La piu’ misteriosa barca del mondo di Antonio Soccol
L’Arca, in sostanza, era quell’immenso portacontainer ante litteram che avrebbe salvato la vita sul nostro pianeta in occasione del Diluvio Universale traghettando, dopo 40 giorni di pioggia, uomini, animali e piante verso il futuro. Secondo il libro Genesi, progettista di quello scafo era Dio, l’armatore/costruttore un uomo buono di nome Noè (che fra i suoi meriti avrebbe anche quello di aver inventato il vino!), sono stupefacenti la storia di questa barca e la scoperta dei materiali usati per costruirla: merita attenzione perché le sorprese sono a volte incredibili anche dal punto di vista tecnico. Basta, per esempio, pensare al fatto che l’Arca venne, sembra, sostanzialmente costruita con un fasciame tipo “compensato marino”, ma con caratteristiche di robustezza largamente superiori a quelle che si ottengono con le moderne tecnologie e con colle naturali più forti delle resorciniche attuali (dettaglio non trascurabile visto che il compensato di oggi, quando si brucia, libera diossina e, quindi, inquina).
Entriamo nell’analisi. Intanto, che dimensioni aveva questo scafo? Le fonti sostanzialmente sono due: il Genesi (è il primo libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana) e alcune particolari “tabule” antiche ritrovate di recente.
Nel Genesi si dice che l’Arca misurava 300 x 50 x 30 cubiti (una misura, il cubito, che intendeva la distanza fra il gomito e la punta del dito medio di un uomo di statura normale: all’inarca fra i 43 e i 48 cm, qualcuno crede 50 cm). Ipotizzando una lunghezza media di 50 cm risulta che, per quegli anni, si trattava di uno scafo rettangolare immenso: 150 metri di lunghezza fuoritutto, largo 25 e alto 15 metri. Una volta e mezzo le dimensioni di un grande transatlantico moderno come Queen Mary e abbastanza vicine a quelle del Titanic (269 m di lunghezza, su 28 di larghezza e con 46.328 tonnellate di stazza). È stato calcolato, come riportano nel loro libro di Charles Sellier e David Balsinger L’incredibile scoperta dell’Arca Noè (Piemme editore, 1995), che l’Arca con il carico completo pesasse 24.300 tonnellate.
Le “tabule” sostengono invece che, come scrive Cristina Nadotti su la Repubblica del 3 gennaio 2010, l’Arca avesse forma rotonda: «Metti insieme la barca che costruirai di forma rotonda, fai in modo che la sua lunghezza e la sua larghezza siano eguali» è uno dei passi delle 60 righe incise in scrittura cuneiforme su una tavoletta d’argilla rimasta per mezzo secolo dentro un baule in una soffitta di Londra. In questa versione, Dio avrebbe anche raccomandato che l’Arca fosse costruita con fibre di palma intrecciate e incatramate e che avesse ripari per gli animali e le persone.
Insomma, questa benedetta Arca era uno zatterone rettangolare oppure qualcosa di tondo senza né prua né poppa? Non è facile distinguere la vera analisi scientifica nella confusione artatamente creata dai fanatici integralisti religiosi, alla disperata ricerca di qualcosa di tangibile a cui “attaccare” la loro fede che, naturalmente, è l’unica degna di considerazione. Avessero costoro almeno la capacità di fornire un’unica incontestabile versione della forma di questa particolare barca, insomma, di uniformare i contenuti dei loro “comunicati stampa”.
Le sorprese, però, non finiscono qui: sempre nello stesso libro citato, Henry Morris, professore emerito d’ingegneria idraulica, sostiene che quella barca era in grado di sopportare senza problemi onde di più di 600 (diconsi seicento) metri di altezza senza capovolgersi (sempre che, nella traduzione dall’inglese originale all’italiano, non si siano confusi i metri con i piedi; ma anche se così fosse, 180 metri sono un’onda immensa). «Non sempre», specifica Morris che aggiunge: «Se un’ondata di quelle dimensioni l’avesse colpita di fiancata si sarebbe anche potuta capovolgere. Ma l’aspetto più sorprendente rivelato dai test, è che l’Arca spingeva naturalmente la prua nelle onde». In sintesi, l’Arca avrebbe avuto sovrastrutture capaci di operare come timone automatico, roba da non credere e da insegnare rapidamente agli yacht/navette designer di oggi. Non per nulla, infatti, si dice che il suo progetto, successivamente, ha ispirato in modo determinante i costruttori navali di tutta la storia dell’umanità. Ma come fa ad avere prua una barca rettangolare? Boh.
E, ancora, come fa il dottor Morris a dire quanto dice? Semplice: ha costruito un modellino dell’Arca e lo ha sottoposto a test in un laboratorio d’idraulica (leggi vasca navale) dell’Università di San Diego, in California, dove, peraltro, è docente. E i risultati sono incredibili.
Naturalmente la prima domanda tecnica che ci si pone è: su quali parametri ed elementi è stato realizzato il modellino delle prove in vasca? Insomma, com’era davvero costruita l’Arca? E qui il mistero si fa fitto, probabilmente perché a certi ricercatori interessa di più usare questo argomento per dimostrare l’esistenza di Dio che non per vera vocazione alle ricerche archeologiche. Insomma più metafisica che autentica scienza.
Il problema dell’esistenza di un essere superiore non interessa tra le pagine di una rivista nautica e, comunque, non ci riguarda, ma bisogna ricordare alcune cose. Prima fra tutte che, come dice Angelo Palego nel suo Come ho trovato l’Arca di Noè: «La leggenda del Diluvio la si trova in tutte le culture arcaiche e preistoriche. Esistono oltre 150 racconti del Diluvio, sparsi sotto tutti i cieli, dall’Australia (RaTatèa) all’Iran (Zen-Avesta); dall’Italia (poeta Ovidio) al Messico (Chimalpopoca); dalla Russia (Vogul) alle Hawaii (Leg¬genda di Nu-U); dal Vietnam (Bahnar) all’Alaska (Kolusches e Tlin-git); dall’Arizona (Papago) all’India (Kamar e Bhil); dalla Guyana (Macushi) alle isole Fiji (tradizione di Walavu- Levu); dalla Cina (Lolo) all’Egitto (libro dei Morti); dall’Africa (masai) alle tribù native di Cuba. Quando gli spagnoli cominciarono a invadere le Americhe, quindi prima che arrivassero i missionari cristiani, riscontrarono che sia le nazioni più civilizzate sia le tribù che vivevano nella foresta avevano leggende del Diluvio. Solo in America, esistono 40 racconti indiani con alcune varianti fra di loro. Ad esempio, gli indigeni Navahos credono che il Gran Canyon si sia formato in conseguenza del grande Diluvio Universale.
Leggende, leggende… Complicate dall’ansia di dimostrare il valore di una religione ma altresì sorprendenti, se persino il grande Marco Polo nel suo straordinario Il Milione scrisse: «… e dovete sapere che in quella lontana terra d’Armenia, l’Arca di Noè giace ancora sulla vetta di un’alta montagna, con nevi così persistenti che nessuno è in grado di scalarla». Inoltre, nel 1254 il monaco Jehan Haithon scrisse: «Sopra le nevi dell’Ararat, un piccolo oggetto nero è visibile in tutti i tempi: questa è l’Arca di Noè». E vi sono molte altre citazioni e addirittura disegni che risalgono ad autori differenti negli anni 1647,1711, 1840. Insomma, quanto la Cia e il Kgb hanno ritenuto di tenere al massimo del “top secret”. già si sapeva nel 1271 quando il mio connazionale Marco Polo passò da quelle parti durante il suo straordinario viaggio in Oriente.
Ma c’è di peggio, come sempre quando scatta una forma d’integralismo religioso. Sentite cosa scrivono Charles Sellier e David Balsinger nel libro già citato:
Per secoli e secoli, centinaia di persone si sono messe in viaggio per raggiungere Aghri Dagh – in turco è Agri Dagi, ovvero “Montagna del dolore” – nella speranza di posare gli occhi, anche per un solo istante, su questo tesoro leggendario. Molti esploratori non sono sopravvissuti alle scalate dei pendii ripidi e instabili, ricoperti di roccia vulcanica, di ghiacciai e di crepacci profondi mascherati dalla neve.
I rischi dovuti a valanghe, ladri, animali feroci, serpenti velenosi e persino – in tempi recenti – terroristi sono costati la vita a molti esploratori. I pochi fortunati che sono riusciti a evitare gravi infortuni o – peggio – la morte, riuscendo a riportare testimonianze dirette su questo antico manufatto (incluse fotografie a conferma del racconto) sono stati poi vittime di svariate disavventure. Tutte le fotografie dell’oggetto misterioso (quelle scattate da privati) sono infatti scomparse. In un caso, addirittura, uno dei possessori è stato ucciso da qualcuno che voleva impossessarsi delle foto. Molti altri esploratori sono invece morti da tempo, portando con sé nella tomba le foto che documentano questo antico mistero.
Se, poi, a tutto questo clima da horror noir, aggiungiamo la fantasia di Hollywood (leggi il film Indiana Jones e i predatori dell’Arca perduta, con Harrison Ford nella parte dell’archeologo Indy e girato da Spielberg), la confusione è totale.
E c’è persino chi sostiene di aver staccato dai resti dell’Arca pezzi di legno e di averli sottoposti al test del carbonio: avrebbero esattamente l’età dichiarata dal Genesi… Ma no? E ancora: com’era composta quella pece che avvolgerebbe tutta l’Arca rendendola totalmente impermeabile? Che pece esisteva ai tempi di Noè? Infine, e solo per mera curiosità giornalistica, in Genesi 8:11 si legge:
… e la colomba tornò a lui verso sera; ed ecco, essa aveva nel becco una foglia di ulivo strappata di fresco; così Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla terra». In una sola giornata un albero di ulivo era riuscito, dopo quaranta giorni di diluvio, a produrre una foglia? Ma chi ci può credere? Per dovere di cronaca ricordo che in Genesi 9:18 sta scritto: «I figli di Noè che uscirono dall’Arca furono Sem, Cam e Jafet; Cam è il padre di Canaan». E in 19: «Questi tre sono i figli di Noè e da questi fu popolata tutta la terra». Da Seni discenderanno i popoli semiti (tra cui ebrei e arabi), da Cam discenderanno i popoli africani, mentre da Jafet i popoli europei (Greci e Romani).
Morale delle morali: abbiamo due versioni di quale geometria di costruzione potesse avere questa particolare barca ed entrambe nascono da testi religiosi (della stessa religione). Una dice che era rettangolare (e tale pare sia la forma del relitto scoperto sul monte Ararat) e l’altra rotonda. A quale credere? Mentre scrivo arriva la notizia che la Cia (Usa) metterà a disposizione le sue foto scattate da aerei spia e dai satelliti… come dire “chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati”.
Sorpresina finale: mai notato che la parola “barca” contiene integralmente l’etimo “arca” che, in greco, deriva dal verbo: arko, cioè essere a capo? Vedi nei composti, come mon-arca. patri-arca ecc.
Etimologicamente parlando, invece, “barca” può derivare da baris, in egiziano barit, citato da Erodoto come nave egiziana, oppure barkas, in ebraico barak, fulmine. Barca è anche il cognome cartaginese di Annibale mentre Barak è quello personale dell’attuale presidente degli Usa, Obama.
L’espressione “Arca di Noè” viene spesso usata anche per indicare cose salvate. Ma c’è anche chi scrive su Wikipedia:
«Lo psicologo israeliano Bennv Shanon ipotizza che il racconto di Mosè potrebbe trattarsi solo di frutto di allucinazioni. Mosè poteva essere sotto l’effetto euforizzante della corteccia di Mimosa hostilis, una pianta già nota nell’antichità, che cresceva nel deserto del Sinai; era chiamata shita (acacia) dagli israeliani e col suo legno fu costruita l’Arca. Così come tuttora sciamani di alcune tribù, durante riti collettivi, fanno uso di droghe naturali, lo stesso capotribù Mosé avrebbe potuto far uso della corteccia della pianta per ottenere un effetto allucinogeno e nel delirio raccontare dell’incontro avuto col Signore!
La stessa “Arca dell’Alleanza”, la cui esistenza e utilità sono ancora avvolte nel mistero, secondo alcuni studiosi di Ufo, potrebbe trattarsi di un “apparecchio radioricevente” radioattivo. Questo il motivo per cui, come detto nell’Esodo, doveva sempre essere avvolta in tre pesanti drappi mentre i Filistei, che se ne impadronirono e la toccarono, furono colpiti da piaghe (radiazioni?). La copertura fibrosa che copriva l’Arca era forse isolante e tratta da una pianta tipica di quei luoghi da cui si estrasse, successivamente, una gomma isolante.
Come un forte accumulatore, l’oggetto considerato sacro fulminò Uzzà, guardia di re Davide, che durante il trasporto la toccò per evitare che si rovesciasse. Sempre nell’ottica che il popolo (eletto) di Israele fosse “guidato” da entità aliene (soprannaturali) che all’epoca avevano avuto dei contatti con il popolo terrestre, la visione di Ezechiele del carro di fuoco può trattarsi di una piccola navicella (un modulo di trasferimento di una nave madre in orbita). L’ingegnere aerospaziale Josef Blumrich ne avrebbe perfino ricostruito un fac-simile. Ma la storia è piena di situazioni e di oggetti inspiegabili che porterebbero a non dubitare ulteriormente dell’esistenza di intelligenze extra terrestri.
Dalle strane incisioni preistoriche alle impossibili costruzioni megalitiche, fino ad arrivare al misterioso teschio di cristallo trovato a Lubaantùm (città Maya), di cose da capire ve ne sono ancora tante!». Gli effetti psichedelici sono, dunque, comparabili con la sostanza estratta dalla corteccia dell’albero di acacia. «E quest’albero viene menzionato spesso nella Bibbia», ha detto in conclusione Shannon al Time and Mind Journal of Philosophy. La notizia è stata ripresa anche dal quotidiano israeliano Haaretz, scatenando una serie di reazioni polemiche. Shannon, del resto, avrebbe ammesso che «chiunque può assumere allucinogeni ma per ricevere le Tavole della Legge bisogna essere Mosè». E quindi, per parlare con Dio su come costruire l’Arca bisogna essere Noè.
Già: però in questa storia ci mancavano solo gli allucinogeni e l’invasione degli alieni… Credetemi, amici lettori, il tutto è davvero quanto di più misterioso si possa immaginare.
E va anche valutato “l’eventuale legame” tra Arca e alieni.
L’Arca… degli alieni
Ci sono importanti implicazioni associate all’Arca. La prima, e probabilmente quella di minor valore, è che l’Arca conferma le varie leggende che si trovano in Genesi, nell’Epopea di Gilgamesh e in vari racconti di alluvioni.
Sembra si tratti di una reliquia di design e probabilmente di costruzione aliena. I Nommos, specie di anfibi alieni, arrivano nell’Africa del Nord poco prima del Diluvio Universale. I Dogon hanno vaste conoscenze astronomiche sul sistema stellare di Sirio, residenza degli alieni (Nommos).
Tra i fattori a favore di questa tesi ci sono la presenza di elevate concentrazioni di ossido di titanio (74°o) e di ossido di manganese (87%) nella zavorra e la presenza di accessori e chiodi di ferro (battuto?) 2.000 anni prima dell’età del ferro.
Il grande inquisitore MLH
Mi rammarico se, in questa rivista specializzata in nautica da diporto che, vedi caso, si chiama Barche (dove dunque di potenziali arche ce ne sono più d’una), ho parlato di problemi dello spirito e chiedo venia se ho toccato la sensibilità di qualcuno. Rimane però una domanda: quanto era malvagia quell’umanità che un Dio (per principio infallibile) aveva prima creato e poi deciso di distruggere quasi radicalmente? Al di là del fatto che uno si chiede: ma perché il bestiame? Anche flora e fauna possono esser malvagie? La risposta sarebbe però molto utile perché nulla costa pensare che ci possa essere un bis: abbiamo oggi un’umanità decisamente malvagia come testimoniano guerre (anche religiose) ovunque, razzismo, follia collettiva nei confronti del consumismo, moratorie mediatiche contro l’aborto per gravidanze indesiderate fatte solo per vendere qualche copia di un giornalino in più da chi si crede intelligente e poi con madri che mettono nel cassonetto della spazzatura i loro neonati… E abbiamo avuto anche chi ha scritto ufficialmente nel giornale di bordo della nave negriera, di cui era al comando, queste testuali parole: «Al principio di marzo salpammo dalla Guinea con 443 schiavi a bordo.
Al momento della partenza ne erano già morti 90. Il 7 maggio arrivammo a SaintThomas, per grazia di Dio e con il suo Santo aiuto». E come se non bastasse: «Dal 7 marzo era morto uno schiavo al giorno, un danno cui il Signore pose rimedio favorendo un ottimo accordo commerciale. Il valore dei vivi compensò la perdita dei morti». Roba da non credere: Dio sensale dell’economia dei negrieri! Sulla stessa lunghezza d’onda il cattolicissimo Cristoforo Colombo arrivò a scrivere che forse forse persino gli schiavi avevano un’anima! Senza scordare che in Bolivia, vicino a quella che era la grande miniera d’argento di Potosì, è riprodotta una bolla papale che dichiara che i negri non hanno anima!
L’uomo ha sconvolto il clima del pianeta creando catastrofi drammatiche e penalizzando sempre i più poveri. Costruiamo centrali atomiche incredibilmente mortali perché piazzate su faglie terrestri certamente in prossima fase eruttiva (Usa) oppure in località dove tutto brucia… Applaudiamo felici una religione che, dopo sette crociate con migliaia di morti, dopo aver cercato di distruggere Galileo Galilei e dopo aver messo al rogo gente come Giordano Bruno e la Pulzella d’Orléans, si rappacifica con la sua drammatica storia (leggi Inquisizione, per esempio) con un semplice «Chiediamo perdono». Troppo comodo.
Insomma, perché il Genesi dice testualmente:
II Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che il male. E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo.
II Signore disse:
Sterminerò dalla Terra l’uomo che ho creato
A cosa si allude? Forse a episodi di pedofilia? Non siamo, oggi, tanto ben messi neppure in questo settore.
Dunque, l’ipotesi di un nuovo Diluvio Universale ci può pure stare.
Ma quanto dovrebbe esser grande la nuova Arca per salvare il salvabile? Ho chiesto suggerimenti al collega Decio Lucano, il miglior esperto d’Italia in fatto di navi, e mi ha scritto:
Una delle ultime navi portacontainer, la Emma Maersk, ha fatto scalpore, e della Cma Cgm, bandiera francese. Lunghezza f.t. 365,5 m., larghezza 51,2, pescaggio 15,5 m. Portata lorda 148.000 tonnellate. Capacità: 13.344 contenitori da 20′ (ma ormai sono tutti da 40′), 800 sono reefer. Potenza 13.000 kW; velocità max 25 nodi; 23 persone d’equipaggio. Ma stanno costruendone di ancora più grandi.
Per salvare il futuro, di cose da traghettare ce ne sarebbero una immensità. Insomma, ci vorrebbe qualcosa di megagalattico che si potrebbe anche fare. Ma non sarebbe più opportuno, questa volta, che ciascun nucleo umano, ciascuna famiglia avesse la propria Arca ben ormeggiata in una sicura darsena e sempre pronta all’evenienza? Naturalmente sarebbe anche opportuno che l’uomo sapesse l’arte del navegar.
E allora cosa aspettiamo? Mettiamoci un po’ di musica: ci sono raccolte di Battiato e canzoni di Endrigo sull’Arca e tutti al Salone di Genova a comprare la “b-arca” salva vita! Ma, attenzione, che sia in grado di reggere ondate alte 600 metri! Scherzo… E tutti a scuola di navigazione.
Per quanto mi riguarda ho già provveduto da tempo: ho imparato a navigare quand’ero minorenne e, negli ultimi 52 (diconsi cinquantadue) anni, ho navigato molto anche con mare formato. Non per nulla da sempre la mia Fede è il mare. E così mi auguro possa esser per voi. Amen.
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Grande! Un vero piacere leggerti.
Virginio Gandini
Buona Navigazione, caro amico che non conosco!
Grazie al Sergio Abrami che mi ha detto essere oggi al tuo funerale, ti ho cercato, come da lui suggerito, su Google ed ho letto con estremo piacere il tuo articolo sull’Arca di Noe’.
Quell’albero della gomma a cui ti riferisci, riguardo all’Arca dell’alleanza deve essere Lo Storace (mio cognome). Forse, quella storia del nostro lontano passato era archiviata nella Biblioteca di Alessandria ai tempi di Ippazia (400 d.c.) purtroppo… andata in fumo grazie ai terroristi cristiani!
Andrea Storace
Lei è sempre il migliore. Un abbraccio grande come il mare!
Amanda Poy
Che difficile trovarti…
Ciao.
Aldo