Nautica – dai gravi danni agli inutili rimedi
EDITORIALE
di Giacomo Vitale
SOS: Capitani maldestri al governo – nave Italia alla deriva!!
Quello che è accaduto in questi ultimi periodi, a partire dal governo che ha preceduto quello tecnico, al tecnico stesso ed a quello attualmente in carica, è sotto gli occhi di tutti. Risulta diabolico il modo di legiferare e ministri ed esecutivo forse farebbero bene ad interessarsi di altro, visti gli esiti.
Scrivere una legge per sottoporla all’approvazione del governo comporta cultura, competenze specifiche e concertazione con i vari dicasteri eventualmente interessati.
Usando un eufemismo, risulta incomprensibile come i tecnici abbiano attivato manovre devastanti mettendo in essere provvedimenti fiscali del tipo: spariamo nel gruppo con la speranza di fare cassa ed “acchiappare” quanti più soldi possibile per tamponare la grave emergenza finanziaria, senza pensare alle gravi conseguenze che tutto ciò avrebbe scatenato.
Provvedimenti di un governo che, alla disperata, mancava l’obiettivo clamorosamente. L’aggravante, è quella di aver seminato sconcerto nel settore nautico, generando chiusure forzate di tante aziende, fallimenti e disoccupazione di tanto personale addetto, panico nei diportisti che avendo una barca, sono considerati tutti evasori fiscali.
Un vero disastro dalle proporzioni incalcolabili!
Oltre alla scomparsa di grossi, medi e piccoli cantieri storici e la creazione di migliaia di disoccupati, ci sono tantissime barche in vendita, anzi in svendita che difficilmente, anche se a prezzo regalo o al solo costo del passaggio di proprietà per le immatricolate, troveranno nuovi armatori.
Il perché è presto detto, gli strombazzanti annunci di provvedimenti del tipo: accesso diretto ai conto correnti, tassazione induttiva per combattere l’evasione, sono manifeste incapacità di tutti i governi che si sono succeduti dal primo all’ultimo di questa tormentata Repubblica.
Le conseguenze di questa politica dissennata ha generato varie reazioni tra i diportisti; chi aveva barche di una certa importanza, ai primi albori di questi provvedimenti devastanti ed inaspettati, hanno cancellato le loro unità dai Registri italiani trasferendole in gran fretta negli stati esteri limitrofi:
- Croazia,
- Grecia,
- Turchia,
- Corsica,
- Costa Azzurra..
con le ovvie conseguenze.
I vari Parlamenti della Repubblica Italiana che si sono succeduti negli anni non sono mai stati capaci di approvare leggi semplici e serie, lasciando volutamente buchi legislativi e scappatoie per favorire amici e compari del legislatore di turno, invece di introdurre con competenza e ragionevolezza una tassazione contenuta, che doveva essere alla portata di tutti i diportisti e facilmente verificabile, assicurando un gettito certo all’erario, continuando ad incassare anche le tasse che tutto l’indotto della nautica avrebbe versato allo stato, se avessero continuato a lavorare regolarmente, invece di chiudere in massa i battenti delle loro imprese.
Poi la “beffa”… di questi ultimi giorni. Il “macchine indietro tutta” dell’attuale esecutivo circa il provvedimento sulla tassa di stazionamento che suona come il correre ai ripari. Tuttavia, i fallimenti delle aziende in corso andranno avanti con la perdita di ulteriori posti di lavoro nel settore della nautica. Inoltre, mi domando se la tanto sospirata ripresa, di cui qualcuno azzarda di vedere i primi segnali, sia una vera bufala.
Oggi sarebbe un kamikaze chi pensasse di aprire, per esempio, un cantiere nautico, oppure un negozio di articoli per la nautica. La barca è diventata ormai un genere insostenibile per molti italiani che hanno deciso di farne a meno eppure… siamo in una penisola circondata dal MARE.
E allora, come fare per rimettere in piedi il settore?
La risposta non è di quelle facili, sbagliare si può, ma è diabolico perseverare nell’errore!! Infatti, serve a poco la nuova regolamentazione per la tassa di stazionamento sulle barche e non muove nulla. Il problema di fondo è che un gran numero di italiani che hanno la barca non hanno più soldi per vivere, di conseguenza pur di sbarcare il lunario, sono costretti ad eliminarla ed è difficile capire quando ci sarà una ripresa del settore e cosa accadrà in generale. Staremo a vedere…
Puntare a degli Expò nel 2015 considerando una unica realtà locale, investendo soldi dei contribuenti, creando strutture faraoniche che interessano solo ed esclusivamente un settore in calo come quello delle fiere e la politica industriale che un Governo dovrebbe garantire, viene messa in discussione a ragion veduta.
Sembra assurdo che:
- Non ci siano investimenti sul miglioramento dei collegamenti marittimi e veloci per le isole
- La trasformazione del parco navale con impiego di propulsioni ad eliche di superficie per ridurre i consumi
- L’utilizzo di combustibili meno inquinanti (vedi il gas/diesel ibrido)
- Adeguamento del trasporto su rotaie
- Messa in sicurezza in campo edile per tutte le costruzioni che devono essere eco-sostenibili ed autonome energeticamente
- Lo stesso vale per le industrie, per i capannoni, per la piccola e media impresa che, attivando “filoni” di cambiamento alla regolare “marcia”, potrebbe generare indotti e ricchezza.
La nautica non può e non deve assolutamente fermarsi, anche se è pur vero che non c’è nulla di nuovo all’orizzonte, arditi progettisti e coraggiosi cantieri costruiscono nuove carene, ma adottano prodotti esteri come i propulsori e trasmissioni, a richiedere nuove barche, per la maggior parte dei casi, sono gli stranieri.
In poche parole è facile dimostrare che le politiche intraprese da questi governi non hanno nulla di buono se non tutelare caste e foraggiare lobby con appalti mirati ed esclusivi per pochi e sempre a spese della collettività.
Si de localizzano le imprese per evitare lo strangolamento provocato dalle tasse con percentuali sul reddito da capogiro, ma tu ditta italiana che vai all’estero e mi chiudi una azienda in Italia devi pagare un dazio per importare nel nostro paese e lo stesso potrebbero fare per quei furbi che de localizzano ma non adeguano i prezzi al mercato del lavoro e dei costi delle materie prime del paese in cui hanno spostato la loro produzione. In questo caso certamente moltissimi cantieri non si trasferirebbero all’estero e l’indotto “ottimizzerebbe” i costi.
Invece, cosa succede?
Che pur essendo nella Comunità Europea i diritti del cittadino del singolo paese all’interno dell’unione non sono eguali ai diritti di tutti gli altri in termini di guadagni e spese: Stando così le cose la politica europea è un danno alle economie che fino a ieri hanno generato ricchezza, tradizione e cultura, come la cantieristica italiana.
Sarebbe interessante sottoporre queste osservazioni a qualche economista che tanto parla di ripresa ed a conti fatti, suggerisce ai suoi clienti di delocalizzare e di continuare a mantenere i prezzi dei suoi prodotti invariati.
Se invece di privilegiare i marchi italiani de localizzati all’estero ed i prodotti della nostra cantieristica fossero realmente tutti “made in Italy”, invece di chiudere le nostre fabbriche e farsi concorrenza, il business to business tanto in voga nelle economie emergenti come India e Cina, potrebbero essere una risposta effettiva della qualità e dell’eccellenza progettuale della cantieristica italiana.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!