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La barca non è un auto (IV puntata)

03/05/2007/2 Commenti/in Antonio Soccol, Antonio Soccol - Articoli, Articoli riviste nautica, La barca non è un auto/da Antonio Soccol

di Antonio Soccol

…ci vogliono almeno vent’anni perchè un’idea sia recepita,
trenta perchè venga realizzata.”Charles-Edouard Jeanneret, detto “Le Corbuiser”

La rivista scientifica “Popular Science” ha pubblicato la lista delle 100 invenzioni che, tecnologicamente parlando, hanno maggiormente contribuito a migliorare il 2006.

Segnaliamo il chiodo HurriQuake (fusione tra le parole uragano e terremoto), messo a punto dall’ingegnere americano Ed Sutt. Si tratta di un chiodo studiato per resistere appunto a uragani e terremoti. Sopporta un vento di 273 km orari. In pratica, ha commentato qualcuno con ironia, la casa vola via ma il quadro rimane appeso. Altra invenzione premiata è la console per videogiochi Wii, sembra non sia ancora arrivata in Italia, che promette di rivoluzionare il mondo dei videogames.

Premiato anche il Water Cube di Pechino, la struttura che ospiterà le gare di nuoto durante le Olimpiadi del 2008. L’ edificio è rivestito con un particolare involucro di teflon capace di catturare l’ energia solare, permettendo un notevole risparmio energetico.

Nel settore medico segnaliamo infine l’ invenzione di Anthony Atala, ingegnere della Wake Forest University, che ha messo a punto la vescica artificiale. Nessuna segnalazione che riguardi il settore nautica da diporto. Chissà perchè?? Bah… Pensavo a questo fatto proprio il giorno in cui ho ri-incontrato Giorgio V. Eravamo stati compagni di banco negli ultimi tre anni di liceo (scientifico) a Venezia. Poi lui si era iscritto alla facoltà di chimica (che orrore!) e io ero venuto a Milano a fare il vagabondo. Per quarantasei anni non ci eravamo più visti.

Poi, un incontro quasi fortuito dallo stesso dentista, il magnifico professor Massimo Simion, grande fotografo subacqueo, ottimo velista oltre che esimio cavadenti, aveva rivelato ad entrambi di vivere nella stessa città e di essere, nel frattempo, anche cresciuti. Giorgio V. veniva a scuola a Venezia, ma era di Mestre. Insomma era (ed è rimasto) un terragnolo.

La vita gli ha detto bene, ha fatto l’a.d. per imprese chimiche di importanza mondiale e ora si gode la pensione. Dice che gli sta bene e allora così sia. Ne parlo perché ad un certo momento del nostro incontro mi ha raccontato di essersi preso una casetta in Sardegna dove, su stimolo dei figli, ha pensato che una barchetta poteva esser comoda e piacevole. Non una cosa grande per far crociere ma giusto per andarci a fare il bagno e qualche giretto dalla mattina alla sera. Insomma, quel che si dice una barca da diporto, no?

“L’ho tenuta per un paio di stagioni con sempre minor interesse e poi l’ ho venduta”. Annoiato, mi ha detto.

Per poter condurre la barca, ovviamente, il mio amico aveva dovuto prendersi la patente nautica e quindi aveva imparato a fare le manovre… “Ma per il resto era solo pura noia: metti già le manette e chi ha più cavalli cammina di più. Dov’è il bello?”, ha concluso. Poi, vedendo la mia faccia un po’ perplessa, ha anche aggiunto: “Boh, forse la barca non era quella giusta. L’ avevo acquistata usata su consiglio di un esperto locale. Era stata costruita sul lago e, secondo i miei figli, le barche fatte sui laghi non vanno bene al mare. So solo che aveva una coppia di motori che ciucciavano benzina come due idrovore: una cosa sproporzionata. Allucinante. Diciamo pure immorale.

Che nel 2007 giri ancora la leggenda che le barche fatte sui laghi non vadano bene al mare mi ha stupito non poco. Era “chiacchiera” artatamente messa in circolazione negli anni Sessanta quando i cantieri Posillipo (Napoli, mar Tirreno) cercavano di contendere il mercato dei motoscafi di prestigio ai cantieri Riva (Sarnico, Lago d’Iseo). Entrambe le produzioni erano basate su scafi con carena rigorosamente piatta allo specchio di poppa e quindi avevano sull’ onda prestazioni analoghe in assoluto ma i bravi napoletani sapevano già allora che nessun utente guarda mai sotto alla propria barca e/o capisce di carene. Così misero in giro quella “diceria”.

Il tutto continuò finchè nel 1972 Carlo Riva non si stufò e iscrisse un suo Aquarama alla gara “Londra-Montecarlo”, una prova straordinaria in 15 tappe e lunga ben 2.544 miglia marine (4.715 chilometri). Affidato alla straordinaria guida di Gianfranco Rossi (Renato Mazzolini e Ettore Andenna era gli altri due membri dell’ equipaggio) il motoscafo “Zoom” si piazzò secondo assoluto a circa 8 ore di distacco dal primo (“HTS” pilotato da Bellamy, Chater e Brooker) ma con oltre tre ore di vantaggio sul terzo (“Miss WD-40” dei coniugi tedeschi Ute e Oscar Trost). Erano partiti in 21 e solo 6 (sei) arrivarono al Principato di Monaco il 25 di giugno: una gara massacrante, davvero.

E da quel giorno nessuno potè più dire che le barche da lago non potevano andare anche sugli… oceani. Naturalmente non era affatto vero, perchè quelle carene erano drammaticamente dure e ben poco marine ma come contestare un simile risultato? Forse ricordando che poco dopo Carlo Riva si comprò una barca da Don Aronow con carena a V profondo mentre, nei mesi successivi, il cantiere che portava il suo nome chiese a “Sonny” Levi di progettargli il “Riva 2000” un cabinato da 11,25 m ft. che, allo specchio di poppa, aveva un bel 20° di diedro. Già: persino Riva aveva capito l’ importanza di una carena a V profondo. Sia sui laghi che sui mari.

Ma torniamo al mio disinformato amico Giorgio V. e ai suoi figli “mal informati” oltre che vittime di antiche leggende napolitanmarinare… Mi affrettai a chiedergli se ricordasse il nome del costruttore di quella sua barca noiosa: Eugenio Molinari, mi disse dopo aver forzato la memoria. Beh, i Condor e i Soncor del bravo Eugenio hanno “carene da lago”… da un bel po’ di decenni. E allora la realtà è sempre la solita: anche Giorgio V., così come quasi tutti i motonauti da diporto, aveva comprato una barca pensando che fosse un’ automobile. Quando ha scoperto che non era vero, l’ aveva venduta.

Nel 1960 Jacques Piccard, figlio di Auguste, cioè dell’ inventore del batiscafo, concesse una intervista a Gianni Roghi che la pubblicò su L’Europeo di fine agosto di quell’ anno. Jacques aveva condotto il “Trieste” a 10.914 metri di profondità, e parlava della nuova grande epopea dell’uomo: la conquista del mare. Ad un certo momento il grande ricercatore disse: “Questi nostri sperimenti hanno valore soprattutto in visione della futura navigazione, che non sarà certamente come oggi metà fuori e metà dentro l’ acqua con enorme dispersione di energie, ma interamente subacquea, secondo le buone regole della fisica e della natura. Dovremo veramente, insomma, imitare i pesci o i delfini, in tutta la loro tecnica, che è quella giusta”

Nel 1968, Renato “Sonny” Levi fu incaricato di studiare per i fratelli inglesi Gardner una nuova barca da corsa offshore che sostituisse il loro favoloso “Surfury” già affaticato da quattro anni di corse. I fratelli Gardener avevano corso anche con il Delta Levi 28′ , vittoriosa nel 1967 in tre gare inglesi ed in testa alle prime 40 miglia della gara Cowes-Torquay dello stesso anno. Il progettista immaginò “la navigazione attraverso le onde invece che sopra di esse”. Nacque cosìil disegno di Ramcraft 32 che si può vedere nel libro “Milestones in my design alle pagine 144/145 e che successivamente diede vita a quella straordinaria prova che fu “Dart”, la prima e unica barca costruita per navigare dentro alle onde.

Ramcraft 32 disegno di
Ramcraft 32 disegno di “Sonny” Levi (foto da libro “Milestones in My Designs”)

Surfury
“Surfury” progettata da “Sonny” Levi per i fratelli inglesi Gardner

Delta 28 offshore ispirato a Surfury disegnato da Levi per i fratelli inglesi Gardner
Delta 28 diegnata da “Sonny” Levi per i fratelli Gardner – Cantiere Souter di Cowes

Dart progetto Levi - Cantieri Vega di Vimodrone (MI)
Dart, barca progettata da “Sonny” Levi – costruzione dei cantieri Vega di Vimodrone (MI) (foto: Antonio Soccol)

Dart Progetto Levi
Un’ altra immagine di Dart in planata (foto: Antonio Soccol)

Fu colpa mia se quella incredibile esperienza naufragò banalmente. Avevo trovato chi, pur di sperimentare, era disposto a mettere gratis il progetto (Renato Levi), chi costruiva la barca (Giorgio Adreani, titolare del cantiere Vega) e chi “prestava” i motori: due Alfa Romeo, 4 litri, da corsa che davano complessivamente 1000 cavalli a 8200 rpm (ing. Chiti dell’Autodelta). Così credevo scioccamente di aver fatto bingo. Ma mi dovetti amaramente ricredere quando arrivò il momento di fare il primo pieno di carburante.

Chi pagava? I tre si guardarono in faccia con l’aria di dire: “Io che c’entro? Io, la mia parte l’ ho fatta” Di sponsor in quegli anni (siamo nel 1973) non si parlava nemmeno per caso… Quattro palanche per la “gestione” generale le mise allora Alfredo Micheletti che così diventò il pilota ufficiale di quella barca-esperimento mentre come secondo pilota salì a bordo Guido Buriassi. Ma al primo banalissimo incidente tutto il progetto franò e di quella barca non rimase traccia. Però l’ idea è vincente: non vi sono dubbi. E prima o poi qualcuno la realizzerà anche se non assomiglia ad una automobile.

Mi chiedo cosa possa pensare Giorgio V. di un futuro così… e mi rispondo con le stesse parole che ha usato, ben quarantasette anni or sono, Jacques Piccard in occasione dell’ intervista rilasciata a Gianni Roghi: James diceva: “quando c’ è qualcosa di nuovo nel mondo, l’ uomo anzitutto non ci crede, poi lo ammette e commenta che “è vecchio”, e soltanto al terzo stadio riconosce la verità”.

Noi, con le barche-casa di oggi, siamo poco prima del primo stadio.

(Continua…)

Articolo apparso su “Barche” di aprile 2007, riprodotto per g.c. dell’ autore – Tutti i diritti riservati. Note Legali

Tags: Antonio Soccol, Barca Dart, La barca non è un auto, Milestones in my designs, Ramcraft 32, Venezia Montecarlo
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2 commenti
  1. Giacomo Vitale
    Giacomo Vitale dice:
    26/08/2009 in 09:49

    Gentile Luca,

    vedo che fai un po’ di confusione e che non sei molto pratico della materia. E’ ovvio che sull’asse di sinistra va montata un’elica sinistrorsa che girando a sinistra, spinge la barca in avanti, mentre sull’asse di destra va montata un eliche destrorsa che, girando a destra, spinge la barca in avanti. In entrambi i casi le eliche per poter spingere la barca in avanti, spostano l’acqua da prua perso poppa. In retromarcia, invece, il discorso è inverso.

    Per quanto riguarda i timoni di cui tu parli in modo poco chiaro è necessario che ci invii delle immagini con la barca alata, che ci permetta di osservare il tipo di eliche montate ed i timoni a tunnel, come tu li definisci, che possono essere di diverso tipo. Solo dopo aver ricevuto ed osservato le immagini richieste possiamo darti risposte corrette. Diversamente, data la tua non padronanza della materia e la non precisa descrizione, si rischierebbe di cadere in errore, fraintendendo qualche tua non corretta indicazione.

    Restiamo in attesa delle immagini richieste.
    Ti ringraziamo per averci contattato.

    Giacomo Vitale
    Altomareblu

  2. luca
    luca dice:
    25/08/2009 in 22:49

    Vorrei sapere se le eliche di superficie con timone a tunnel debbano spingere l’acqua verso prua o verso poppa. Praticamente quella destrosa a sinistra e quella sinistrosa a destra e cosa cambia in prestazioni e manovrabilita’.
    Grazie .
    Luca

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