Difendere il mare nostrum
di Tealdo Tealdi
La crisi del Mediterraneo fa emergere l’esigenza di rendere più moderna la nostra flotta militare. Ma non ci sono i soldi. E anche questa volta i francesi ci battono.
Forse mai nella storia il mare ha avuto una importanza strategica come quella attuale. Dal trasporto marittimo dipende il 90% del commercio del pianeta e le relazioni economiche tra gli Stati. Nessun Paese potrebbe, senza gravi conseguenze, subire uno stop del commercio marittimo.
Da qui la necessità di garantire la libertà degli scambi e la protezione degli interessi strategici legati al mare. Come diceva il navigatore inglese Walter Raleigh, «chiunque controlla il mare, controlla il commercio, le ricchezze del mondo e quindi tutto il mondo».
Dal 1600 poco è cambiato, anzi: controllare e garantire i traffici commerciali marittimi è diventata una operazione sempre più difficile e complessa a causa della globalizzazione e per il moltiplicarsi dei fenomeni da contrastare: pirateria, terrorismo, traffici illeciti, inquinamento, salvaguardia delle risorse naturali. E ora anche immigrati clandestini.
Finito il tempo dei bombardieri B52 pronti al decollo in 15 minuti carichi di bombe termonucleari, simbolo del potere aereo americano nel dopoguerra, così come lo spauracchio della deterrenza atomica negli anni della Guerra Fredda, le situazioni di crisi oggi si affrontano in maniera diversa. Soprattutto sul mare. Al posto delle vecchie corazzate, ridotte ormai a veri e propri musei galleggianti, oggi servono unità militari polivalenti, agili, in grado di spostarsi velocemente e sostare per lungo tempo nelle zone di crisi.
Difesa, attacco ma soprattutto sostegno ai civili. La nostra portaerei Cavour.Le nuove navi della Marina Militare dovranno essere capaci di trasportare forze anfibie anche per sostenere operazioni sanitarie sia durante crisi militari sia per gravi calamità naturali ed emergenze ambientale. |
Già nel 1973, l’allora capo di Stato maggiore della Marina, ammiraglio Gino De Giorgi, prevedeva il pericolo di conflitti regionali permanenti che avrebbero coinvolto proprio il Mediterraneo, con la Marina impegnata in prima linea a fronteggiarli. Oltre ai compiti di difesa tradizionali, secondo l’ammiraglio si sarebbero aggiunte altre missioni come la protezione dei pescherecci nazionali, il rifornimento idrico delle isole minori e operazioni di ricerca e soccorso, che avrebbero richiesto una flotta in grado di affrontare impegni diversificati. Mai visione fu più corretta.
«Nasce l’esigenza di costruire nuove unità Landing helicopters dock (Lhd) per sostituire le Landing platforms dock (Lpd), come le navi San Giorgio, San Marco e San Giusto, che saranno dismesse tra il 2018 e il 2028, al momento dell’entrata in servizio delle nuove unità», auspicava nel 2008 l’allora sottosegretario alla Difesa Lorenzo Forcieri.
«L’acquisizione di questo tipo di navi consentirà di potenziare le capacità di mobilità strategico-marittima, di trasportare forze anfibie, nonché di sostegno sanitario per operazioni al di fuori del territorio nazionale, sia per la gestione delle crisi, sia per gravi eventi calamitosi». Secondo Forcieri le nuove Lhd potrebbero soddisfare esigenze di protezione civile e costituire un centro operativo avanzato per coordinare operazioni umanitarie complesse e prolungate, anche lontane dalla madrepatria.
Da ricordare che, nella maggioranza dei casi, le calamità naturali e le emergenze ambientali di varia natura possono essere fronteggiate solo, o comunque molto più efficacemente, intervenendo dal mare. Forcieri prevedeva navi dotate unicamente di sistemi d’arma di autodifesa, per creare una Marina aderente ai compiti di difesa del territorio nazionale in termini militari ma anche, e soprattutto, di protezione civile e per gli impegni derivati dal ruolo che l’Italia svolge, a livello internazionale, per la stabilità e nella gestione delle crisi.
«Le navi di cui dispone oggi la Marina Militare italiana sono state concepite tanto tempo fa rispetto a quelle su cui stiamo puntando ora», dice Luca Peruzzi, esperto aerospaziale e navale, collaboratore di riviste internazionali.
«Quelle attuali sono navi studiate seguendo un concetto di polivalenza più marcata, come la francese Mistral, già in servizio. Capace di imbarcare, su due ponti, 70 veicoli, tra cui 13 carri armati, 16 elicotteri e fino a 900 soldati, la Mistral ha attirato l’attenzione di molti Stati». Ma queste sono navi che costano parecchio.
È naturale quindi che l’iter per la loro approvazione e costruzione sia lungo.
Agili, veloci e modulari. Sopra, la stiva della Mistral, nave militare francese capace di imbarcare su due ponti 70 veicoli tra cui 13 carri armati, 60 elicotteri e fino a 900 soldati.La Mistral è considerata un esempio di come dovrebbero essere oggi concepite le navi militari: modulari, agili, capienti e con una grande autonomia di navigazione e permanenza in zone di crisi. |
«La nostra cantieristica è rimasta un passo indietro. Fino a oggi ha costruito essenzialmente unità da combattimento, mentre ora stiamo puntando su unità di supporto da prima linea e anfibio», prosegue Peruzzi. La presentazione da parte di Fincantieri di un progetto di Multifunctional Ship, capace d’imbarcare 6 elicotteri, 750 uomini, oltre all’equipaggio e con una autonomia di 7.000 miglia nautiche, permetterebbe di colmare il gap.
«L’attuale necessità è di avere navi multiruolo, perché non tutti si possono permettere quelle specializzate», dice Peruzzi. «Purtroppo il problema basilare è che non ci sono i fondi, avremmo dovuto lanciare il nuovo programma di costruzioni nel 2010. Speriamo nel 2011. Sono in cantiere progetti per navi intorno alle 2.500/3.000 tonnellate, poco armate, ma con sufficienti spazi per effettuare attività multiple. La modularità è basilare e necessita di un cambio di strategia, come nel caso della lotta alla pirateria, per la quale non c’è bisogno di navi con armamenti complicati e costosi, ma che reggano bene il mare. Interessante l’interazione tra la piattaforma navale, battelli per controlli, elicotteri e velivoli senza pilota».
Leader Made in Italy
A livello di cantieristica crocieristica e militare il nostro Paese vanta un forte know how grazie a uno dei principali players che operano nel mondo: Fincantieri. Grazie a una attenta politica di acquisti e diversificazione l’azienda può permettersi oggi di operare da ovest a est del mondo. Lo sviluppo della società, che non sta subendo gli effetti della crisi libica come accade ad alcuni suoi concorrenti, si sta ora indirizzando verso il settore militare, per compensare la diminuzione in quello crocieristico.
Dopo le consegne di Carnival Magic e Austral, avvenute in aprile, rimarranno da definire solo sei navi, da ora alla primavera del 2014. La vendita della partecipazione nei cantieri tedeschi Lloyd Werf e lo stop al progetto di acquisto dei Grand Bahama Shipyards, sono stati compensati dalle recenti trattative per l’acquisto del cantiere Davie, nel Québec, motivate dalla volontà del governo canadese di investire 35 miliardi di dollari nella modernizzazione della sua marina militare.
Sempre più strategiche inoltre sono la partecipazione di Fincantieri negli Usa dove, nei quattro cantieri del Wisconsin e dell’Ohio, si stanno costruendo 10 Littoral Combat Ship, e le numerose commesse delle marine militari di molti Paesi come India, Emirati Arabi e Brasile.
Articolo pubblicato sul periodico “Espansione” N.5 maggio 2011 e riprodotto su AMB per g.c. del l’autore Tealdo Tealdi.
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