Catamarano progetto Renato Sonny Levi: Fat Cat
Nel 1966 ho prodotto alcuni progetti per catamarani da corsa offshore, applicando il concetto “ram wing”. Non è facile tradurre in italiano questo termine aeronautico: potremmo dire, forse, “ala spinta” o, ancora più letteralmente, “sperone alato”. Ma, probabilmente, è inutile tentare una confusa traduzione e conviene utilizzare il termine inglese. Il concetto che esprime, peraltro, è noto e comune.
DATI DI TARGA
- Lunghezza fuori tutto 6,20 m
- Larghezza massima 2,60 m
- Larghezza allo spigolo 0,71 m
- Superficie alare 9,5 mq (q=quadrati)
- Diedro allo specchio di poppa 35°
- Motori Mercury 100 HP 2 o 3
- Potenza massima 200 o 300 HP

Il principio dell’ ala che sostiene attirando verso l’alto qualsiasi oggetto che abbia una certa velocità si può applicare, naturalmente, anche alle imbarcazioni veloci e in particolare ai catamarani. Personalmente sono piuttosto stupito che quasi nessuno degli attuali catamarani da circuito offshore, che pur raggiungono velocità importanti, sfrutti questo elementare principio di fisica.
Però è così: basta guardare queste barche di profilo per rendersi conto che non ricercano seriamente alcun effetto “ram wing”, il che è quanto meno bizzarro se si ricorda che l’ offshore degli ultimi anni Ottanta e degli anni Novanta è dominio assoluto dei catamarani svolgendosi quasi tutte le gare in acque protette (e se c’è mare agitato vengono scelti percorsi alternativi più brevi e ridossati o addirittura le gare vengono annullate).
La velocità pura in acque tranquille è, insomma, l’obiettivo dei progettisti che, quasi sempre, la ricercano attraverso il massimo incremento di potenza motrice come testimoniano le linee di coperta rigorosamente piatte dei loro progetti. Oltre che, ovviamente, con l’effetto di sostentamento dato dalla pressione che si crea sotto al tunnel.
Il mio primo catamarano con effetto “ram wing” risale, come ho detto, al 1966. Il progetto era per Violet Aitken (moglie di Sir Max Aitken, proprietario del Daily Express e “inventore-organizzatore” della Cowes-Torquay) e venne costruito e messo a punto da Len Melly e Jobn Merryfield. Disegnai due scafi simmetrici sulla lunghezza di 6,20 metri e con un diedro allo specchio di poppa di ben 35 gradi.
L’ala di congiunzione fra i due scarponi iniziava immediatamente alle spalle del posto di guida, poco dopo la quarta ordinata di calcolo. Ciascuno scafo aveva una larghezza di 0,71 m, mentre complessivamente la barca era larga 2,60 m. La superficie alare era di 9,5 mq. Alcuni dettagli del progetto erano imposti dalle regole dell ‘UIM vigenti in quegli anni nella classe 3 offshore. Regole che poi sono state semplificate e comunque cambiate e che rendono oggi piuttosto vecchio questo progetto.
La barca è risultata abbastanza pesante: in realtà una delle mie preoccupazioni maggiori era la robustezza delle travi che collegavano i due scarponi. Temevo l’effetto devastante della velocità su mare agitato con la tendenza dei singoli scarponi ad andare ciascuno per proprio conto in funzione del loro impatto con le onde. La spinta era garantita da una coppia di motori fuoribordo Mercury da 95 cavalli e ogni fh era montato a poppa di ciascun scarpone (in certe occasioni Lady Aitken utilizzò Fat Cat per gare di classe 2 e in questi casi applicava un terzo motore fu centrale).
La velocità massima raggiunta da questo scafo non è mai stata eccezionale proprio per il suo eccessivo peso e questo ha impedito di avere un buon effetto “ram wing”. Fra l’altro avevo inserito nel progetto alcuni dettagli augurandomi di ottenere la velocità sufficiente per utilizzarli: una specie di flap aereo al termine dell’ ala con il quale speravo di poter variare l’assetto della barca. E delle chiusure laterali ai bordi dell’ ala per aumentare il sostentamento aerodinamico.
Tutto questo venne eliminato dopo alcune prove quando risultò evidente che si trattava di complicazioni senza vantaggio, In compenso Fat Cat si dimostrò un’ottima barca in mare agitato. Dal punto di vista strettamente agonistico Lady Aitken ottenne un terzo posto assoluto nella Round the Island del 1966; un secondo posto nella Isle of Man Race e un quarto nella Cornish 100 dell’anno successivo, non molto, forse, ma ci furono anche parecchie avarie meccaniche, E comunque non male per essere il prototipo del primo catamarano offshore. L’anno successivo, cioè il 1967, portò alcune modifiche nel regolamento UIM di classe 3 in particolare nella disposizione dei posti di guida e questo permetteva di avere una sezione d’ala più sottile, e tenni conto quando il cantiere Cosnava mi chiese di preparare i progetti per Skorpion, il primo catamarano offshore della storia italiana richiesto da un bravo pilota: Edgardo Mungo.
Disegnai due scafi simmetrici da 6,40 m ciascuno con 18 gradi di diedro allo specchio di poppa e li congiunsi con un’ala da 9,7 mq di superficie per una larghezza massima dello scafo di 2,40, La spinta doveva venire da una coppia di fuoribordo Evinrude da 115 cavalli.
La struttura costruttiva di questo catamarano risultò estremamente più semplice (e leggera) di quella di Fat Cat e inoltre anche la superficie aerodinamica frontale risultò decisamente più compatta grazie all’impiego di un profilo alare basato sul piano U.S.A. 35-B modificato.
Da segnalare che i due scarponi erano caratterizzati da due redan che lavoravano appena oltre la quinta ordinata di calcolo.
Un altro aspetto interessante di Skorpion era che aveva il suo C.P. (Centro di Pressione) a poppa del C.G. (Centro di Gravità). Un gruppo di tecnici sancì rapidamente che questo rendeva la barca inutilizzabile. Un vero peccato, per loro, che Mungo l’abbia poi portata a parecchie vittorie nelle gare in Mediterraneo e, fra l’altro, che qualsiasi aeromobile possa e debba volare avendo il suo C.P. a poppa del C.G.
Il presente articolo tratto dal libro Milestones In My Designs è stato pubblicato su AMB per gentile concessione dell’autore Renato “Sonny” Levi.
Gentile Miki,
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Giacomo Vitale,
AltoMareBlu
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Miki