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Il Futuro – da Milestones in My Designs di Renato Sonny Levi

10/11/2007/2 Commenti/in Barche veloci, Carena Triciclo Rovesciato, Libro Milestones in My Designs, Renato "Sonny" Levi/da Renato "Sonny" Levi

di Renato “Sonny” Levi

Barca con carena a triciclo rovescio

Barca con carena a triciclo rovescio

Non è proprio una fortuita coincidenza se sto scrivendo la conclusione di questo libro dal mare di Tailandia. Da anni volevo fare un break di lavoro e quando se ne è presentata l’occasione mi sono detto che mi sarebbe servito per scrivere il capitolo finale.

Come ho già detto, l’Estremo Oriente esercita su di me una fatale attrazione e mi porta a quella serenità di spirito necessaria per trovare l’obiettività nei confronti della mia filosofia di progetto.

L’Oriente non ha certo più il fascino misterioso dei tempi di Conrad e di Stevenson: chiunque, in poche ore, può arrivare in questa remota parte del nostro pianeta con le tariffe contenute dei viaggi organizzati. Non di meno, per chi lo sa vedere, il fascino esotico c’è ancora, qui, in questo mare, che è puro smeraldo, vicino a quale sto seduto, godendo la piacevole carezza della brezza e il delicaot stormire delle foglie di palma.

Guardando indietro, a circa 40 anni fa, a quel mio primo progetto di moto vedetta da 32’ per la polizia di Bombay, tutto mi sembra irreale, anche se alcuni dettagli sono ancora ben vivi nella mia memoria. Per esempio, la diagonale interna del fasciame dell’opera viva che era stata tolta e rifatta perché si era deformata a causa dell’umidità monsonica.

Ricordo come ne fui sorpreso perché avevo detto, a ragione, che il legname ad alta densità avrebbe risentito poco delle variazioni d’umidità. Era stato usato legno di rosa, una specie di piombo in termini di densità specifica. Bene: così come non c’è regola senza eccezioni, anche gli esperti vanno ascoltati con caute­la. Da allora, per quel che mi riguarda, ho modificato molto il mio modo di progettare. Ma come si può misurare il progresso? È impossibile quantifi­carlo, perché il progredire è continuo, fino alle soglie della vita, ed è ne­cessario anche alla nautica.

E’ possibile, però, valutare l’entità di una modifica nel progetto di una bar­ca a propulsione meccanica, iniziando dal suo apparire al cambio del seco­lo. Durante questo arco di tempo, gli anni ‘60 e i primi ‘70 sono stati forse quelli dei maggiori cambiamenti nel campo delle imbarcazioni veloci pla­nanti. In quel periodo, la forma degli scafi è radicalmente cambiata: sono apparse le carene a V profonda e i Delta; nuovi metodi e nuovi materiali sono stati esplorati e applicati nelle costruzioni. Anche la motorizzazione e la propulsione hanno realizzato enormi incrementi di potenza, e si è vista l’introduzione di nuovi sistemi di propulsione quali lo “stern drive” e, più tardi, le eliche di superficie.

Si deve anche notare che la maggioranza di queste nuove idee è oggi uni­versalmente accettata, anzi, è diventata pratica corrente. Nel senso miglio­re del termine, questo è progresso, e la prova materiale è che concezioni di­verse, grazie all’intelligenza dei venditori di barche, possono diventare in breve tempo di moda. Le barche militari ad alta velocità e in misura mino­re, i veloci traghetti passeggeri, che dispongono di investimenti per la ricerca, hanno dimostrato in varie occasioni come si raggiunge un obiettivo.

Negli anni ‘50 e ‘60 gli aliscafi e gli hovercraft erano considerati veicoli fu­turibili. Più recentemente sono diventati di moda i catamarani e, oggi, i multiscafi che speronano l’onda. Molti studi di progettazione e molti cantieri nel mondo affidano le loro espe­rienze per gli anni ‘90 e il prossimo secolo al SES (imbarcazioni a effetto superficie). Tuttavia, se queste soluzioni offrono sicuri vantaggi all’alta ve­locità, mi sembra però che la vera risposta stia altrove.

Gli aliscafi passeggeri, equipaggiati con alettoni di superficie, hanno tocca­to con successo i 30-35 nodi in tutte le parti del mondo dove sono in fun­zione. Oltre queste velocità sospetto che si verifichi un grosso e progressi­vo ostacolo in termini di efficienza.

Le imbarcazioni equipaggiate con alet­toni immersi a incidenza variabile, d’altra parte, sono state in grado di raggiungere velocità ancora maggiori, ma risultano essere sofisticate e mol­to costose. Alle alte velocità la resistenza delle appendici è piuttosto impor­tante. Si potrebbe pensare che abolendo la resistenza d’attrito dello scafo e delle eliche, come avviene nel caso del cuscino d’aria degli hovercraft, si possano ottenere velocità maggiori. E invece queste imbarcazioni, ben lun­gi dall’essere lente, hanno però una velocità massima limitata perché devo­no tener conto della resistenza della pressione dell’onda e della non trascu­rabile resistenza della gonnellina.

La porzione più bassa della gonnellina a contatto con l’acqua è rafforzata da pieghettature, chiamate “dita”, che de­vono essere sufficientemente rigide per resistere alla pressione dell’aria del cuscino. D’altra parte, l’innegabile vantaggio di queste imbarcazioni sta nel loro poter “attraccare” anche a terra. Devo confessare che non capisco del tutto la crescente popolarità di cui godono i catamarani per il trasporto veloce passeggeri. La grande piattaforma libera e la buona stabilità iniziale offerta da questa configurazione geometrica sono viste naturalmente di buon occhio dagli operatori.

Al contrario, gli alti tunnel necessari per tener testa, in acque aperte, alle condizioni del mare richiedono una struttura for­te e di ottima ingegneria per mantenere uniti gli scafi. Pertanto, questo tipo di imbarcazione è pesante e anche costoso. Il che significa, in realtà, che a parità di costi e di peso si può costruire un monoscafo molto più grande, probabilmente con la stessa capacità di carico; che, a mio avviso, sotto ogni punto di vista, supererebbe un catamarano più corto, risultando anche assai più confortevole, specialmente con mare grosso.

Sono stato pesantemente avversato quando, recentemente, ho esposto que­ste mie opinioni a un architetto specialista in multiscafi. Sosteneva:

le pro­ve in vasca hanno dimostrato che, per un dato dislocamento, due scafi ben proporzionati offrono meno resistenza di uno solo

Io, naturalmente, ho chiesto il nome del progettista del monoscafo!
Mi è stato anche detto che la distanza tra gli scafi è, sì, un punto critico, ma che se questi sono disposti correttamente, presumibilmente a tutte le andature l’interazione dell’onda può produrre spinta!

Mi è subito venuto in mente quella rivoluzionaria teoria che avevo sentito esporre da un noto disegnatore d’automobili, il quale sosteneva che valeva la pena di progettare la parte posteriore di una macchina da corsa larga e a coda tronca perché la bassa pressione di quella zona avrebbe risucchiato l’a­ria circostante, che a sua volta avrebbe aiutato a spingere avanti la macchina! Non è lo stesso che dire: “mozzando la parte posteriore, si riduce la disper­sione della bassa pressione, il che, a sua volta, fa diminuire la resistenza”.

Sia come sia, la moda del catamarano sembra continuare e, anzi, stanno ar­rivando dall’Australia i “wave piercers” (tagliaonde), che inonderanno il futuro come le imbarcazioni SES. Alla fine degli anni 60 avevo fatto alcu­ni schizzi di progetto, ai quali mi riferisco come ai miei “principi passan­ti”. Nell’ultimo capitolo di “Dhows to Deltas”, che ho scritto oltre 20 anni fa, ho fatto menzione a questi “principi passanti” come soluzioni possibili, in mare formato, per gli scafi veloci del futuro. Benché questa sia la teoria su cui lavorano i “wave piercers”, non sono proprio sicuro che sia buona per i multiscafi di questo tipo. Ho valutato questo principio per i monosca­fi dove, per tagliare l’onda, l’accelerazione verticale potrebbe essere ridot­ta, permettendo alle alte velocità un percorso più morbido, senza grossi ri­schi di effetti dannosi quali “spinouts” eccetera.

Con un catamarano si ha lo stesso problema, particolarmente con mare di poppa: potrebbe accadere. di straorzare quando la barca sbanda sottovento e lo scarpone di questo bor­do è completamente immerso nell’onda. Se sottovento non si ha portanza dinamica o idrostatica per rimediare alla situazione, la barca continuerà a sbandare finché l’altezza del tunnel fornirà la necessaria forza per farla rad­drizzare; ma potrebbe capitare anche che si ribaltasse.

In un trimarano, dove lo scafo centrale è ben libero dall’acqua, questa situa­zione è meno rischiosa, ma mai abbastanza perché il movimento di straor­zata sarà così violento da far drizzare i capelli, In questi ultimi anni c’è sta­to un revival di interesse per il SES (effetto di superficie). Dico revival per­ché questo tipo di barche era già stato costruito in America e in Gran Breta­gna negli anni 60, solo che erano conosciute come “side walls”.

Il principio è lo stesso degli hovercraft, cioè su cuscino d’aria, ma la loro geometria è quella dei catamarani: due scafi che formano lateralmente delle barriere all’aria, a poppa e a prua una gonnellina per mantenere la pressio­ne dell’aria nel tunnel. La maggior parte di queste imbarcazioni, oggi, è azionata da eliche convenzionali ad albero immerso, e solo di recente mon­ta idrogetti, considerati molto più efficienti. Né l’uno né l’altro di questi sistemi è almeno per due ragioni, del tutto conveniente per le alte velocità.

Per ottenere i migliori risultati possibili in termini di performance, l’imbarcazione deve planare sull’acqua con gli scafi laterali immersi quanto basta per mantere la necessaria pressione d’aria nel cuscino. Inoltre, questi scafi sono molto stretti per offrire un attrito frontale minimo: dove mettere le prese d’acqua degli idrogetti in modo che non abbiano problemi? E’, in ogni caso, supposto che ci sia una soluzione possibile, ciò deve accadere in modo che gli scarponi restino nell’acqua, mentre si produce un considerevole sforzo per farli uscire! Gli assi convenzionali immersi sono fuori questione in questa situazione dove la loro resistenza addizionale può essere superiore a quella totale dell’imbarcazione.

Secondo i sistemi di propulsione oggi disponibili, solo le eliche di superficie, o forse le eliche aeree sembrano idonee per ottenere risultati ottimali con questo tipo di natanti. Ho, inoltre, altre riserve sui SES come barche veloci del futuro. La vasta zona frontale spuntata che queste barche hanno crea obbligatoriamente una grande resistenza aerodinamica e di onda. Non sembra un compito di facile esecuzione correggere la gonnellina di prua in modo da modificarne leggermente la forma senza aumentare la parte immersa. Da un punto di vista idrodinamico, quando la barca è spinta ai massimi limiti della sua performance, c’è un punto critico in cui la resistenza dell’onda di pressione e delle carene laterali, combinata con la resistenza della gonnellina diventa più elevata che in un veloce monocarena. Penso che questo limite possa presentarsi a velocità intorno a valori-tipo V/? L x 5 o 6, vale a dire sotto ai 50-60 nodi per una imbarcazione di 100’ alla linea galleggiamento.

Questo limite di velocità potrebbe essere minore nei monoscafi con mare mosso. Un altro aspetto che mi lascia qualche perplessità in questi progetti riguarda la stabilità di rotta. Come ho già detto, il miglior assetto per la massima velocità, almeno in linea teorica, si ha quando in corsa scafi sono sufficientemente immersi per contenere la pressione del cuscino d’aria dentro il tunnel. In questa condizione, il centro di resistenza latera (CLR) degli scafi risulta abbastanza avanti. In acque calme questo comporta solo una tendenza a straorzare ma, con mare di poppa, quando la prua “affonda”, il CLR si sposterà molto più avanti, rendendo la direzione della barca molto instabile. Dunque, in queste condizioni, sarà più difficile governare con onde più alte, la situazione potrebbe diventare anche rischiosa. Naturalmente, si può rimediare con una sottile pinna a poppa, il che però farà aumentare la resistenza con effetti negativi sulla velocità, e in più, alcuni equipaggiamenti, come pompe d’aria, motori e trasmissioni, valvole di emissione dell’aria, gonnelline eccetera creano costi aggiuntivi anche di manutenzione.

C’è un’altra questione da considerare: viviamo, oggi, in un mondo dove il sensazionalismo ha gran peso e io ho il sospetto che la ricerca di nuove idee di progettazione ne venga pesantemente influenzata. Non è necessariamente un fatto negativo se progettisti e costruttori sono in buona fede. Del resto anche un progetto nuovo e spettacolare, che pur non offra vantaggi di performance, può attrarre l’attenzione e dimostrarsi un buon affare.
Ciò che trovo disonesto è acclamare qualcosa di non convenzionale come tecnicamente superiore, quando in realtà non si registra alcun concreto progresso.

barca con carena a triciclo rovescio

Barca con carena a “triciclo rovescio” lunga 60 metri x 70 n/100 nodi di velocità max.

Come previsioni per il futuro, credo che una imbarcazione da 40-50 metri potrà arrivare a superare la velocità di 70 nodi, raggiungendo anche i 100. Del resto, anche con l’attuale tecnologia si possono raggiungere i 70 nodi, ma che poi la barca sia anche valida ai fini commerciali è un’altra questione.

La motorizzazione necessaria per spingere una barca di queste dimenzioni a queste velocità deve essere molto potente e, di conseguenza, con costi di esercizio proibitivi. Nessun dubbio che col tempo arriveranno motori potenti e più efficienti grazie a migliori rapporti peso-potenza, e che sono possibili anche strutture più leggere per realizzare questo tipo di barche in termini economici. Ma, come sarà la geometria degli scafi del futuro? Dal punto di vista aerodinamico dovranno essere più “puliti”, con profili sovrastrutturali ridotti al minimo, perché la resistenza dell’aria contribuirà in larga misura ad un alto rapporto di resistenza d’attrito.

Oggi, nella progettazione di uno scafo, il rapporto V/Radice quadrata di L di una barca di 40 metri alla linea di galleggiamento per la velocità di 70 nodi è maggore di 6 e a 100 nodi è vicino a 9: questo rappresenta due differenti posizioni delle condizioni dinamiche. La pressione dell’acqua sulla carena dello scafo e la pressione dell’aria sull’opera morta in effetti si raddoppiano tra i 70 e i 100 nodi, Come ho già detto, 70 nodi di velocità (V/ Radice q di V=6) credo no difficilmente superabili da un monoscafo, per ben progettato che sia il suo costo potrà diminuire, però, in varia misura, come è già accaduto negliultimi anni. Concludendo l’appendice tecnica sulla progettazione degli scafi plananti che tratta la progettazione degli scafi e le loro performanc­e, ho fatto riferimento alla figura geometrica di un “triciclo rovesciato” come soluzione per l’alta velocità in mare.

Il progetto di un 2a classe offshore, è illustrato e commentato in questo articolo: Arcidiavolo Offshore.

Benché questa barca da corsa abbia avuto molte noie per motivi meccanici relativi al motore, ciononostante la sua configurazione ha dimostrato di essere assolutamente valida.

Barca con carena a triciclo rovescio

Uno scafo del genere potrebbe essere ottimamente adatto per far raggiungere i 100 nodi a una barca di 40 metri e, anche se la scala della velocità è più bassa che in Arcidiavolo, sono certo che la portanza generata dall’effetto “ram” nel tunnel a Y compenserebbe ampiamente il peso aggiunto in fase di costruzione.

Credo anche che le tre superfici plananti collocate, come sono qui, a triangolo, possano garantire una più sicura e stabile piattaforma soprattutto se i galleggianti davanti saranno progettati per tagliare l’onda. Un “ram wing” come questo, che non ha bisogno dell’apporto di alte tecnologie, tipo variatori d’assetto computerizzati, potrà sembrare privo di fascino commerciale.

Ma, se come diceva un famoso costruttore di auto: “quello che non c’è non può essere sbagliato questa può essere una reale risorsa. D’altra parte, questo inusitato mod­ello ha un potenziale commerciale sensazionale nel suo aspetto estetico, magari, con lo pseudonimo di “La Gigantesca Aragosta Volante”.

La Gigantesca Aragosta Volante

“La Gigantesca Aragosta Volante”

Tratto dal libro di “Sonny” Levi “Milestones in My Designs” Editore “Kaos service” 1992 – Milano e per g.c. dell’autore – Tutti i diritti riservati. Note Legali

Tags: Articoli Sonny Levi, Milestones in my designs, Nautica, Sonny Levi
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Sonny Levi scrive a Giacomo Vitale del blog Altomareblu
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Lettera aperta a Marchionne
2 commenti
  1. Giacomo Vitale
    Giacomo Vitale dice:
    20/02/2008 in 20:37

    Gentile Lorenzo, di seguito trovi le notizie che cerchi circa il librodi “Sonny” Levi:

    Milestones in my designs è un libro considerato “opera da collezionismo”, per la sua unicità di contenuti, è assolutamente non deve mancare nelle librerie degli appassionati di barche, tecnologicamente avanzate ad alte prestazioni in termini di velocità e sicurezza, visto che sono in grado di affrontare anche i mari più duri con buona disinvoltura dovuta alla validità indiscussa dei progetti realizzati dall’estro inesauribile dell’ing. Renato “Sonny” Levi.

    Presso la libreria di seguito indicata, si possono acquistare due testi scritti dall’ing Levi:

    Il Mare
    Libreria Internazionale
    Via di Ripetta 239
    00186 Roma – Italy
    tel/fax +39-06.36.12.155/06.36.12.091
    e-mail: ilmare@ilmare.com

    sono disponibili:

    “Milestones in My Designs” di Renato “Sonny”Levi : 170,00 euro.
    ”Dhows to deltas” sempre di Levi:90,00 euro.

    Al prezzo dei volumi si deve aggiungere 10,00 euro per le spese di spedizione con corriere. Pagamento tramite carta di credito comunicando il numero e la scadenza della carta.

    Cordiali Saluti.

    G.V.

  2. Lorenzo Previsani
    Lorenzo Previsani dice:
    20/02/2008 in 11:24

    Mi può aiutare qualcuno a trovare il libro “Milestones in my designs” di Renato Levi?

    Grazie.

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