ambito delle nostre Forze Armate.
Rileggendo i soli documenti ufficiali sull’azione di Malta conservati negli archivi storici del nostro Stato Maggiore Marina, si ha un’idea di che documentazione si dispone: sono documenti generici che riportano informazioni superficiali, compilati in burocratese e da cui traspare una paurosa burocrazia. Per averne una prova basta leggere di quest’azione la relazione finale di Supermarina e le relazioni inviate a Roma dal Comando Settore Autonomo di Augusta e dal Comando autonomo della Sicilia. (vedi: Relazioni in appendice n° 3)
Durante uno dei nostri incontri a Milano, mentre stavamo riparlando dell’azione di Malta e per l’ennesima volta mi sentivo dire “quante sciocchezze sono state dette su di noi” gli proposi di scrivere la sua verità prima di…, aveva già raggiunto gli ottantotto anni. Mi guardò sornione e con un mezzo sorriso mosse la testa facendomi capire che ci avrebbe pensato. Dopo un anno si presentò con una copia del suo libro “La Mia Decima, Da Malta alle Hawaii” e nel regalarmi questa copia volle scrivermi una dedica che considero come il suo miglior regalo.
Ciò premesso, in questa mia rilettura voglio aggiungere dei fatti documentati per rafforzare la validità della testimonianza di Fiorenzo Capriotti, uno che c’era e controbattere altre ricostruzioni che, sicuramente fatte in buona fede sulla base della documentazione reperita, differiscono dalla sua.
Di quanto racconterò, in particolare sull’azione di Teseo Tesei, ne avevo parlato con Capriotti lo scorso ottobre e ne avremmo riparlato ufficialmente nel corso di un’intervista che sarebbe stata registrata nella sua casa di S. Benedetto del Tronto il quattordici di novembre del duemilanove da una Società Maltese, Studio 7, specializzata nella produzione di filmati televisivi per eventi. Purtroppo, Capriotti moriva il 10 di Novembre. L’intervista avrebbe dovuto far parte di un servizio che un comitato maltese ha intenzione di approntare nell’ambito di un progetto, denominato “Malta 2011”, per ricordare il settantesimo dell’impresa.
Il filmato di seguito inserito fa vedere il Siluro Lenta Corsa (SLC) e l’impiego operativo per cui era stato concepito, attacco di una carica sotto la chiglia di una nave. Nell’operazione descritta in Malta 2, la carica del SLC doveva essere utilizzata per aprire un varco nell’ostruzione retale a difesa del porto:
Particolari dell’ SLC:
3. Mezzi disponibili per un attacco a Malta nel 1940
Malta costituiva sicuramente un obiettivo strategico in relazione alla sua posizione nel Mediterraneo, sia per la sua vicinanza alla Sicilia, cinquanta miglia a sud, che per la sicurezza delle rotte dei nostri convogli verso il nord Africa e per questo, sin da prima della guerra erano stati preparati piani d’attacco senza però approntare i mezzi necessari per attuarli.
Tralasciando i piani d’attacco più grossi in cui era previsto addirittura l’invasione dell’isola, mi limito al solo esame della disponibilità dei mezzi necessari per un attacco tipo Malta 2 e l’amara constatazione è che, nel momento dell’ingresso in guerra, l’Italia non aveva mezzi disponibili per attuare questo tipo di missioni.
Nel 1940, i mezzi speciali disponibili, cioè SLC (Siluri a Lenta Corsa, detti maiali) e MT (Motoscafi da Turismo, detti Barchini Esplosivi), erano:
- N°11 SLC costruiti tra il 1935 e 1938
- N° 2 MT Sperimentali
Definire i Siluri Lenta Corsa (SLC) mezzi operativi era quanto meno azzardato dal momento che erano stati intensamente utilizzati e usurati sia per la messa a punto operativa dei mezzi stessi che per l’addestramento del primo nucleo di operatori. Da queste attività era anche emersa la necessità di apportare significative migliorie tecniche per una maggiore affidabilità operativa; interventi non più effettuabili nelle officine della Marina di S. Bartolomeo a La Spezia. Era necessario ricorrere all’industria privata. Dovendo conservare la giusta riservatezza, la Marina si rivolse ad una Ditta già di sua conoscenza impegnata nella realizzazione della prima serie di MT: la Cabi Cattaneo di Milano.
Nel dicembre del 1939 fu stipulato il primo contratto, chiamato in codice “Progetto Trespolo”, per predisporre sul SLC N°8 le modifiche già individuate relative allo scafo, all’impianto assetto e alla propulsione. Solo dopo le prove in mare di questo SLC compiute nella primavera del 1940, la Marina nell’estate del 1940 stipulò, sempre con la Cabi Cattaneo, un contratto per la costruzione di otto mezzi. Questi fecero parte della prima serie, chiamata serie cento, poiché i mezzi erano numerati come 110, 120, 130 ecc.. la cui consegna fu eseguita nel corso del 1941.
A questa serie ne seguì una seconda di sedici mezzi, serie duecento, consegnata nel corso del 1942 ed una terza serie, sempre di sedici mezzi, serie trecento, consegnati nel corso del 1943.
Dai tempi di consegna di cui sopra, si evince che gli insuccessi delle operazioni effettuate a Gibilterra nel 1940 vanno imputati soprattutto all’inaffidabilità dei mezzi utilizzati; in queste azioni furono impiegati mezzi prototipi presi dai primi undici. Le cose migliorarono notevolmente con l’entrata in servizio dei mezzi serie cento, il primo utilizzo di questi fu proprio nell’attacco a Malta.
Per i barchini la storia è similare. Ai primi due prototipi ordinati nel 1936 e nel 1937, il contratto era stato stipulato con i “Cantieri Baglietto” di Varazze che mandavano lo scafo a Milano per l’allestimento presso la “Cabi Cattaneo”, fece seguito solo nel 1938 l’ordine di una prima serie che originariamente prevista per dodici fu dimezzata a sei. Questo contratto fu stipulato direttamente con la “Cabi Cattaneo”, giacché il progetto di questa serie era Cabi, che continuò a ordinare gli scafi da allestire a Baglietto. Questa serie maturò dei ritardi per motivi tecnici e solo nell’estate del 1939 iniziarono le consegne.
Dalle prove in mare emersero deficienze tecniche sia nella parte prodiera dello scafo che nella sistemazione del motore e fu necessario rimandarli a Milano per apportare le dovute modifiche. Nell’occasione fu sistemato uno schienale per il pilota che costituiva il salvagente/zatterino su cui si sdraiava dopo il lancio. Questi furono riconsegnati nella primavera/estate del 1940 e, dopo il collaudo positivo, riprese la costruzione di una seconda serie di N°12 MT, contrattualmente già ordinata, ma momentaneamente sospesa; le consegne dei mezzi avvennero tra la fine del 1940 e i primi mesi del 1941.
Sempre nel 1941, furono ordinati altri 12 MTM (MT modificati) e consegnati tra l’estate del 1941 e la fine del 1942. A questi barchini tra il 1942 e 1943 se ne aggiunsero altre quattro serie per un totale di altri trenta barchini.
Quindi, nel 1940 la nostra Marina era sprovvista di mezzi insidiosi per attività d’attacco e vennero meno le già pianificate operazioni contro i porti inglesi in Mediterraneo da compiersi nei primi giorni di guerra; si voleva, così, infliggere perdite rilevanti alla flotta inglese per ristabilire un equilibrio di forze se non addirittura una supremazia navale italiana.
La colpa di questo ritardo va addossata completamente ai vertici della Marina che hanno creduto con fasi alterne nell’utilità operativa di questi mezzi insidiosi.
4. Malta 2
Nell’Aprile del 1941, sulla scia del successo conseguito dai barchini a Suda (Creta) nel precedente mese di Marzo, esattamente il 26, la X^ MAS fu incaricata di pianificare un attacco a Malta. Sulla base di questa pianificazione, a Maggio, iniziò la dislocazione ad Augusta di un gruppo di assaltatori e di mezzi, prima solo di superficie e poi anche subacquei.
Inizialmente l’azione era stata prevista con soli mezzi di superficie “Malta1”, ma in seguito vista la pochezza dei mezzi disponibili, otto mezzi erano stati già dislocati in Egeo, di cui sei impiegati a Suda (i due superstiti non fecero mai ritorno in Italia né parteciparono ad azioni e finirono per essere distrutti). Fu deciso di utilizzare anche mezzi subacquei per compiere le azioni di apertura delle ostruzioni e così evitare di sacrificare per quest’operazione uno o due barchini.
“Malta 1” fu pianificata con l’impiego di 5 MAS che avrebbero dovuto avvicinare otto MT ed un MTS. L’operazione avvenne il 27 Giugno del 1941, ma fu annullata dopo due ore di navigazione per inconvenienti verificatisi nei rimorchi dei MM.TT. da parte dei MAS.
Sulla base di questa esperienza negativa fu ripianificata l’operazione chiamata “Malta 2” introducendo a similitudine di Suda una nave per il trasporto e l’avvicinamento dei mezzi.
I mezzi previsti da trasportare erano:
- N°9 MT (Motoscafo Turismo, detto Barchino)
- N°1 MTS (Motoscafo Turismo Silurante). Imbarcazione comando per la fase di avvicinamento finale degli assaltatori
- N°1 MTL (Motoscafo Turismo Lento) a propulsione elettrica per il trasporto di N°2 SLC. Questo sarebbe stato preso a rimorchio per l’avvicinamento prima dalla nave adibita al trasporto dei mezzi e poi da un MAS.
Oltre alla nave erano previste due motosiluranti di supporto alle operazioni di attacco e per l’eventuale recupero di operatori; una di queste sarebbe stata anche “Nave Comando”.
La nave impiegata per il trasporto era “Avviso Veloce Diana” e si trattava di un ex panfilo costruito per il Capo del Governo nei cantieri Quarnaro di Fiume. Impostata nel 1939 fu consegnata nel 1940 e subito dopo per esigenza bellica trasformata in nave militare. L’azione aveva come scopo quello di attaccare sia il porto della Valletta, chiamato Grand Harbour, dove avvenivano le principali attività marittime e dove sarebbe stato possibile affondare naviglio significativo, che l’attiguo porto militare di Marsa Muscetto dove c’era una base di sommergibili della Royal Navy.
L’azione era stata pianificata per una notte senza luna e lo svolgimento sarebbe stato il seguente:
- partenza da Augusta nel tardo pomeriggio;
- raggiungimento di un primo punto a 15 miglia da Malta, dove sarebbero state effettuate da “Nave Diana” le operazioni di sbarco dei mezzi e rilascio del rimorchio;
- proseguimento dell’avvicinamento senza Nave Diana fino a miglia 3,5 da Malta. Nave Diana avrebbe dovuto ridossarsi a sud di Capo Passero in attesa dei rientri a fine attacco. In questa fase uno dei due Mas avrebbe preso a rimorchio il Motoscafo Turismo Lento, mentre i barchini si sarebbero mossi, rimanendo nella formazione, con i propri mezzi, su questo nuovo punto i Mas si sarebbero fermati mentre MTS, MM.TT. e MTL avrebbero proseguito autonomamente per un punto situato sulle secche di Dragut a una distanza di m.800 dall’ingresso secondario del Grand Harbour;
- dalle secche di Dragut si sarebbero mossi prima i due SLC, uno con il compito di praticare il varco nell’ostruzione d’ingresso e l’altro per piazzare una carica nel porto attiguo ove stazionavano i sommergibili;
- una volta effettuato il varco nell’ostruzione, i barchini avrebbero iniziato l’attacco e navigando alla massima velocità, dopo aver superato sia il varco dell’ostruzione che il successivo stretto passaggio che immetteva nel Grand Harbour, si sarebbero diretti sui bersagli assegnati;
- MTS e MTL rimasti sulle secche di Dragut avevano il compito di recuperare gli operatori dei due SLC per poi raggiungere i MAS e far rientro ad Augusta.
Era stata prevista anche una cooperazione aerea che prevedeva sia bombardamenti da eseguirsi nell’arco notturno per distrarre la difesa dell’isola che intervento di aerei da caccia, dopo le ore 05:00 a. m., a protezione delle rotte di rientro.
L’operazione era stata preceduta da missioni esplorative condotte dal comandante della “X^ MAS” a bordo di una motosilurante con lo scopo di saggiare sia le difese, sia i mezzi di scoperta dell’isola. Queste missioni si erano sempre concluse con giudizi positivi sulla possibilità di effettuare un avvicinamento occulto e nei rapporti post missione si leggono frasi tipo:
“In linea di massima si è potuto rilevare la possibilità di avvicinarsi all’isola con i motori ausiliari senza destare allarme”
“Continuo per Nord con gli ausiliari; alle 03,24 si accendono successivamente quattro proiettori che iniziano una lenta ricerca navale. Illuminano così varie volte i due Mas, senza però mai né individuarli, né fermare un istante il fascio di luce su di essi”;
“Non ritengo vi sia ascolto idrofonico nelle acque antistanti la Valletta; analogamente non ritengo ci sia un regolare servizio di vigilanza foranea perché in tre successive ricognizioni non ho avvistato alcuna unità. Esiste una catena ininterrotta di proiettori dalla baia di S. Paolo fino a sud est della Valletta in numero superiore a trenta, di cui si distinguono due gruppi più densi alle estremità, mentre sono più radi nella parte centrale. Una buona parte dei proiettori sono sistemati nell’interno dell’isola o almeno non nelle opere immediatamente costiere. Ritengo che tutti i proiettori siano asserviti agli aerofoni; in generale tutti i fasci si concentrano nello stesso punto”.
La situazione purtroppo non era così rosea come appariva dai rapporti delle missioni esplorative e come poi si scoprirà a missione avvenuta.
La pianificazione di un attacco a Malta era nota agli inglesi, restava solo di conoscere, attraverso i canali d’intelligence, la data in cui sarebbe stato attuato. I motivi erano i seguenti:
Primo motivo:
Gli inglesi riuscirono a decrittare fin dalla guerra di Spagna le prime sette macchine cifranti Enigma adottate nel 1937 dalla Marina Italiana; si trattava di una macchina elettromeccanica a tre rotori in libera vendita sin dal 1923 e utilizzata esclusivamente dalle forze Armate tedesche e italiane. L’intelligence inglese fu così in grado, per tutto il periodo prebellico, di decodificare le comunicazioni dei comandi italiani e conoscere la situazione relativa agli armamenti e ai piani operativi in preparazione. Questa notizia e le altre più avanti riportate sulle macchine cifranti sono state tratte da pubblicazioni del prof. Alberto Santoni, storico militare italiano, che nel 1978 eseguì accurate ricerche presso il “Public Record Office” di Londra sull’attività crittografica inglese;
Secondo motivo:
Come scoprirà la stessa Supermarina, ad Augusta tra i comandanti dei Mas c’era una spia che informava gli Inglesi.
nelle foto sotto: Macchina crittografica Enigma
Sulla presenza di spie nella nostra Marina, su cui non ci sono dati certi ma solo voci che hanno portato a conclusioni senza prove, gli inglesi fecero di tutto per alimentarne i sospetti nel nostro Stato Maggiore. Infatti, i movimenti dei convogli navali italiani, conosciuti dagli inglesi per tempo attraverso le intercettazioni, erano oggetto di attacchi solo dopo gli avvistamenti aerei appositamente predisposti ed erano annullati se le condizioni meteo non consentivano agli aerei di volare; con questo sistema gli inglesi non innescavano dubbi sulla possibilità che gli ordini di operazione italiani fossero intercettati.
Pertanto molte accuse disonorevoli di tradimento rivolte a singoli ufficiali, come dimostra il prof. Santoni nelle sue pubblicazioni, si sono rivelate totalmente infondate, poiché le sconfitte andavano attribuite soprattutto all’ottimo lavoro svolto dagli inglesi con l’imponente organizzazione dell’Ultra Intelligence in grado di interpretare i radiomessaggi cifrati italiani; le inefficienze e le incompetenze dei comandi italiani hanno solo peggiorato una situazione già compromessa.Subito dopo l’inizio della guerra fu posta più attenzione nell’ applicare sulle macchine Enigma la procedura, trascurata tra il 1936 e il 1940, che prevedeva il cambio frequente della chiave cifrante. Questo contribuì, fino all’ inizio del 1941, all’ interruzione delle decrittazioni.
Nell’estate del 1940, alle macchine Enigma a tre rotori di tipo elettromeccanico si aggiunsero le Hagelin C38 a sei rotori di tipo meccanico ritenute di più facile utilizzo. Le C38 furono usate prevalentemente per trasmissioni di messaggi per il traffico marittimo. L’interruzione delle decrittazioni dei messaggi Enigma fu dovuto, soprattutto, alla precedenza che gli inglesi dettero al locale traffico radio Hagelin che si dimostrava più numeroso e facile da interpretare. Delle C38 gli inglesi riuscirono a trovare il sistema di decodifica nell’ottobre del 1940; massicce e ininterrotte decrittazioni iniziarono nel giugno del 1941 ai danni del nostro traffico marittimo diretto in Africa. Tuttavia nel gennaio del 1941, con l’arrivo in Mediterraneo dei tedeschi, che usavano anche loro le macchine Enigma, i crittografi britannici addetti alla guerra nel “mare nostrum” ripresero interesse a questo tipo di macchine, tanto è vero che la tristemente operazione di Gaudo e Matapan del Marzo 1941 fu compromessa dalla decrittazione di tre messaggi Enigma inviati dal nostro Ministero Marina (SUPERMARINA) al Comando di Rodi (EGEOMIL).
Nel caso dell’azione di Malta era stato intercettato una settimana prima un messaggio che trattava di un attacco ad un’isola del Mediterraneo e questo contribuì ad aumentare le predisposizioni di allerta. Per l’azione specifica non ci furono altre intercettazioni, anche perché sul territorio nazionale tra supermarina e i comandi periferici, le trasmissioni degli ordini avvenivano prevalentemente o via filo protetto (emissione di disturbi a protezione della comunicazione) o via corriere. Sicuramente, l’ordine di operazione 5/A del 23 luglio del Comando X^ flottiglia MAS, in appendice 3, non fu trasmesso a Roma con macchina cifrante poiché quando un messaggio era cifrato veniva indicato in alto a sinistra e sul documento in questione non c’è nessuna indicazione in tal senso. La presenza di spie nei comandi non era quindi fenomeno da sottovalutare, poiché solo queste avevano la possibilità di conoscere le pianificazioni e gli ordini operativi non trasmessi via radio.
Terzo motivo:
Intelligence italiana non aveva informazioni operative sulle forze dislocate a Malta (aerei, navi, uomini) e sulle difese esistenti. Questo si desume anche dalle misure di difesa pianificate nel piano Malta 2 per quanto riguarda la protezione delle rotte di rientro dopo l’attacco. A Malta, come vedremo in seguito, erano dislocati trenta aerei da caccia (Hurricane) e per la difesa delle rotte di rientro furono previsti ventidue aerei da caccia italiani (Macchi 200) di cui dieci da utilizzarsi nell’operazione e dodici di riserva quale rinforzi in caso di necessità. Se fosse stata nota la potenzialità aerea inglese sull’isola, la pianificazione del piano avrebbe dovuto prevedere per la protezione delle rotte di rientro, oltre ad un numero superiore di caccia rispetto a quello previsto, anche la presenza di navi militari in grado di dare una protezione antiaerea. Almeno due navi, tipo caccia, avrebbero dovuto presentarsi dopo le cinque nelle vicinanze di Malta.
Documenti inglesi e in particolare le memorie del Generale Sir Charles Bonham Carter, governatore di Malta dal 1937 al 1940, testimoniano la mancanza di una rete italiana di informatori a Malta. Di questo sono venuto a conoscenza tramite lo scrittore maltese Joseph Caruana che in proposito scrive:
“A Malta non c’era una rete di spionaggio: Il console italiano di nome Ferrante cominciò a creare una rete di spionaggio nel febbraio del 1936 ma, invece di assumere alcune persone maltesi e mandarle in Italia per la formazione, si affidò a un politico filo italiano di nome Delia che a sua volta reclutò due disegnatori dell’arsenale di Malta. Inutile dire che questi dilettanti furono rapidamente catturati e Ferrante coinvolto nel caso, gli fu ordinato di lasciare Malta. Forse questo scoraggiò il nuovo console subentrato a Ferrante, nel tentare di organizzare di nuovo una rete di spie.
Questa mancanza d’iniziativa è sorprendente perché in quegli anni molti maltesi sono stati inviati in Italia con programmi pagati dal governo italiano per frequentare le università italiane, quindi, alcuni di questi potevano essere reclutati, senza destare sospetti, per apprendere le tecniche di raccolta d’intelligence militare.
Tuttavia, se questo fosse accaduto i reclutati avrebbero potuto anche essere catturati perché gli inglesi avevano messo sotto controllo il telefono dell’ufficio del console italiano durante un intervento di riparazione.
Secondo le memorie del governatore di quel tempo, Bonham Carter, il telefono dell’ufficio del console fu sabotato e il console chiese alla società dei telefoni di ripararlo. Con il pretesto delle riparazioni, il telefono fu modificato in maniera da poter essere intercettato e le conversazioni d’interesse venivano mandate a Londra.
Così, se qualche maltese fosse stato reclutato come spia, è probabile che il loro nome sarebbe stato indicato nelle conversazioni e quindi sarebbero stati scoperti.Bonham Carter, sempre nelle sue memorie, narra tra l’altro, che una volta il console italiano fu convinto ad accettare un invito in una villa di una signora complice dei servizi inglesi. La villa si trovava nel nord di Malta e mentre lui s’intratteneva nella villa fu aperta la cassaforte del suo ufficio e furono fotografati documenti classificati.”
Tornando alla spia di Augusta, se esisteva, non fu tempestiva nell’informazione e l’avvicinamento sia dei barchini, sia degli SLC avvenne in maniera occulta.
A danneggiare la sorpresa degli assaltatori fu la cooperazione aerea che non avvenne come pianificata e finì solo per mettere in allarme i sistemi di difesa dell’isola che furono pronti a entrare in azione non appena l’attacco iniziò.
A questo punto ritengo opportuno parlare dell’azione ricostruendo gli orari degli avvenimenti confrontandoli con quanto previsto dall’originale piano di operazione.
L’azione avvenne all’alba del 26 di Luglio 1941 su segnalazione a seguito di ricognizione aerea su La Valletta dei giorni 24 e 25, che sei navi logistiche facenti parte del convoglio GM1 (Operazione Substance), erano ormeggiate in porto. Il convoglio, proveniente da Gibilterra e scortato da una formazione navale della Royal Navy, era stato già avvistato da ricognitori italiani nel canale di Sicilia. Le operazioni d’ingresso in porto delle navi mercantili iniziarono alle ore 11,30 del 24 e terminarono alle 16,30 dello stesso giorno e rimasero a Malta fino alla fine di settembre. La formazione navale di scorta, terminate le operazioni d’ingresso e di ormeggio dei mercantili, lasciò Malta alle 18,15 per rientrare a Gibilterra.
Fotografia del ponte abbattuto dopo l’esplosione
Uno dei nove cannoni a difesa dell’ingresso del porto di La Valletta. Cannone inglese da 6 pdr a tiro rapido (72 colpi al minuto) montato in versione binata. Il peso del cannone era di circa 508 kg e sparava proiettili da 6 lbs (2,7 kg). Utilizzava uno speciale munizionamento antiabbagliante per non accecare gli addetti al pezzo.
5.Ricostruzione orari di Malta 2 (25 -26 luglio 1941)
La ricostruzione è stata fatta sulla base dell’Ordine Operazione Particolare N°5/A del 23 luglio 1941 del “Comando X^ Flottiglia MAS” e delle deposizioni dei partecipanti all’azione, sia al ritorno ad Augusta (comandante Nave Diana e sopravvissuti dell’equipaggio del MAS 452) che dopo l’armistizio al rientro dalla prigionia.
In appendice 1: Tav.1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 (Rotte di trasferimento, avvicinamento, ritorno, attacco e ostruzioni del Grand Harbour);
In appendice 2: Descrizione dei Mezzi Italiani e Inglesi;
In appendice 3:
Documenti archivio storico Stato Maggiore Marina:
- ordine di operazione N°5/A
- norme di massima per l’operazione contro Malta
- parte terza dell’ordine d’operazione
- lettera di Maristat
- rapporto Comandante Nave Diana
- relazioni Maristat
- relazioni T.V. Costa, S.T.V Frassetto, C°3^cl. Capriotti, Silurista Briatovich
- lettera C.V. Notari, ricostruzione attacco del 1947 con elenco partecipanti all’azione
In appendice 4: Ponte S.Elmo, Tav.9 (Posizione cariche sotto il ponte di S.Elmo).
Forze Navali Italiane partecipanti all’azione:
- Nave Diana per il trasporto di N1 MTS e N°9 MT e il rimorchio di un MTL con due SLC;
- MAS 451 – MAS 452 (nave comando con a bordo il Capitano di Fregata Vittorio Moccagatta, comandante X MAS)
- MTS: Capitano di Corvetta Giorgio Giobbe (comandante mezzi di superficie X MAS) con il compito di coordinare e guidare gli assaltatori fino al punto d’attacco (m.1000 dal punto di forzamento della base), Sotto Capo Cannoniere Zocchi, Sottocapo Motorista Navale Costantini
- MTL: Maggiore del Genio Navale Teseo Tesei e Secondo Capo Palombaro Alcide Pedretti (operatori primo SLC) con il compito di praticare il varco sull’ostruzione per permettere l’ingresso dei barchini nel Grand Harbour; Tenente di Vascello Francesco Costa e Sergente Palombaro Luigi Barla (operatori secondo SLC) con il compito di attaccare la base sommergibili; sottonocchiere Tindaro Paratore, pilota MTL;
MM.TT.:
- M.T. N° 1: STV Carlo Bosio, Comandante gruppo assaltatori, carica regolata per l’esplosione a m.5 di quota per attacco a unità all’interno del porto
- M.T. N° 2: STV Roberto Frassetto, carica regolata per esplodere a 1,5 metri di quota per attacco all’ostruzione e provocare il primo varco in caso d’insuccesso del S.L.C. di Tesei.
In caso di successo di Tesei attacco a bersaglio navale o postazione;
- M.T. N°3: S.T. A.N. Aristide Carabelli, carica regolata per esplodere in superficie per attacco all’ostruzione in caso d’insuccesso di Frassetto. In caso di successo di Frassetto attacco a bersaglio navale o postazione
- M.T. N°4: Segnalatore Vittorio Marchisio, carica regolata per esplodere a m.5 per attacco a unità all’interno del porto
- M.T. N°5: 2° C°Vincenzo Montanari, carica regolata per esplodere a m.5 per attacco a unità all’interno del porto;
- M.T. N°6: 2° C°MN Alessandro Follieri, carica regolata per esplodere a m.5 per attacco a unità all’interno del porto
- M.T. N°7: 2° C° IEF Enrico Pedrini, carica regolata per esplodere a m.5 per attacco a unità all’interno del porto
- M.T. N°8: 2°Nocchiere Pietro Zaniboni, carica regolata per esplodere a m.5 per attacco a unità all’interno del porto
- M.T. N°9: C°MN Fiorenzo Capriotti, carica regolata per esplodere in superficie per attacco di protezione contro eventuali navi pattugliatrici fuori del porto, quale terza riserva in caso di fallimento del primo e secondo attacco contro l’ostruzione, per attacco a unità o postazioni all’interno del porto.
- Ore 18,15 Uscita dal porto di Augusta delle navi partecipanti all’operazione;
- Ore 18,45 Ritrovo sul punto C fuori rada di Augusta, formazione convoglio e inizio navigazione per rotte costiere alla velocità di ventidue nodi fino al traverso di Pozzallo (Tav. 1 in appendice 1).
- Da Pozzallo con rotta 200°5’, con velocità ventidue nodi, per miglia 33 al punto K (36°09’N – 14°35’E). Previsto arrivo indicato nell’ordine di operazione: ore 23,00
- Ore 22,43 Nave Diana ferma le macchine sul punto K (Tav. 1 in appendice 1) e inizia lo sbarco dei mezzi: N°1 MTS, N°9 MT e molla il rimorchio del MTL.
- Ore 22,59 terminano le operazioni per lo sbarco dei mezzi e alle 23,00 riavvia le macchine. Inverte la rotta e dirige con rotta 20°5’, alla velocità di 22 nodi per miglia 13 sul punto Z (lat.36°21’ Nord- Long.14°40,50’ Est) e dal punto Z accosta per punto A di Capo Passero con rotta 65°, velocità ventidue nodi per miglia trentuno. Dal punto A, pendolamento tra punto A e tre miglia a Sud di Capo Passero alla velocità ritenuta più opportuna (Tav. 4, in appendice 1).
Il Diana deve rimane ridossato su Capo Passero nelle ore diurne fino a ordine di rientro impartito dal MAS 452 e comunque, in caso di mancanza ordine di rientro, fino alle 10,00 del 26 Luglio. Il rientro ad Augusta deve essere eseguito seguendo rotte costiere.
- Ore 23,00 – 24,00 Formazione nuovo convoglio per trasferimento dal punto K al punto Y: MAS 452, MTS, N°9 MT, MAS 451 con MTL a rimorchio. Da punto K per rotta 180°, per miglia undici alla velocità di cinque nodi al punto Y (Tav. 2, in appendice 1).
- I due MAS, MTS, MTL e MM.TT. non lasciano subito il punto K per il verificarsi di due incidenti:
Il primo incidente:
Durante lo sbarco dei nove MT quello di Montanari si danneggia, assume assetto appoppato per imbarco di acqua e secondo la testimonianza di Capriotti è preso a rimorchio dal MAS 452. Secondo altra testimonianza di Zaniboni, Montanari naviga autonomamente fino al punto d’inizio attacco, secche di Dragut, dove sono spenti i motori. Successivamente, nella rimessa in moto dei motori per iniziare l’attacco, il barchino di Montanari non si avvia per un problema di batteria, probabilmente per l’acqua entrata internamente allo scafo a seguito dei danni subiti al momento dello sbarco dal Diana.
Zaniboni asserisce di essersi avvicinato al Montanari e di avergli suggerito di portarsi sotto il MAS per la sostituzione della batteria. Da questa affermazione possiamo dedurre che probabilmente Zaniboni si stia riferendo al punto chiamato Y in cui avviene la separazione tra motosiluranti e barchini e non a quello d’inizio attacco. Nel punto Y era stato previsto di spegnere i motori, fare una sosta di cinque minuti per un controllo delle imbarcazioni e poi ripartire per raggiungere il punto d’attacco. Se il Montanari, invece, si fosse trovato nel punto indicato da Zaniboni, per raggiungere le motosiluranti avrebbe dovuto farsi più di tre miglia navigando con l’ausilio del solo remetto e la cosa è da escludere. Montanari non partecipò all’azione e fu trovato morto a bordo del MAS 452 che aveva preso a rimorchio il suo barchino in avaria o nel punto K o nel punto Y.
Va ricordato, in ogni caso, che tutte le testimonianze degli operatori, reduci dell’azione, furono compilate, sulla base di quanto ricordavano, solo al rientro della prigionia e comunque non prima del 1945, quindi molti anni dopo.
Il barchino di Montanari fu recuperato dagli inglesi, precisamente dal Commander Woolley, a sette miglia da Malta, circa dodici ore dopo l’attacco.
Dalla relazione tecnica compilata personalmente da Woolley, di cui si dirà ancora in seguito, emerge che l’avaria che mise fuori uso il barchino fu causata da un cavo elettrico finito in sentina dove c’era presenza d’acqua. Si trattava del cavo che alimentava il circuito d’illuminazione del cruscotto che, a seguito del corto circuito, scaricò la batteria.
Il secondo incidente:
Il Mas 451 prende a rimorchio, come previsto, il Motoscafo Turismo Lento (MTL) ma, per un errore di manovra (brusca marcia indietro per evitare due barchini che gli si presentano di prua, come da dichiarazione del Guardiamarina Sciolette comandante del MAS 451), urta sulla prora del MTL danneggiandone una parte dell’opera morta prodiera e prendendo, a sua volta, il cavo di rimorchio in una delle due eliche. Purtroppo si scoprirà, al momento del rilascio dei due SLC per l’inizio dell’operazione d’attacco, che la collisione ha danneggiato anche uno dei due SLC e precisamente quello di Costa.
Il comandante Moccagatta dispone per il rientro ad Augusta del MAS 451, rientro da farsi con un solo asse elica e per la presa a rimorchio del MTL da parte del MAS 452.
In seguito un membro dell’equipaggio del MAS 451 riesce, immergendosi, a liberare il cavo dall’elica e permettere il ricongiungimento del MAS con il resto della formazione già in trasferimento sul punto Y. Gli inconvenienti verificatesi causano circa un’ora di ritardo e come da dichiarazioni più o meno coincidenti dei partecipanti all’azione, il trasferimento per il punto Y inizia alle 24,00 circa.
- Ore 02,00 Raggiungimento del punto Y come da dichiarazioni T.V. Costa e C° Terza Classe Capriotti.
Il punto Y è fissato a una distanza di 3,5 miglia su rilevamento 044 da S. Elmo. Su questo punto avviene la separazione, mentre i MAS restano con i motori spenti sul punto Y, il resto della formazione, dopo i programmati controlli delle imbarcazioni, procede verso le secche di Dragut (Tav. 3, in appendice 1).
Nelle deposizioni dei partecipanti imbarcati sul MTL e su MM.TT., il punto Y è indicato a cinque miglia da Malta e il punto K a venti miglia, sempre da Malta, contrariamente a quanto previsto nell’ordine di operazione. Il comandante di Nave Diana, nella sua relazione di fine missione (documento in appendice tre), non fa cenno ad una variante del punto K anticipata di cinque miglia; sempre di questa variante e di quella riguardante il punto Y non c’è traccia né nelle testimonianze dei sopravvissuti dell’equipaggio del MAS 452 né in quella del comandante del MAS 451. Si può affermare, comunque, che questa variante c’è stata sia sulla base delle testimonianze dei piloti dei barchini e sia perché il Diana inizia con venti minuti d’anticipo, rispetto alle 23,00 previste, le operazioni per lo sbarco dei mezzi.
L’orario di previsto arrivo sul punto K è indicato sia nelle “Norme di Massima per l’Operazione contro Malta” che nella parte terza dell’ordine d’operazione a noi ufficialmente sconosciuto e di cui, come più avanti si dirà, ne apprendiamo l’esistenza solo dopo la cattura da parte inglese del MAS 452 (documento in appendice N°3).
In questo documento i punti K e Y, oltre a essere arretrati rispetto al piano originale, come indicato da Costa e Capriotti, sono chiamati in maniera diversa e precisamente: K diventa Y e Y diventa D; essendo variata la posizione dei punti, gli stessi sono denominati in maniera diversa per distinguerli da quelli originariamente previsti.
In ogni caso, anche se il punto di separazione tra MAS, MTS, MTL e MM.TT. è avvenuto a cinque miglia da Malta, da documenti italiani è data per certa la presenza dei MAS 451 e 452, tra le ore 04,30 e le 05,00, a miglia 3,5 da Malta; quindi, Moccagatta, dopo aver effettivamente apportato una variante nell’ordine di operazione, si avvicina comunque alla costa portandosi alla distanza inizialmente prevista.
In questa ricostruzione dell’azione manteniamo la denominazione e l’ubicazione dei punti come originariamente previsti nella parte prima del piano di operazione, unico documento ufficiale in nostro possesso, anche se, come già detto, non c’è motivo di dubitare che questi abbiano potuto subire variazioni per questioni di sicurezza. Anche considerando le varianti non cambia comunque la sostanza del piano, ma variano solo le distanze da Malta in cui vengono sbarcati i mezzi da Nave Diana ed abbandonano i MAS per raggiungere autonomamente il punto d’attacco.
Secondo questa variante contenuta nella parte terza del piano di operazione, Nave Diana sbarca i mezzi nel punto Y a 20 miglia da Malta e i mezzi lasciano nel punto D a 5 da Malta.
- Ore 03,00 MAS 451 e MAS 452 con rotta 288 lasciano il punto Y e navigando a lento moto per circa miglia 1,5 si avvicinano al punto di rientro fissato sulla congiungente Punta. S. Elmo – Pozzallo (Tav. N° 5 in appendice 1).
Nel caso il punto Y fosse stato variato e si trovasse non più a 3,5 miglia da Malta ma a 5 miglia (Punto D), la rotta seguita per raggiungere il punto di rientro non sarebbe stata più 288° bensì 265°.
Su questo nuovo punto con i motori spenti i Mas devono rimanere fino alle ore 04,35 per l’eventuale avvistamento e presa a rimorchio del MTL che, una volta recuperati gli operatori del primo SLC (Tesei- Pedretti), con rotta 18° si allontana dalle secche di Dragut.
La testimonianza del Guardiamarina Sciolette, comandante del MAS 451 ci dice che:
“ … Tutte le fasi di questa, per quanto riguarda la sezione Mas, si svolsero in conformità all’ordine di operazione.”
Il com.te Sciolette parla dell’ordine di operazione originale o della variante introdotta con la parte terza? Questo non c’è dato di sapere;
- Ore 03,00 MTL sulle secche di Dragut, m. 800 da S. Elmo su rilevamento 180°.
Da punto Y per rotta 229° alla velocità di circa quattro nodi, per miglia 3,2, è raggiunto il punto previsto sulla secca di Dragut. (Tav. 3, in appendice 1) Anche in questo caso se il punto Y fosse stato quello variato, la rotta d’avvicinamento non sarebbe più stata 229° bensì 220°.
Il S.c. Nocchiere Tindaro PARATORE, pilota del MTL, nella sua relazione dichiara:
“Per ordine del Magg. Tesei sono a prora del MTL a scandagliare. Alla mia segnalazione che siamo a metri 52 il Magg. Tesei mi ordina di dar fondo all’ancorotto. Sono circa le 03,00.”
Disegno ricostruttivo dell’Arch. Franco Harrauer: notte del 26 luglio 1941. L’azione è quella che si svolge tra le 03,00 e le 03,15, cioè quando vengono sbarcati dal MTL i due SLC di Tesei e Costa.
Alla messa in acqua degli SLC, sono necessari circa quindici minuti, quello del TV Costa presenta dei problemi nell’assetto che non possono essere risolti anche perché la pompa assetto non funziona correttamente. Tesei perde circa mezz’ora nel tentare di riparare l’avaria, ma non ci riesce. Alle 03,45, rifiutando la proposta di Costa di lasciare i loro secondi operatori sul MTL e di fare loro due la missione, in questo caso potrebbero rimorchiare anche la carica del secondo SLC per andare, comunque, nella base sommergibili di Marsa Muscetto dopo aver piazzato la prima carica sull’ostruzione di S. Elmo, si avvia verso il suo obiettivo.
L’ordine di operazione prevede che:
“Il Maggiore Tesei per attaccare l’ostruzione sotto il ponte (lo scoppio della testa deve aver luogo alle 04,30)… non appena scoppiata la testa del SLC sistemata contro l’ostruzione del ponte (ed al più tardi entro le 04,40 ) i nove MT (in seguito all’ordine del Cap.di Corvetta Giorgio Giobbe imbarcato sul MTS) dirigono per il ponte sotto l’arco di sinistra del ponte, provvedendo eventualmente al forzamento dell’ostruzione se lo scoppio della testa non avesse avuto luogo o se lo scoppio non fosse stato sufficiente ad aprire il varco necessario”.
La parte dell’ordine d’operazione sopra riportata prevede, dunque, che non oltre le 04,40 i barchini debbano intervenire mentre, secondo alcune testimonianze, in particolare quella di Capriotti, sembrerebbe che questa parte dell’ordine di operazione fosse stata modificata nella riunione del pomeriggio, prima della partenza, prevedendo che, in caso non fosse scoppiata la carica di Tesei, i barchini non avrebbero dovuto procedere per l’attacco prima delle 05,00 (primi chiarori dell’alba). Di questo documento non se ne ha traccia anche perché, come si dirà più avanti, tutti i documenti operativi relativi all’attacco erano stati portati dal Comandante della spedizione C.F. Moccagatta sul MAS 452, nave comando, e su questo MAS buona parte andrà persa.
Da questo momento non si hanno più notizie certe sulla fine di Teseo Tesei né se sia arrivato sotto il viadotto (versione italiana) né se sia stato fermato da un colpo di cannone (versione maltese). Secondo questa versione, un artigliere del forte S.Elmo, dopo aver visto una scia in mare in avvicinamento verso il ponte, spara un caricatore ad alzo zero con un cannone da mm.57 colpendo e facendo esplodere quel qualcosa che aveva creato la scia.
L’azione di Teseo Tesei sarà oggetto, nel cap.7, di apposita trattazione.
Il Sotto Capo nocchiere Paratore afferma nella sua deposizione:
“… Il Magg. Tesei mi ordina di rimanere sul posto fino alle 04,30 e se a quell’ora non fosse tornato alcuno, di partire per rotta Nord….”.
Partendo Paratore alle 04,30, comunque non potrebbe raggiungere per tempo le motosiluranti che alle 04,35 devono iniziare il rientro. Il motoscafo elettrico è lontano da queste almeno due miglia e per avvicinarsi, pur navigando alla massima velocità di soli cinque nodi, impiegherebbe almeno mezz’ora, quindi avrebbe dovuto iniziare il rientro non più tardi delle 04,00. Inoltre, Tesei sa benissimo che per quell’ora difficilmente può far ritorno perché per l’avvicinamento, distacco della carica, posizionamento della stessa sulla rete e ritorno ha bisogno di circa un’ora. Le quattro e trenta come ora di recupero limite sarebbe stata possibile solo se fosse riuscito a partire alle 03,15 e soprattutto se non fosse stata ritardata di un’ora la partenza nel punto K per gli inconvenienti prima elencati.
La disposizione di Tesei a Paratore di iniziare il rientro alle 04,30 si giustifica in un solo modo: certamente Tesei non pensa a se stesso ma al suo secondo, vuole che Pedretti possa avere una possibilità, anche se remota, di essere recuperato. In ogni caso, con o senza di loro, il motoscafo elettrico allontanandosi dalle secche di Dragut si sarebbe portato sulla rotta di rientro 18°, dove sarebbe stato raggiunto dal motoscafo del comandante Giobbe che, predisposto per il recupero degli operatori del secondo SLC, Costa e Barla, inizierà il rientro non prima delle 04,50. Il comandante Giobbe avrebbe, secondo le circostanze, deciso se effettuare un rimorchio oppure far trasbordare sul MTS le persone presenti sul MTL per poi raggiungere velocemente le motosiluranti già sulla rotta di rientro.
Paratore, sempre nella sua deposizione, parla solo della messa a mare degli SLC ma non fa cenno all’avaria del SLC del T.V. Costa, mentre quest’ultimo nella sua deposizione ne parla dettagliatamente affermando:
“Erano le tre circa. Fermato il mezzo Tesei ed io, coadiuvati dai secondi, abbiamo messo a mare gli SLC. Mentre l’apparecchio di Tesei presentava a mare assetto normale il mio, probabilmente a causa dell’urto subito dall’avvicinatore da parte del MAS, era appoppato di circa 20°. …Coadiuvato da Tesei ho invano cercato di porre rimedio all’avaria… Lui partiva alle 3,45 circa (Appendice 3 – allegato 7).”
Il T.V. Costa, partito Tesei, non rinuncia all’azione e con il suo mezzo in avaria inizia una disperata navigazione verso il suo obiettivo per attaccare i sommergibili nel porto di Marsa Muscetto.
MTS E N°8 M.T. arrivano sulle secche di Dragut tra le 03,30 e le 03,45.
- Ore 04,15 I piloti dei MM.TT. con i remetti si allontanano dal com.te Giobbe sul MTS che passa il comando al S.T.V. Bosio, come riportato nelle relazioni sull’azione dagli stessi operatori (Frassetto, Capriotti, Pedrini) e iniziano l’avvicinamento silenzioso dai 1.800 ai 500 metri di distanza da Punta S.Elmo.
Secondo queste testimonianze, c’è già una prima variante al piano di operazione. Questo prevedeva che il Com.te Giobbe dovesse restare con i barchini fino allo scoppio della carica di Tesei per impartire l’ordine di attacco ai barchini e poi stazionare in queste acque per effettuare il recupero dell’equipaggio del secondo SLC destinato all’attacco della base sommergibili di Marsa Muscetto. La variante apportata, cioè non fare avvicinare l’MTS di Giobbe oltre i m.1000 dalla Costa, molto probabilmente era stata presa per ridurre la possibilità che gli MM.TT potessero essere scoperti dalle sentinelle di guardia alle ostruzioni.
- Ore 04,30 Inizio operazione d’attacco da parte del S.T.V. Frassetto.
– Alle 04,25 ci fu un’esplosione che i piloti dei barchini attribuirono a Tesei senza notare né fiammate né colonne d’acqua; si trattava probabilmente di una bomba italiana lanciata durante l’incursione aerea delle 04,15 che era scoppiata in lontananza e con ritardo; quest’esplosione da il via all’attacco. Su questo inizio, che sarà fonte di accuse e di polemiche, riporto le testimonianze di Frassetto e di Capriotti (documenti in appendice 3).
Capriotti, contrariamente a quanto scrive nel suo libro e cioè che Frassetto iniziò l’attacco senza l’autorizzazione del capo gruppo S.T.V. Bosio, nella sua testimonianza scrive:
“Essendo ormai passata l’ora stabilita per lo scoppio del mezzo di Tesei, il S.T.V. ricevette l’ordine di operare, si staccò dalla formazione, si mise in buona posizione, fece l’attacco…..”.
Come dirà in seguito, fece questa dichiarazione subito dopo il rientro dalla prigionia, in una situazione di pressione e per non screditare chi come lui aveva operato a Malta; in ogni caso, non menziona il nome di Frassetto ma solo il suo grado, facendo finta di averne dimenticato il nome. Non era ancora a conoscenza delle decisioni che la Marina aveva già preso nel riconoscere onorificenze diverse agli operatori dell’attacco a Malta. Queste differenziazioni le giudicò sleali sia perché non in linea, come già detto, a quel decalogo che gli operatori della X^ si erano dati, sia per il fatto che erano state tratte conclusioni senza raccogliere le testimonianze di tutti i partecipanti di chi, come lui, non era ancora rientrato dalla prigionia. Non si riconobbe più in quella Marina che aveva servito fedelmente e che non concedeva pari dignità di soldato a chi con l’8 settembre 1943, in piena coerenza con i giuramenti in precedenza prestati, aveva scelto di proseguire nella prigionia e di non aderire al regno del sud.
Essendo mutata la situazione e per ristabilire la verità sul comportamento di Frassetto nell’azione, come si dirà più avanti, cambiò la versione rilasciata nella sua relazione. Che Capriotti avesse dato inizialmente una versione di copertura, si evince dalla stessa relazione di Frassetto che con molta onestà in proposito afferma:
“Con i remetti ci teniamo più o meno vicini preparandoci la linea di fila con in testa Bosio, poi io, Carabelli, Capriotti e gli altri. Durante questa manovra sento una frustata secca al mio barchino: Sono circa le 04,25, deve essere il mezzo di Tesei che esplode, ma con gli occhi sulla costa non si distinguono né esplosioni né colonne d’acqua. Il comandante Giobbe tace. Ci allontaniamo sempre di più con i remetti. Bosio non parte e tace. Passa del tempo.
Dopo aver indicato il caso di procedere a Bosio, impaziente e cominciando il crepuscolo metto in moto non imitato. Secondo l’ordine di operazione, appena lasciato il comandante Giobbe, Bosio doveva condurre fino a cinquecento metri e darmi il via per essere seguito da Carabelli. Parto in testa al minimo per 180°. Sono le 04,30. Alla sirena del cessato allarme (alle 04,15 era scattato l’allarme aereo per l’arrivo di due bombardieri italiani) mi fermo e sento gli altri che mettono in moto, proseguo aumentando un poco, ma gli altri rimangono indietro. Non avvistando costa ritorno indietro per invitare Bosio ad affrettarsi e farmi seguire da Carabelli. Parto aumentando piano piano fino a raggiungere il massimo. Sono le 04,39”.
Capriotti, nella sua nuova versione, ribatte: “Non rimprovero a Frassetto di essere stato impaziente e non mi meraviglio che egli, a distanza di tempo, confonda due fasi diverse della nostra azione. L’attacco doveva coincidere con l’apertura del varco ad opera di Tesei e la carica non era scoppiata. Avevamo tutti i nervi a fior di pelle ma era necessario stringere i denti e rimaner fermi: non bisognava compromettere il piano tanto minuziosamente studiato.
Perché non bisogna dimenticare che il piano aveva previsto delle varianti a seconda delle contingenze: mancando l’esplosione di Tesei e l’incursione aerea, noi avremmo dovuto attaccare alle prime luci dell’alba, come era stato previsto nell’eventualità che l’azione fosse svolta da i soli barchini. In questo caso si sarebbe seguita la stessa tecnica attuata con tanto successo a Suda con la sola variante imposta dalla necessità di affidare ai barchini il compito di aprire il varco.
Come vediamo, Frassetto si era avviato prima di ricevere l’ordine di Bosio, “mentre noi eravamo rimasti fermi”;
Dalle testimonianze riportate, non possiamo, comunque, non percepire che qualcosa non funzionò come avrebbe dovuto, sia nell’azione di comando, sia nella coesione tra gli operatori. Questo è riconosciuto dallo stesso Frassetto che nelle sue considerazioni alla relazione da lui redatta afferma:
“Il difetto principale (si riferisce al fallimento dell’azione) troppi comandanti che si cedevano a tappe il comando della navigazione: Comandante del Diana, Comandante Moccagatta,Comandante Giobbe, S.T.V. Bosio, S.T.V. Frassetto”.
Questa considerazione è, comunque, opinabile perché il comandante in mare era il comandante Moccagatta, il comandante di nave Diana era solo un esecutore di ordini. Eventuali critiche possono essere mosse a Giobbe, forse di troppo nella fase dell’avvicinamento, ed a Bosio che con i lori silenzi, come dice lo stesso Frassetto, non esercitarono la prevista azione di comando. Frassetto, comunque, non era investito di azione di comando, come lui si attribuisce, ma era solo un operatore con precisi compiti che avrebbe dovuto attendere gli ordini di Bosio.
- 0re 04,42 Inizio attacco del S.T.V. Frassetto con barchino predisposto per lo scoppio della carica a m.1,5; si prepara al lancio sulla rete come previsto nel caso d’insuccesso di Tesei.
- ore 04,46 L’urto del barchino sulla rete innesca le cariche di taglio della prora ma questa non affonda (testimonianza di Capriotti); probabilmente il barchino non è arrivato alla max. velocità perché Frassetto voleva tenere basso il rumore dei motori per conservare la sorpresa. Inoltre, l’impatto non avviene su una superficie rigida.
Frassetto, dopo il lancio, rimane in acqua e dalla sua testimonianza si legge:
“mi accorgo che la mia lampada appesa con un metro di comando al cinturone è accesa sott’acqua… Decido di fare dei segnali per rimettere in rotta gli altri e sembra difatti essi accostassero”.
Prima di proseguire nella descrizione dell’azione, qualche accenno sul dispositivo che innescava il taglio della prora, vano carica e sulla modalità di scoppio della carica.
Sulla prora del mezzo, all’altezza del trincarino, era sistemato un sistema chiamato palmola che fungeva da percussore. Questo sistema era costituito da un telaio con un tubo metallico profilato ad arco (esterno alla prora) e da raggi su cui agivano dei molloni di contrasto che tenevano la palmola in posizione estesa.
L’urto del barchino sul bersaglio attivava, mediante la palmola e con un congegno a questa asservito, i detonatori delle trentotto piccole cariche sistemate in un tubo metallico fissato nel vano carica, intorno alla carena, in corrispondenza della paratia prodiera; queste agivano come cariche da taglio (cariche dette cannone), separando la parte prodiera dal resto del mezzo. L’esplosione della carica, costituita da un cartocciere cilindrico con 300 chili di tritolital, avveniva successivamente con l’affondamento della prora del barchino ed era attivata da un detonatore idrostatico a piatto programmato secondo il tipo di missione. La carica era dotata di due detonatori sistemati separatamente sulle due facce del cartocciere, uno idrostatico, come già detto, ed un secondo detonatore con un meccanismo a tempo per un intervento diretto sulla carica da parte del pilota che, in caso di fallimento della missione e dovendo abbandonare il barchino, aveva la possibilità di:
a) Affondare il barchino attivando una serie di nove piccole cariche, simili a quelle utilizzate per il taglio della prora del barchino e sistemate sempre a prora sul fondo del vano carica. Queste cariche erano predisposte per esplodere con un ritardo di circa sei minuti; l’esplosione ritardata permetteva al pilota di allontanarsi sufficientemente ed evitare così, con lo scoppio della carica durante l’affondamento, di subire le forti pressioni da questa generate. I test condotti a La Spezia, utilizzando dei cani come cavie, avevano stabilito che la distanza minima di sicurezza per la sopravvivenza di un pilota in acqua doveva essere di settanta metri dallo sfogo dell’esplosione in superficie.
Questi test si rivelarono non del tutto veritieri perché nell’azione di Malta ci furono piloti che si trovarono a distanze tra i trenta e i quaranta metri dall’esplosione che, pur subendo grosse pressioni sul loro corpo, ne uscirono indenni senza subire alcun tipo di lesione. Capriotti, in proposito, nel suo già citato libro, ci dice: “A m.30 come nel mio caso ed anche a 40, non erano mai rimasti vivi né uomini né bestie. Io avevo incassato due scoppi consecutivi e non avevo una slogatura. Si, ero indolenzito, ma ero ancora in grado di nuotare”.
b) Attivare direttamente la carica principale attraverso il detonatore con congegno a tempo; il sistema era regolato per uno scoppio a tempo ritardato di circa nove minuti. Questa procedura andava utilizzata per distruggere il barchino nel caso si trovasse in acque poco profonde che non avrebbero consentito l’intervento del detonatore idrostatico.
Le operazioni sopradescritte, compresa l’esplosione ritardata della carica, si attivavano solo dopo che il pilota aveva azionato la leva, chiamata leva di scoppio.
Sulla corsa della leva di scoppio erano prefissate due posizioni:
sulla prima, il pilota toglieva le sicurezze di tipo meccanico su tutti i detonatori, spinotto sul detonatore idrostatico e su quello con congegno a tempo, piatto metallico sul dispositivo che attivava i detonatori delle cariche di taglio. Queste attivazioni, eliminazione sicurezze meccaniche che permettevano l’attivazione degli inneschi, avvenivano con un sistema di manovellismi comandati da un cavo metallico;
sulla seconda, leva a fine corsa, il pilota innescava sia le cariche per lo sgancio dello zatterino su cui si sistemava dopo essere saltato in acqua sia le cariche di autoaffondamento che la carica principale innescando il detonatore a tempo. Pur esistendo queste due possibilità, prima e seconda tacca, di fatto, i piloti davano il via alle operazioni descritte azionando completamente la leva al momento del lancio.
Sugli MT tutte le operazioni della catena di scoppio erano di tipo meccanico abbinate ad una catena pirica. I singoli detonatori, predisposti per le funzioni prima illustrate, scoppiavano secondo il seguente schema: una percussione su capsule causava l’accensione di una miccia a lenta combustione che dopo un determinato tempo, funzione della lunghezza della miccia e della velocità di combustione, faceva scoppiare il detonatore.
Sugli MTM la catena di scoppio fu modificata sostituendo i detonatori con innesco a miccia con altri dotati di innesco elettrico; sulla carica principale rimasero sempre due detonatori: uno idrostatico, identico al precedente, ed uno di nuova concezione, per lo scoppio ritardato, di tipo elettromeccanico.
La palmola, inoltre, con l’introduzione dei detonatori elettrici, fu completata con un’asta, chiamata baffo (baffo della palmola), che rese possibile lo scoppio della carica in superficie. Il baffo, concepito per essere utilizzato per l’apertura di varchi nelle ostruzioni, era armato dal pilota tirando un pomello sistemato sul cruscotto. Una volta armato, il baffo, dalla posizione di riposo sulla coperta a prua del barchino, sopra la palmola, si disponeva esternamente al dritto di prora, in posizione verticale rispetto alla linea di chiglia e con la testa sotto il pelo dell’acqua proprio per urtare su i cavi orizzontali della rete.
Questo sistema permetteva di far scoppiare direttamente la carica, escludendo il previsto sistema palmola-cannone, agendo direttamente sul detonatore elettromeccanico. Il ritardo programmato era eliminato con un circuito elettrico predisposto in parallelo rispetto a quello che attivava l’orologio. Dalla terza serie i barchini, denominati MTM (MT modificati), furono tutti dotati di baffo; le prime consegne di questi mezzi iniziarono nell’autunno del 1941, dopo l’azione di Malta.
Per i barchini le procedure operative prevedevano che la carica fosse predisposta per scoppiare alle seguenti profondità:
- Attacco navale in movimento: scoppio della carica a m.3-4;
- Attacco navale contro bersaglio fermo: scoppio della carica a m.8-12 e comunque in funzione della profondità del porto nel caso ci fosse stato fondale inferiore a m.12.
- Attacco contro ostruzioni: Scoppio della carica tra m.0-0,5, taratura del piatto idrostatico per un minimo battente d’acqua; era detta, anche, taratura a zero.
Lo scoppio per essere efficace e provocare danni sulle carene delle navi doveva avvenire a una certa profondità in maniera tale che il raggio massimo della bolla contenente l’energia generata dall’esplosione rimanesse, nel migliore dei casi, al di sotto della chiglia della nave e comunque sufficientemente lontano dalla superficie per evitare dispersione di energia in aria. Nel caso del bersaglio in movimento, la taratura doveva essere necessariamente per una profondità più bassa, quindi con conseguente sfogo in aria di parte dell’energia, altrimenti la nave attaccata, già in movimento, avrebbe potuto portarsi fuori dalla bolla di energia creata dallo scoppio della carica che, se tarata per esplodere a dieci dodici metri di profondità, avrebbe ritardato l’esplosione per il tempo necessario al raggiungimento di tale quota.
Sugli MT, non dotati del baffo della palmola, per operare contro le ostruzioni, come già detto, il detonatore idrostatico era tarato per scoppiare con un minimo battente d’acqua; in questo caso l’esplosione avveniva con una piccola differenza di tempo rispetto all’esplosione delle cariche di taglio, comunque necessarie per affondare il vano carica e rendere così attivo il piatto del detonatore idrostatico.
Il lancio di Frassetto era stato operativamente programmato per far esplodere la carica sotto il livello del mare ad una profondità di m.1,5, cioè per ripetere lo stesso tipo esplosione previsto per la carica di Teseo Tesei.
Frassetto, se le cose fossero andate come da programma, avrebbe dovuto incontrare, prima del lancio, a trecento metri dal ponte, Teseo Tesei di rientro dall’azione che avrebbe dovuto dargli istruzioni se effettuare un secondo intervento per allargare il varco o proseguire per la seconda ostruzione e qui effettuare il lancio per allargare lo stretto passaggio che immetteva nel Grand Harbour. Su i barchini di Carabelli e Capriotti, invece, la carica era stata predisposta per scoppiare in superficie perché, essendo questi seconda e terza riserva, la sorpresa era ormai venuta meno. Va tenuto presente che, dopo il primo lancio di Frassetto, i barchini si trovavano a meno di cinquecento metri dal ponte e già in navigazione con una formazione in linea di fila, pronti a superare il primo varco, quindi, se ancora necessario, il varco andava aperto in tempi rapidi.
Osservando, inoltre, il risultato del lancio di Frassetto, barchino tagliato ma con carica inesplosa e galleggiante, si deduce che la palmola del barchino, urtata la rete, operò correttamente innescando le cariche di taglio ma la prora con la carica non affondò. La causa può ricercarsi nel tipo di lancio effettuato da Frassetto che, per non farsi scoprire, arrivò con il barchino sulla rete, da considerarsi una superficie elastica, con il motore non ai massimi giri e quindi con una velocità d’impatto più bassa del necessario. L’effetto fu che la prora del barchino, tagliata, o rimase impigliata nella rete o si formarono nella prora stessa, cosa più probabile, delle bolle d’aria per una sorta di pompaggio causato dal rinculo del mezzo sulla rete. La carica di Frassetto esplose, come si vedrà più avanti, quando ne fu provocato l’affondamento.
In ogni caso, visto l’effetto negativo di detto lancio, che forse diede il primo allerta alle difese, ci si chiede, perché non si pensò di utilizzare le cesoie tagliareti in dotazione al SLC? La carica poteva essere presa in considerazione solo in caso di emergenza, ritardo su i tempi programmati, e, se non utilizzata per praticare il varco, piazzata su un bersaglio all’interno del porto. L’impiego di una carica per l’apertura di un passaggio nell’ostruzione significava, comunque, eliminare l’effetto sorpresa e allertare, prima dell’inizio dell’attacco, le postazioni messe a difesa dei varchi d’ingresso del porto; sulle loro sistemazioni e su i loro rapidi tempi d’intervento, probabilmente, non si aveva una conoscenza esatta,visti i risultati dell’attacco.
Non è lo scopo di questo lavoro entrare in critiche sull’azione, ma, sicuramente, come già detto, la mancanza d’intelligence è stata notevole. Immaginare che a Malta potessero essere attuate le procedure di Suda, previste come piano di riserva in assenza dello scoppio della carica di Tesei, lascia molto perplessi. A Suda i barchini attaccarono alle prime luci dell’alba ma avendo già superato le ostruzioni. A Malta, avendo scelto l’ingresso secondario del Grand Harbour, si doveva comunque aprire un varco per penetrare e, per arrivare ai bersagli, attraversare uno stretto passaggio; due coni di bottiglia che i barchini, a questo punto ben visibili nei primi chiarori, non avrebbero mai potuto superare perché queste aree erano ben coperte dalle batterie a difesa dell’ingresso.
Le difficoltà d’ingresso a Malta erano notevoli e non paragonabili né con Suda né con la successiva azione di Alessandria, quindi, si presentava come un teatro operativo certamente più adatto per un’azione condotta con soli SLC avvicinati o con mezzi di superficie, come nel caso dell’azione in questione, o con sommergibili trasportatori. Va ricordato, come già detto nel capitolo tre parlando dei mezzi disponibili per un attacco, che nel luglio del 1941erano ancora in corso di consegna i nuovi SLC della serie cento e probabilmente a quella data erano disponibili solo quelli utilizzati da Tesei e Costa e forse altri due.
Nella migliore delle ipotesi, poiché erano disponibili due avvicinatori tipo MTL, l’azione avrebbe potuto compiersi, al massimo, con quattro SLC. Altri mezzi tipo SLC, appartenenti alla prima e seconda serie e destinati ormai all’addestramento, non andavano neanche presi in considerazione per non ripetere le sfortunate esperienze di Gibilterra. In funzione degli SLC disponibili, due o quattro, poteva essere programmato un attacco o alla sola base dei sommergibili a Marsa Muscetto o, congiuntamente, anche al Grand Harbour.
Rientrando nell’azione, che avevamo lasciato con Frassetto già in acqua e intento a fare dei segnali per rimettere in rotta i barchini, Capriotti su questi segnali osserva che:
“Avevamo convenuto prima della partenza che la luce continua avrebbe indicato via aperta e la luce intermittente via chiusa… E’ a questo punto che si compie il destino di Carabelli e di tutta l’impresa. I segnali di Frassetto significavano varco ostruito… Carabelli accelera, vira stretto e si dirige su i segnali di Frassetto…Verificandosi la situazione in cui venne a trovarsi Carabelli tutto cambia. Infatti cominciando l’azione a tutta velocità e su una virata, a soli ottanta metri dall’obiettivo, l’operatore non può avere il tempo di fissare la rotta, correggerla, stabilizzarla, bloccarla… Carabelli comprese la situazione. Ma Carabelli non era tipo che tentennasse: andò contro la morte coscientemente… Saltò in aria infatti con tutto il barchino…”
Capriotti, inoltre, fa osservare:
“Nel caso Tesei fosse nei pressi del ponte intorno alle 04,40, egli sa benissimo che i barchini opereranno senza contare sul suo apporto (apertura della rete alla ore 04,30) e potrebbe astenersi dall’operare sapendo che i barchini avrebbero operato come a Suda. Tesei fa certamente una rapida ricognizione e facilitato dalla sua posizione bassa sul mare è in grado di stabilire che verso oriente è tutto tranquillo. Qualcosa di buono può ancora fare e decide di operare senza tener conto dell’orario”.
Secondo la testimonianza di Capriotti, esistenza della variante operativa tipo Suda nel caso la carica non fosse scoppiata entro le 04,40, Tesei sa che i barchini non opereranno prima dell’alba, in questo caso verso le 05,00, quindi, è ancora in tempo per fissare la sua carica sulle ostruzioni e aprire il varco.
Prescindendo dall’esistenza di detta variante operativa, Tesei prosegue nella sua azione tenendo conto che, come da piano operativo a noi noto, non essendo scoppiata la sua carica alle 04,30, i barchini, comunque, non opereranno prima delle 04,40.
L’azione di Frassetto lo coglie proprio sotto il ponte. Frassetto, in seguito, mentre nuotava verso il molo di S.Elmo, subì lo scoppio della carica del barchino di Folieri che gli causò uno stato d’incoscienza. Quando si riprese, si ritrovò in mezzo a rottami di barchino e a pochi metri dagli scogli del molo che riuscì a raggiungere poco dopo e qui, alle 05,40, fu fatto prigioniero.
- Ore 04,48 Arriva sulle ostruzioni il barchino del G.M. Carabelli, predisposto quale riserva per il taglio della rete, la cui carica esplode dopo l’urto del barchino su i cavi della rete stessa. Documenti ufficiali rintracciati nell’ufficio storico della Marina Militare, ricostruzione dell’azione effettuata nel 1947 (documento in appendice 3), riportano che il barchino di Carabelli esplose schiantandosi contro la base di un plinto del ponte facendo crollare sia il ponte sia il plinto; nessuna base fu urtata e nessun plinto crollò. Se la carica fosse scoppiata, come riportato nei documenti citati, si tratterebbe di uno scoppio di carica a contatto e trecento chili di tritolital avrebbero lasciato segni ben visibili di rotture sul basamento; questo ancora oggi si presenta intatto.
Carabelli è visto da Frassetto, dopo l’esplosione, “Saltare in aria con tutto il mezzo. Urta l’arcata e crolla con essa in acqua”. Il Commander Woolley a proposito del recupero di Carabelli nel suo libro “Mines over Malta” racconta:
“Mentre ero proprio li (vicino al ponte di S.Elmo) Il corpo di un sottotenente italiano fu tirato su ed era nei guai. Un braccio, una gamba, la faccia divisa in due, doveva essere stato colpito da una pallottola in bocca,…. Egli era un italiano morto veramente in una spaventosa visione”.
- Ore 04,49 Salta una delle arcate del ponte di S. Elmo, subito dopo lo scoppio della carica di Carabelli.
Due o più cariche sono esplose contemporaneamente, unica spiegazione che giustifica l’accaduto come sarà dimostrato successivamente. Il passaggio è definitivamente chiuso e le batterie dei forti S. Elmo e Ricasoli, a protezione del Grand Harbour entrano in funzione. La risposta è rapida perché i cannonieri sono già in stato di preallarme.
Prima delle 22, la stazione radar N°502 di “Forte Madliena” rileva un forte eco a circa 45 miglia, trattasi di nave Diana. In base alla distanza di rilevamento è il momento in cui il Diana al traverso di Pozzallo inizia la rotta 200°, 5’ per portarsi sul punto K, sono quindi le 21,00 circa. L’eco è perso alle 23,00, per essere poi ripreso in allontanamento verso la Sicilia alle ore 24,00, per poi sparire definitivamente. Trattasi sempre dell’eco di Nave Diana che sbarcati i mezzi, lascia il punto K, inverte la rotta per il punto Z e da qui dirige per il ridosso di Capo Passero, punto A. L’eco è perso tra il punto Z e il punto A (Tav. 4, in appendice 1).
Alle 23,55 si alza in volo da Malta un aereo Swordfish per investigare il bersaglio radar ma il volo si conclude con esito negativo. Sia i cannonieri sia gli addetti ai proiettori non sono lasciati liberi di rientrare nelle baracche ma è mantenuto lo stato di allerta e rimangono a dormire vicino ai loro pezzi. Nuovi allertamenti ci sono con il bombardamento delle 02,45, quando un bombardiere italiano BR20 sorvola Malta lungo l’asse NW- SW e lancia le bombe a più di tre miglia dalla Valletta, e alle 04,15, quando altri due bombardieri italiani BR 20 arrivano su Malta per sganciare bombe. Peraltro, le bombe delle 04,15 che dovevano essere sganciate a Luqa, in direzione sud ovest rispetto alla Valletta, per indirizzare gli assaltatori, sono sganciate in zona diversa e precisamente a Naxar, in un’area a Nord ovest rispetto a La Valletta. Quest’ultima incursione, fatta in orario diverso da quello previsto, ore 04,30, e con soli due bombardieri anziché 4 (due al momento del decollo denunciano avarie meccaniche), anziché distrarre la difesa della Valletta, l’allerta, così che i pezzi sono pronti a sparare al momento dello scoppio delle cariche che fanno saltare il viadotto.
L’ingresso del porto è protetto da postazioni di cannoni binati da mm.56 posizionati: 5 sul forte di S.Elmo e tre sul forte Ricasoli. Questi sono contraddistinti dalle lettere A, B, C quelli del forte Ricasoli, D, E, F, G, H quelli di S.Elmo.
L’ingresso del porto è suddiviso in aeree assegnate ai vari cannoni. Ognuno di questi copre un’area del porto di cui è responsabile e può sparare in aeree vicine solo se la sua area è sprovvista di bersagli; le coperture non lasciano angoli ciechi.
Oltre a queste batterie, sulle rocce sono posizionate postazioni di mitragliere.
Sempre sui forti sono sistemati proiettori per illuminare i bersagli. Con lo scoppio delle cariche sotto il viadotto finisce la sorpresa dell’attacco e dopo un minuto sia i cannoni sia i proiettori sono pronti per l’intervento d’individuazione dei bersagli e di difesa delle aree d’ ingresso del Grand Harbour.
Nelle acque antistanti punta S. Elmo, nel momento in cui salta il viadotto, sicuramente ci sono un SLC, quello di Costa, e N° 6 MT.
Dalla dichiarazione di Costa si legge:
- “Alle ore 04:20 ho toccato terra avendo il porto sulla dritta”.
Alle 04:45 udivo una forte esplosione e vedevo, essendo con la testa fuor d’acqua, una fiammata enorme ed una colonna altissima di acqua, nella zona del ponte della Valletta. Immediatamente molti proiettori si sono accesi e subito scoperto sono stato fatto segno a numerosi colpi. Mi immergo rapidamente…”.
Ormai è giorno e con il suo mezzo instabile tenta di navigare in agguato a una profondità di 10 metri “… nella speranza di udire rumori di eliche di navi, uscenti dal porto, per fare l’estremo tentativo di spolettare a tempo breve per produrre una esplosione che potesse danneggiare qualche nave.
“Sono rimasto in zona fino al limite dell’autonomia dell’autorespiratore ed alle ore 08:40 circa, previo spolettamento con le cariche dell’autodistruttore affondavo l’SLC e con il mio secondo dirigevo in costa a nuoto ove giungevo verso le nove circa” (documento in appendice 3).
Alle nove e trenta il T.V. Francesco Costa e il Sgt. Luigi Barla sono fatti prigionieri da soldati inglesi in perlustrazione.
N° 6 MT. I piloti dei barchini non sanno che il varco è chiuso e quindi si preparano per l’ attacco in direzione dell’esplosione e non si rendono conto che il varco non è più di prora, come da piano operativo, poiché una leggera corrente marina di circa mezzo miglio/h li ha scarrocciati verso est.
A tutta velocità i barchini si dirigono verso sud ovest con Bosio in testa seguito da Marchisio, Folieri, Pedrini, Zaniboni e ultimo Capriotti. I primi cinque barchini hanno come bersaglio navi all’ormeggio, mentre Capriotti ha il compito d’intercettare qualsiasi bersaglio navale in movimento che può interferire con l’attacco.
Mentre i barchini dirigono in linea di fila verso il viadotto, entrano nel campo d’azione di tre postazioni del Forte S. Elmo e tre del Forte Ricasoli e sono oggetto dei colpi sparati a raffica.
Bosio è quello che si avvicina di più al ponte e si rende conto che il passaggio è sbarrato e come da piano di operazione, inverte la rotta e dirige per il ripiegamento verso Nord per attuare il piano che prevede la riorganizzazione e un successivo attacco alle prime luci dell’alba.
In questo ripiegamento avviene che Follieri è il primo a essere colpito al timone del barchino.
Decide, non essendo più utilizzabile, di saltare in acqua e inserisce il congegno di autodistruzione. Il barchino, mentre continua a girare su se stesso, è colpito da un proiettile nel serbatoio benzina e salta in aria. Follieri sarà recuperato da motoscafo inglese.
Pedrini, come da sua dichiarazione:
“Invertiamo la rotta di 180° e cerchiamo di disimpegnarci dal tiro delle armi automatiche …il mio barchino è stato colpito in più punti. Alle prime luci dell’alba ritorniamo all’attacco nonostante la reazione sempre intensissima, cui si erano aggiunti i mitragliamenti degli aerei da caccia.
Questo secondo attacco è stato portato individualmente, in conformità sempre dell’ordine di operazione. Io giunsi a 60 m dal ponte e visto l’inutilità del tentativo, perché il passaggio era sempre ostruito, ho cercato di dirigermi verso l’entrata principale in cerca di un altro passaggio, ma non essendo riuscito nel tentativo ritornai verso il ponte con il proposito di affondare il barchino. Ho azionato pertanto il dispositivo di autoaffondamento e mi sono lanciato in acqua lasciando il barchino con un po’ di barra e con una velocità di circa sei nodi. In acqua ne attesi lo scoppio, ma dopo circa sei minuti vidi che il barchino non affondava e cercai di raggiungerlo a nuoto, poiché continuava a navigare nelle vicinanze,a causa dell’angolo di barra.
Al quarto tentativo riuscii a montare sul barchino, durante quest’operazione il piede sinistro urtò nell’elica e rimasi ferito. Montato sul barchino …mi sono accorto che non aveva funzionato.
Allora tagliai il manicotto dell’acqua e affondai il barchino a colpi di gaffa. Quando il barchino mi scomparve sotto i piedi mi allontanai il più velocemente possibile per evitare gli effetti dell’esplosione. Mentre continuavo ad allontanarmi fui proiettato fuori d’acqua da un’ esplosione che però non so garantire fosse quella del mio bachino. La reazione inglese durò fino alle 05:30 circa. Io tentai di dirigermi verso costa a nuoto, ostacolato dal vento e dalla corrente contraria ed alle 07:30 circa fui ricuperato da un rimorchiatore”.
Bosio. Dalla testimonianza di Capriotti:
“Bosio e Zaniboni erano ad una certa distanza ed io non li vedevo. Si erano allontanati ancora di più perché avevano visto qualcosa sull’acqua e avevano creduto fosse un barchino: poi si erano accorti che era una boa a circa 2 miglia dall’ingresso del porto… Ad un certo punto gli inglesi li videro e ripresero a sparare. Bosio fu colpito e si abbatté sul barchino. Prima di perdere conoscenza, riuscì a tirare la maniglia e ad essere sbalzato in mare con il salvagente. Fu catturato più tardi dagli inglesi, quando il barchino era affondato. Lo scoppio della carica del barchino avvenuto a qualche decina di metri, lo aveva ridotto in condizioni molto gravi. Spirò qualche ora dopo in ospedale”.
Zaniboni. Versione analoga a quella di Capriotti. Nella sua testimonianza si legge:
“Ci dirigiamo in quella direzione. Giunti sul punto constatiamo che è una specie di boa galleggiante di forma conica… L’ufficiale mi dice di mollare e di seguirlo (erano ormeggiati alla boa di cui parla Capriotti) …Due caccia virano non molto alti intorno a noi, poi scompaiono nel riflesso del sole abbagliante per poi riapparire velocissimi a bassa quota. Il primo Huricane punta sull’ufficiale e sento il gracchiare delle mitragliatrici.
Il secondo punta su di me… Il S.T.V. Bosio è accasciato sulla dritta con una mano penzoloni in mare. È stato colpito… I due caccia ritornano all’attacco bassissimi…mi lancio alla massima velocità e mi sottraggo alla raffica delle mitragliere. Gli aerei ripetono l’attacco ed ho l’ impressione che lo scafo sia colpito. Vedo alzarsi delle colonne d’acqua con delle esplosioni sorde. Improvvisamente mi sento sbalzato in alto e mi trovo sbalordito in acqua. …Riprendo a nuotare con vigore …finalmente anche il mio barchino si è fermato… e dopo molti sforzi mi aggrappo al salvagente del mio mezzo…Mi sforzo per salire a bordo… apro il cofano del motore e a colpi di pagaia sfondo lo scafoto del barchino. L’acqua ha già raggiunto la batteria e io mi filo a mare per raggiungere l’altro barchino. Nel punto in cui mi stavo dirigendo vedo un’alta colonna d’acqua. Il S.T.V Bosio è saltato in aria con il suo barchino”.
Per l’esattezza si tratta dell’esplosione della carica del barchino essendo già Bosio in acqua poiché, anche se gravemente ferito, era riuscito a tirare la leva di scoppio, sganciando lo schienale/zatterino, e scivolare in acqua. Il pilota,in questo, era favorito perché il suo sedile era sistemato a sbalzo rispetto allo specchio di poppa e basculante all’indietro.
Che Bosio fosse già in acqua lo conferma lo stesso Zaniboni quando parla del suo recupero:
“Improvvisamente vedo comparire una motovedetta inglese… calano una rete e due marinai mi afferrano cercando di sollevarmi. Infine sono tratto in coperta… La motovedetta si rimette in moto e poco dopo dalle manovre comprendo che stanno recuperando il S.T.V. Bosio. Cerco di vederlo, ma mi viene impedito. Domando delle sue condizioni, mi viene detto che è ferito”.
Secondo Capriotti, Bosio morirà due ore dopo nell’ospedale militare di Malta anche se, da ricerche effettuate dallo scrittore Joseph Caruana nell’ospedale militare di Malta, non risulta nella lista dei prigionieri ricoverati. È presumibile che al momento del suo recupero da parte della lancia inglese se non era morto, stava per morire e quindi, anche se portato in ospedale, non fu mai registrato come ricoverato.
Marchisio, sempre dalla testimonianza di Capriotti:
“Vidi l’ultimo della nostra pattuglia, Marchisio. Si allontanava dal barchino nuotando, ma era ferito. Pensai che avesse azionato la leva e aspettasse lo scoppio. Passarono alcuni minuti e il barchino rimaneva a galla: il congegno non aveva funzionato”.
Capriotti. Dalla sua testimonianza:
“Dal primo allarme era trascorsa un’ora buona… Cominciai a spostarmi in linea retta, lentissimamente. Stavo reclinato sul barchino, come se fossi ferito e procedevo con il motore al minimo. Senza dubbio ero controllato dagli inglesi, non sparavano perché evidentemente mi credevano ferito… Avanzavo ancora lentissimamente. Al traverso del viadotto, senza sollevare la testa, vidi che la struttura del ponte era crollata ed era per metà sott’acqua senza lasciare
possibilità di passaggio… Non restava che tornare indietro e affondare i due barchini (si riferisce al barchino di Marchisio precedentemente visto) impressi un mezzo giro al barchino e accelerai al massimo.Gli inglesi aprirono il fuoco immediatamente. Accelerai ancora, spinsi il mio barchino contro quello di Marchisio ed a venticinque metri saltai in mare. Era una distanza proibitiva ma se avessi lanciato da più lontano, avrei rischiato di fallire il bersaglio. I due barchini si urtarono e il mio proseguì la corsa deviando sulla destra e scoppiando ad una cinquantina di metri da me. Avevo centrato il bersaglio ma un bersaglio troppo leggero.
Il barchino di Marchisio era rimasto intatto e si era scostato. Per affondarlo, dovevo raggiungerlo a nuoto, montarci sopra e farlo esplodere. Ci sarei riuscito?… Fu lo stesso fuoco degli inglesi ad aiutarmi. Un proiettile d’artiglieria scoperchiò il motore del barchino. Nel far saltare il coperchio diede forse uno strappo alla maniglia e sbloccò il congegno di esplosione.
Proprio quello che avrei dovuto fare io. Il barchino colò a picco esplodendo un attimo dopo…Durante le prove di collaudo si era accertato che a meno di 70 m, se si era immersi, si moriva… a 30 m come nel mio caso ed anche a 40, non erano mai rimasti vivi né uomini né bestie. Io avevo incassato due scoppi consecutivi e non avevo una slogatura. Era andata bene. Continuai a nuotare per avvicinarmi a Marchisio e lo aiutai a raggiungere una piccola boa a cento metri dall’ingresso del porto… Verso le otto, una motolancia si diresse verso di noi. Finalmente avrei visto in faccia gli inglesi”.
– Ore 04,50 I MAS 452 e 451, come da testimonianze il com.te 451 ed i superstiti componenti equipaggio dei due MAS, lasciano con i motori ausiliari, a lento moto, il punto sulla congiungente Punta S. Elmo – Pozzallo per iniziare il rientro;
– Ore 05,00 Da rotta 288° (eventualmente da rotta 265° nel caso si fosse trattato del punto D e non di Y) accostano per rotta 018° sempre su i motori ausiliari (Tav. 5, in appendice 1).
L’ordine di operazione prevede che alle 04,37, comunque, deve iniziare il rientro con rotta 18° a lento moto su i motori ausiliari fino alle 05,35 per poi passare su i motori principali a una velocità di 15 nodi e consentire così al MTS il ricongiungimento con i MAS. Per il com.te Giobbe sul MTS, come già detto, l’ordine di operazione prevede uno stazionamento sulle secche di Dragut
fino alle 04,50 per l’eventuale recupero degli operatori del secondo SLC (Costa-Barla) ed eventuali piloti dei MM.TT. che hanno dovuto operare all’esterno delle ostruzioni.
L’orario d’inizio del rientro è legato allo scoppio della prima carica, quella di Tesei, che deve avvenire alle 04,30 per aprire il varco sotto il viadotto e permettere quindi l’ingresso dei barchini nel Grand Harbour; lo scoppio sicuramente metterà in moto le difese aeronavali dell’ isola costituendo così una seria minaccia per i MAS. Ma, non essendoci ancora stato nessuno scoppio di carica, Moccagatta sicuramente ritarda la partenza anche per rendersi conto di cosa stesse succedendo.
Sempre il Guardiamarina Sciolette nella sua relazione riporta quanto segue:
“Il com.te Giobbe ci raggiunse subito dopo (riferendosi all’inizio del rientro) con il suo MTS. Salì sul MAS e il suo mezzo fu preso a rimorchio…”
Questo ci permette di stabilire che Moccagatta inizia il rientro sicuramente dopo lo scoppio delle cariche avvenuto alle 04,50 continuando a rimanere in zona almeno fino alle 05,00.
Queste tempistiche, di massima, sono confermate con dichiarazioni pressoché coincidenti sia dal Sergente Silurista Piero Basagni che dal Sergente Motorista Vincenzo Di Pasquale, componenti dell’equipaggio del MAS 452. Il Di Pasquale afferma:
“A pochi minuti del primo scoppio constatai diverse grosse esplosioni ed alzarsi altissime colonne d’acqua… Ultimate l’esplosioni il Comandante da ordine di mettere in moto i motori ausiliari allontanandosi dalla costa. Si Naviga da circa venticinque minuti che vedo avvicinarsi un motoscafo, era il motoscafo del com.te Giobbe”
– Ore 05,12 Dieci Macchi 200 dell’Aeronautica Italiana si alzano in volo da Comiso per garantire protezione ai MAS sulle rotte di rientro in Sicilia;
– Ore 05,30 Il Com.te Giobbe con MTS su rotta 018° raggiunge i MAS e sale a bordo del MAS 452.
Al rientro sul MAS 452, il com.te Giobbe relaziona il com.te Moccagatta sull’attacco. Questa relazione orale è riportata dal silurista Bruno Briatovich, membro dell’equipaggio del MAS 452 (documento in apppendice 3 – Briatovich).
Nella testimonianza si legge:
“Potei udire il sig. Giobbe esclamare: visto che i maialini non scoppiavano mandai addosso agli sbarramenti un mezzo; appena questo scoppiò ci precipitammo dentro in fila indiana. Speravo che ne scoppiassero quattro e invece ne scoppiarono sei. Questo in sunto quel che disse il sig. Giobbe dell’azione”.
Questa testimonianza lascia quantomeno perplessi perché Giobbe riferisce cose che non sono mai accadute. Tralasciando il “ci precipitammo”, sicuramente detto in senso generico, riferendosi ai suoi barchini, non si può non commentare la frase “pensavo che ne scoppiassero quattro, invece ne scoppiarono sei”. Se fosse stato con i barchini a cinquecento metri dal ponte, con il binocolo, non avrebbe potuto non vedere quello che accadde. A questo punto non è possibile credere a quello che riferisce il com.te Giobbe, sembra che riferisca in maniera da compiacere il suo superiore, ed è necessario ritornare qualche pagina indietro per riprendere ed avallare la testimonianza degli operatori che asseriscono che alle ore 04,15 si allontanano dal com.te Giobbe, secche di Dragut, per avvicinarsi dagli ottocento ai cinquecento metri, punto d’attacco.
Conseguentemente, non essendo con i barchini, non poté impartire l’ordine a Frassetto per iniziare l’attacco. Capriotti, a questo punto, sembrerebbe aver ragione su quanto racconta circa l’inizio dell’attacco. Giobbe riferisce a Moccagatta quello che, stando sulle secche di Dragut, crede di aver visto o che possa essere successo, non quanto accadde veramente.
Ore 05,35 Il MAS 452, preso a rimorchio l’MTS, e il MAS 451, sempre con rotta 018°, si allontanano con motori principali alla velocità di nodi 15;
– Ore 05,40 Trenta Hurricane del 126° e del 185° squadrone della Royal Air Force, di base a Malta, si alzano in volo. Un gruppo si dirige sugli MT ancora naviganti e l’altro verso la Sicilia per attaccare eventuali navi italiane d’appoggio;
- Ore 05,55 Inizio battaglia aerea tra Macchi e Hurricane che si protrae per circa 15 minuti. Nel frattempo sono giunti gli altri Hurricane, prima impegnati nel mitragliamento dei barchini. In questo combattimento vengono abbattuti due Macchi e un Hurricane; dei piloti italiani uno, Gallina, muore mentre l’altro, De Mattia, e quello Inglese verranno separatamente recuperati vivi in mare dagli Inglesi.
Il recupero del pilota inglese avverrà nella circostanza più avanti descritta. Alle 06,10, dopo accanito combattimento, la battaglia aerea finisce e tutti fanno ritorno alle rispettive basi; - Ore 06,00 Dodici Macchi 200 si alzano in volo da Comiso per correre in aiuto dei primi dieci soccombenti, ma arrivano a battaglia conclusa;
- Ore 06,00 Mentre i Macchi e gli Hurricane stanno combattendo, un gruppo di dieci/undici Hurricane si allontana dalla battaglia ed effettua il primo attacco aereo ai MAS che è respinto con fuoco mitragliera di bordo. Il Mas 451, come previsto, si allontana dal MAS 452;
- Ore 06,15-06,30 Secondo attacco da parte di aerei Inglesi al MAS 452 e al MAS 451.
Il Mas 452 è immobilizzato (motori fuori uso) e muoiono tutti gli ufficiali e alcuni membri dell’equipaggio, mentre altri si salvano raggiungendo le coste siciliane con l’MTS rimasto a rimorchio. Sul MAS 452 alla deriva, recuperato dalla Marina Inglese e portato a Malta, sale a bordo un pilota Inglese che, abbattuto nel duello aereo da un Macchi, si trova per caso con il suo battello di salvataggio nel vicinanze del MAS. Con la cattura del MAS vengono recuperati anche i piani d’operazione dell’attacco a Malta e altre pubblicazioni.
Sulla messa fuori combattimento del MAS 452 esiste altra versione di fonte Inglese, riportata come credibile dallo scrittore Caruana nelle sue documentazioni, in base alla quale l’unità fu colpita da proiettile sparato da un cannone di S.Elmo. Caruana in un articolo sul Warship International del Febbraio 1991 dice:
“Poco prima delle 06,00 il MAS 452 raggiunse una posizione a circa Km.5 da S.Elmo e rimase qui per qualche minuto incrociando lentamente al largo del porto.
Circa alle 06,00, nella luce in aumento dell’aurora, il MAS venne avvistato da S. Elmo ed il pezzo E da 6 lbs. gli sparò un colpo, più di rabbia che utile perché il MAS era ad una distanza di seimila yards, mentre la portata massima del cannone era soltanto di cinquemilacinquecento yards; come c’era da aspettarsi la granata cadde corta rispetto al MAS. Ma ogni fortuna era contro gli Italiani quella mattina del 26 luglio in quanto il proiettile acquistò una gittata rimbalzando sulla superficie del mare e, contrò ogni probabilità, andò a colpire il 452.
La granata esplose nella timoneria e non soltanto mise fuori uso il MAS ma cancellò anche i vertici della X^ MAS …”
A questa conclusione arrivarono gli inglesi constatando che il foro causato da proiettile/i nella timoneria era compatibile con la forma della granata.
Questa ricostruzione sul MAS 452, anche se possibile, è in netta contraddizione con le testimonianze rilasciate dai componenti dell’equipaggio sopravvissuti. Come già detto, secondo le testimonianze di fonte italiana, al momento dell’attacco il MAS 452 era già sulla rotta di rientro e a non meno di 12 miglia da Malta; in proposito, il comandante del MAS 451, G.M. Sciolette, nella sua relazione afferma che l’attacco aereo avvenne a quindici miglia da Malta. Tra le due versioni, ai fini della ricostruzione cartografica dell’azione (Tav. 5 in appendice 1), è stata scelta quella Italiana ritenendo che il G.M. Sciolette fosse a conoscenza del suo punto nave. In ogni caso, non cambia la sorte finale del MAS 452.
Il Mas 451, colpito nel locale macchine (serbatoio benzina), si incendia e poco dopo esplode. Durante l’azione, quattro membri dell’equipaggio muoiono per colpi d’arma d’aereo. Il resto dell’equipaggio, con il comandante, gettatisi in acqua riescono a salvarsi; dopo otto ore vengono recuperati da imbarcazione inglese e fatti prigionieri;
- Ore 09,05 Recupero al traverso di Pozzallo del MTS con sopravvissuti equipaggio MAS 452 da parte di Nave Diana (sono 12, di cui 6 feriti);
- Ore 09,57 Nave Diana a Sud Est di Capo Passero incontra il MAS 544 a cui ordina di scortarlo;
- Ore 10,31 Nave Diana su rotta di rientro ad Augusta incontra la torpediniera Cigno a cui ordina di scortarlo;
- Ore 11,28 Nave Diana entra in porto ad Augusta.
L’attacco a Malta era, in pratica, fallito, rimaneva solo l’ammirazione dell’avversario verso quegli uomini che avevano tentato un’impresa quasi impossibile che pubblicamente sarà riconosciuta in un articolo sul Daily Mirror del 4 ottobre del 1941 in cui il vice governatore di Malta scrisse:
“Nel luglio scorso gli italiani hanno condotto un attacco con grande decisione per penetrare nel porto impiegando MAS e siluri umani… quest’impresa ha richiesto le più alti doti di coraggio personale.”
Nell’attacco le perdite materiali furono:
- due motosiluranti (la 452 catturata), MTL
- due SLC
- nove MM.TT.
- un M.T. catturato
- due aerei da caccia
Le perdite di uomini furono:
X^ MAS: dieci morti:
- C.F. Moccagatta
- C.C. Giobbe
- Capitano medico Falcomatà
- 2°Capo Montanari
- S.C. Zocchi
- S.C. Costantini a bordo del MAS 452
- durante l’attacco Magg. G.N. Tesei
- S.T.V. Bosio
- S.T.A.N. Carabelli
- 2°Capo Pedretti)
Nove prigionieri:
- T.V. Costa
- S.T.V. Frassetto
- C°3cl. Capriotti
- 2°C° Folieri
- 2°C° Pedrini
- Sgt. Barla
- 2°nocchiere Zaniboni
- Segnalatore Marchisio
- Sottonocchiere Tindaro
MAS 452: Due morti:
- il comandante
- un membro dell’equipaggio
- mentre i rimanenti dodici riuscirono a salvarsi con MTS e rientrare ad Augusta con Nave Diana.
Di questi:
- sei erano illesi
- sei feriti.
- Dei sei feriti uno morirà il giorno dopo il rientro (28 luglio) nell’ospedale militare di Augusta
MAS 451:
- Quattro morti (membri dell’equipaggio)
- otto tratti in salvo e fatti prigionieri (il comandante e sette uomini dell’equipaggio)
Aerei da caccia italiani:
- Due abbattuti
- Un pilota morto
- un pilota tratto in salvo e fatto prigioniero
In appendice N°3, l’elenco completo dei partecipanti all’azione come da documento archivio storico Marina Militare. Nel documento si notano, su alcuni nomi, le ricompense al valore di cui sono stati insigniti.
(Fine prima puntata)
10. Appendice 1
Tavole:
- Rotte di trasferimento e attacco
- Ostruzioni a difesa del Grand Harbour
11. Appendice 2
Mezzi impiegati nello scontro:
- Nave Diana (Avviso Veloce)
- Siluro Lenta Corsa – SLC (detto “Maiale”)
- Motoscafo Turismo Modificato (Barchino Esplosivo)
- Motoscafo Turismo Lento
- Motoscafo Turismo Silurante
- Motoscafo Turismo Silurante Allargato
- Mas 451
- Aereo Macchi 200
- Bombardiere BR.20
- Caccia Hurricane
Nave Diana (Avviso Veloce)
- Cantiere: Quarnaro (Fiume)
- Impostazione: 1939 – Varo: 1940
- Completamento: 1940 – Perdita: 1942
- Dislocamento: Normale: t 2.487 – Pieno carico: t 2.591
- Dimensioni: Lunghezza: m 113,9
- Larghezza: m 11,7
- Immersione: m 3,9
- Apparato motore: 4 caldaie, 2 turbine, 2 eliche
- Potenza: HP 31.100 – Velocità: 28 nodi
- Combustibile: t 550 (nafta)
- Autonomia: 2.400 miglia a 16 nodi
- Armamento: 2 pezzi da mm 102/35 + 6 pezzi da mm 20/65 + 2 scaricabombe
- A.S. + 87 mine. Equipaggio: 152 uomini
Siluro Lenta Corsa SLC (detto “Maiale”)
- Peso: kg 1.400
- Lunghezza m 7,30 di cui 1,80 della testa carica staccabile (unica o doppia). La testa carica unica conteneva kg 230 di tritolital
- Diametro corpo cilindrico: m 0,53
- Altezza max. sagoma (operatori esclusi) m 1,30
- Larghezza max. (staffe) m 0,90
- Potenza: kw 1,11
- Batteria da V 60 – A 180 (30 elementi da 2V)
- Velocità subacquea: 3 nodiVelocità in superficie: 3 nodi
- Velocità regolabili su 4 marce
- Autonomia: 15 miglia alla velocità di 2,5 nodi
Motoscafo Turismo (Barchino Esplosivo)
Caratteristiche:
- Equipaggio 1 Pilota
- Peso totale: kg 1.300
- Lunghezza m 4,70 (f.t. m 5,25)
- Larghezza m 1,460
- Potenza HP 90 (motore Alfa Romeo da 2500 cc che verrà utilizzato anche su MTS, MTSM, MTSMA
- Velocità: 32 nodi
- Autonomia: 3 ore alla massima potenza; 4 ore ai ¾ di potenza e alla velocità di 5 nodi (velocità di trasferimento nella missione di Malta)
Motoscafo Turismo Lento
Caratteristiche:
- Peso totale a pieno carico (compresi 2 SLC) kg 7.300
- Lunghezza: m 10,720
- Larghezza: m 2,850
- Potenza: HP 5,9 (motore elettrico)
- Velocità massima: 5 nodi
- Autonomia: 2 ore alla massima potenza
- Equipaggio: 1 pilota + 5 uomini
Motoscafo Turismo Silurante
Ne furono costruiti esemplari tre su cinque ordinati, la consegna avvenne nel 1941; uno dei tre fu impiegato a Malta. Il progetto non risultò operativamente soddisfacente poiché la velocità era bassa per un impiego da silurante. La potenza installata era insufficiente rispetto al peso complessivo (scafo, allestimento, carico bellico). Ne fu sospesa la costruzione e si passò ad una modifica del progetto.
Caratteristiche:
- Peso complessivo: kg 1.750
- Scafo: Lunghezza m 6,5
- Larghezza m 2,2
- Velocità massima: 28 nodi
- Autonomia: 3½ ore
- Potenza installata: HP 90
- Armamento: 2 siluri da kg 450
- Equipaggio: 1 pilota + 1 marinaio
Sul MTS impiegato a Malta l’equipaggio era composto da:
- 3 uomini
- 1 pilota
- 2 marinai
Mas 451
“Baglietto velocissimo” derivato dalla Classe “500” 2ª serie (2 unità)
Caratteristiche:
- Cantieri: Baglietto (Varazze)
- Data di incorporazione: 1941, (perduto nel 1941)
- Dimensioni: Lunghezza m 18,0
- Larghezza m 4,78
- Pescaggio m 1,56
- Dislocamento a pieno carico: t 24.5
- Velocità massima: 42.0 nodi
- Autonomia: 330 miglia a 42 nodi, 836 miglia a 8 nodi
- Armamento: 1 mitragliatrice da mm 13,2
- 2 lanciasiluri a impulso laterale
- 6 bombe di profondità (1 scarica bombe)
- Equipaggio: 11 persone
Aereo Macchi 200
Aereo da Caccia Regia Aeronautica
Caratteristiche:
- Entrata entrata in servizio 1939
- Equipaggio: 1 pilota
- Peso a vuoto: kg 2.020
- Potenza: HP 618
- Prestazioni: velocità massima km/h 510
- Autonomia: 570 km (870 km con due serbatoi ausiliari)
- Armamento: 2 Mitragliatrici Breda da mm 12,7 alari, negli ultimi 400 esemplari 8 bombe spezzoni o 2 bombe da: kg 50/100/160
Bombardiere BR.20
Caratteristiche:
- Data entrata in servizio: 1936
- Equipaggio: 5 uomini
- Peso a vuoto: kg 6.400
- Peso massimo al decollo: kg 9.900
- Potenza: HP 735 per ciascun motore (bimotore)
- Prestazioni: velocità massima km/h 432
- Autonomia: km 3.000
- Armamento: mitragliatrici Breda-SAFAT mm 12,7 (torretta dorsale M-I), 1Breda-SAFAT mm 7,7 (postazione ventrale), 1 Breda-SAFAT mm 7,7 (postazione anteriore), bombe fino a kg 1.600
Caccia Hurricane
Caratteristiche:
- Data entrata in servizio: ottobre 1937
- Equipaggio: 1 pilota
- Peso a vuoto: kg 2.605 (peso max. al decollo kg 3.950)
- Potenza: HP 883
- Velocità: Massima km/h 505
- Autonomia: km 965
- Armamento: 4 cannoni da mm 20 Hispano Mk II, 2 bombe da kg 113
Aereosilurante Swordfish
Caratteristiche:
- Data entrata in servizio: ottobre 1936
- Equipaggio: 2/3 persone
- Peso a vuoto: kg 2.132 (peso massimo al decollo kg 3.406)
- Potenza: HP 551
- Velocità: Massima km/h 222
- Autonomia: 1.658 km
- Armamento: 2 mitragliatrici da mm 7,7 – bombe per kg 680 o 1 siluro
12. Appendice 3
Documenti:
- Ordine operazione 5/A completo di: norme di massima per l’operazione contro Malta e terza parte dell’ordine di operazione (tradotto dal documento in inglese)
- Lettera dello Stato Maggiore Marina
- Documento del reparto informazioni della Regia Marina che dispone di esperire indagini sull’identità dell’ufficiale di marina che trasmette notizie a rappresentante potenza estera
- Rapporto del comandante della nave Diana sull’attacco contro Malta inviato a Supermarina dal comando M.M. autonomo della Sicilia
- Relazione di Supermarina sull’azione di forzamento a Malta.
- Ricostruzione dell’attacco effettuata nel 1947 con elenco del personale partecipante all’azione
- Relazione del tenente di vascello Costa sull’attacco a Malta
- Relazione del comandante Frassetto
- Relazione di Capriotti
- Relazione di Briatovich
- Lettera del comandante Notari
Documento 1 – Ordine operazione 5/A
Documento 2: norme di massima per l’Operazione contro Malta
Terza parte dell’ordine di Operazione
(Tradotto dal documento in inglese)
Ordini di dettaglio per i piloti degli MT:
1) Alle 23,00, circa, verranno sbarcati gli MT che si terranno vicini sul lato sinistro della nave Diana, facendo attenzione a non urtare l’MTL che sarà di poppa al Diana.
2) Dopo lo sbarco al punto Y, si disporranno a sinistra del MAS 452 per procedere fino al punto D, 180°, 12 miglia da Y, in formazione a 5 nodi. Il MAS 451 sarà di poppa, con l’MTL a rimorchio.
3) La formazione arriva al punto D all’1,34 antimeridiane e qui le imbarcazioni verranno controllate.
4) Dal punto D, alle ore 1:49 antimeridiane, l’MTS si disporrà in testa, seguita dagli MT e procederà per il punto M alla minima velocità con rotta 229°. Nessun segnale sarà fatto. Il tempo di avvicinamento sarà di 1 ora e 36 minuti circa. Se, invece la costa sarà avvistata prima di arrivare al punto M, la formazione deve procedere lentamente fino al punto più favorevole per l’attacco, al raggiungimento del quale devono fermarsi.
5) Gli MT dovrebbero fermarsi a una distanza dal ponte di . metri sul rilevamento 191°. L’MTL procederà su un punto a 800 metri dal ponte su rilevamento 180°.
Più tardi gli MT si avvicineranno con i remetti fino allo stesso punto dove si trova l’MTL.
6) Ci sarà un bombardamento aereo alle 02:30 antimeridiane e un altro alle 04:25 antimeridiane.
7) Non appena ci sarà stata l’esplosione della carica del SLC, alle 04:28 antimeridiane, il S.T.V. Frassetto si avvierà alla minima velocità verso il varco creato dall’esplosione. Se l’apertura sulla rete di ostruzione non sarà stata eseguita, egli deve lanciarsi contro questa.
8) Gli altri MT, in linea di fila, procederanno verso il ponte, mantenendosi vicino alla riva destra per poter passare attraverso l’esistente apertura tra la riva e la doppia fila di reti all’interno del porto. Ci sono due punti cruciali:
a) il passaggio attraverso la rete sotto il ponte, che è molto stretto
b) il passaggio attraverso le due ostruzioni che può presentare ostacoli imprevisti. In questi due punti, specialmente nel primo, la velocità sarà necessaria e i piloti faranno il possibile per non ostacolarsi nel passaggio.
9) Una volta arrivati nel porto, i piloti dirigeranno i loro MT contro i bersagli che sono stati loro assegnati in base alle ultime ricognizioni aeree
10) Si deve ricordare che dopo aver superato il ponte, i piloti devono tenersi sulla destra fino a raggiungere la boa delle ostruzioni e poi il porto.
Note a margine
1) Cancellata
2) Se qualche MT si perde, questo dovrebbe rimanere fermo e accendere il motore tre volte ogni cinque minuti. Se all’alba non si saranno ricongiunti, questi procederanno per nord fino a raggiungere la Sicilia.
3) Se gli MT dovessero manovrare per allontanarsi per un’improvvisa difesa perché avvistati da imbarcazioni nemiche, il barchino più anziano darà l’ordine a un MT di attaccare immediatamente il nemico.
4) Se si avvistano navi in ingresso o in uscita dal porto, gli MT entrano dall’ingresso che verrà aperto.
5) Se il gruppo è sentito, avvistato o illuminato e gli hanno sparato contro, tornerà indietro alla massima velocità e attenderà fino all’alba. E’ importante mantenere il contatto. Se, però, illuminati da proiettori non sono stati oggetto di fuoco, riducono la velocità al minimo.
6) Se, tuttavia, il gruppo è attaccato da un pattugliatore, un MT attaccherà immediatamente il nemico. In questo caso l’MTS tenterà di attirare il fuoco del nemico e i rimanenti MT continuano nell’operazione. Se l’MTS non sarà in grado di ricongiungersi con gli MT – cosa che tenterà di fare – il S.T.V. Bosio prenderà il comando per l’attacco.
7) Se il gruppo non riesce a raggiungere la costa di notte, o è disturbato dai proiettori, rimarrà fermo e aspetterà fino all’alba.
8) All’alba l’attacco si svolgerà nello stesso modo previsto per la notte, tranne che non appena il gruppo che dovrebbe avere già raggiunto la posizione di attacco dovesse essere scoperto e fatto oggetto di fuoco dal nemico, gli MT procederanno alla massima velocità nel loro attacco. Gli MT raggiungeranno la massima velocità a 300 metri dal passaggio.
9) Resta inteso che se è possibile forzare il passaggio senza essere visti, la massima velocità dovrebbe essere usata. L’unico segnale che il gruppo è stato avvistato ci sarà quando verrà aperto il fuoco su di loro. Se, comunque loro “vedono il fascio del proiettore dietro”, devono ridurre la velocità senza fermare il motore ed essere pronti ad accelerare di nuovo quando necessario.
10) Le istruzioni di cui ai precedenti punti avranno valore solo se ciascun pilota è determinato nell’infliggere il massimo danno al nemico.
Documento 3 -Lettera dello Stato Maggiore della Regia Marina
Documento 4: rapporto del comandante della nave Diana
Nota a commento della lettera del comandante della nave Diana
Il rapporto a Supermarina del comandante della nave Diana arriva a Roma per via gerarchica. Prima è inviato al comando settore Marina Militare di Augusta che lo invia al comando M.M. Autonomo della Sicilia e che a sua volta lo invia a Roma.
Sulla base del rapporto del comandante della nave Diana, il comando di Augusta fa a sua volta un suo rapporto, che invia al comando autonomo M.M. della Sicilia, premettendo di aver raccolto tutte le informazioni possibili dai superstiti e ricostruisce l’azione ripetendo quanto previsto dall’ordine di operazione 5/a e conclude il rapporto con sue deduzioni completamente diverse dalla realtà: “Si può considerare certo che tutti i mezzi hanno funzionato, compreso l’SLC del T.V. Costa. Solo l’SLC del Magg. Tesei può non essere arrivato in tempo e in tal caso era previsto che si doveva dare al congegno un ritardo superiore a un’ora. Così questo SLC deve essere stato demolito prima per effetto dello scoppio del barchino”.
Sarebbe interessante sapere da dove il compilatore (la relazione è firmata dal contrammiraglio Armando Fumagalli, comandante il settore di Augusta) prese l’informazione che l’SLC di Tesei dovesse essere spolettato con il ritardo di un’ora, in caso non fosse arrivato in tempo. Tale informazione, inedita, è quanto meno definibile senza senso, visto come l’azione era stata pianificata.
A sua volta, il comando autonomo di Messina, sulla base della relazione ricevuta da Augusta, ne compila una nuova e la invia a Supermarina che ne fa oggetto di un suo promemoria (n° 131), che costituirà la base della relazione finale del 29 luglio 1941, più avanti riprodotta.
Non sono state inserite in questa appendice le altre relazioni, a cui si è accennato, perché si tratta di documenti rielaborati dalla relazione del comandante della nave Diana con un “copia e incolla”, come si direbbe oggi.
Documento 5 -Relazione Supermarina
Documento 6 – Ricostruzione dell’attacco su Malta (1947)
Documento 7 – Relazione del Tenente di Vascello Francesco Costa
Documento 8 –Relazione del sottotenente di Vascello Roberto Frassetto
Documento 9 – Relazione del capo meccanico 3a cl. Fiorenzo Capriotti
Documento 10 – Relazione del silurista Bruno Bratovich
Documento 11 – Relazione del comandante Ernesto Notari
Bibliografia sommaria di riferimento
- CAPRIOTTI Fiorenzo, La mia Decima da Malta alle Hawaii. Le avventure di un Ardito del mare, Foggia, Italia Editrice New, 2000
- CARUANA Joseph, The battle of Grand Harbour, Rabat (Malta), Wise Owl, 2004
- GALEA Frederick R. , Mines over Malta. Wartime exploits of Cdr Edward D. Wolley GM & Bar, RNVR, Rabat (Malta), Wise Owl, 2008
- SANTONI Alberto, Il vero traditore. Il ruolo documentato di Ultra nella Guerra del Mediterraneo, Milano, Mursia, 2005
- SANTONI Alberto, Ultra intelligence e macchine enigma nella guerra di Spagna, 1936-1939 , Milano, Mursia, 2010
- SPERTINI Marco – BAGNASCO Erminio, I mezzi d’assalto della Xa Flottiglia Mas, 1940-1945, Parma, Ermanno Albertelli, 1991
- UFFICIO STORICO DELLA MARINA MILITARE, I mezzi d’assalto, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1913
- I documenti utilizzati provengono dall’archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare
- Il materiale fotografico consultato ed utilizzato proviene dall’archivio dell’editore.
Il libro Malta 2 è pubblicato su AltoMareBlu in due puntate per g.c. dell’autore Lino Mancini è anche disponibile in cartaceo: Editoriale Lupo.
Seconda Puntata di Malta 2 e la Decima Flottiglia MAS di Lino Mancini
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