Io, primo pilota di “Dart”
di Alfredo Micheletti
Io il mare, l’ho conosciuto solo a 19 anni, per contatto diretto: perché mi ci hanno buttato dentro, vestito da rocciatore con tanto di scarponi, brache di velluto alla zuava, maglione, fiasco di vino ed abusivo cappello alpino. Era a Venezia: durante un raduno al quale partecipavo (anche se io alpino non lo sono mai stato) perché tutti i miei amici fino allora lo erano, perché amici erano i miei compagni di roccia e di alpinismo.
Mi ci buttarono perché io dicevo che ero sicuro di essere capace di nuotare, anche se non avevo mai fatto il bagno, salvo quello nella vasca di casa e loro non ci credevano; avevano ragione loro e mi salvai perché notoriamente l’alcool ha un peso specifico inferiore a 1.
Passarono molti altri anni prima che tornassi al mare. Per una serie di motivi connessi con una mia attività professionale divenni pilota di barche piuttosto “sveltine”, almeno per allora, ed anche divertenti, perché per certe loro caratteristiche tecniche, potevano anche fare salti dal trampolino e fu così che per gli amici divenni il “saltimbanco”.
Per colpa di Danilo Cattadori, un giorno mi venne per le mani un discreto scafo con carena Hunt (originale del progettista americano) che, adeguatamente ricoperto con una leggera tuga dal “solitario del Garda” (G. B. Frare, per chi non lo sapesse) e motorizzato con due motori da corsa 200 cv cad., mi ritrovai tra le mani una barca offshore: l’Ulixes II°.
Non era gran che ma il brain trust che ci aveva lavorato aveva lasciato il segno: i motori erano allineati anziché affiancati, (come adesso usano quasi tutti), erano inoltre dotati di un limitatore di giri elettronico di nostra costruzione (e funzionava!), il profilo aerodinamico era eccellente (il G.B. era ammattito per stare nei regolamenti) e poi, prima al mondo, era una barca offshore con propulsione a idrogetto.
Fu anche l’inizio di un travaglio di poche gioie e molte angosce che si protrassero per due stagioni di corse con inenarrabili avventure per strade e per mari dal Mediterraneo al Mare del Nord e che terminò solo con l’esplosione dell’Ulixes II° (e relativo ricovero all’ospedale del meccanico Gianni e del capopilota Gian Antonio Panigoni ) avvenuto in quel di St. Tropez durante una manovra di avviamento alla partenza del Dolphin d’’Or. Fu un bel botto, con 700 litri di benzina a bordo.
Il tarlo però rodeva sempre. Un bel giorno Giorgio Adreani mi mostra in gran segreto i piani del “mostro” disegnato da “Sonny” Levi e che, nato da molteplici incontri con l’ing. Chiti (quello dell’Alfa Romeo Autodelta) stava per essere messo in costruzione.
Era il “Dart”, e le sue caratteristiche costruttive erano tali da fare venire l’infarto da desiderio a un guidatore di bagnarola a remi: figuriamoci a me. Mi attaccai come una remora: ero sempre tra i piedi di Giorgio, di “Sonny” e dell’ing. Chiti. Verso la fine dell’inverno ’72 cominciavano le prove sul lago di Sarnico, con vari piloti che si alternavano alla guida; c’erano un sacco di dettagli da mettere a punto: i motori, lavorando a temperature ambientali vicine allo zero, facevano le bizze. I meccanici Autodelta, eroici, impazzivano.
L’acqua del lago, da 3° C ai 5° C, non permetteva ai motori di andare in temperatura e questi da bravi purosangue (125 cv/lt) si rifiutavano sdegnosamente di esprimersi.
Ormai facevo parte dell’equipe di prova a terra, sinché un giorno mi promossero collaudatore. Da allora non mollai più il volante. Il tempo migliorava. I motori giravano allegramente. Eravamo ai dettagli di assetto, ai collaudi dei flaps, ai cambi delle eliche. Mi portavo in giro, come secondi, meccanici dalla fiducia incrollabile e il Dart andava sempre più forte. Eravamo molto fiduciosi.
“Sonny” correva su e giù dall’Inghilterra, io provavo e facevo relazioni. Mi cercavo anche il secondo e lo trovai tra i vini e piatti raffinati del suo ristorante, in Guido Burassi, un duro con all’attivo un campionato europeo diesel offshore momentaneamente in crisi di barca. Provammo insieme, mi fece OK con “i diti” e fu subito “Bellaria-Opatija”, la prima gara offshore di quella stagione 1973 organizzata dal circolo motonautico di Bellaria presieduto da Giulio Torroni…
Dalla gara tutti sanno i pasticci alla nostra partenza. Mi dispiaceva partire in ritardo di 17 minuti sui cannoni, ma non me ne preoccupavo eccessivamente. La sera prima ero uscito per il primo collaudo in mare del “Dart” ed ero tornato dopo un’ora in preda alla esaltazione più sfrenata. Il “Dart” se ne andava tranquillo dentro e fuori dalle onde di un paio di metri ad oltre 120 km/h. L’impatto era molto forte, ovviamente, ma tutto andava molto bene. Nel pozzetto di guida eravamo completamente allagati, ma il mostro viaggiava, e come.
Chiaramente “Sonny” aveva ragione con le sue teorie sull’attraversamento che per molta gente erano follie.
In gara cedette per primo uno stupido interruttore dei flaps (li comando io dal volante). Guido lavorava come un pazzo con le casse di zavorra laterali per raddrizzare la barca; andare su mare mossetto a oltre 100 km/h con la barca traversata quasi a 90° è una esperienza interessante ma non piacevolissima. lo mi davo da fare con il timone, ma lo sforzo sul volante era fortissimo ed ad un certo punto si staccarono di netto due razze e, dopo un altro miglio, anche l’altra e la corona del volante mi rimase in mano.
Dopo 15 giorni: Napoli. Facciamo qualche giretto il giorno prima. Per i napoletani il “Dart” diventa subito «’O cavallo pazzo» ma in compenso marcia forte, me ne accorgo in gara. Non tiro tutto: l’ing. Chiti mi ha minacciato di fucilazione se rompo; “Sonny” mi ha raccomandato di non tirare se prima non sono ben sicuro del comportamento della barca; Giorgio mi ha pregato di non strafare: il cantiere è impegnato con le barche di produzione di serie ed è un problema staccare troppi uomini per dedicarli al “Dart”. Tengo conto di tutto questo e i “cari Cigarette” sono là a portata di gas; dietro subito il vuoto.
Sull’onda lunga il Dart salta di più e rende meno, ma appena il mare cambia il “giallone” va come un razzo. Poi cade un pannello che sostiene le pompe di benzina. Si riempie di benzina il vano motori e bisogna fermarsi.
“Sonny” decide di allungare la chiglia per rendere il “Dart” meno sensibile all’onda lunga; lavoriamo tutti come pazzi per due settimane. La vigilia di Viareggio Bastia Viareggio siamo là a fare prove, la barca viaggia sempre più forte. E’ diventata molto più stabile, abbiamo allargato la superficie dei flaps, le eliche lavorano meglio, il timone è un po’ meno sensibile, ma chi se ne frega, non è una barca da circuito. “Sonny” vuole fare ancora una modifica alla chiglia: lavoriamo ancora per qualche ora come matti (che gente i meccanici, i carpentieri, i “favolosi dell’Autodelta”!): è un clima esaltante. Siamo subito in acqua per altre prove.
E’ cambiato un po’ il mare. La barca va fortissimo, io tiro a tutta manetta, si fanno zompi di 5-10 metri. Guido mi vuol fare notare un termometro e si sporge per urtarmi la spalla (abbiamo deciso di non fare uso degli interfonici nei caschi: troppa complicazione) e sbatte il torace sul bordo dell’abitacolo proprio mentre impattiamo fortissimo su un’onda. E’ K.O. Ci rimango male. Lo imbarco sullo scafo dei meccanici e riparto solo. L’assetto cambia forte: l’equilibrio è cosi delicato che l’assenza del peso di Guido alla poppa estrema si fa sentire. Faccio una serie di passaggi sempre più forti davanti alla barca appoggio di “Sonny” e dell’ing. Chiti: perbacco che lo vedano cosa sa fare ‘sto bestione!
Salto su una serie di onde con mare di poppa, sono a tutta manetta. Mi distraggo per una delle troppe barchette che circolano là intorno e che mi hanno già causato una serie di spaventi; non stacco sull’onda più alta e mi infilo. Quando esco dall’onda i motori si spengono: rimango allibito. Il coperchio del vano motori, forse non ben imbullonato, è partito trascinandosi buona parte del mio abitacolo. Mi è passato sopra, a poca, pochissima distanza dalla testa e nel casco c’è rimasto un bel segno.
Mancano all’appello anche un paio di prese d’aria che han lasciato in coperta buchi come occhiaie svuotate. L’aspetto è desolante, per gli occhi dei non esperti addirittura tragico. Ma non ho molto tempo per pensarci: adesso bisogna subito spegnere tutti i contatti, levare la benzina che ha riempito l’abitacolo, e consolare i meccanici disperati.
Ma non finisce così. Eh, no.
da “Mondo sommerso”, Ottobre 1973 – Altomareblu – Tutti i diritti riservati. Note Legali
Egregio sig. Giacomo Vitale, su suggerimento di un vecchio amico ancora memore di fatti lontani, sono venuto a leggervi sul Vostro bel sito, di cui mi congratulo, trovandovi una mia vecchia nota sulla bella, anche se breve “avventura Dart”, ma anche e me ne sono dispiaciuto, il garbato rimprovero dell’amico Sandro Guzzelloni per la mia “smemoratezza”.
Vorrei rimediare con alcune righe:
“Devo fare ammenda per aver dimenticato, nel mio raccontino sul Dart, di citare il buon Sandro Guzzelloni, allora capo e factotum della squadra Vega per la parte cantieristica, che con la squadra Alfa Romeo diretta dall’indimenticabile ing. Carlo Chiti, per la motoristica, effettuarono la messa a punto del Dart prima nel Cantiere Vega di Vimodrone e poi le prove nelle acque del Lago d’Iseo. Il Dart essendo una barca avveniristica e complessa, aveva bisogno di moltissime messe a punto.
Sandro fu mio storico copilota che, quando tiravo a manetta sulla base misurata di Sarnico dove superammo più volte il record mondiale di allora della categoria OP1 di cilindrata doppia, con la massima imperturbabilità era teso alla ricerca di rumori anomali della carena e degli altri numerosi aggeggi meccanici ed idraulici necessari per controllare le prestazioni esasperate del Dart. Ancora oggi come allora mi chiedo come facesse Sandro a sopportare lo spaventoso fracasso dei motori a scarico libero nelle orecchie, oltre a quello delle gran botte sull’onda, che fisicamente si avvertivano eccome se si avvertivano…
Onore quindi ai molti meriti del Sandro!!
Col Sandro avevo collaborato anche qualche anno prima quando con Giorgio Adreani, coraggioso ma poi sfortunato patron della Vega avevamo inventato la Bbarca da salto Fury Jet”, che era poi un bel motoscafo della Vega da 20’, al quale Sandro aveva sostituito il piede poppiero con un idrogetto della Berkely che allora costruivo su licenza europea.
Sandro costruì anche un trampolino a scivolo di circa 3 metri di altezza, come quelli per il salto degli sciatori d’acqua, ma di dimensioni adatte alla tonnellata e rotti di peso della barca, che ancorammo di fronte alla tribuna dell’Idroscalo di Milano.
Durante la Fiera di Milano del 1968, allora la Fiera era “generalista” ed il settore nautico era ubicato proprio al laghetto del Forlanini. Dopo un lancio del ‘FuryJet’ a 60-70 km/h, mi esibivo in salti di una trentina di metri dal trampolino, mandando in visibilio il pubblico delle tribune per quella che allora era una discreta performance. Ho ancora qualche fotografia di quelle divertenti “sboronate“.
E’ da allora che mi chiamarono il ‘saltimbarco’ e non ‘saltimbanco’ come malignamente insinua qualcuno.
Che bello ricordare quei momenti di allegria e adrenalina!
Grazie a Voi e dell’ospitalità.
Alfredo Micheletti
Gentile Sandro Guzzelloni,
abbiamo “aggiornato” l’articolo con un commento dell’ Ing. Micheletti, inserito la foto che ci ha inviato anche come “testata” dell’articolo, la storia di Dart e di tutti i personaggi che ne hanno fatto parte, sembra aver finalmente trovato il giusto racconto.
La ringraziamo per averci scritto!
Alex
Gentile Alessandro Guzzeloni,
comprendiamo il suo rammarico come secondo pilota del Dart in riferimento a quello che ci descrive nel suo commento. Non sappiamo certamente il perché di tale dimenticanza dell’ing. Micheletti, ma se vuole potrebbe mettersi in contatto con noi e raccontarci episodi, aneddoti, inviarci foto e tutto quello che Lei ha vissuto da secondo pilota del Dart, così come ha fatto in nostro Antonio Soccol, da “secondo pilota di Arcidiavolo“, non le pare?
Restiamo in attesa di un suo gentile riscontro.
Cordiali saluti!
Giacomo Vitale
Caro ing. Micheletti sono Alessandro ex meccanico Vega di Giorgio Adreani,
ho letto il suo commento e sono rimasto un pochettino rammaricato visto che parla solo di Buriassi il secondo pilota ma di me neanche un cenno dopo aver fatto tutte le prove come secondo partendo dal lago di Garlate, Sarnico, Bellaria, Napoli, Viareggio. Guardando tutte le foto pubblicate, in barca siamo solo io e lei io col casco azzurro e bianco casco di Andrea Deadamic regalatomi dall’ing. Carlo Chiti.
Cordialmene saluto Alessandro.