Hanno rubato un sommergibile
di Umberto Burla*
L’articolo pubblicato sulla Rivista Marittima nel mese di giugno dello scorso anno, relativo ad un episodio della vita del tenete di vascello Angelo Belloni, mi ha stimolato a descriverne un altro assai clamoroso avvenuto nell’ottobre 1914 e conclusosi nel marzo 1915 con una sentenza del Tribunale Penale di Sarzana che assolse il Belloni, imputato del furto di un sommergibile varato al Muggiano, una località sul litorale ovest del Golfo della Spezia.
Tra l’altro, credo di poter affermare che una imputazione del genere, anche se declassata dal Tribunale a semplice «esportazione non autorizzata di sommergibile», non ha precedenti in alcuna Corte di Giustizia del mondo, ponendo pertanto il Tribunale sarzanese nel Guiness dei primati!
Ed ecco qui di seguito narrati i fatti, di cui al titolo:
L’allora sottotenente di vascello Angelo Belloni, milanese classe 1882, posto nella riserva dalla RM, aveva preso servizio nel 1911 presso il Cantiere Navale Fiat-San Giorgio del Muggiano ed era stato incaricato nel maggio del 1914 di consegnare al Governo brasiliano tre sommergibili classe “F”, costruiti nel Cantiere, primi battelli subacquei di serie della Regia Marina.
Rientrato in patria dal Brasile, era stato incaricato di seguire le prove tecniche in mare della «Costruzione 43», un sommergibile costruito per la Russia (1), Nazione che dal primo agosto era in guerra con la Germania, il che creava problemi per la consegna del battello, considerando che all’epoca l’Italia, neutrale, era tuttavia ancora nella Triplice, alleata quindi con gli Imperi tedesco e austro-ungarico.
Ricordo, di passaggio, che il Cantiere era negli anni Dieci del XX secolo famoso nel mondo per la qualità dei suoi sommergibili della serie «Foca», progettati dal 1907 per la RM dal direttore tecnico del San Giorgio, l’ingegner Cesare Laurenti, titolare di un brevetto internazionale (i sommergibili a «doppio scafo centrale»). Non soltanto il Brasile, ma anche la Marina svedese aveva ordinato al Muggiano un battello Laurenti, lo Hwalen (2), che per quel tempo aveva compiuto una vera impresa nautica, percorrendo 4.000 miglia per trasferirsi dal golfo della Spezia a Stoccolma, attraversando senza assistenza il Mediterraneo, risalendo l’Atlantico e il Mare del Nord!
Il 43 era un sommergibile della nuova classe «Medusa», versione migliorata dei Foca e dopo il varo (5 luglio 1914) e le necessarie prove in mare, era stato affidato al comandante Belloni, perché i tecnici presenti al Muggiano erano stati obbligati a rientrare in patria su pressioni dei Governi nostri alleati ed erano stati sostituiti da operai del Cantiere e da nostri marinai.. In particolare per il sabato 3 otobre era stata prevista una ulteriore uscita per le prove all’apparato radiotelegrafico «Marconi» (3).
Il comandante Belloni era un ardente patriota, interventista dal profondo del cuore, faceva parte di quegli Italiani che mal sopportavano la nostra alleanza con la nemica storica, l’Austria e chiedevano l’entrata in guerra a fianco di Gran Bretagna, Francia e Russia, per «liberare le città irredenti», come allora erano chiamate Trento e Trieste.
Egli si era già fatto notare perché in Brasile aveva chiesto, prima della consegna ufficiale dei sommergibili, che almeno il terzo fosse riportato in Italia e venduto alla Regia Marina.
Fallita l’iniziativa, egli propose alla sezione milanese della Lega Navale Italiana una raccolta di denaro per acquistare dalla Fiat-San Giorgio la Costruzione 43, per donarla alla RM … La proposta non ebbe seguito, ma ora era circolata in Cantiere la voce che il battello sarebbe stato trasferito a Marsiglia, dove i Francesi lo avrebbero consegnato alla Marina zarista.
Belloni covava invece un progetto diverso che mise in atto quando il 3 ottobre prese il mare con il sommergibile per le prove dell’apparato RT. Sta di fatto che quella sera fu consegnata al Direttore del Cantiere, ingegner Boselli, una lettera a lui indirizzata che l’ufficiale aveva lasciato in ufficio, disponendo che venisse consegnata dopo le ore 17,00, orario previsto per il rientro del 43.
Angelo Belloni (fonte dottor Angelo Maria Belloni da Rivista Marittima, giugno 2012).
Nel testo, di tono esaltato, l’ufficiale spiegava di dover risolvere il contrasto fra il suo dovere verso la Ditta e l’amore per la Patria e la sua Famiglia, scagionando nel contempo l’equipaggio, otto operai e nove marinai, all’oscuro delle proprie intenzioni (4) … che non spiegava quali fossero!
La lettera ed il mancato rientro del battello, del quale l’unica notizia era stata il regolare passaggio la mattina al traverso dell’isola del Tino, in rotta per Capo Mele, misero tutti in allarme, temendo chissà quale colpo di testa di Belloni. Subito informato, il Ministero ordinò immediate indagini all’Ammiraglio Comandante in Capo del Dipartimento e l’avvio di un’inchiesta che provocherà l’apertura di un fascicolo penale al Tribunale di Sarzana, competente per territorio (all’epoca il Tribunale non aveva ancora sede alla Spezia).
Anche perché il proprietario dell’Azienda, avvocato Giovanni Agnelli, sporse a sua volta denuncia-querela contro il Belloni, per il grave danno causato alla Fiat-San Giorgio.
Per il momento, come si vede nella copia, il processo fu incardinato non solo a carico del Belloni, ma anche del direttore amministrativo del cantiere, cavalier Giuseppe Boselli e di quello tecnico, Cesare Laurenti, successivamente scagionati in istruttoria, per cui andrà a processo il solo Angelo Belloni.
Intanto venne diramata, a uso della stampa e dei Governi esteri, una versione ufficiale, che parlava di improvviso attacco di follia di quest’ultimo.
Dopo due giorni senza notizie, nei quali si era temuto il peggio, era giunto al Cantiere uno scarno telegramma dalla Corsica dell’ingegner Rocchi, il quale comunicava l’arrivo del 43 a Ile Rousse. Si saprà successivamente che l’equipaggio poté scendere a terra ad acquistare del cibo, mentre il com.te Belloni otteneva il permesso di proseguire per Ajaccio la mattina del 6 ottobre. Alle ore 10,00 circa di quel giorno il sommergibile salpò, ma venne fermato dal CT francese Chssseur, che lo scortò nel porto di Ajaccio, dove Belloni cambiò cento lire per acquistare cibo e olio per i motori del battello, ottenendo con facilità dalle compiacenti Autorità portuali il permesso di proseguire… per Malta!
Quello stesso pomeriggio il sommergibile ripartì facendo rotta per sud, ma le mutate condizioni del mare, diventato improvvisamente molto mosso, costrinsero Belloni a rientrare ad Ajaccio, anche su pressioni dell’ing. Racchi, che intanto egli aveva messo a conoscenza delle sue intenzioni.
Gli spiegò che voleva ottenere dagli inglesi carburante e due siluri, per poi risalire l’Adriatico, portarsi davanti a Pola e qui tentare il siluramento di una delle dread-noughts austriache della base, al fine di creare un “casus belli” che avrebbe provocato una rottura delle relazioni Italia-Austria e la conseguente entrata in guerra del nostro Paese contro gli ex alleati.
Racchi, preciserà al suo rientro (5) che il comandante, quando il 43 era giunto all’altezza di Capo Mele, aveva dato ordine di dirigere il sommergibile verso la Corsica, in base a ordini «segreti» impartitigli dal Governo italiano.
Ad Ajaccio giunsero contemporaneamente istruzioni dal Governo di Parigi, allertato da quello italiano, mentre Rocchi persuadeva l’equipaggio a ribellarsi contro l’attuazione del progetto, e frattanto il Governo russo premeva su quello francese per impedire la restituzione all’Italia del sommergibile.
Roma e Parigi avviarono immedia trattative, mentre Austria e Germania ricordavano all’Italia i suoi doveri di alleata… e alla fine il Governo francese, che non aveva interesse in quel momento ad avere contrasti con l’Italia, possibile futura alleata – come in effetti poi sarà, di li a qualche mese – consentì a restituire il 43 che rientrerà nel Golfo della Spezia a fine mese, scortato dal rimorchiatore Italia con un nuovo equipaggio.
Angelo Belloni rimase invece in Francia, godendosi l’aureola di eroismo e le tensioni della stampa, mentre in Italia lo attendevano i Reali Carabinieri; in seguito egli farà sapere che sarebbe rientrato tanto con l’assicurazione che avrebbe avuto il trattamento previsto per gli Ufficiali in servizio: niente carcere, trattamento in fortezza!
Ebbe molto di più: dopo il 24 maggio rientrò in servizio attivo.
Al rientro in Italia Belloni fu interrogato a Sarzana dal GI dottor Pietro Pagani, cui narrò di avere avuto notizia nell’agosto precedente dal Direttore del Cantiere che, a causa della guerra il sommergibile, per disposizione del Governo russo, doveva rimanere al Muggiano sino alla fine del conflitto. Raccontò poi dell’iniziativa in Brasile e successivamente presso la Lega Navale, della sua contrarietà per la nostra neutralità, e della sua conoscenza della situazione in Istria e Dalmazia per avervi abitato anni prima per motivi di studio.
Nelle quattordici pagine del verbale, rivelò anche di avere avuto contatti con diplomatici russi per riuscire a consegnare il sommergibile a quel Governo, in una località segreta: la precauzione di far issare al battello la bandiera russa avrebbe, a suo dire, sollevato l’Italia da ogni responsabilità.
E finalmente svelò il progetto finale, falliti i precedenti: il suo intento, come si è già scritto, era quello di impadronirsi del 43 per risalire con esso l’Adriatico per tentare di silurare una nave della Imperiale Marina austro-ungarica. «Non mi nascondevo – queste le sue precise parole verbalizzate dal Magistrato – il pericolo inerente alla impresa di essere affondato col sommergibile, ma questo rischio comune ai miei uomini non mi distoglieva dal disegno, che era questo: sia in caso di esito felice, che di esito infelice l’atto mio e del mio equipaggio avrebbe avuto tale eco nell’opinione pubblica italiana e slava … per cui il Governo italiano sarebbe stato tratto naturalmente a prendere parte attiva nel conflitto europeo… ». Spiegò anche l’intenzione di raggiungere una base francese o inglese, di ottenere un paio di siluri, il carburante (6) necessario per il lungo viaggio sino all’Istria.
Va sottolineato che Belloni durante l’istruttoria seppe convincere i magistrati che dei vari suoi progetti, nessuno, men che mai la Direzione del Cantiere, ma neppure l’equipaggio e i tecnici a bordo del sommergibile, ne era stato messo a conoscenza. In tal modo i due iniziali coimputati, Boselli e Laurenti, vennero depennati dal procedimento aperto col n” 1194/15 Reg. Gen. dall’Ufficio d’Istruzione di Sarzana e soltanto Belloni affrontò il dibattimento nel marzo successivo.
E il 24 marzo (due mesi dopo l’Italia avrebbe dichiarato guerra all’Austria-Ungheria ed alla Germania), come si legge nella sentenza n° 162, il Tribunale di Sarzana (vedasi immagine pagina di seguito),
«in nome di Sua Maestà Vittorio Emanuele III, per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia» assolse Belloni Angelo di Cesare e Rossi Aurelia, nato ecc .. ecc .. «imputato per l’infrazione agli articoli l e 3 del Regio Decr. l agosto 11915 n° 758 in relazione all’art. 93 e seguenti della Legge Doganale e alle tariffe allegate, per avere, nel 3 ottobre 1914 in Muggiano di Arcola (7), esportato da quel Cantiere Navale il battello sommergibile n° 43».
La formula assolutoria fu piena: «perché il fatto addebitatogli non costituisce reato». Nella motivazione in realtà si spiega che «il fatto addebitato non costituisce reato, dal momento che manca la correlata sanzione penale e non può darsi reato senza una pena che lo colpisca».
La difesa (Avvocato Giovanni Bevilacqua, uno stimato e valoroso professionista spezzino) aveva invece sostenuto l’incostituzionalità dell’accusa.
Il Tribunale in sette lunghe paginate di puntigliose dissertazioni, sorvolò molto opportunamente sulle motivazioni dell’azione del Belloni, che pure aveva ammesso la volontarietà e il fondamento del suo operato, nonché la conoscenza del divieto di «esportazione».
L’Italia era ancora neutrale ed ancora legata alla Triplice Alleanza ed il Collegio giudicante disquisì invece sulla circostanza che anche i sommergibili rientravano nella categoria dei «bastimenti» (8), ma che per calcolare il danno da evasione doganale mancava la tariffa specifica, e non si poteva rilevarlo calcolando ogni singolo pezzo dei materiali che compongono il battello!
Il 43 con l’entrata in guerra dell’Italia entrò a far parte della nostra flotta e assunse il nominativo di Argonauta.
*Umberto Burla: Avvocato alla Spezia, autore di cinque volumi di Storia locale e ligure, articolista su quotidiani e conferenziere (Storia, Etica sportiva). Cofondatore e past Presidente dell’Associazione Amici del Museo Navale della Spezia e Amici della Storia.
NOTE:
- Dove avrebbe preso il nominativo di Svyatoi Giorgi, ovvero San Giorgio.
- egli anni Dieci il Muggiano costruì anche un sommergibile per la Danimarca, tre per la Spegna e quattro per il Portogallo.
- Collaudo necessario perché la società Marconi aveva sollecitato alla Fiat il pagamento dell’impianto RT.
- A bordo vi erano anche l’ingegner Rocchi della San Giorgio e il tecnico Vassallo della Marconi, che nulla sapevano.
- Rocchi e Vassallo pochi giorni dopo questi fatti, giunsero col postale Golo da Bastia a Livorno, dove furono interrogati dalla R. Questura e quindi fermati e inviati sotto scorta a Sarzana, al Procuratore del Re.
- Aveva tentato di fare il «pieno» di carburante, ma – come ebbe a spiegare – il direttore Boselli gli aveva ordinato di sbarcarlo, trattenendo sul sommergibile soltanto la modesta quantità per la breve prova.
- Una località e un Comune oggi facenti parte della Provincia della Spezia (all’epoca questa Città era soltanto una Sotto-prefettura della Provincia di Genova).
- Si consideri che i sommergibili tutto sommato erano ancora una «novità»
Articolo pubblicato sul numero di giugno 2013 della Rivista Marittima e riprodotto su AltoMareBlu per loro g.c.
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