Il Nastro Azzurro di Antonio Soccol
Alla fine di Giugno e in luglio di quest’anno (1988) due scafi, uno americano ed uno italiano, tenteranno di attraversare l’oceano Atlantico a velocità record per conquistare il Nastro Azzurro. Ecco la storia, dal 1838 a oggi, delle navi che sulla rotta del nord Atlantico hanno praticamente traghettato umanità e civiltà dal Vecchio al Nuovo Mondo. E delle nuove iniziative
Da sinistra a destra e dall’alto in basso, quattro nastri azzurri:
Il Britannia (1840), il Baltic (1852), lo Scotia (1861) e il Lucania (1894)
C’era una volta un genio. E come quasi tutti i geni, questo genio era genio nel bene e nel male. Si chiamava Isambard K. Brunel: era inglese e faceva l’ingegnere navale. Negli anni Trenta del secolo scorso era molto famoso: aveva progettato il piroscafo Great Braain, non il primo ma uno dei primi a disporre di propulsione mista: vela e macchina a vapore. Intorno al l834 il cantiere W. Patterson di Bristol commissionò al genio Isambard Brunel un piroscafo finalizzato alla rotta atlantica, a collegate cioè l’Europa con il Nuovo Continente.
Brunel oltre che genio era un poco megalomane e disegnò una splendida barca di 72 metri: un gigante impressionante per quegli anni. Una barca di legno con le sezioni di prua tipo clipper che armata con quattro alberi (vele quadro su quello di prua e randa sugli altri tre), disponeva anche di due macchine a vapore per una potenza complessiva di 750 cavalli che muovevano trasmissioni a ruote. Lo scàfo venne chiamato Great Western, dal nome della compagnia armatrice, la Great Whestern Stesmship Co., di cui anche il cantiere costruttore era socio.
Fra l’albero di trinchetto e quello di mezzana troneggiava un immenso fumaiolo dove scaricavano le quanto caldaie rettangolari che producevano una pressione vapore effettiva di 0,35 atmosfere, per ottenere la quale era necessario bruciare 30 tonnellate di carbone al giorno.
La nave trasportava così circa 500 tonnellate di carbone e, assieme, anche 120 passeggeri di prima classe oltre a 20 di seconda classe. L’equipaggio era composto da 60 persone. L’otto ‘aprile del 1838 il Great (1852),Western partì per New York per il suo viaggio inaugurale che in realtà era una corsa d’inseguimento.
Quattro giorni prima, infatti, era salpato, sempre con rotta su New York, anche ii Sirius, un piccolo piroscafo a ruote dì 703 tonnellare con una caldaia che sviluppava 320 cavalli.
Il Sirius non era nato per la rotta atlantica ma per collegare l’Inghilterra con l’Irlanda. Solo che l’armatore del Great Westem aveva un rivale acerrimo nella British and American Co. la quale voleva a tutti i costi realizzare per prima un servizio regolare di trasporto merci, posta e passeggeri sulla rotta atlantica.
I responsabili della British and American Co. sapevano benissimo che per l’Atlantico ci voleva qualcosa di più che non un piroscafo destinato al traghetto Inghilterra-Irlanda e infatti avevano commissionato a un cantiere sul Clyde una nave da 2.000 tonnellate. Ma questa benedetta nave era in ritardo di consegna perché non arrivavano mai i motori, cioè le macchiine a vapore. E così venne deciso di prendere in affitto il Sirius che, per avere la necessaria autonomia, fu costretto a imbarcare carbone (450 tonnellate) sino al punto quasi di affondare per il carico.
Con un po’ di posta e qualche passeggero, il Sirius, il 4 aprile, si buttò in Atlantico e ce la mise tutta per arrivare per primo a New York.
Non sapeva quanto vantaggio poteva avere sul Great Western che scava terminando l’allestimento e gli imbarchi, ma intanto era riuscito partire per primo e, commercialmente, la mossa poteva esser vincente in un tempo in cui la pubblicità era ancora agli inizi.
Il Sirius fece una magnifica traversata e raggiunse New York il 22 aprile in un tempo complessivo di 18 giorni e 12 ore, era partito per primo ed era giunto per primo. Ma la sua gioia durò poche ore: giusto il tempo di buttare gli ormeggi in banchina che all’orizzonte apparve la sagoma del Great Western: aveva coperto la stessa rotta in 15 giorni e 3 Ore: 3,173 miglia marine alla media di 8,74 nodi. Ma seppe fare anche di meglio: in uno dei tanti viaggi (sei all’anno), sul percorso di ritorno dall’America fece registrare una media di 10,20 nodi.
All’inizio le cose andavano bene: la tariffa di 50 sterline (o di 150 dollari) a persona per traversata non scoraggiava la vendita dei posti nave e così Brund, il nostro genio, riuscì a convincere l’armatore a costruire una seconda nave gemella. E fu il fallimento.
La barca (si chiamò Great Britain) era troppo avanzata tecnologicamente e portò alla rovina la società armatrice. Il Great Western fu ceduto ad un’altra società inglese che lo uzilizzò sulle rotte del Sud America, poi diventò “trasporto-truppe” durante la guerra di Crimea ed infine nel 1856 venne demolito a Vauxhall.
Inizia più o meno così la storia del Nastro Azzurro anche se, naturalmente, a quell’epoca nessuno ne aveva ancora sentito parlare. Il North Atlantic Blue Riband Challenge Trophy, detto anche Hales Trophy, fu messo in palio nel 1935 dal deputato britannico sir H.Keates Hales per la nave di linea più veloce. Il nome Blue Riband, cioè Nastro Azzurro, deriva dall’antica consuetudine da parte della nave che aveva compiuto la traversata più veloce, di fregiarsi con un nastro appunto di color blu il fumaiolo più alto.
Va anche detto anche che questo emblema deriva dal Sovrano Ordine della Giarrettiera. Come? Non si Sa. Richard Branson qualche anno fa, durante la fase preparatoria dei suoi due tentativi di record con il Virgin Challenger, fece fare delle accurate ricerche presso gli archivi inglesi e non trovò niente di scritto.
“E chiaro – ha detto – che il nome deriva dall’insegna blu del British Order of che Garter, cioè l’Ordine della Giarrettiera, ma non ci sono tracce di chi iniziò ad usarlo come segno di distinzione. Né vi sono testi o regolamenti che impongano criteri di iscrizione.
Quanto al Hales Trophy, si deve dire che mister Hales era uno cui “ci piaceva fare festa”. Quando li Suo trofeo era stato vinto dal nostro Rex e pochi mesi dopo il Normandie del francesi glielo avevano strappato, Hales aveva stabilito che qualunque nave avesse stabilito il record di traversata poteva trattenere nella propria patria l’orribile trofeo per almeno tre mesi. Così lui non rischiava di perdersi tutte le feste che il cerimoniale di consegna del trofeo prevedeva.
Quando la Queen Mary stabili il nuovo record, i francesi mandarono il Trofeo in Gran Bretagna come prassi imponeva. Ma, con loro grande sorpresa se lo videro restituito con la motivazione che la nave inglese aveva semplicemente fatto la più veloce traversata non per vincere il premio ma per maggior confort dei suoi passeggeri. E così l’Hales Trophy, snobbato dagli inglesi, era finito in cantinaDopo la seconda guerra mondiale nessuno sapeva più dove fosse finito. A recuperarlo tu un giornalista americano della Herald Tribune, Frank O. Braynard, che lo scovò presso il fonditore che lo aveva realizzato.
La storia si complicherà nel 1986 quando il Virgin Atlantic Challenger II, cioè il monocarena da 20 metri costruito dai cantieri Brooke su disegno di Renato Levi per l’inglese Richard Branson, batté il tempo record segnato dall’United States nel 1952.
Gli americani che detengono il trofeo non hanno nessuna intensione di mollarlo e sostengono che sir Hales lo aveva messo in palio per le navi di linea e non per le toys boats, cioè per barche giocattolo.
E aggiungono che una sfida non accettabile se non da una nave che abbia passeggeri paganti e non necessiti di fare rifornimento durante la traversara. Sono bugie, ma tocca fare buon viso a stupida sorte e su questa ipotesi si muove il nuovo progetto italiano Azimut/Benetti. Ma torniamo alle navi di un tempo.
La Cunard Line era una società armatrice decisa a prendere il monopolio della rotta atlantica. E alla fine degli anni trenta, sempre del scorso, mise in cantiere quattro navi gemelle di 69,50 metri di lunghezza. Vennero costruite sulle rive del Clyde in Gran Bretagna e furono chiamare Britannia, Arcadia, Caledonia e Columbia.
La più famosa fu la prima: un brigantino a palo da 1.156 tonnellare con macchine a vapore (trasmissione a ruote) da 440 cavalli. Il Britannia era ben organizzato. Portava, infatti, 115 passeggeri ai quali ogni mattina veniva dato latte fresco: in coperta era stato realizzato uno stallaggio per r custodire mucche e fieno… Non è dato sapere se fu una scelta tecnica o pubblicitaria, però il Britannia non si impegnò subito sulla tratta Liverpool-New York, bensì sulla Liverpool-Halifax che si trova a nord-est della metropoli americana.
La distanza della traversata fu così di sole 2.534 miglia marine: cioè 639 miglia in meno rispetto alla rotta coperta dal Great Western. Sotto la spinta delle sue ruote a pale da 8,35 meni di diametro che potevano compiere ben 16 giri al minuto, il Britannia tenne una media di 10,56 nodi: poco di più del rivale, ma riuscì nella storica impresa di impiegare meno di dieci giorni e va da sé che qualche arrotondamento deve esser stato fatto anche con la complicità dei fusi orari, però…
Per gli amanti delle statistiche i fatti storici riportano che questo brigantino riuscì a coprire nelle 24 ore 280 miglia per una media di 11,66 nodi. La barca era descritta benissimo dai giornalisti inglesi dell’epoca e in modo piuttosto scettico da Charles Dickens che in “America Notes” racconta: “Prima di scendere dal ponte nelle viscere del piroscafo, infilammo un corridoio lungo, stretto e tetro con a lato dei finestrini. Portava in un locale dove c’era una stufa attorno alla quale alcuni camerieri si stavano scaldando le mani.
Ogni lato della stanza aveva un lungo e spoglio tavolo e dal soffitto basso scendeva una rastrelliera per bicchieri, tazzine e caraffe: un triste richiamo al rollio della nave con mare agitato”.
Il record del Brirannia è del 1840 (agosto). Quattro anni dopo la nave rimase prigioniera dei ghiacci nel porto di Boston ma fu salvata dalla cittadinanza che a proprie spese aprì un varco di 7 miglia sino al mare aperto. Complessivamente l’ammiraglia (per prestigio, non per dimensioni) della Cunard Line fece 40 traversate e nel 1849 fu venduta alla Germania.
Nel 1842 la gemella del Britannia, Arcadia, superò ampiamente il record dei dieci giorni facendo registrare un tempo di 9 giorni e 15 ore: questa volta senza arrotondamenti. Per dieci anni non si parlò più di record, le navi andavano e venivano e la Cunard Line diventava sempre più potente. Ma alla fine degli anni quaranta si svegliarono gli americani della Collins Line Steamship Co. e per quelli della Cunard furono dolori.
Gli yankee, infatti, misero in pista quattro piroscafi costruiti dal cantiere W.H. Brown & Bell di Ncw York. Si chiamarono Arleuric, Pacific, Atlatic e Baltic. Il primo fu varato nel 1849 e gli altri lo seguirono in breve tempo. Nel maggio del 1851 il Pacific stabili il nuovo record: 3078 miglia da New York a Liveroool in 9 giorni, 20 ore e 26 minuti alla straordinaria media di 13,02 nodi. Un bel balzo rispetto ai 10,9 dell’Arcadia. Ma non era finita; nell’agosto dell’anno successivo il Baltic (della stessa compagnia armatrice guadagnò circa mezzo nodo ottenendo un tempo di 9 giorni e 13 ore. E trasportando con gran lusso 200 passeggeri.
Il trucco stava nella maggior potenza motrice: 3600 cavalli all’asse per trasmissioni sempre a ruote e nella linea del fondo dello scafo completamente piatta (in legno di quercia). Dal punto di vista della progettazione, questi scafi della Collins Line vanno ricordati anche per essere stati i primi a cambiare le linee delle sezioni di prua: spariva con loro lo slancio dei brigantini e arrivava il “dritto di prua” che avrebbe caratterizzato tutti i futuri transatlantici.
Per cinque anni gli yankee ebbero il sopravvenro, ma gli inglesi covavano la loro vendetta. Centoventun metri e trentun centimetri fuoritutto su tredici e settantotto di larghezza (un rapporto L/l di 8,8!), 3300 tonnellate di stazza lorda, due alberi con vele quadre e rande e macchine per una potenza di 3.600 cavalli: qUeste le caratteristiche dell’arma scelta per far inghiottire a quelli “di là dell’acqua” l’offesa subita e inflitta dai quattro moschettieri della Collins Line.
Robert Napier &: Sons di Glasgow costruì la nave che venne chiamata Persia e fu il primo transatlantico tutto in ferro, con doppio fondo, sette scompartimenti stagni in senso laterale ce due in quello longitudinale. Trasportava 1.640 tonnellate di carbone, 1.100 tonnellate di carico, 250 passeggeri. E aveva ancora la prua a clipper. Sembrava, questo, un anacronismo ma non furono dello Stesso avviso i passeggeri e l’equipaggio quando quel lungo naso incassò e ammortizzò l’urto contro un gÌgantesco iceberg, lo stesso che molto probabilmente tre giorni prima aveva investito e distrutto senza lasciare traccia il Pacifìc, impegnato sulla stessa rotta.
Verso la metà del 1856 il Persia stabilì il nuovo record: 2.732 miglia da new York a Queenstown in 9 giorni, un’ora e 45 minuti. L’affondamento del Pacifie e la perdita dei record misero in difficoltà gli americani e premiarono gli inglesi. Non che queste battaglie costassero poco: nonostante i progressi della meccanica il trasporto di una tonnellata di merce dall’Europa al Nord America costava 6 tonnellate di carbone.
La Cunard Line fece costruire ben presto una nave sulla linea del Persia ma con maggior stazza lorda e maggior potenza di macchine. Venne varata sempre a Glasgow da Napier & Sons il 25 giugno 1861, si chiamò Scotia e fu
l’ultimo dei grandi vascelli a ruote. Trasportava 300 passeggeri e 1.400 tonnellate di merce e l’anno successivo al varo stabilì il nuovo record in 8 giorni 4 ore 34 minuti; media 13,54 nodi.
Nel dicembre del ’63 lo Scotia ribassò il tempo in 8 giorni 3 ore per una media di l4,06 nodi. A dimostrazione dei cambiamenti tecnologici in atto, 16 anni dopo, questo pseudoclipper fu comprato dalla Telegraph Construcrion & Maintenance Company che gli tolse le ruote sostituendole con eliche e l0 impegnò come nave posacavi.
La prima nave che impiegava eliche che dì progetto nasceva per lavorare sulle rotte del nord Atlantico fu il City of Brussels voluto dalla compagnia armatrice inglese Inman Line (il cui vero nome era peraltro Liverpool & Philadelphìa Steamship Company ma ben più nota per il cognome dei fondatori Richard e Williaim Inman).
Il City of Brussels fu costruito nel 1869 dal cantiere Tod & MacGregor sulla lunghezza di 18 metri (12,19 di larghezza) e con una stazza lorda di poco superiore alle 3mila tonnellate. Nel ritorno dal suo viaggio inaugurale coprì il percorso fra : New York c Queenstown in 7 giorni, 22 ore e 3′: media 14,66 nodi.
Più si accendeva la lotta fra le compagnie di navigazione e più si sviluppava la tecnologia marinara e meccanica.
In particolare la partenza della macchine e gli automatismi per garantire loro il combustibile necessario per gli elementi fondamentali. Il test ufficiale era il record di traversata, il Nastro Azzurro. La cronistoria inserisce molti nomi di navi nell’albo d’oro: City of Berlin, Germanic, Arizona, Alasks, America, Oregon, Etruria. City of Paris aveva segnato una tappa fondamentale: la spinta era data solo dal motore e in particolare da due eliche. La vela era morta sui suoi 19.000 cavalli erogati dalle due macchine a triplice espansione e sull’invenzione della seconda elica.
Il secolo andava a scadere, la guerra civile negli Usa era finita: iniziava l’epoca delle grandi migrazioni. E la Cunard Line, nel 1894, mette in acqua 11 Lucania: 182 metri di nave per 450 passeggeri di prima classe, 280 di seconda e 1.000 (mille) in “alloggio emigranti”. Evitiamo ogni commento su come fossero “stivati” i suddetti e guardiamo le cifre: 30.000 cavalli, due eliche. Nel 1894, in maggio, il primo record da 21,7 nodi, un anno dopo sul tratto Queenstown-New York (2.875 miglia) un tempo di 5 giorni, 11 ore e 41 minuti per una media di 22 nodi.
Ma neanche questo record è destinato a durare a lungo: arrivano in scena i tedeschi e il nome della loro nave è tutto un programma. Si chiama. infatti, Kaiser Wilhelm der Grosse ma subito la chiamano più velocemente KWDG. E la barca (191 metri fuori- tutto) è anche veloce sul mare: 28.000 cavalli, quattro fumaioli, oltre 22 nodi di punta. Ma il prezzo è immenso in combustibile e in uomini. Le macchine a quadruplice espansione hanno un’altezza di 12 metri con cilindri (8 per macchina) del diametro di 2,85 metri!
Per alimentare Queste belve sono necessarie 520 tonnellate di carbone ogni 24 ore e qui nasce l’espressione black gang (squadra nera) per indicare le formazioni di poveri cristi che dovevano giorno e notte spalare come disperati il carbone nelle caldaie, il destino non fu amico di questa nave: lo affondò, nel 1914, l’incrociatore inglese Higflyee presso il Rio de Oro.
Dal Kaiser alla Deurschland: non cambia di certo bandiera il Nastro Azzurro, mentre cambia nome il secolo {siamo infatti al 1900) e la compagnia di navigazione. Dalla Norddeutscher Lloyd di Brema il pallino passa infattì alla Hamburg Amerika Line, più nota come Hapag. J! Deutschland è una nave: con 33.000 cavalli e batte subito il record andando da Eddystone Light- ship 1. Sandy Hook in 5 giorni, 15 ore e 46 minuti alla media di 22,46 nodi.
E l’anno dopo – nonostante le immense vibrazioni che facevano non poco spavento ai passeggeri – si migliora toccando in un “ritorno” la media di 23,51 nodi. Ma le vibrazioni sono tali che è necessario toglierlo dalla linea del Nord Atlantico, ridurre la potenza, la velocità. Insomma, finisce fuori gioco.
Tu vai a toccare gli inglesi sul mare e vedi che vespaio meni insieme. Da un lato i tedeschi con le loro navi ultraveloci, dall’altro il finanziere americano J.P.Morgan che si stava comprando più o meno tutte le compagnie di navigazione inglesi: a Londra la faccenda non sembrava per niente divertente.
Quando poi incominciarono a girare le voci che anche la Cunard stava per accettare le lusinghiere proposte di Morgan, il governo decise di intervenire. Chiamò quelli della Cunard e disse loro: “Fate un paio di navi che siano le più belle e le più veloci dd mondo e tenete alto il nastro prestigio”. E prima che quelli della Cunard obiettassero, il governo garantì anche una bella cifra a mo’ di sovvenzione per la gestione delle navi. Nacquero così il Mauretania e il Lusitania, gemelle, divennero famose ma per ragioni leggermente diverse.
La prima a essere varata fu Lusitania e già dal giorno delle prove dimostrò di che razza era: le quattro turbine a vapore per complessivi 68 mila cavalli scaraventarono i suoi 240 metri di lunghezza ft (26,80 di larghezza} alla velocità max. di 25,4 nodi. Il viaggio inaugurale ebbe qualche problemino di messa a punto, ma nel secondo viaggio il Lusitania frantumò sia il record da est a ovest che quello inverso: 23,61 c 23,99 nodi rispettivamente e tanto per gradire.
Non fece tempo a finire 1907 che il Mauritania (16 novembre) con i suoi 560 passeggeri di prima classe, 460 di seconda e 1180 di terza, andò da Queenstown a New York in 4 giorni, 5 ore e 10 minuti. Iniziava così la sua incredibile carriera di pony express sulla rotta del Nord Atlantico: fra il 1909 e il 1911 il Mauretania compì 88 traversate dell’oceano (solo tre sotto ai 24 nodi di media. Nel 1929 il Mauretania era già vecchio, c’era nell’aria una controffensiva tedesca: il Bremen della Norddeutscher Line, varato l’anno prima, aveva una tecnologia abbissalmente più progredita.
Ma gli inglesi vollero un ultimo grande atto di coraggio dal loro magnifico transatlantico e questi regalò due traversate record: 27,22 nodi all’andata e 26,75 al ritorno. Era tantissimo ma non sufficiente.
Niente e nessuno poteva contrastare il Bremen del cantiere A.G. Weser di Brema: prua a bulbo, opera viva avviata, opera morta con profilo aerodinamico, quattro eliche che lavoravano per turbomotrici (caldaie a tubi d’acqua) per 125.000 cavalli, 1.700 passeggeri (quasi equamente divisi nelle tre classi) raggiungono, durante il viaggio inaugurale New York da Cherbourg, in 4 giorni 17 ore alla media di 27,83 nodi.
Nel ritorno la media sale a 27,92 e così il Nastro Azzurro torna dopo venti anni in Germania; è il luglio del 1929. Il 25 marzo dell’anno successivo il Bremen viene detronizzato dall’Europa, suo gemello (della stessa compagnia armatrice) che va ad ovest alla media di 27,91, ma nel 1933 il Bremen si riprende il Nastro Azzurro portando la media a 28,51 nodi, tempo: 4 giorni, 16 ore e 15 minuti.
È questo il limite da battete per il nostro Rex, la più bella nave del mondo, fortemente voluta dal fascismo per dar lustro alle sue imprese. Politica a parte, il Rex era davvero una splendida nave: aveva quel tocco di classe che tedeschi, inglesi e americani stentano ad avere anche quando sono illuminati. Lo scafo venne costruito dalla Ansaldo a Sestri Ponente e aveva una carena studiata a lungo in vasca. La lunghezza era di 268 metri su 31 di larghezza e la spinta veniva da un complesso di turbine a vapore per 136.000 cavalli che faceva lavorare 4 eliche (4 pale, fusione in bronzo da 4,74 metri di diametro, 16 tonnellate di peso ciascuna). Il Rex stazzava poco più di 51.000 tonnellate e trasportava 2.032 passeggeri. Alle ore 11,30 del 10 agosto del 1933 (circa un anno dopo il varo) partì da Genova per New York agli ordini del comandante Francesco Taraborro. Giunse a Gibilterra il giorno dopo alle 17,30 e si fermò per un’ora.
Quindi affrontò l’Atlantico che si presentò con mare agitato e Vento da ovest a sud-ovest (cioè contrario} per due lunghi giorni. Ma alle 4,40 del giorno 16, il Rex era già davanti a New York: 5.181 miglia in 4 giorni, 13 ore e 58 minuti alla media di 28,92 nodi. Record anche sulle 24 ore: 736 miglia alla media di 29,6 nodi.
Il Nastro Azzurro rimane in Italia per due anni e cioè finché non fa il suo viaggio inaugurale il francese Normandie, altra gran bella nave piena di novità tecniche. Era stata messa in cantiere (Penhoe a St. Nazaire) nel dicembre del 1931 su una lunghezze di 313 metri e una larghezza di 36 e disponeva di quattro eliche che raccoglievano la spinta di un complesso turboelettrico della potenza di 160 mila cavalli.
È interessante dire qualcosa di questo apparato motore del tutto inedito: 29 caldaie sviluppavano e cedevano vapore a 28 atmosfere a 4 turboalternatori da 33.400 kw a 2.430 giri al minuto. Ognuno di questi faceva, poi girare un motore che riusciva a imprimere ben 243 giri al minuto alle eliche. La struttura della nave era già sul colossal: l’albero di maestra (che serviva per decorazione e per reggere le bandiere) partiva da un’altezza di oltre 61 meni sul livello del mare. In effetti il Normandie riusciva a trasportare ben 840 passeggeri di prima classe, 670 di seconda e 454 di terza: poco meno di 2.000 paganti ma con larga maggioranza di quelli delle classi più lussuose. Gli esordi furono vibratamente trionfali.
Nel viaggio dì andata, Inizia il 29 maggio 1935 a Le Havre, incontrò nebbia e dovette ridurre velocità ma riuscì a raggiungere l’America in 4 giorni, 3 ore e 22 minuti alla media di 29,92 nodi. Nel ritorno registrò invece la media assoluta di 30,31 nodi.
Era caduta un’altra barriera: quella dei 30 nodi, ma la barca vibrava maledettamente e la gente non era contenta. La soluzione all’inconveniente si ebbe sostituendo le eliche a quattro pale con altre a tre pale.
Passa appena un anno e anche il Normandie viene detronizzato: tornano di scena gli inglesi con il Queen Mary. Allora, la Cunard Line chiamava tutte le sue navi con nomi che terminassero in “ia”. Così avendo in cantiere da John Brown & Co. questa navicella da 310 metri e 20 centimetri, il presidente della Cunard Line andò da Giorgio V, re d’Inghilterra e gli disse; “Maestà, vogliamo chiamare la nostra nuova nave con il nome della più grande delle regine..” e alludeva, ovviamente, alla regina Vittoria, ma Giorgio V pensò a sua moglie e consentì: “La regina Mary ne sarà orgogliosa..”, Così si chiamò Queen Mary una nave che doveva chiamarsi Victoria.
E magari fu una fortuna, perché di tutte queste navi di cui stiamo parlando la Queen Mary è ancora viva e vegeta, anche se ridotta a museo e albergo galleggiante, ancorata fra Los Angeles e Long Beach. 200.000 cavalli la fecero filare, nell’agosto del 1937, dall’Europa agli Usa alla media di 30,14 nodi strappando su questa tratta il record ai Normandie. Ma questi se lo riprese l’anno dopo, sempre d’agosto, registrando 31,20 nodi. Esattamente dodici mesi – è evidente che agosto era un buon mese – il Queen Mary si riprende il suo Nastro Azzurro: 3 giorni, 20 ore e 42 minuti per portate i suoi ospiti da New York alla Gran Bretagna: 31,69 nodi la media.
Arriva la guerra e c’è bisogno di portare soldati dagli Usa in Europa il Queen Mary ne porta 15.000 a viaggio, se d’estate e 12.000 se è inverno. La maggior parte delle truppe americane e canadesi sbarcate poi in Normandia ha usato questo traghetto che esce incolume dal conflitto e nel 1947 riprende la sua attività tradizionale.
E nasce l’ultimo protagonista: l’United States. Uno splendido transatlantico progetto da William Francis Gibbs per i cantieri Newport News Shipbuilding & Dry Dock Corporation di Newport News in Virginia. Il più grande del mondo: 5.329 tonnellate di stazza lorda, 301,25 metri di lunghezza per 30,94 di larghezza, 888 passeggeri di prima classe, 524 di seconda e 544 di turistica. E la potenza? Segreto militare, Visto l’utilizzo riservato ai transatlantici in tempo di guerra. meglio non dare informazioni.
La verità si seppe il 3 novembre 1977, più di venticinque anni dopo, quando John R. Kane lesse uno scritto davanti alla Società di Architettura Navale Americana. Lo scritto si intitolava “La velocità della S.S. United States” e dopo aver rivelato che la nave disponeva di ben 240.000 cavalli, dichiarava che nelle prove aveva toccato i 38,32 nodi di punta chiedendo l’extra potenza alla sala macchine e cioè 241.786 cavalli in totale.
Nel viaggio inaugurale il progettista William F. Gibbs era a bordo e imponeva la velocità alla nave: non fece usare più di 150.000 cavalli per il primo giorno (e infatti coprì solo 696 miglia alla media 34,11 nodi) poi lentamente aumentò la potenza; 8001 miglia il secondo giorno(media 35,60,814 il terzo (media 36, 17) e infine 833 il quarto (media 36,21). Alle ore 5,16 (ora di Greenwich del 7 luglio 1952, l’S.S. United Srates passava davanti al Bishop Rock: era partito da New York 3 giorni, 10 ore e 40 minuti prima e aveva stabilito il nuovo record di traversata del Nord Atlantico alla media di 35,59 nodi, superando di 3,90 nodi la media fatta segnare nel 1939 dal Queen Mary. Quasi quattro nodi: sembrano pochi ma è il più grande divario di tutta la del Blue Riband.
Nel viaggio di ritorno la media è di 34,51 nodi e così il trofeo messo in palio dal baronetto inglese Sir Hales nel 1935 finisce negli Usa. La nave fece il suo dovere finché il mercato resse. Poi, tre giorni per passare l’Atlantico, sembrarono troppi a un mucchio di gente che preferì l’aereo e per la “big ship” fu la fine. Provarono a dirottarla su vìaggi- crociera, ma era comunque in perdita. E nessuno voleva assumersi questa perdita. Così, dopo aver coperto complessivamente 2.772.840 miglia marine e aver trasportato, in 17 anni, 1.002.936 passeggeri sull’Atlantico (più 22.755 in crociera), la S.S. United States venne messa in pensione. E, ufficialmente, lo è ancora.
Ma se vuole, passa l’Atlantico a 38 nodi di media, andata e ritorno senza stop. “The big ship” come la chiamarono gli yankee, è ancorata Newpoort News, in Virginia, vicino ai cantieri che l’hanno costruita nell’immediato dopoguerra.
Ogni giorno due incaricati salgono a bordo con un fiasco d’acqua dolce, la schiscetta del pranzo, e la percorrono per rutto il tempo che devono dedicare al lavoro: ordinaria manutenzione che, in linea di massima, si esercita nel cambiare le lampadine bruciate (circa 40 al giorno. I due si chiamano: John S. Tuckere e John Logue.
Alla fine degli anni Settanta ben tre iniziative commerciali avevano tentato di rimettere la nave in linea: per farne un hotel di lusso; per trasformarla in ospedale navigante e la terza per crociere turistiche ai Tropici. Il costo della “rimessa in opera” era stato calcolato superiore di qualche migliaio di dollari rispetto a quello di costruzione: 78 milioni di dollari del 1948.
Il resto è storia dei nostri giorni.
Le illustrazioni storiche d’epoca sono estratte dai volumi: “Il Nastro Azzurro” e “The Big Ship”, entrambe di Frank O.Braynard, il primo dei quali è pubblicato da Mursia (Antonio Soccol).
Un ringraziamento speciale va a Giacomo Vitale per aver editato l’intero articolo e Tito Mancini, senza il quale, il lavoro di recupero in OCR, sarebbe stato impossibile.
Grazie, grazie a voi tutti!
Il presente articolo è stato tratto dalla rivista mensile AQVA (n°26 – luglio 1988) diretta da Antonio Soccol e qui riprodotta in ricordo di questa grande sfida tra transatlantici e spiegata con semplicità ed efficacia dal nostro umile e semplice marinaio e da una persona immensa che non potremo mai dimenticare.
Ciao Antonio!!
Carissimo Tealdo è esattamente come tu dici e credimi lavorare su questi articoli di Antonio mi crea tanta emozione e dico a me stesso: speriamo che Antonio non si arrabbi… Scusa per il mio eufemismo giocherellone, ma Antonio ci manca veramente tantissimo e lo voglio ricordare in allegria…
Lasciami dire anche tu sei bravissimo con i tuoi articoli ben scritti, studiati e documentatissimi con foto sempre bellissime… e un bravissimo va anche agli amici di “Arte Navale”dove ne pubblichi un certo numero costantemente, che per testi, qualità di immagini, per le foto sempre stupende, il formato unico, è certamente il periodico cartaceo di nautica classica più bello al mondo che ho avuto di vedere e leggere.
Comunque ci adoperiamo per scovare articoli vecchi di Antonio e non ti dico nulla per il momento, è una sorpresa… per te e per i tanti lettori di AMB!! Che da appassionati leggevano e rileggono ancora i bellissimi articoli di Antonio..
Giacomo
Gli articoli di Soccol sono SEMPRE bellissimi e complimenti per la trasposizione, me ne aspetto altri, anche se so che danno molto lavoro