Che schianto quelle fotografie
di/by Tealdo Tealdi – foto/photos National Maritime Museum Greenwich
Dal 1869 al 1997 un membro della famiglia Gibson le ha immortalate tutte
Era il 4 novembre 1966 e mentre un’alluvione spaventosa devastava Firenze e la Toscana mi trovavo, ignaro di quello che stava succedendo in Italia, nel piccolo porto di Penzance, in Cornovaglia, guardando sconsolato Scillonian II, il piccolo ferry che doveva portarmi alle Scilly Islands.
Nevicava, il vento era molto forte e ne avevo avuto la prova il giorno precedente quando, complice un raggio di sole, per filmare i gabbiani che volteggiavano sopra di me a Land’s End, il punto più occidentale dell’Inghilterra, avevo perso l’equilibrio, rischiando di cadere dalle scogliere, ma si sa, il tempo in quella stagione non può essere bello e quello era “nella norma”.
La cosa che mi metteva però più in apprensione era il cartello posizionato sotto l’orario di partenze: Weather permitting. L’imbarcazione era nuova e sembrava robusta, ma piccola per affrontare condizioni meteo abbastanza “serie” e pertanto dissi dentro di me le ultime parole famose: “Non ho mai sofferto il mal di mare, figuriamoci adesso”.
Mai convinzione fu più errata, complice la ripresa video con la mia Bolex-Paillard H8 Reflex, tuttora in mio possesso come reliquia, che il comandante, che mi aveva preso a benvolere stante anche la mia giovane età, mi aveva autorizzato a fare, proprio dal terrazzino adiacente al posto di pilotaggio.
L’immagine di una petroliera che nel mirino saliva sulle onde, per poi precipitare nell’incavo, in una specie di rollercoaster senza fine fu micidiale e così quella diventò la prima e ultima volta che…
Mi persi pertanto l’ingresso nel porto di St. Mary, che dette comunque sollievo al mio fisico e amor proprio ferito, ritrovandomi in un mondo a parte, in quello che è definito: “The last place of England”.
In effetti si contano 140 isole, che rappresentano il punto più estremo a ovest dell’Inghilterra, anche se solo cinque sono abitate; le altre rappresentano più che altro un pericolo mortale per la navigazione e rifugio per milioni di uccelli marini.
Il tempo non era il massimo e il soggiorno durò solo 48 ore, ma già allora il mio pensiero andò alle navi e ai velieri di un tempo che avevano avuto la sventura di passarvi vicino, non dotati delle moderne apparecchiature.
Tra quelle che trovarono fine prematura le quattro navi che vi naufragarono il 22 ottobre 1707, (disegno accluso) tra cui la Hms Association, la Hms Eagle, la Hms Romney e la Hms Firebrand, con la perdita di quasi 2000 marinai.
Questa tragedia portò alla creazione, nel 1714, del Royal Board of Longitude per trovare un metodo sicuro per stabilire la posizione in mare. Pare che un marinaio originario delle isole si fosse accorto che, a causa della tempesta in atto e della scarsa visibilità, le navi erano fuori rotta e avesse avvisato del pericolo l’ammiraglio Sir Cloudesey Shovell, al comando della flotta, ma che fosse stato impiccato per ammutinamento.
La leggenda dice che l’ammiraglio sia riuscito a salvarsi ma che, arrivato sulla spiaggia di Porthellick Cove, sia stato ucciso da una donna del posto, per rubargli un prezioso anello di smeraldi, donatogli da un amico, il capitano James Dursley, III conte di Berkeley.
Nel 1709 un incaricato della famiglia, Edmund Herbert, trovò il corpo, sepolto provvisoriamente sulla spiaggia, senza l’anello. La vedova, che aveva offerto una grossa ricompensa, rimase trent’anni senza il prezioso, finché una donna confessò sul letto di morte di avere ucciso l’ammiraglio per toglierlo e lo rese alla famiglia.
Dal comportamento eccessivamente autoritario dell’ammiraglio derivò anche la leggenda che sulla sua tomba non sarebbe mai cresciuta l’erba, cosa che in effetti avvenne, in quanto la prima sepoltura provvisoria fu sulla spiaggia e quella definitiva a Westminster Abbey, dove fu eretto un monumento, grondante retorica.
Alcune immagini della famiglia Gibson:
The inscription reads:
He was deservedly beloved of his Country and Esteem’d tho’ dreaded by the Enemy, who had often experienced his Conduct and Courage. Being shipwreckt on the Rocks of Scylly in his voyage from Thoulon.
The 22nd of October 1707 at Night in the 57th year of his Age. His fate was lamented by all, But especially the Sea faring part of the Nation to whom he was a Generous Patron and a worthy example. His body was flung on the shoar and buried with others in the sands, but being soon after taken up was plac’d under this Monument which his Royall Mistress has caus’d to be Erected to commemorate His Steady Loyalty and Extraordinary Vertues.
La documentazione fotografica dei naufragi avvenuti in quelle acque tempestose si deve a quattro generazioni della famiglia Gibson che in 130 anni ne documentò circa 200.
John Gibson, che si era installato a St Mary nel 1860, scattò la prima nel 1869, seguito dai suoi due figli Alexander e Herbert, poi ancora James e per ultimo Frank, in tutto 1360, comprate in blocco nel novembre 2013, insieme a moltissimi telegrammi inviati, dal National Maritime Museum di Greenwich per £ 122.500: un affascinante racconto di storie drammatiche, coraggio e sopravvivenza.
Guardandole oggi e pensando alla difficoltà di muoversi con pesanti attrezzature, camere oscure portatili, in isole non facili, condizioni climatiche avverse e maree pericolose, si rimane esterrefatti.
La molla che dette inizio al loro lavoro fu il telegrafo che consentì la trasmissione e ricezione immediata delle notizie inerenti ai naufragi e perdita di beni e persone, che altrimenti avrebbero avuto bisogno di una settimana, nella migliore delle ipotesi.
Nella sede dei Lloyd’s potevano così essere ricevute con immediatezza notizie che lasciavano alcuni sollevati e altri nella disperazione.
Scorrendo il Loss Book si susseguono centinaia di pagine, a volte grandi tragedie, come quella del Titanic, ma altre a lieto fine, come quella della chiatta inglese Glenbervie, finita sugli scogli a Coverack: tutto l’equipaggio fu posto in salvo, senza però dimenticare 600 casse di whisky e 400 di brandy.
Diversa e tragica fu quella dell’affondamento della Schiller, una nave tedesca a vapore di 3500 ton, che naufragò il 1° maggio 1875, con 335 morti. Gli abitanti delle isole si prodigarono così tanto nel recupero delle salme e nell’assistenza ai sopravvissuti, che le Scilly Islands furono risparmiate dai tedeschi durante le due guerre mondiali.
Ah, dimenticavo: non presi il Scillonian II per tornare, ma un enorme elicottero che, anche se non a buon mercato, faceva servizio fra St. Mary e Penzance. Guardando dall’alto le acque sottostanti non mi pentii della scelta.
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