Virgin Atlantic Challenger II di Renato Sonny Levi
di Renato “Sonny” Levi
Nessuno aveva mai messo oltre duemila cavalli su un’elica di superficie.
Il problema si presentò nell’inverno 1984-85 ai tecnici della Cougar che stavano costruendo il catamarano Virgin Atlantic Challenger con il quale l’inglese Richard Branson intendeva tentare di strappare al transatlantico United States il record di traversata del Nord Atlantico:
“il Nastro Azzurro”.
In quel periodo io stavo concludendo gli studi per un nuovo brevetto: il Levi Drive Unit, una trasmissione completamente basata sulle eliche di superficie e con una gamma di modelli capaci di un range da 50 a oltre 2000 cavalli.
E stavo altresì ratificando il mio rapporto di lavoro con il Gruppo Caccia Dominioni che voleva entrare nel settore della nautica per produrre appunto i Levi Drive Unit.
Quando il cantiere Cougar mi chiese di collaborare al progetto V.A.C. (Virgin Atlantic Challenger) per quanto riguardava le trasmissioni i Levi Drive Unit non erano ancora in produzione di serie.
Disegnai allora tutta la parte propulsiva e di governo, utilizzando il Levi step drive con una coppia di eliche di superficie da 4 a 5 pale.
Il governo del grande catamarano veniva assicurato da un paio di timoni a pala con sezione a zeppa o a cuneo che dir si voglia.
Il catamarano non ha avuto molta fortuna nel suo tentativo di record (giugno 1985): è affondato, infatti, a poche miglia dal traguardo finale quando sembrava che ormai il record potesse esser battuto. Comunque le sue trasmissioni di superficie avevano svolto benissimo il loro lavoro.
Nell’ottobre dello stesso anno, in occasione del 25esimo Salone Nautica Internazionale di Genova la Marine Drives Division della ditta MTS, Officine Meccaniche di Precisione presentò ufficialmente i primi modelli di Levi Drive Unit. Nella appendice “C” di questo libro, ho raccolto gli elementi tecnici più importanti di questa nuova trasmissione Levi Drive Unit. Cercherò in questa sede di darne una rapida e sintetica descrizione.
Erano passati circa 13 anni da quando avevo vinto la sfida lanciatami dai fratelli Sonnino Sorisio per la progettazione di Drago il più veloce cruiser diesel della storia mondiale della nautica da diporto. A farmi vincere quella sfida (e a non obbligarmi a montare su quel fast commuter le ali che avevo tenuto come “arma segreta”) erano state le eliche di superficie e il mio sistema brevettato Levi Step Drive.
Lo stesso brevetto era stato poi applicato a barche da corsa come Alto Volante, Dart, Arcidiavolo e a numerose barche da diporto. I vantaggi erano molti ma non potevo nascondermi che cerano anche alcuni elementi negativi nelle produzioni da diporto, questi creavano fastidi e preoccupazioni sia ai costruttori che ai clienti. In particolare il Levi Step Drive permetteva ai bassi regimi, una manovrabilità piuttosto modesta.
Insomma: le manovre in porto erano spesso difficili perché le eliche avevano poca efficienza in marcia indietro e perché una singola pala di timone non svolgeva un sufficiente lavoro di governo. In marcia avanti e agli alti regimi non c’erano problemi, perciò, le barche da corsa o quelle con alto rapporto peso-potenza non si lamentavano di questi inconvenienti.
Ho voluto allora affrontare globalmente il problema ed ho progettato un “gruppo” da applicare a poppa, sullo specchio delle barche: di qualsiasi barca, sia che avesse lo step drive sia che la sua carena terminasse convenzionalmente allo specchio. Il mio “gruppo poppiero” avrebbe avuto eliche di superficie ma contemporaneamente avrebbe incorporato anche gli strumenti di governo, mentre gli scarichi del motore venivano incanalati e indirizzati sull’elica.
Risultò un “gruppo poppiero” molto moderno nelle linee,facile di installazione, semplicissimo nelle ispezioni per la manutenzione, di ottima fattura. Le eliche erano sì di superficie ma con una caratteristica del tutto nuova: il loro dorso risultava in parte concavo, capace quindi di mordere l’acqua anche in rotazione inversa e di garantire, così, quella efficienza che, in retromarcia, nessuna elica di superficie aveva mai potuto dare prima. Brevettai anche questo disegno e lo chiamai “Diamond Back” con evidente allusione a questa efficienza in marcia indietro. Recentemente ho migliorato ancora questo elemento con le eliche brevettate Scimitar.
Per quanto riguarda il governo, avevo ipotizzato parecchi sistemi, uno dei quali mi consentiva, in teoria, di eliminare anche l’invertitore del motore, ma ho preferito optare per un complesso il più semplice e sicuro possibile. Molto più tardi ho scoperto un disegno di un “Harrison double-bladed rudder” (pag. 19 e 204) nel “The Motor Boat Manual” compilato dallo staff della rivista Motorboat nel 1907: anche lui aveva un timone a tunnel con lame laterali che potevano avere differenti profondità in funzione delle specifiche caratteristiche ed esigenze di ciascuna imbarcazione.
La copertina “The Motor Boat Manual” del 1907 ed il primo disegno di un timonome a tunnel, riportato a pag. 204 di quel testo.
I vantaggi di questo tunnel si rivelarono molteplici e non interessavano solo la manovrabilità ma anche, sia pure in piccola misura, la spinta e il comfort di bordo, grazie all’effetto getto provocato proprio dalla geometria del timone.
I gas e i fumi di scarico imbrattano sempre i pozzetti di poppa di tutte le barche con scarichi convenzionali e questo comporta spesso costosi lavori di manutenzione e di pulitura ad ogni fine stagione (oltre che il ripetersi continuo del noioso fenomeno): con i Levi Drive Unit questo non accade perché gli scarichi vengono emulsionati dal vortice dell’elica e scagliati lontano a poppavia dal getto intubato dell’elica.
La rotazione dell’elica inoltre agisce come un aspiratore vero e proprio e annulla pertanto ogni tipo di contropressione negli scarichi stessi consentendo al motore di dare regolarmente tutta la sua potenza.
Infine l’elica di superficie, ventilata proprio dagli scarichi, raggiunge più facilmente la sua posizione ideale e agevola una planata morbida e graduale. E inoltre il timone a tunnel protegge l’elica di superficie che spesso risulta esposta a poppa dietro lo specchio.
Con i Levi Drive Unit, peraltro, è cambiato un principio fondamentale nella progettazione delle eliche vere e proprie per quanto riguarda la loro efficienza nella spinta in marcia avanti. Le mie prime eliche di superficie (e così quelle che, successivamente, si son viste in circolazione) erano basate su un gran numero di giri all’asse, ottenuto con moltiplicatori inseriti direttamente nell’invertitore.
Nelle eliche dei Levi Drive Unit il numero dei giri è invece minore, in compenso il diametro, per ovvi motivi, è decisamente maggiore. E questo dà ai gruppi un aspetto piuttosto voluminoso che talvolta solleva qualche perplessità nei cantieri.
A mio avviso è semplicemente un fatto di abitudine che bisogna modificare.
Peraltro, non ha controindicazioni nemmeno sul piano psicologico, visto che ormai gli elementi massicci ed evidenti fanno parte dell’estetica tecnologica quotidiana: si pensi ai formidabili jet di un Boeing 747 o, più semplicemente, alla diffusione, anche per uso cittadino, delle automobili tipo Land Rover.
Insomma non è più vero che il “grande e grosso” sia sinonimo di “brutto e sgradevole”.
Anzi, per molti, è vero proprio il contrario… Bisogna, comunque, dire che il volume dei miei Levi Drive Unit è stato dettato da esigenze tecniche e non estetiche.
Nell’ inverno fra il 1985 e l’86 ho disegnato anche una trasmissione di superficie per barche da corsa offshore. Naturalmente in questo caso il timone è a pala verticale e i parametri delle eliche e altri particolari coefficienti sono diversi. Ne parlo più diffusamente nella già citata appendice tecnica “C” che si trova alla fine del libro.
Virgin Atlantic Challenger II
Poco prima del Salone di Genova del 1985, Richard Branson mi chiese se potevo essere interessato a progettargli il V.A.C. II. Aveva, infatti, deciso di provare nuovamente a strappare il record del Nastro Azzurro che, l’United States deteneva ormai da oltre 30 anni. La barca doveva essere progetta e costruita in meno di 5 mesi. Gli dissi di sì. Mi lasciò totale carta bianca sia nella scelta della geometria dello scafo che delle trasmissioni.
I primi disegni del V.A.C.II datano 7 novembre 85: optai per un monocarena con una geometria stile Delta perché non volevo incognite, perché era ed è una geometria che non mi ha mai dato controindicazioni e soprattutto perché sembrava (e continua a sembrarmi) la più idonea per affrontare una traversata atlantica. Stabilito che la potenza a disposizione sarebbe stata eguale a quello del V.A.C.I, cioè i 4000 cavalli del catamarano Cougar affondato, disegnai un cruiser sulla lunghezza ft di 22 metri con un diedro di 20 gradi allo specchio di poppa. La barca venne costruita, in lega leggera, a tempo di primato dai cantieri Brooke.
Per quanto riguardava le trasmissioni era la prima volta che si realizzava una coppia di gruppi del modello 2000 e perciò ne parlai con Richard Branson. In sostanza gli spiegai che questo brevetto funzionava benissimo nelle piccole potenze dove avevamo già avuto modo di provarlo e collaudarlo e che non avevamo ancora alcuna esperienza su potenze così elevate. Sulla carta andava bene, di questo ero sicuro, in pratica bisognava provare.
Se Branson voleva, si poteva evitare il rischio e adottare una trasmissione simile a quella che avevo già progettato per il catamarano cioè lo step drive. Mi disse che prendeva il rischio di provare. E le prove furono più che soddisfacenti. A dislocamento leggero la barca filava oltre 50 nodi e sopportava molto bene il grande aumento di dislocamento che subiva quando “faceva il pieno” di nafta. Nella primavera avanzata del 1986 il cruiser venne trasportato a New York e qui attese che i tecnici della meteorologia indicassero un periodo di 3-4 giorni con l’oceano Atlantico abbastanza tranquillo per aver maggior possibilità di frantumare il record della traversata.
Il via venne dato il 27 giugno e non tutto filò proprio liscio. Erano stati, infatti, previsti tre punti di rifornimento volante in mezzo all’oceano: il primo a 526 miglia da New York, il secondo 710 miglia dopo e il terzo 892 miglia ancora più avanti.
Questi punti di rifornimento, denominati Rendez Vous, erano in realtà piccole navi cisterna che attendevano il passaggio del cruiser. Al secondo di questi Rendez Vous, quando il Virgin aveva già oltre 2 ore di vantaggio sulla media tenuta dall’United States, invece che nafta pura, veniva passata alla barca una miscela di 8 mila litri di carburante e 4 mila litri di acqua.
Questa ha immediatamente bloccato la marcia dei due diesel MTU e sono state necessarie circa 8 ore per svuotare i serbatoi e caricare altri 12 mila litri di sola nafta, Inoltre i serbatoi si erano intrisi di acqua e questa finiva nei filtri dei motori arrestandone il moto. È stato necessario inviare, con un aereo della RAF, una dozzina di filtri di ricambio che sono stati paracadutati vicino allo scafo. Ma per molte ore si sono avuti molti stop perché l’acqua che aveva impregnato la schiuma anti-sciacquio dei serbatoi, veniva aspirata dai motori e continuava a intasare i filtri.
Questo ha rallentato moltissimo la media del cruiser e un calcolo approssimativo sostiene che siano state perse complessivamente non meno di dieci ore. Inoltre, una perturbazione atlantica raggiunse Virgin e lo costrinse a lottare contro un mare formato in tutta l’ultima parte (oltre 1000 miglia) del percorso.
Proprio per consentire una navigazione più confortevole all’equipaggio tanto provato dalla stanchezza, abbiamo dato ordine di caricare, nell’ultimo rifornimento, 12.500 litri di nafta, cioè ben di più di quella necessaria a coprire le 746 miglia finali. Volevo la barca più pesante in modo da garantire una navigazione più morbida pur tenendo i motori al più alto numero di giri possibile. Proprio in questo tratto di Atlantico, Virgin ha dimostrato tutto il suo valore, filando a velocità elevata su mare formato.
Finalmente alle 19,34 del 29 giugno, il Virgin passò al traverso del faro di Bishop (alle isole Scilly), traguardo finale di tutte le traversate del Nord Atlantico con direzione Est, Aveva migliorato il vecchio primato dell’United States di 2 ore, 8 minuti primi e 25 secondi, fissando la media generale a 35,69 nodi. È interessante notare come nel primo tratto, da New York al primo Rendez Vous, la media fosse stata di ben 45,93 nodi.
La traversata di Virgin, nonostante le difficoltà, fu un successo sia del progetto che delle trasmissioni. La poca chiarezza nei regolamenti ha impedito poi alla barca di vincere ufficialmente l’Hales Trophy che i detentori americani sostengono esser riservato solo a grandi navi passeggeri, ma non ha tolto nulla dal punto di vista tecnico al valore della prova.
Mi sembra interessante pubblicare anche una tabella delle medie e dei tempi fatti registrare durante la traversata. Paradossalmente la vittoria riportata ha avuto qualche effetto negativo: si è, infatti, diffusa ancor di più l’opinione che le trasmissioni di superficie funzionerebbero bene solo su scafi da corsa e abbiano poco da dire nel settore diporto o lavoro. Purtroppo la stessa cosa è capitata, a suo tempo, anche alle carene a V profonda e ci sono voluti quasi 30 anni per far capire a tutti i costruttori che erano l’ideale anche per tutte le barche plananti che debbano affrontare il mare, barche da crociera comprese.
Per fortuna non tutti i cantieri sono così lenti nell’accettare le novità dalla progettazione d’avanguardia. E così i Levi Drive Unit hanno iniziato a diffondersi rapidamente in tutto il mondo. Sono stati montati su barche veloci e lente, su scafi bimotori e mono motori, su imbarcazioni da pattugliamento o da vero e proprio servizio militare, su pescherecci, su monocarena, su catamarani e su S.E.S.. Insomma, praticamente, su ogni tipo di natante.
Mi sono stati spesso chiesti progetti di barche da diporto, soprattutto fast commuter con i Levi Drive Unit ma, ancor più spesso, i miei gruppi poppieri sono stati installati su barche che non avevo progettato io. Sarebbe ora lungo e inutile produrre l’elenco completo di queste applica ni. Mi limiterò a citarne alcune a titolo di esempio.
Immagini di barche con l’applicazione LDU
Due miei progetti che mi sembrano particolarmente piacevoli sono il Fittipaldi 36 e il Super Alto, entrambi del 1987
DATI DI TARGA
- Lunghezza fuori tutto 10,80 m
- lunghezza al galleggiamento 9,87 m
- Larghezza massima 3,00 m
- Immersione 0,54 m
- Diedro allo specchio di poppa 24°
DATI DI TARGA
- Lunghezza fuoritutto 11,72 m
- Lunghzza al galleggiamento 9,87 m
- Larghezza massima 3,04 m
- Larghezza allo spigolo 2,44
- Immersione 0, 57
- Diedro allo specchio di poppa 25°
Ma dal punto di vista strettamente tecnico mi sono molto compiaciuto dei risultati ottenuti da un taxi per il lago Maggiore, in Italia, realizzato dal cantiere Cramar. Si tratta di una barca da 11 metri, monomotore (un Aifo da 270 cavalli) che monta un modello 300 Levi Drive Unit e tocca i 27 nodi.
Non è tanto la velocità assoluta che mi rende soddisfatto quanto l’estrema manovrabilità che questa barca ha dimostrato di possedere. Come ha scritto una rivista specializzata è in grado, infatti, di “fare lo slalom in retromarcia”, cosa praticamente impossibile con una trasmissione convenzionale e impensabile, fino a pochi anni or sono, con una trasmissione di superficie.
Altra prova interessante è stata quella realizzata da un cantiere che ha voluto confrontare due scafi da circa 16 metri, in vetroresina, eguali per progetto (quindi: dimensioni, carena, sovrastrutture, pesi eccetera) e per motorizzazione (due diesel da 1200 cavalli ciascuno), con l’unica differenza data dalle trasmissioni.
In una barca sono stati installati due Levi Drive Unit e nell’altra una coppia di idrogetti. La velocità massima sul piatto (oltre i 45 nodi) della barca con i Levi Drive Unit è risultata superiore di oltre il 6 per cento, ma ancor più probante è stato il risultato ai medi regimi dove la differenza di efficienza (maggior velocità o minor consumo) ha toccato valori superiori del 20% a favore dei miei gruppi.
L’assorbimento di potenza delle eliche “Diamond Back” è infatti molto progressiva e consente numerosi vantaggi: non ultima la possibilità di tenere una moderata velocità idonea su mare formato senza lo stress di uscire e rientrare continuamente dall’assetto di planata.
Interessante anche un altro esperimento compiuto su un mio vecchio scafo Delta: l’Hidalgo che, negli anni Sessanta, avevo progettato per Roberto Olivetti.
Su questa barca, naturalmente nata con le trasmissioni convenzionali e passata nel frattempo di proprietà, sono stati applicati dal cantiere Delta gruppi Levi Drive Unit con buoni risultati, ma è difficile fare dei confronti con le precedenti prestazioni perché è stata modificata anche la motorizzazione.
Nel 1987 ho ricevuto una simpatica gratificazione: sono stato eletto membro della società dei Royal Designers for Industry.
Questa associazione raccoglie un numero chiuso di progettisti nei più differenti settori delle attività speculative: dalla TV e teatro alla moda, dalla grafica all’illustrazione, dall’arredamento alla meccanica, dall’industria tessile a quella dei ponti, dalla fotografia alla tipografia, dalla nautica all’automobilismo eccetera.
Sono stati chiamati a far parte di questa Società nomi illustri come: Walter Gropius, Tapio Wirkkala, Carlo Scarpa, Alex Issigonis, Achille Castiglioni, Battista e Sergio Pininfarina, Alex Moulton e Colin Chapman per citare a caso, o più specificatamente nel settore dello yachting: Uffa Fox, Laurent J. Giles, Charles Nicholson, Jon Bannenberg, Ian Proctor e Olin Stephen.
E, dal diciannove novembre del 1987, ne faccio parte anchio. Come ho detto: una simpatica gratificazione che premia il mio orgoglio.
Capitolo tratto dal libro di Renato “Sonny” Levi “Milestones in My Designs” e pubblicato su questo blog per g.c. dell’autore. – Tutti i diritti riservati. Note Legali
Gentile Luca,
ma sei proprio sicuro che le eliche girano entrambe nella stessa direzione? Nelle barche dotate di eliche di superficie è impossibile che entrambe girino nella stessa direzione. Infatti devono essere sempre contro rotanti con il flusso rivolto verso l’esterno. Sarebbe opportuno che ci inviassi qualche foto della poppa della tua barca alata in cui sia possibile vedere bene le eliche applicate. Infine dovresti indicarci la marca dei motori, il tipo e gli invertitori montati.
Se fosse come tu dici, cioè che hai una barca con due eliche di superficie che girano nello spesso senso di rotazione, sarebbe una cosa assurda….
Restiamo in attesa di quanto richiesto per darti poi una corretta risposta.
Cordiali saluti,
Giacomo Vitale
Nella mia barca Airon Marine Dart 36 con eliche di superficie semi intubate mi sono accorto che sono tutte e due destrosse, avendo così dei veri problemi in retromarcia. Vorrei sapere se è giusto cosi’.
Luca
Caro blog,
rileggendo le parole di Renato “Sonny” Levi a proposito del Virgin Atlantic Challenger II° e grazie alla recente messa on line dell’archivio di tutti gli articoli pubblicati sul quotidiano “la Repubblica” dal 1984 a oggi, ho pensato di recuperare per i tuoi lettori quanto ho scritto per quella testata proprio in occasione della entusiasmante e …complicata galoppata fatta da quello scafo per la conquista del Nastro Azzurro.
Buona lettura, sia pure ventidue anni dopo…
“Antonio Soccol” .
TRA GHIACCIO E BALENE A TEMPO DI RECORD
LONDRA – “Abbiamo ancora 50 yarde da percorrere… 40, 30, mancano solo 20 yarde… 10 yarde… Sono lieto di potere annunciare che il trofeo Blue Riband, per la più veloce attraversata dell’ Oceano Atlantico è tornato in Gran Bretagna”. Con la voce stemperata dai rumori dei motori, delle onde e del vento Richard Branson, skipper e proprietario del motoryacht Virgin Atlantic Challenger II, ha trasmesso via radio il count down del successo di un’ impresa che sognava da due anni.
Erano le ore 19 34′ 35″ di domenica scorsa e il nuovo record era fissato nel tempo di tre giorni 8 ore 31′ 25″ e in quel momento l’ Argentina a Città del Messico conduceva ancora per 1-0. Ce l’ aveva messa tutta Branson per arrivare alle isole Schilly, dove sorge il faro di Bishop che indica la fine dell’ Atlantico e l’ inizio del Canale della Manica, in tempo per poter assistere alla televisione allo scontro per il titolo mondiale di calcio.
Il suo programma prevedeva infatti una tabella di marcia per coprire le 2.940 miglia che dividono New York dalle Schilly di tre giorni e l’ arrivo era stato calcolato per le ore 11 di domenica, ma un grosso pasticcio in un rifornimento volante in oceano aveva compromesso la situazione. La piccola petroliera che aspettava il Challenger a 1.432 miglia di distanza da New York per il secondo dei tre rifornimenti previsti aveva infatti somministrato al motoryacht una “mischela” di otto tonnellate di nafta e quattro tonnellate di acqua. Dieci minuti dopo la barca era ferma in mezzo all’ oceano con i filtri intasati e impossibilitata a riprendere la navigazione.
Con rapida decisione si è fatta raggiungere dalla petroliera, in sei ore ha scaricato tutta la miscela incombustibile e ha provveduto a un nuovo rifornimento. Ma il problema era tutt’ altro che risolto: i particolari serbatoi foderati di resina del Challenger avevano assorbito moltissimi litri d’ acqua che non si poteva assolutamente scaricare. E questa acqua finiva ogni dieci, quindici minuti sui filtri arrestando la marcia dell’ imbarcazione.
Questo accadeva durante la notte fra sabato e domenica. I filtri di scorta imbarcati sul Challenger non bastavano a risolvere la situazione: bisognava assolutamente disporne di nuovi. Dal quartier generale dell’ operazione scattava allora l’ emergenza: trovare chi vendeva a Londra questi filtri, scoprire dove abitava, andarlo a svegliare, costringerlo ad aprire i depositi, comperare una dozzina di filtri, portarli all’ aeroporto, consegnarli a un piccolo Cessna che partiva in direzione della base della Raf più occidentale, ottenere l’ autorizzazione all’ atterraggio di un velivolo privato su un campo militare, passare i filtri ai piloti dell’ aviazione inglese i quali li hanno chiusi in un contenitore ermetico e messi in volo con un Nimrod subsonico che è schizzato incontro al Challenger.
Venti ore dopo l’ inizio del problema il grosso motoryacht si è visto paracadutare a venticinque metri dalla sua rotta gli indispensabili pezzi di ricambio. Da quel momento Virgin Atlantic Challenger II ha iniziato la parte più drammatica e sofferta della sua avventura: ormai era sotto la tabella di marcia. Era rimasto fermo otto ore e poi era stato costretto a infiniti stop per cambiare i filtri: complessivamente aveva perso più di dieci ore. Per poter battere il record bisognava marciare ad una media di 46 nodi, di notte, in Atlantico e con un equipaggio che già da due giorni e due notti era duramente provato dal sonno (sulla barca non esistono letti), dalla fame (qualche sandwich ai rifornimenti e molto glucosio) e dalla stanchezza della navigazione (iceberg, nebbia e pure una balena scansata per pochi metri).
Bisognava raggiungere il terzo e ultimo rifornimento previsto dopo 2128 miglia entro le 2 di notte fra sabato e domenica. Solo così si poteva sperare di superare, sia pure di poco, il vecchio record appartenente dal 1952 al transatlantico americano United States. E’ stato in quel momento che equipaggio (complessivamente sette uomini) e barca hanno dato il meglio di se stessi, “volando” per tre ore alla media di 48 nodi (quasi 90 chilometri orari) e giungendo all’ appuntamento con la nave della Marina irlandese per il rifornimento all’ 1 di notte.
Trentatrè minuti per caricare altri undicimila chili di nafta, un brindisi di glucosio e poi via di nuovo nella notte oceanica per l’ ultimo balzo di 746 miglia. Le condizioni meteo non erano delle migliori: vento di prua e onde di due metri con punte sino a 3,5 metri. Entrarci dentro, al buio, a più di 45 nodi con una barca che ha un dislocamento di 44 tonnellate su una lunghezza di 22 metri non deve essere stato tanto semplice. Progettato da Renato “Sonny” Levi e costruito in lega leggera dai cantieri Brooke Marine Ltd., il Challenger II è spinto da una coppia di motori diesel tedeschi della Mtu da 2000 Hp ciascuno che lavorano su trasmissioni Levi, brevettate dalla Mts di Milano.
Proprio per queste inedite trasmissione il banco di prova è stato assoluto e irripetibile: si tratta di un rivoluzionario sistema che prevede in un gruppo unico la fuoriuscita dei gas di scarico dei motori, degli assi porta eliche, delle eliche di superfice e della timoneria. Le eliche, a cinque pale, pesano ciascuna 140 chili e sono state realizzate in Italia dalla Sbm di Monza. “C’ è voluto del coraggio per montare un prototipo di questo genere su una barca impegnata in un record così duro, ma gli studi e le prove fatte in precedenza mi davano sicurezza” – ha dichiarato Levi alla fine della prova. E non nascondeva la sua soddisfazione soprattutto per la comunicazione che alle 5 del mattino, dopo già tre notti di navigazione, l’ armatore Branson gli aveva fatto avere via radio presso il quartiere generale di Londra: “Sonny, hai fatto una barca meravigliosa. Semplicemente incredibile”.
Tutto era iniziato circa tre anni or sono, quando Ted Toleman, personaggio del mondo della Formula 1 automobilistica, pilota offshore e contitolare del cantiere inglese Cougar, aveva ipotizzato l’ idea di riportare in Gran Bretagna il “Blue Riband”, il trofeo Nastro Azzurro che dal 1905 premia la più veloce traversata dell’ Oceano Atlantico e che nel 1933 era stato vinto anche dal nostro Rex con il tempo di quattro giorni 13 ore e 8 minuti alla media di 28,92 nodi. Per battere il tempo dell’ United States bisognava andare da New York alla Manica in meno di 3 giorni, 10 ore e 40 minuti.
Toleman era andato alla ricerca di uno sponsor e si era rivolto a Richard Branson, titolare del Virgin Group, una serie di circa cento aziende che operano nei settori della musica leggera, dei libri, delle cassette tv, della pubblicità, delle compagnie di viaggio in ventidue paesi diversi e con oltre duemila dipendenti. Branson ha 35 anni ed è partito da zero quindici anni orsono quando ha iniziato una piccola attività nel campo dei dischi di musica leggera: essendo nuovo e sprovveduto nell’ ambiente scelse come sigla il nome “Virgin” che qui ha sapore di “ingenuo”. Oggi dispone di una flotta di Jumbo che vola quotidianamente da New York e da Miami verso Londra, il suo capitale personale è valutato in 300 milioni di sterline, vive a Oxford e quando risiede a Londra dorme su una House Boat ancorata sul Tamigi.
Fra i suoi più stretti collaboratori una larga maggioranza è punk e oltre la metà degli uffici di segreteria è piena di ragazze in minigonna o hotpants con capelli tagliati stile ultimo dei Moicani e tinti dei colori più incredibili. Nella City, Branson però è considerato un “blue chip”, cioè una azione che vale e viene altamente stimato per la sua imprenditorialità. Nel 1985 Branson sottoscrisse con Toleman l’ impegno di sponsorizzare il tentativo di record. Venne costruito uno speciale catamarano Cougar (motori Mdw e eliche di superficie di Levi) che affondò a 300 miglia dal traguardo. Il Lloyd Register pagò l’ infortunio e con questi soldi Branson ha deciso di ritentare l’ avventura quest’ anno cambiando però sia il costruttore che il progettista. Si è rivolto a Renato “Sonny” Levi, progettista famosissimo anche in Italia dove ha lavorato per molti anni firmando barche di prima fila per l’ avvocato Gianni Agnelli, per Mario Agusta, per l’ Aga Khan, per Adriano Olivetti, per il principe Alberto di Liegi, eccetera.
E’ nato così dal tavolo del designer italo-inglese, un mono-carena in lega leggera che a parità di potenza e di peso cammina più di un catamarano: un’ autentica magia che i tecnici riescono a malapena a credere. La barca, realizzata dal cantiere Brooke Marine Ltd, specializzato in motovedette militari, ha fatto registrare alle prove una velocità di 52 nodi a medio carico e plana senza alcuna difficoltà con un pieno di 14 tonnellate di nafta. La costruzione è durata meno di quattro mesi ed è costata circa un milione di sterline (poco più di due miliardi di lire). Lo scafo è stato poi trasportato ad Halifax, in Canada, da un cargo e da qui è sceso a New York con i propri mezzi per gli ultimi collaudi. Dalla città americana il via era stato dato venerdì alle ore 11.03 (ora legale inglese) e già 200 miglia dopo si correva il primo rischio quando una balena improvvisamente spuntava con tutta la sua mole a pochi metri dalla prua della barca.
Poi ci sono state alcune ore di navigazione nella nebbia più fitta e quindi lo slalom tra gli iceberg. Ma tutto questo non ha rallentato il ritmo del Challenger che, al secondo rifornimento, viaggiava già con dieci ore di vantaggio sul tempo dell’ United States. Poi il dramma della nafta inquinata. Al quartier generale dell’ operazione, ricavato da un immenso negozio (2250 metri quadrati) di dischi in Oxford Street (naturalmente di proprietà di Branson) è uscita quasi subito la parola sabotaggio. Lo sponsor del settore carburante è la Esso che è americana. E gli americani non amano essere battuti. Già hanno mandato a dire che non consegneranno il trofeo perchè questo è stato creato per i transatlantici e non per gli scafi da diporto. Branson ha risposto che il regolamento prevede come unica condizione che almeno una persona imbarcata sia un passeggero pagante e che questa condizione era stata ampiamente rispettata.
In realtà il giovane imprenditore inglese spera proprio che gli americani si infilino in questa polemica che gli rende solo pubblicità. Fino ad oggi l’ operazione gli è costata circa 1,5 milioni di sterline e gliene ha rese oltre 50 milioni in pubblicità. La notizia del suo nuovo record è stata data dalla Bbc, nel telegiornale di domenica sera, prima di qualsiasi altro servizio politico e sportivo, prima dei problemi del Sudafrica e prima della vittoria di Maradona in Messico. Quanto ai quotidiani inglesi, l’ hanno riportata in prima pagina con fotografie dal prestigioso “Financial Times”, all’ austero “Times”, dal frivolo (ma diffusissimo) “The Daily Express”, ai popolari “Daily Mirror”, “The Sun”, “Telegraph”, eccetera. L’ unico che non ne ha parlato è l’ “Herald Tribune” che, come è noto, viene stampato in Gran Bretagna in consozio con il “New York” e con il “Washington Post”, insomma che è di proprietà yankee. Branson, che ha appena vinto l’ appalto per trasportare con i suoi Jumbo militari e scorte alle Malvinas per conto del ministero della Difesa inglese, consuma miliardi di carburante Esso ogni anno e risolverà il giallo della nafta.
Al traguardo, dopo il tuffo in mare di rigore, ha dichiarato: “Conosciamo già il nome del responsabile, ma per il momento non lo diciamo”. Forse per questo suo efficientismo la signora Thatcher lo ha voluto a capo di una apposita commissione governativa incaricata di studiare i sistemi per rendere tutta la Gran Bretagna esteticamente più pulita.
Articolo apparso sul quotidiano “la Repubblica” il 2 luglio 1986 a pag. 39 e qui riprodotto per g.c. dell’autore.